Hair stylist del Passato e altre curiose storie….di Roberto Volterri.

 

Immagine di apertura; Hair stylist dell’antica Roma.

Hair stylist del Passato e altre curiose storie…

di Roberto Volterri 

 

 

Nelle giornate di festa (e non solo…), pasquali, natalizie o meno, le “Quote Rosa” – forse non tutte ma di solito così accade… – amano “farsi belle”, andare dal parruchiere, recuperare “quelle bellissime scarpe” che da un bel po’ di tempo stazionavano nell’armadio insieme a innumerevoli borsette capaci di contenere qualsiasi cosa!

E per “farsi belle” di solito vanno dal più rinomato hair-stylist della zona.

Oppure ricorrono a più celeri soluzioni autarchiche…

 

2. Immagine sopra; Retina per capelli in oro.  Affresco di  età imperiale rinvenuto a Pompei, forse raffigurante la poetessa Saffo.

 

Quasi quasi mi faccio uno shampoo…

… si ‘consola’ così il grande Giorgio Gaber, in una sua canzone del lontano 1972, intitolata proprio ‘Shampoo’. A dire il vero, nella finzione musicale dell’indimenticato cantautore milanese, lo spunto sembra derivi da una passeggera, estemporanea ‘depressione’…

Una strana giornata,

non si muove una foglia,

ho la testa ovattata,

non ho neanche una voglia,

non c’è via di scampo:

sì, devo farmi per forza uno shampoo…”

 

Ma, al di là di ogni momentanea defaillance, le necessità della vita quotidiana hanno da sempre imposto all’uomo (forse molto di più all’altra metà del cielo…) di mantenere puliti i capelli, di asportare quotidianamente l’eccesso di sebo, insomma di rendere attraente anche questa strana, utile, spesso affascinante ‘appendice’ del corpo umano.

Il compito sembrerebbe a prima vista, molto facile: “Basta un po’ di sapone!” griderebbe infatti il solito tuttologo di turno.

E invece le cose non sono proprio così semplici poiché i normali saponi tendono a depositare sui capelli la loro schiuma e spesso e volentieri quasi ‘mummificano’ le fluenti chiome dell’aspirante parsimonioso di turno.

Forse per i Rasta e per le loro ‘attorcigliate’ capigliature le cose vanno un po’ meglio…

Per pulire, rendere soffici e lucenti i capelli è infatti necessario usare un buon detergente e questi prodotti vedono la luce solo intorno al 1870, in Germania.

Ora ci arriviamo, ma prima vediamo come in antico si potesse provvedere alla quasi quotidiana necessità…

Qualche millennio fa, nella terra all’ombra delle Piramidi egizie, sulle rive del Nilo il problema si risolve mescolando succo di agrumi all’acqua, in modo che l’acido citrico contenuto nel limone o nell’arancia riduca alquanto l’olio di sebo secreto ogni giorno dal cuoio capelluto.

Nulla vieta inoltre di aggiungervi piccole quantità di profumi naturali in modo da rendere appena più gradevole l’aspetto dell’avvenente fanciulla o dell’aitante schiavo addetto alla costruzione dell’imponente piramide del faraone Khu-fu (Cheope per gli amici!).

Non è una grande soluzione ma per avere qualcosa di più efficace bisogna attendere quasi la fine del Medioevo, quando a qualcuno degli onnipresenti alchimisti (o sedicenti tali…) viene in mente di fare bollire dell’acqua con saponi a base di potassa, ottenendo così un’olezzante mistura contenente un’alta concentrazione di ioni ossidrile che, anche ai nostri convulsi giorni, costituiscono la base di un efficace shampoo.

È una via di mezzo tra il normale sapone e ciò che oggi usiamo per i nostri capelli, la ricetta si tramanda di generazione in generazione, la mistura si fabbrica in casa, ma questo ‘passa il convento’ e ci si deve accontentare!

Qualche secolo più tardi fanno capolino, come accennato, geniali chimici teutonici e altri chimici della “Perfida Albione”.

È il lontano 1870…

All’epoca l’Inghilterra – tramite la Compagnia Britannica delle Indie Orientali, nata nel 1600 – ha assunto il totale governo dell’India e le consuetudini, l’arte del Paese dei fakiri e delle sacre mucche cominciano a diventare di moda anche in territorio inglese, dove i locali parrucchieri storpiano un po’ il termine indù ‘champo’, ovvero ‘massaggiare’ – con riferimento alla schiuma che dai detergenti per capelli si sviluppa – e coniano il termine ‘shampoo’, in uso tuttora.

Non siamo ancora arrivati ai profumati e variamente colorati liquidi che fanno bella mostra di sé in ogni profumeria, ma ad essi ci si avvicina a rapidi passi.

Lo ‘shampoo’, in queste anni, consiste infatti in una sorta di massaggio umido e saponoso sia dei capelli che dell’intero cuoio capelluto con prodotti disponibili solo presso i più rinomati saloni di bellezza britannici.

Ogni hair-stylist dell’epoca crea nel suo retrobottega una personalissima formula in cui abbondano, in diverse quantità, acqua, sapone e soda.

Ma è ben noto che i teutonici parrucchieri, coadiuvati da valenti chimici, non si accontentano di così poco e nel 1890 viene messo a punto il vero e proprio ‘shampoo’ quasi simile a quelli che ora mettiamo in mostra nel nostro bagno di casa.

Poi viene alla ribalta – nei primissimi anni del Novecento – il venticinquenne John H. Breck…

Capitano dei vigili del fuoco del Massachusettes, Breck sta provando i disagi di un’incipiente calvizie e non si rassegna alle ben poco rassicuranti affermazioni dei medici.

Così studia chimica, cambia mestiere e nella cittadina di Springfield inizia la produzione di vari tipi di ‘shampoo’, con la segreta speranza che essi possano arrestare la caduta delle ‘chiome’ alle quali tiene moltissimo.

Nulla di tutto ciò accade, i capelli continuarono inesorabilmente ad abbandonare il suo capo, ma Breck diviene ben presto uno dei massimi produttori di ‘shampoo’ e di prodotti a ‘pH bilanciato’ per la cura dei capelli. Prodotti che ancor oggi sono in commercio e riscuotono notevole successo…

Ora che sappiamo tutto (o quasi) su come è nato l’indispensabile prodotto che rende armoniose e sane le nostre fluenti chiome, quasi quasi ci viene voglia di ispirarci ancora al grande Gaber…

 

“… Scende l’acqua, scroscia l’acqua calda, fredda, calda… Giusta!
Shampoo rosso e giallo… Schiuma soffice, morbida, bianca, lieve lieve sembra panna, sembra neve…”

 

     

3. Immagine sopra; La cura delle acconciature femminili (e anche maschili…) non ha tempo, come dimostrano questi tre reperti archeologici, ovvero ciò che rimane di pettini in uso nella terra bagnata dal fiume Nilo…

 

Sparse le chiome al vento…

 

Anche questa volta la nostra “antica cronaca”, parte da molto lontano, addirittura dalla Mesopotamia del XV secolo a.C. dove andiamo rapidamente a visitare qualche autentico parrucchiere… Assiro.

Quasi ossessionati dalle capigliature che ornano le teste delle gentili signore all’ombra degli Ziqqurat, i ‘coiffeur pour dames’ operanti lungo le rive del Tigri o dell’Eufrate acquisiscono subito fama di abilissimi ‘scultori d’immagine’, veri  fenomeni nel tagliare, arricciare e tingere i capelli femminili, ma non disdegnando anche quelli maschili.

Questi lontanissimi progenitori dei vari “Antoine”, “Michel” – o, più ‘democraticamente’, “Rocco & Deborah” – tagliano le capigliature a strati successivi, via via più corti, in modo che la regal criniera dell’altezzosa consorte dell’altrettanto spocchioso funzionario di Corte assomigli ad una sorta di piramide egizia o anche alle torri sulla sommità delle quali scende Marduk, la divinità in auge al momento.

I capelli vengono così cosparsi d’olio, di profumi  e tinti secondo i capricci della cliente di turno.

Ai ‘maschietti’ di un certo rango un particolare trattamento viene invece riservato soprattutto all’onor del mento, la barba, ma non sono trascurati i capelli che vengono arricciati mediante un ferro opportunamente riscaldato sul fuoco tramite un ‘calamistro’ ante litteram.

Un rapidissimo ‘salto temporale nell’antica Roma del IV secolo a.C. e poi via, verso secoli a noi ben più vicini…

I “Romani de Roma” – quelli della Roma repubblicana o imperiale, vissuti due millenni or sono – non apprezzano molto le capigliature biondo-oro in voga in terra di Grecia e preferiscono tinture che virano nettamente verso il marrone scuro, quasi nero. Tinture ottenute facendo bollire gusci di noce e porri, magari con l’ausilio di una strana pomata da utilizzare durante le ore notturne, prodotta mescolando erbe aromatiche e… disgustosi lombrichi.

Un infallibile rimedio all’incipiente calvizie si ottiene, infine, con un gel composto da bacche di mirto triturate e grasso d’orso.

Parola del quasi ‘infallibile’ Plinio il Vecchio!

Risaliamo ancora una volta l’infinito ‘fiume del tempo’ e rechiamoci nell’Europa del XVIII secolo in cui su ogni toilette troneggia il ‘ferro da ricci’ – il ‘calamistro’ – che, forse, abbiamo già incontrato in terre ed in epoche ben diverse.

Una lunga capigliatura femminile è adesso una vera ricchezza per il gentil sesso, tanto che alcune sfortunate rappresentanti dell’altra metà del cielo, per sopravvivere, sono costrette a venderne lunghe ciocche.

Invece le dame dell’alta società ammantano le loro chiome di conturbanti significati e allusioni  che costituiscono degli inequivocabili ‘segnali’ per gli uomini che tali messaggi sanno interpretare.

Il serico ammasso di trecce ed enormi chignon che troneggia sulle teste delle cortigiane lascia intendere che nell’intimità, eliminati pettini, forcine, nastri ed altri ingombranti ammennicoli, quell’imponente edificio, si disfà in un attimo lasciando cadere tutte le sue volute lungo il corpo dell’amato bene.

Novello cavaliere di ventura – si fa per dire! – il fortunato mortale che abbia il privilegio di ridurre ai minimi termini il monumentale, serico, ‘edificio’ avrà il privilegio di perdersi voluttuosamente, tra snervanti delizie, immerso tra le chiome della gentil pulzella!

4. Immagine sopra; La bellissima soubrette Josephine Baker, nel 1949, con un’acconciatura “alla garçonne”.
 

Ma ben presto la donna fatale, conturbante e flessuosa creatura immortalata anche dai pittori liberty, lascia il posto al modello ben descritto anche dallo scrittore Francis Scott Fitgerald nel suo romanzo ‘Belli e dannati’.

Rapide e sapienti sforbiciate creano la pettinatura ‘alla maschietta’, subito osteggiata da padri e mariti convintissimi che la ‘virtù’ degli angeli del focolare risieda soprattutto… nelle punte dei capelli!

 

5. Immagine sopra; Pettinatura ‘alla maschietta’ , chissà perchè, molto “discussa” in tempi andati…

Fughe da casa e tentativi di suicidio dovuti a tali proibizioni riempiono le pagine dei giornali, più o meno come oggi una ‘settima misura’ o delle ‘labbra ultrasiliconate’  danno da vivere ad innumerevoli quotidiani che del ‘gossip’ hanno fatto un arte!

Le ‘Dolly Sisters’ e l’indimenticabile Joséphine Baker diffondono il ‘verbo’ della pettinatura ‘alla garçonne’, mentre all’orizzonte si affaccia prepotentemente la moda dell’ondulazione ‘elettrica’, della ‘permanente’.

Però questa è un’altra storia e ne riparleremo in altra occasione…

 

                           

6. Immagine sopra; “ Moderna” acconciatura – direi… ‘alla garçonne’ – di una sconosciuta, gentile signora che visse all’ombra del Vesuvio quasi due millenni or sono.

 

Risolto magicamente il “problema” delle fluenti chiome è necessario aprire di nuovo l’armadio delle “cose nascoste” e trovare l’opportuno paio di scarpe adette alle imminenti festività.

Ma se la stagione è più che buona si può ricorrere anche a seducenti sandali…

 

In principio…fu il sandalo!

 

“In principio… fu il sandalo!”, oserebbe, forse, dire qualche biblico predicatore d’Oltreoceano!

Un simile, utilissimo accessorio è stato infatti scoperto in una tomba egizia risalente al II millennio a.C.

Ma, almeno a parere di chi scrive queste brevissime note, qualcosa di simile esisteva da lunghissimo tempo…

Nella Grecia antica i sandali erano denominati Krepis e venivano abbelliti e colorati in varie maniere.

Nell’antica Roma erano diffusi i Crepida, con una suola spessa e muniti di piccole pareti di cuoio ai lati. Si allacciavano incrociando più volte dei lacci sul collo del piede.

Ne abbiamo visti un’infinità nei cosiddetti ‘peplum’, ovvero il film girati a Cinecittà su Nerone, Spartacus e chi più ne ha più ne metta!

Nella Gallia di “Asterix” si usava il Campagus, mentre i Saraceni usavano l’Alpargata, sandalo di corda di canapa.

Non erano proprio i famosissimi ‘sandali capresi’ che fanno la gioia dei VIP estivi in vacanza nella bellissima isola situata davanti alla costiera amalfitana, ma gli assomigliavano abbastanza!

 

Verso il XVII secolo a.C., forse in area mesopotamica,  nacque qualcosa di diverso:  una specie di involucro di cuoio, avvolgente tutto il piede, molto simile ad un mocassino, fissato al piede stesso con i soliti laccio di pelle.

Sempre in Grecia, verso il VII secolo a.C. le nobildonne usavano qualcosa di simile, ma colorate in rosso o in bianco.

All’ombra del Colosseo, intorno al III secolo a.C., nacquero i primi ‘calzaturifici’ che distinguevano tra scarpa sinistra e scarpa destra, mentre le matrone più ricche optavano anche per scarpe gialle o verdi.

Passarono i secoli e finalmente, nel 1305, re Edoardo I d’Inghilterra stabilì che in alcune attività artigianali, come misura di preciso riferimento, si usasse il ‘pollice’, costituito da tre grani d’orzo secchi posti uno accanto all’altro.

I ciabattini si impadronirono subito del metodo: così, ad esempio, una scarpa da bambino lunga tredici grani di orzo allineati ebbe la misura… numero 13. E così via, naturalmente, fino al N° 45!

Poi vennero le strane scarpe appuntite – tornate da poco di moda nel fantasiosissimo universo femminile! – che originarono addirittura un’apposita legge del re Edoardo III  che ne stabiliva la massima lunghezza, poiché le punte avevano raggiunto quasi i cinquanta centimetri. Un’arma impropria, diremmo!

Infine, nel XVII secolo nella bella cittadina universitaria inglese di Oxford fu inventato l’omonimo modello, in pelle di vitello, allacciata sul davanti tramite tre o più occhielli in cui passavano i lacci. Insomma, le scarpe odierne!

(Roberto Volterri)

7. Immagine sopra; Moderno sandalo esposto in qualche internazionale Fiera dell’abbigliamento? Manco per sogno! E un preziosissimo sandalo indossato dal faraone Tuthankamon quasi tremilacinquecento anni fa e ora conservato al Museo del Cairo. 

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C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione,una regione che potrebbe trovarsi “Ai confini della realtà””.  

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