I misteri di Nemi. Il Mistery Team de IlPuntosulMistero dentro l’Emissario del Lago.


 

  1. Immagine di apertura: il Mistery Team davanti all’ingresso dell’Emissario di Nemi . L’avventura sta per cominciare…. – foto Marisa D’Annibale 

 

Sabato 25 luglio 2020, il MISTERY TEAM de ILPUNTOSULMISTERO ha organizzato un’escursione dentro l’EMISSARIO DEL LAGO DI NEMI.

Il gruppo, costola del MISTERY TEAM denominatosi per l’occasione “NEMORENSIS”, è stato guidato da Giancarlo Pavat che oltre ad essere uno scrittore e ricercatore storico, pratica la speleologia sin quando aveva sei anni. Ma non solo.  Pavat,  il “CONDOTTO DI NEMI” (altro nome con cui viene chiamato l’Emissario del Lago) l’ha percorso, tra andata e ritorno, ben 8 volte nel corso degli anni. Quindi si può dire che lo conosce “come le cantine di casa sua“.

Del “Gruppo Nemorensis”, oltre a Giancarlo Pavat, facevano parte il prof Roberto Volterri (che ha scritto, in esclusiva per il nostro sito, un suo personale “report” sull’escursione),  Bruno Ferrante, Gaetano Colella, Peppe Donvito, Marco Mele e Giulio Pistilli (il più giovane di tutti). Al “Campo Base” fuori dell’Emissario è rimasta Marisa D’Annibale.

L’Emissario è un sito decisamente affascinante e, sotto diversi aspetti,  ancora misterioso. È uno degli enigmi che ancora oggi aleggiano sul Lago di Nemi Quella all’interno del Condotto è un’escursione decisamente particolare ed emozionante . Per questo motivo abbiamo chiesto ai “Nemorensis” di raccontarci la loro avventura e le impressioni.  Hanno risposto all’appello Giancarlo Pavat e Roberto Volterri mentre a Gaetano Colella si deve il video che potrete gustarvi a fine articolo. 

Buona lettura.

(La Redazione)

2. Immagine sopra: panorama del borgo di Nemi – foto Gaetano Colella

I MISTERI DI NEMI

Il Mistery Team de IlPuntosulMistero dentro l’Emissario del Lago

di Giancarlo Pavat

Il Lago di Nemi, lo Speculum Dianae, un luogo straordinario, magico, persino un po’ inquietante. Uno di quei rari luoghi sulla Terra in cui sembra davvero possibile per l’Uomo entrare in diretto contatto con il Trascendente, con un Altrove che fa comprendere quanto sia infinitamente piccolo di fronte agli immensi misteri del Cosmo.

3. Immagine sopra: lo Speculum Dianae – foto G Pavat

Un luogo che ancora oggi conserva gelosamente molti dei suoi misteri….Su cui è stato scritto di tutto (spesso a sproposito) e il contrario di tutto.

Situato a poca distanza da Roma, il lago non è altro che un cratere vulcanico che, parimenti a quello vicino di Albano (o di Castelgandolfo) nel corso del tempo si è riempito d’acqua.

Oltre che per l’aspetto paesaggistico e per il pittoresco borgo medievale di Nemi, arroccato sul bordo del cratere, il lago è noto per una serie di misteri che affondano le radici nel passato più lontano del Lazio e dell’Umanità.

Si va dalle Navi di Caligola di cui ci siamo già occupati su questo sito (e torneremo ad interessarcene…) all’arcaico (e sinistro) Tempio di Diana Nemorense.

Perche sinistro? Beh…..e’ presto detto…..Sulla riva settentrionale del lago sorgeva un Bosco Sacro  (“Nemus” in latino significa appunto “Bosco”) al cui centro, da tempi immemorabili (la datazione è, come al solito, controversa e ancora dibattuta tra gli archeologi, attualmente lo si fa risalire al III secolo a.C., ma si parla pure del IV o di epoche ancora precedenti) si innalzava un grandioso complesso cultuale dedicato ad una divinità femminile senza nome, forse ctonia, forse la dea madre, che successivamente venne identificata come Diana (l’Artemide dei Greci), la dea una e trina. Diana Nemorensis o Diana Aricina.
ign: justify;”>La dea lunare che si specchiava in quel lago sacro e misterioso.

 

4 – 5. Immagini sopra e sotto: l’ingresso dell’Emissario (foto G Pavat) e i preparativi prima dell’ingresso nel cunicolo (foto Marisa D’Annibale).

6. Immagine in basso: un tratto del Condotto di Nemi – foto G Pavat

 

Ma quello non era un tempio come tutto gli altri. Il sacerdote deputato ad officiarne i riti aveva il destino segnato. Nel recinto sacro del tempio cresceva “un albero intorno cui, in ogni momento del giorno e probabilmente anche a notte inoltrata, si poteva vedere aggirarsi una truce figura. Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava attorno come se temesse a ogni istante di essere assalito da qualche nemico.  Quest’uomo era un sacerdote e un omicida; e quegli da cui si guardava doveva prima o poi trucidarlo e ottenere il sacerdozio in sua veceem”. Non si hanno altri riscontri di riti simili nell’antichità. Il Rex Nemorensis doveva avere come successore il proprio assassino. L’antropologo scozzese James Frazer>, (1854–1941) nel suo “Il Ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione” (titolo originale: “The Golden Bough: A Study in Comparative Religion” nella prima edizione, e “The Golden Bough: A Study in Magic and Religion” nella seconda) ritenne che nel rituale nemorense fosse adombrato il meccanismo di successione degli arcaici re latini e romani. Dopotutto da Romolo in poi (quest’ultimo venne rapito in cielo dagli dei che lo vollero tra loro e pari a loro) quasi nessuno morì nel proprio letto…..

Il re non poteva invecchiare, non poteva mostrare lo scorrere del tempo e la decadenza del corpo e della mente…perché al re era legata la prosperità del proprio popolo. Proprio come il Re Magagnato con la ferita inguaribile che provoca la Terra Desolata del “Ciclo Bretone”. Così i re latini non potevano morire di vecchiaia ma sparire improvvisamente perché gli dei li avevano chiamati e un nuovo sovrano, giovane, aitante, vigoroso avrebbe guidato la propria gente verso destini gloriosi.

 Immagine sopra: il Mistery Team avanza nel Condotto di Nemi – foto G Pavat


Oggi Frazer viene bistrattato, sconfessato, deriso. Gli antropologi lo ritengono banale e superato. …eppure la magia del “Ramo d’oro” é ancora intatta…..Il fascino non si è mai spento…..Gli echi di quei riti terribili e lontani che si consumavano sulle rive di quel lago lunare sono giunti sino alle giungle cambogiane….Se è corretta l’interpretazione del Simbolismo delle scene finali del film capolavoro di Francis Ford Coppola “Apocalipse Now” (1979). Laddove il protagonista, capitano Benjamin Willard deve uccidere il colonnello Walter E. Kurtz, ormai diventato re-sacerdote non “per porre fine al suo comando” ma per prenderne il posto. Kurtz come il Rex Nemorensis, Willard come l’adepto, il discepolo, che deve sostituirlo per immettere nuova linfa vitale nella discendenza reale, sacerdotale, magica.

In epoca romana il tempio venne dedicato anche alla ninfa Egeria a cui era consacrata una sorgente che sgorgava dalle rocce di basalto del bordo del cratere. Una serie di suggestive cascatelle portavano questa acqua sacra direttamente nello Speculum dianae. Secondo la tradizione latina, in questo luogo magico veniva il saggio re Numa Pompilio per farsi consigliare dalla ninfa Egeria in persona.

Oggi resti del tempio, in particolare i cosiddetti “nicchioni”, sorgono nella località “Il giardino”. Il sito archeologico non è aperto al pubblico ma nel 2005, grazie alla cortesia dell’archeologa dott.sa Alessia Palladino, ho potuto visitarlo.

I reperti recuperati sono conservati in parte al Museo delle Navi e in parte al Museo di Villa Giulia a Roma.


9. Immagine sopra: Giancarlo Pavat all’interno dell’Emissario del Lago – foto Bruno Ferrante

Ma l’enigma forse più antico è costituito dal cosiddetto “Emissario del Lago” o “Condotto di Nemi”.  

Trattasi di un opera di ingegneria idraulica semplicemente straordinaria. Qualsiasi aggettivo superlativo non basta per descriverla in maniera corretta e dettagliata.

Di fatto non è ancora del tutto chiaro QUANDO è stato costruito, DA CHI e, soprattutto, COME. Per tentare di risolvere almeno alcuni di questi quesiti vi rimando al “report” del professor Roberto Volterri. Chi meglio di lui, che è oltre ad essere uno scrittore e docente universitario, è pure un archeologo sperimentale, può darci qualche delucidazione sugli enigmi dell’Emissario.

10 – 11. Immagini sopra e sotto: i “Nemorensis” del Mistery Team avanzano nel Condotto. Giancarlo Pavat indica sulla cartina il punto in cui si trovano in quel momento…. – foto Bruno Ferrante.

In questa sede mi limiterò a riportare qualche dato tecnico e a descrivere l’escursione nell’Emissario.

Il condotto è lungo 1653 metri con un dislivello tra l’entrata e l’uscita di di 12,63 metri, con una pendenza media dello 0,75%.

Da tenere presente che la pendenza media dei grandi Acquedotti romani di epoca imperiale varia tra lo 0,2% e lo 0,5%.

E’ probabile che gli ignoti costruttori  abbiano proceduto individuando prima i due punti, uno a monte (Cratere di Nemi) e una a valle (Cratere di Ariccia) ove cominciare a scavare. Ovviamente calcolarono pure l’altezza del punto di entrata a Nemi rispetto al punto di uscita ad Ariccia. E questo al fine di avere la pendenza corretta che avrebbe dovuto avere il condotto.

Una volta uscite nel Cratere di Ariccia, le acque venivano incanalate in un fossato a cielo aperto lungo poco più di 2 chilometri, che poi si interra nel cd “Cunicolo aricino” (purtroppo ormai ridotto a una fognatura) lungo 610 metri che infine sfocia nel Tirreno nel territorio di Ardea (Roma).

All’ingresso dell’Emissario, presso la riva del bacino di Nemi, sono perfettamente visibili le scanalature in cui venivano alloggiate paratie lignee atte a regolare il flusso dell’acqua. Inoltre si riconosce una sorta di diaframma lapideo con ampi fori perfettamente circolari che serviva ad impedire a tronchi d’albero di entrare nel condotto.  

Accedendo dall’attuale ingresso, il percorso del condotto può apparire tortuoso e per nulla razionale. Ma in realtà non si tratta del “vero” accesso. O, meglio, il progetto è stato modificato in corso d’opera per motivi che non ci è dato sapere. Uno dei tanti enigmi dell’Emissario.

Infatti quello che sarebbe dovuto essere l’ingresso progettato delle acque corrisponde al cunicolo oggi noto come discenderia che si trova però a molti metri di altezza sopra il livello del lago.

12. Immagine sopra: i gradini che dal tratto principale dell’Emissario conduco alla cosiddetta “Discenderia” – foto G Pavat

 

13. Immagine sopra: i “Nemorensis” salgono verso la “Discenderia” -. foto G Pavat 

14, 15, 16, 17, 18 – Immagini in basso : l’uscita della “Discenderia” – foto G Pavat

 

 

La squadra che scavò partendo dal Cratere di Nemi avanzò molto velocemente, visto che si trovò a lavorare all’interno di masse di tufo e pozzolana. Invece, quelli che salivano dal Cratere di Ariccia, si imbatterono nella durissima roccia basaltica e riuscirono ad avanzare soltanto per circa 500 metri. Tanto che le due squadre si incontrarono a ben 1100 metri dalla riva del Lago.

I due fronti di scavo si mancarono per qualche metro. Circa 2, 5 in verticale e circa 3 metri in orizzontale. 

 

19. Immagine sopra: i “Nemorensis” avanzano nel Condotto – foto Bruno Ferrante

Sabato mattina, giunti finalmente davanti all’ingresso e dopo aver indossato caschetti, stivali e luci frontali, siamo entrati nel Condotto. Tranne che per il sottoscritto, per gli altri del gruppo era la prima volta. E durante i primi metri, ho verificato come reagissero all’ambiente decisamente claustrofobico. Hanno tutti superato brillantemente il “battesimo del fuoco”.

I primi metri del Condotto sono caratterizzati dal rivestimento delle pareti formato da giganteschi blocchi di pietra e, come si diceva inizialmente, dalla presenza di strutture atte a far scorrere le paratie per regolamentare le acque.

Dopo i primi metri si incontrano sulla verticale due pozzi di areazione, si spiega così l’incredibile ventilazione del condotto. Sulla destra si nota un cunicolo molto stretto a qualche metro dal suolo, sembra impraticabile.

Fatti altri pochi metri e, improvvisamente, l’ambiente del Condotto cambia completamente. Il cunicolo si restringe e la volta si abbassa. Cessano i rivestimenti in blocchi in pietra e lo scavo appare molto grossolano, eseguito direttamente in conglomerati tufacei.

Dopo alcune decine di metri si incontra sulla sinistra un’altro cunicolo impraticabile, poi il condotto principale curva e l’aspetto cambia di nuovo. Siamo nel punto di intersezione con la cosiddetta “Discenderia”. La percorreremo al ritorno.

Il tratto principale (che qualcuno chiama “Dromos” ovvero “corridoio” in greco) si allarga e la volta si alza. In alcuni punti raggiunge i 4,  5 metri. Da qui parte un lungo tratto rettilineo (circa 500 metri) scavato nel tufo anche se si incontrano varie rocce intrusive.

Alcune porzioni di pareti sembrano rivestite da altro materiale. Ad un certo punto, dove il tufo sembra farsi più compatto, si notano le “famose” UNGHIATE sulle pareti. Non riusciamo a trovare un vocabolo più appropriato per descriverle. Trattasi, almeno sembra, di solchi paralleli prodotti dallo scavo, ma non si riesce a capire con quale attrezzo o macchinario. Vanno dalla base delle pareti sino alla volta. Anche il professor Volterri rimane perplesso.

L’aria continua ad essere fresca e pulita. Si nota però un cambio di direzione. Non più da monte a valle ma viceversa.

Il suolo è pulito e perfettamente praticabile. Non si notano tracce di crolli se non un blocco di tufo staccatosi però dalla parete. Nessuna traccia di vita animale ipogea tranne alcune zanzare. Non si percepiscono odori molesti o particolari.

A circa 400 metri dall’inizio del “Dromos” si incontrano una sorta di mattonelle in tufo impilate sul lato sinistro del condotto. È probabile che siano state disposte in quel modo dagli speleologi romani che nel 2002  hanno disustruito alcuni condotti laterali. Ma è solo un ipotesi.

Si incontrano anche alcuni archetti in laterizio.  Appaiono recenti, impressione confermata Volterri. Potrebbero risalire al 1928, quando l’emissario fu riutilizzato per svuotare il lago e recuperare le navi romane, ma non si comprende il loro scopo, visto che non sarebbero in grado di reggere alcun movimento franoso delle pareti o della volta.

20. Immagine in basso: gli archetti realizzati con tutta probabilità negli anni ’20-30 del XX secolo – foto G Pavat

A cento metri dal cosiddetto I° Bypass,  l’ambiente muta ancora una volta.

La presenza di acqua sulle pareti e stillicidio dalla volta hanno creato nel corso del Tempo una splendida massa di concrezioni calcaree bianche.

Ormai si cammina con l’acqua alle caviglie.

Siamo in prossimità del I° Bypass , ovvero nel punto in cui nel lontano 2005, ovvero quando percorsi per la prima volta il Condotto, mi accorsi che la mappa del percorso presa da alcune pubblicazioni, era sbagliata. Sulla carta il condotto principale appariva indicato come occluso e bisognava aggiralo tramite il Bypass, in realtà è perfettamente praticabile. È il Bypass sul lato destro ad essere stretto a causa delle concrezioni.

In quel punto dalla parete destra fuoriesce un copioso zampillo captato da un contenitore e da un tubo recente. L’acqua che fuoriesce è decisamente cristallina, pulita, non emana odori. L’unico problema e’ che al suolo adesso l’acqua supera le caviglie.

Ci troviamo, più o meno sotto l’abitato di Genzano.

Il condotto mostra uno scavo nuovamente grezzo. Acqua sempre alle caviglie ma in alcuni punti, lungo le pareti c’è una specie di marciapiede di tufo. Intanto Gaetano Colella continua a girare brevi video.

Si avanza per altri 200 metri in direzione del II° Bypass. Lo percorriamo. La volta si abbassa, il suolo è ingombro di detriti e c’è ancora un po’ d’acqua. Ai lati si aprono i bassi e stretti condotti esplorati ie mappati dagli speleologi di Grottaferrata. 

Percorso il II° Bypass ci immettiamo di nuovo lungo l’asse principale dell’emissario. La volta è bassa e bisogna camminare chini, ma il condotto si è allargato. Non c’è più acqua sul fondo e l’aria è ancora pulita e respirabile.

21. Immagine sopra: gli appartenenti al Mistery Team, al ritorno, risalgono il tratto che servì ad unire i due cunicoli  – foto G Pavat

Poi il Condotto si restringe di nuovo ma a rendere difficoltosa l’avanzata è soprattutto il grosso tubo incatramato posto negli anni ’20. Dopo ancora qualche decina di metri ecco finalmente la brusca curva a destra e verso il basso . Si tratta del tratto che permise agli scavatori di congiungere i due cunicoli. Si scende tra sdrucciolevoli blocchi sbozzati di basalto scuro. Ci si aiuta con il tubo più stretto (quello che capta la sorgente interna) che funge da corrimano mentre quello più grosso continua ad essere solo d’impaccio. Eccoci finalmente nel tratto finale. La volta a botte è alta circa 1,70 metri mentre le pareti sono di lucido basalto con le impressionanti unghiate ben visibili. 

22. Immagine sopra: il cunicolo dell’emissario del lago di Nemi – foto Bruno Ferrante

E qui, mentre scattiamo fotografie delle incredibili “unghiate”, ben visibili sulla massa basaltica, succede qualcosa che non mi era mai capitata nelle 8 precedenti escursioni nell’Emissario. Sebbene nel cunicolo l’acustica sia pessima, cominciamo a  sentire delle voci in lontananza. Suggestione? Miraggio uditivo? Assolutamente no. Io che sono in testa al gruppo inizio a vedere nel tratto scavato nel basalto (quello che sale dal Cratere di Ariccia), delle luci frontali. In pochi minuti una fila di ragazzini boy scout con due guide ci sfilano davanti. Sono entrati ad Ariccia e ci chiedono quanto manca ancora all’uscita. Da ciò deduciamo che non si sono preparati all’escursione documentandosi e studiando prima il percorso. Notiamo anche che non hanno caschetti ma solo cappellini di lana e pochi indossano stivali di gomma. Mah…..

23. Immagine sopra: Gaetano Colella con la polo d’ordinanza del Mistery Team de IlPuntosulMistero – foto Marisa D’Annibale 

Riprendiamo ad avanzare verso Ariccia. Continuamente ci ripetiamo a guisa di mantra……”ma come avranno fatto a scavare il condotto nel basalto?”   

Il cunicolo fila rettilineo finché, dopo una leggera curva,  ci sembra di vedere una fioca luce in fondo alla galleria. Ci fermiamo e spegniamo le torce. E’ vero, laggiù nelle tenebre c’è un chiarore, ma non si riesce a capire se sia l’uscita aricina o se proviene da un pozzo verticale. Che effettivamente esiste e lo vediamo sopra le nostre teste. Ma ormai mancano poche decine di metri, sbuchiamo in una specie di caverna ed ecco, sul lato destro, l’uscita che di fatto è l’unico tratto (pochi metri) del Condotto che in cui bisogna muoversi a carponi.

Uno alla volta usciamo nella lussureggiante campagna aricina. Roberto, Bruno, Beppe, Gaetano, Marco e Giulio hanno completato per la prima volta l’attraversata dell’Emissario. Leggo la soddisfazione nei loro volti ed è ben meritata.

Ora ci aspetta il percorso inverso ma sebbene la strada sia ormai nota, i misteri dell’Emissario rimangono ancora una volta imperscrutabili. 

QUANDO, CHI, COME. Stando all’interno del Condotto risulta difficile accettare le spiegazioni proposte dall’Archeologia ufficiale. Anzi, proprio un sito come il Condotto nemorense dimostra che, allo stato attuale, la Scienza non è in grado di spiegare tutti i misteri presenti sul nostro Pianeta.  Questo non significa che per farlo sia necessario scomodare alieni, esseri multidimensionali o il paranormale. Coloro che hanno realizzato il Condotto (e manufatti simili) erano uomini come noi. Semplicemente erano in possesso di mezzi tecnici (per non dire tecnologie) che noi, chiusi nei nostri recinti culturali eretti dalla globalizzazione e dall’omologazione del Sapere, stentiamo a riconoscere e ad attribuire a costoro. Mettiamoci in testa una buona volta che la Storia dell’Umanità non si è svolta in maniera lineare e progressiva dall’ominide che ha scoperto il fuoco all’astronauta che esplora il Cosmo. Ci sono stati momenti di evoluzione, in cui l’Uomo ha raggiunto vette incredibili del Sapere e dell’Arte e altri momenti in cui è precipitato negli abissi della decadenza. Evoluzione involuzione. La linea è sinoidale. Spesso, più che “scoperte” bisognerebbe parlare di “riscoperte” moderne. “NIHIL SUB SCIENTIA NOVUM” titolava un articolo di qualche anno fa scritto dal professor Roberto Volterri.

Come ha acutamente osservato Giorgio Galli, oggi “l’archeologia accademica e ufficiale, pur con eccezioni, rifiuta l’ipotesi di civiltà evolute e travolte da catastrofi,  anteriori al Neolitico e all’Era glaciale”.  Quando la maggior parte degli scienziati  (qualunque sia il campo dello scibile in cui operano) accetteranno l’evidenza che la Storia dell’Uomo non è quella che ci raccontano nei manuali scolastici, sarà solo che un bene per tutta l’Umanità. 

Ma questa è un altra storia….

(Giancarlo Pavat)

23 – 24. Immagine sopra: il Mistery Team impegnato nell’Emissario – foto Bruno Ferrante. Immagine in basso: Roberto Volterri e Giancarlo Pavat nell’Emissario di Nemi – foto Bruno Ferrante.

25. – 26 immagini sopra e sotto: il riposo dei “Nemorensis” al ritorno dall’escursione nell’Emissario – foto Marisa D’Annibale.

27. immagine in basso: il lago di Nemi in tutto il suo splendore – foto Marisa D’Annibale

 

IL VIDEO DELL’ESCURSIONE

 

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