I SEGRETI DELLE CHIESE NELLA FORESTA SVEDESE di Giancarlo Pavat.

I segreti delle chiese nella foresta svedese

di Giancarlo Pavat

La regione storica del Dalsland, nella Svezia sudoccidentale, sulle rive occidentali del grande lago Vanern, si caratterizza per la presenza di numerose chiesette in legno, pietra e mattoni, risalenti al Medio Evo, sparse nei boschi di caducifoglie.
Gran parte di queste chiese si presentano oggi negli stili architettonici ed iconografici della Riforma Protestante, introdotta in Svezia nel XVI secolo. Ma conservano manufatti, sculture, bassorilievi, dipinti e simbologie, che pur risalendo a secoli anche successivi, sembrano riferirsi ad una ben determinata temperie culturale e spirituale che affonda le sue radici nei secoli XII, XIII e XIV.

Bolstadkyrka

In altra sede si sono già illustrati i misteri conservati nella chiesa di Sant’Erik a Grinstad, frazione del Comune di Mellerud.

La chiesa custodisce l’enigmatico labirinto affrescato simile a quello di Alatri ed altri simboli misteriosi di cui si è diffusamente parlato nei miei articoli “L’affresco con il Cristo nel labirinto di Alatri; un enigma europeo” (leggibile su questo sito) e “Dalsland. La terra dimenticata dei Templari” (pubblicato sul numero 42, aprile 2012 della rivista FENIX, diretta da Adriano Forgione).

Ma durante la spedizione in Svezia del giugno/luglio 2011, assieme a Sonia Palombo, Marco Di Donato, Manuela Guglielmi, Paolo Ruggeri e Domenico Pelino, si è avuto modo di visitare anche altre chiesette immerse nelle foreste del Dalsland.
La nostra attenzione è stata catturata in particolar modo da due di questi edifici sacri; le chiese di Skallerud

SkallerudskyrkaSIMBOLI ENIGMATICI A SKALLERUD

Skallerud, che con il suo vivace colore rosso si staglia nettamente tra gli alberi, i giardini ed il curatissimo piccolo cimitero, a pochi passi dall’acque scintillanti del Naren, nelle forme attuali risale al 1500, ma ha preso il posto di una chiesa medievale di cui faceva parte il fonte battesimale in pietra ancor conservato all’interno.

Il manufatto, risalente al 1200, è stato scolpito in un blocco di scura pietra locale a guisa di Calice dell’Ultima Cena
Tutta la chiesa, compresi il pulpito, l’altare, il coro, è decorata da sculture, bassorilievi, tavole dipinte, risalenti ad un arco temporale che va dal XVI al XIX secolo.

Raffigurazioni ed iconografie a prima vista inconsuete ed enigmatiche sono rintracciabili un po’ ovunque.
Il Trigramma “IHS”, la Conchiglia di San Giacomo, l’Agnus Dei con il vessillo con la Croce patente rossa, e l’Agnello dell’Apocalisse con il libro dei Sette Sigilli, il Triangolo rappresentante Dio, ed un Angelo con falce e clessidre che simboleggia l’inesorabile scorrere del Tempo dato all’Uomo sulla Terra.

Ma non solo. Persino le rappresentazioni degli Apostoli e degli Evangelisti possono suscitare curiositĂ , stupore e sconcerto.

Vale come esempio la figura di San Giovanni Evangelista.

Conchiglia di S. Giacomo a Skallerudskyrka

Sul soffitto sopra la navata si trovano i pannelli in legno con le figure dei Quattro Evangelisti, dipinte nel 1670 da Erik Erikkson Grijs. Si trovano in quella posizione dal 1924. In precedenza erano sul muro fra presbiterio e navata, due su ogni lato.

Qui l’Evangelista è ritratto secondo l’iconografia consueta, intento a scrive il Quarto Vangelo, e dietro al sua spalla destra fa capolino l’Aquila, uno dei degli Esseri del Tetramorfo e tradizionale attributo dell’Apostolo prediletto.

IL CALICE ED IL SERPENTE

Non altrettanto riconducibili ad una iconografia sacra canonica possono dirsi due ulteriori rappresentazioni dell’Evangelista, anch’esse presenti nella Skallerudskirka.
La prima raffigurazione si trova sui pannelli lignei della tribuna, ed è stata dipinta nel 1682 sempre da Erik Eriksson Grijs.

I 4 Evangelisti e S Giovanni con il Calice ed il Serpente

La seconda, invece, è una piccola statua lignea, dipinta a colori vivaci, che, assieme a quelle degli altri Apostoli, decora il pulpito scolpito da Isaac Schiulstrom nel 1760.

Scultura di S. Giovanni a Skallerudskyrka

Non si tratta, quindi, di opere d’arte medievali. Eppure i due artefici, uno del XVIII secolo e l’altro del secolo successivo, sono andati a riprendere una simbologia poco canonica, ma, si badi, non necessariamente eretica, che si rifà ad un episodio della vita di San Giovanni, piuttosto noto nel Medio Evo ma ritenuto non ortodosso dalla Chiesa di Roma.
Secondo alcune fonti apocrife, soprattutto i cosiddetti “Atti di Giovanni” (redatti da un certo Lucio Carino nel II secolo d.C., infarciti di episodi prodigiosi e straordinari ed impregnati di una buona dose di gnosticismo), i soldati romani che l’avevano arrestato posero davanti a San Giovanni, una coppa colma di veleno, intimandogli di berlo. L’Evangelista lo benedisse facendone uscire un serpente.

Particolare della scultura di S. Giovanni Evangelista a Skallerudskyrka

Scena eternata, appunto, dai due artisti svedesi. Si nota perfettamente l’Evangelista benedire con le tre dita della mano destra, un calice retto con la sinistra, dal quale esce la testa di un serpente.
Perché è stato scelto un simile soggetto? Faceva forse parte del patrimonio iconografico delle tradizioni medievali locali, di cui si sono persi i modelli primigeni, ma che sono sopravvissute, in qualche modo attraverso i secoli nonostante il distacco della Scandinavia dalla Chiesa Cattolica?
E se sì. Chi le aveva portate nel Medio Evo in Svezia nella regione del Dalsland?
Raffigurazioni di San Giovanni simili a queste della Skallerudskirka, databili con sicurezza al Medio Evo sono piuttosto rare.

Chiesa Templare di S. Maria del Campo di Dio – Visinada – Istria

Decisamente da segnalare quella affrescata (probabilmente nel XIV secolo, ma certamente ritoccata nei secoli successivi) sulle vele del presbiterio della chiesa gotica (XII-XIII secolo) della Madonna del Campo (chiamata anche S. Maria del Campo di Dio)a Visinada, in Istria (oggi in Croazia). Una chiesa appartenuta all’Ordine dei Cavalieri Templari.

Affresco di S Giovanni con Calice e Serpente a Visinada in Istria.

Quattrocentesco è invece il Trittico con San Paolo, Santo Stefano Protomartire e, appunto, San Giovanni Evangelista, attribuito a Marco Antonio Aquili, conservato alla Parrocchia di San Giovanni a Vacone (RI). Il Trittico venne trafugato negli anni ’80 e recuperato e restituito dai Carabinieri nel 2009.

Trittico di Vacone con S. Giovanni, S. Paolo e Santo Stefano
S. Giovanni del Giampietrino – Basilica di S. Magno – Legnano (MI)

San Giovanni con Calice e serpente lo ritroviamo con più frequenza nell’arte rinascimentale.
Qualche esempio tra quelli riconducibili a celebri artisti. Nella Basilica di San Magno a Legnano (MI) si può ammirare un olio su tavola (135×544 cm) del XVI secolo, realizzato dall’allievo di Leonardo da Vinci, Gian Pietro Rizzoli (o Rizzi).

Basilica di S. Magno – Legnano (MI)

Un altro San Giovanni del medesimo artista è conservato nella Biblioteca Ambrosiana.

S. Giovanni del Giampietrino – Biblioteca Ambrosiana – Milano

Il San Giovanni (olio si tavola 114×39 databile tra il 1470 ed il 1475) di Antonello da Messina visibile agli Uffizi con la mano destra regge il Vangelo e con la sinistra un calice da cui fuoriesce un serpente addirittura dotato di due ali da pipistrello. Che lo rendono tanto simile a quei draghi dell’Immaginario gotico.

S. Giovanni di Antonello da Messina – Uffizi – Firenze

Anche il fiorentino Piero di Cosimo (Piero di Lorenzo, 1461-1522) ha raffigurato l’Ultimo degli Evangelisti (con capelli lunghi e tanto di trecce) mentre benedice con le tre dita il Calice dal quale si leva una serpe avvolta nelle spire.

S. Giovanni di Piero di Cosimo

Del 1652 è il San Giovanni di Lorenzo Lega conservato nella chiesa di San Vito a Nole Canavese (TO). Il pittore, a scanso di equivoci, a dipinto tutti gli attributi iconografici dell’Evangelista. C’è l’Aquila del Tetramorfo, il Vangelo ed il Calice con il Serpente.

S. Giovanni di Lorenzo Lega di Nole Canavese (TO)

Nell’affresco (XVII secolo) della parrocchia di San Menna a Lucoli (AQ) il Santo non ha l’Aquila al proprio fianco ma con la mano sinistra regge sempre il Libro e con la destra il Calice con il rettile. Lascia interdetti la particolare fisionomia del Santo. Dire che sembra una donna è riduttivo. Ma di questo parleremo più avanti.

S. Giovanni della parrocchia di S. Menna – Lucoli (AQ)

L’ULTIMA CENA DI BOLSTADKYRKA

Anche la chiesa di Bolstad risale al Medio Evo. Le parti più antiche, ovvero la torre e la parte occidentale della navata, sono probabilmente del 1175. Costruita tutta in pietra locale, la chiesa si caratterizza per la torre campanaria, alta 27,6 metri, e la guglia dalla forma curiosa, alta 13,3 metri. Dal 1400 la chiesa di Bolstad è intitolata a San Lorenzo Diacono. E’ circondata da un cimitero con sepolture che vanno dal Medio Evo al XX secolo. Su alcune svettano grandi croci celtiche o lapidi con decorazioni medievali come il “Fiore della Vita” (identificato pure su una lapide tombale del XIX secolo a Grinstad).

Bolstadkyrka

Su due lapidi in arenaria, datate al 1200, (ora allocate all’interno della chiesa) si vede quello che Arne Olsson ritiene una sorta di “albero della vita”.

La ricercatrice storica Gudrun Rydberg nel “Dalsland Diplomatarium” spiega che la decorazione della principale lapide medievale è un “giglio”. Il manufatto è lungo 182 cm, con una 69 cm di larghezza nella parte alta, e di 59 cm di larghezza nella parte bassa.

Lapide tombale a Bolstadkyrka

La decorazione vegetale è simile a quella che corre lungo il bordo del Fonte Battesimale della chiesa di Gestads (XII-XIII).

Gestadkyrka

L’altra lapide, che la Rydberg ritiene essere decorata sempre da una specie di giglio, è lunga 152 cm, larga 58 cm in alto e 46 cm in basso.

Nel Dalsland, ad Or, è esistita sino al 1830 una terza lapide con fregi a guisa del medesimo fiore.

Oltre a questi tre manufatti appena descritti, circa 300 altre lapidi con decorazioni simili sono state localizzate in oltre cento parrocchie della regione del Vastgotland. Quattro nel Varmland e due nel Bohuslän norvegese.

La maggior parte di queste lapidi risale al 1200 e sono fatte in una pietra proveniente da Kinnekulle.

Tornando alla chiesa di Bolstad, uno dei manufatti più interessanti è il Fonte battesimale, composto da una sorta di piedistallo in arenaria, recentemente restaurato e databile attorno al 1100, e dalla parte superiore a forma di coppa in pietra ollare risalente al 1200. Per gli studiosi svedesi questo reperto è molto importante perché attesta la presenza di una comunità cristiana nella zona sin dalla fine dell’Undicesimo secolo.

Tra i numerosi simboli (ad esempio una Conchiglia di San Giacomo che attesta come la Bolstadkyrka fosse meta di pellegrinaggi che si notano all’interno della chiesa, sulle pareti, sopra gli stalli lignei, merita una certa attenzione l’Altare in pietra realizzato nel 1670, che ospita una Pala con i Quattro Evangelisti ed i rispettivi simboli, dipinta cinque anni dopo da Erik Grjis di Goteborg.

Nella parte superiore della Pala, sotto l’orologio inserito nel 1800, Wilhelm Dahlbom nel 1864 ha realizzato una tavola con la Resurrezione. Mentre nella parte inferiore si ammira una ”Ultima Cena” o, come la descrivono le guide svedesi, “Istituzione dell’eucarestia il Giovedì santo”.

Ed è proprio quest’ultima opera d’arte che attira l’attenzione del visitatore attento e curioso.

Una tavola, quindi, decisamente sui generis, i cui particolari enigmatici e anomali potrebbero essere attribuiti ad influssi esoterici o massonici del XVIII e XIX secolo. Oppure, come per altri manufatti rintracciati nelle chiese del Dalsland, rimandare a simbologie molto più antiche, risalenti al Medio Evo e sopravissute alla Riforma Protestante forse perché entrati a fra parte del patrimonio iconografico, figurativo e spirituale delle tradizioni di quelle terre.

A cominciare dal pavimento della sala dove si svolge l’Ultima Cena”, che è a scacchi bianchi e neri!

Colori che rimandano ai pavimenti dei Templi massonici, che a loro volta si rifanno a quello del biblico Tempio di Salomone, (le cui rovine, assieme alla “Spianata delle Moschee”, furono il Quartier Generale Templare a Gerusalemme sino al 1187) ed alle tante scacchiere che ancora oggi decorano chiese, abbazie, monasteri, di mezza Europa. Ma pure metafora dell’eterna lotta tra il Bene ed il Male, allegoria della contrapposizione della Luce e la Tenebra, Giorno e Notte, Maschio e Femmina, e vessillo dei Cavalieri Templari; il bicolore “Baussant” o “Valcento”.
Giova ricordare che una rara raffigurazione dello scudo con i colori Templari è stata rinvenuta durante i lavori di restauro, affrescata sotto l’intonaco di un parete interna della chiesa dell’Eremo di Sant’Antonio Abate a Colle del Fico a Ferentino (FR).

Valcento affrescato nella chiesa di S. Antonio a Colle del Fico – Ferentino (FR)

Sul simbolismo della scacchiera il discorso sarebbe lungo. Sono stati versati i proverbiali fiumi d’inchiostro e non basterebbe tutto lo spazio a disposizione di questo sito web, per trattarlo. Ma qualche cenno è doveroso farlo.
A quanto pare il primo a trattare in Occidente dell’argomento del Gioco degli Scacchi è stato il sovrano iberico Alfonso X “il Saggio”, nel suo “Libro de Juegos”.
E’ noto che gli Scacchi provengono dall’India e sono giunti in Europa nel Medio Evo tramite i Persiani e gli Arabi e, forse, gli Ordini monastico-cavallereschi presenti in “Outremer”. Nell’Egitto dei Faraoni, però, era certamente noto un gioco molto simile, come attestato dagli affreschi rinvenuti dagli Egittologi.
Nell’Europa medievale, il gioco subì qualche piccola modifica. Ad esempio. Il “pezzo del Visir” divenne quello della “Regina. Una prova della provenienza del gioco l’abbiamo dall’espressione “Scacco matto”, che sembra derivare dalle parole persiana “Shah”, “re” ed araba “mat”, “morto”.
La più antica testimonianza di questo gioco ci viene da un erudito arabo al Masudi, vissuto a Bagdad nel IX secolo. Che, tra l’altro, non soltanto ne attribuì l’invenzione ad un re indù, tale Balhit, ma cercò anche di decifrarne i significati allegorici più reconditi. Brevemente ricorderò come in questo gioco, effettivamente, si concentrano diversi simbolismi. Ad esempio quello dei numeri.
Le caselle che formano la scacchiera canonica sono otto per otto, alternativamente di colore bianco e nero.
Il Sessantaquattro, numero complessivo delle caselle è per gli IndĂą un numero sacro. Legato ai cicli cosmici. Secondo il Buddismo l’Universo avrebbe la forma di un immensa scacchiera divisa in 64 riquadri. Inoltre, la tavola di gioco, con i suoi colori contrapposti, altri non è che un “mandala” di forma quadrata, invece che rotondo. Equivalente al simbolo dello “yn” e dello “yang”, dal significato attinente alla ciclicitĂ  senza fine ed al principio degli opposti (ad esempio spirito e materia, luce e tenebra) che si attraggono. Ma i due colori, o non colori, della scacchiera (proprio come il “Valcento”) rimandano all’eterna lotta tra le Forze del Bene e quelle del Male. Per gli Induisti tra “devas” e gli “asuras”, paragonabili agli angeli ed ai demoni delle Grandi Religioni monoteiste.
Dopotutto una partita a scacchi è la rappresentazione allegorica proprio di un battaglia. Ma è anche il gioco in cui si sublima la conoscenza e l’intelligenza, al contrario di altri passatempi, in cui regna sovrano il caso e la fortuna, senza alcun merito nei confronti dei giocatori. E probabilmente è proprio questo l’insegnamento e la lezione ultima che volevano trasmettere gli ignoti inventori di questi ludi.
Non è certamente casuale che quello degli Scacchi fosse l’unico gioco permesso ai Templari ed ai Teutonici.

Templari che giocano a scacchi

Nella Biblioteca dell’Escorial a Madrid, è conservato un prezioso codice con una miniatura raffigurante un cavaliere “crociato” intento a giocare una partita a scacchi con un guerriero musulmano. Sempre meglio che scannarsi a vicenda.

Scacchiere bianche e rosse sono state affrescate nella storica “Sala dello schiaffo” (o, appunto “Sala delle Scacchiere”) (XIII secolo) del Palazzo di Papa Bonifacio VIII ad Anagni (FR).

Un pavimento a scacchi è presente nella celebre “Pala di Castelfranco” del Giorgione (Tempera su tavola, datata al 1502 realizzata per il Duomo di Castelfranco Veneto). Oltre alla Madonna in trono con il Bambino, vediamo un San Francesco ed un cavaliere in armatura cinquecentesca, forse San Giorgio.
Ma l’assoluta mancanza di un drago (attributo fondamentale di tutte le raffigurazioni del Santo) ed il fatto che regga un vessillo con una croce di colore bianco in campo rosso, lo identificherebbe con un membro degli Ordini monastico-cavallereschi. Un Giovannita (alla luce dei colori del vessillo, anche se la croce è piana e non amalfitana)n o, piuttosto (visto che Giorgione, per le simbologie, scacchiera compresa, contenute nei suoi dipinti viene considerato un pittore esoterico, un iniziato) un Templare?

Pala di Castelfranco del Giorgione

Presso la basilica di Sant’Ambrogio a Milano sono visibili almeno quattro scacchiere, ma i colori sono il bianco ed il rosso come ad Anagni e soltanto una il numero canonico di caselle, ovvero 8×8.

Una delle scacchiere sulla parete di S. Ambrogio – Milano

Due hanno 7X7 caselle, e l’ultima, la più piccola, 5X5.
La prima si trova sulla facciata, a destra del portale di ingresso ed è quella con 64 caselle. La seconda è posta sul lato destro del nartece, ed infine, le ultime due sono sul muro di sinistra in alto appena entrati. Sono una sopra l’altra. La più alta, di sette caselle di lato, tocca con il suo vertice inferiore l’altra, la più piccola, di cinque caselle di lato, che, inoltre, non presenta una regolare alternanza di caselle bicolori ma solo quattro caselle bianche. Forse il risultato di un maldestro (e deliberato?) restauro.
Secondo molti la scacchiera era un semplice simbolo apotropaico che teneva lontano gli spiriti maligni, secondo altri si tratterebbe di una rappresentazione simbolica della cittĂ  stessa di Milano.
Ma non solo. Da più parti il simbolo della scacchiera viene ritenuto in qualche modo riconducibile ai Cavalieri Templari, presenti a Milano sin dal 1134. In un primo tempo, probabilmente proprio a Sant’Ambrogio e poi nella zona del Brolo, dove sorgeva un bosco probabilmente sacro già ai Celti. Qui i Templari edificarono due chiese, Santa Maria del Tempio (che oggi ha lasciato posto ai padiglioni dell’ospedale) e Santa Maria della Pace, che ora è sede dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

A Trieste, in un palazzo ottocentesco, al numero civico 3 della piazza dell’Hospitale, la scacchiera bianca e nera è stata usata per decorare la soglia di ingresso del portone con evidenti fini apotropaici.

Pertanto, alla luce di tutto ciò, il particolare del pavimento della tavola di Bolstad non va sottovalutato, ma forse è spiegabile con la formazione culturale del pittore svedese.
Non si deve comunque scordare che un simile impiantito è riscontrabile in rappresentazioni ben più antiche dell’ “Ultima Cena”.

Come nel discusso dipinto degli inizi del XVI secolo, conservato nella chiesa di San Benedetto a Celarda, vicino a Feltre nel bellunese.

Ultima Cena della chiesa di S. Benedetto a Celarda – Feltre (BL)

Si è detto “discusso”, in quanto, nel pieno del clamore del famoso (o famigerato) romanzo di Dan Brown (che personalmente ritengo assolutamente sopravvalutato) nel 2006, l’opera d’arte di Celarda, fino a quel momento totalmente sconosciuta, grazie ad alcuni articoli su quotidiani locali, venne portata all’attenzione di un pubblico più vasto, ritenendola conferma e prova di quanto scritto dal romanziere americano a proposito del contemporaneo “Cenacolo” di Leonardo da Vinci.
Anche in questo caso si faceva notare che l’Apostolo ritenuto San Giovanni sembrava invece una donna, quindi la Maddalena.

Proprio come nella tavola lignea di Bolstad.

Ultima Cena di Bolstadkyrka

L’artefice ha raffigurato Gesù seduto attorniato dagli altri Apostoli, alcuni riconoscibili da particolari iconografici.
Sulla tavola, oltre a bicchieri, pani, posate ed un grande vassoio d’argento, si nota un Calice d’oro.
GesĂą ha una aureola da cui si dipartono dei raggi. Indossa una tunica bianca con un mantello rosso.
Davanti a Cristo, quasi sedutogli in grembo, si nota un giovane ed imberbe San Giovanni. I fautori dei misteri ad ogni costo e delle cospirazioni acquistabili al supermercato un tanto al chilo, grideranno certamente di gioia, ravvisando l’ennesima (secondo loro) conferma di secoli e secoli di complotti, depistaggi, insabbiamenti, da parte della Chiesa di Roma sulla “vera” storia del Cristianesimo e di Gesù Cristo.
Ma le cose stanno davvero così?
Personalmente ritengo che i tratti apparentemente femminili di San Giovanni, riscontrabili sia a Celarda che a Bolstad, come in tantissime altre opera d’arte sacra (ad esempio l’ “Ultima Cena” di Duccio di Boninsegna o quella di Pompeo Cesura del XVI nella chiesa abbaziale di San Giovanni di Lucoli in provincia de L’Aquila, con tanto di un inquietante Giuda privo di occhi ), siano perfettamente compatibili con l’iconografia canonica che ritrae il futuro Evangelista in quel particolare periodo della sua esistenza; ovvero la “Settimana Santa”, la “Passione”, la Crocefissione, la Morte e la Resurrezione di Gesù Cristo.

Ultima Cena di Duccio di Boninsegna

Le guance glabre, al contrario degli altri Apostoli, uomini ormai maturi e con belle barbe ad incorniciare i volti, indicano, così come i capelli lunghi, il fatto che Giovanni era molto giovane e, prestando fede a racconti non entrati nei Testi canonici del Cristianesimo, ancora vergine. Avendo rinunciato al matrimonio per rispondere alla chiamata di Cristo.

Ultima Cena di Pompeo Cesura a Lucoli (AQ)

Ma c’è un’ulteriore affascinante e sconvolgente possibilità. Forse San Giovanni ha i tratti femminili perché le due figure, dell’Evangelista e della Maddalena in realtà sono soltanto due aspetti, due volti, della stessa persona.
Un argomento certamente “forte”, che può turbare coscienze, decisamente complesso che cercheremo di affrontare, a breve, in un altro articolo, assieme ad un vero esperto della tematica.

Ipotesi, teorie ed enigmi, sono sorti pure dall’apparentemente strano gesto che fa il Cristo di Bolstad.
Di fronte a Gesù, dall’altra parte della tavola, è seduto Giuda. Riconoscibile perché stringe con la mano destra un sacchetto, i “Trenta denari” oppure la “cassa” del gruppo di discepoli di Cristo.
Verso di lui, Cristo allunga la propria destra e si distingue chiaramente che, tra il pollice e l’indice, stringe un piccolo oggetto rotondo di colore argenteo. Di che cosa si tratta?
Forse una moneta, che vuole aggiungere, in gesto di spregio, alla “paga del traditore”? O cos’altro?
Qualcuno ha riconosciuto nel piccolo oggetto addirittura un anello, che Cristo starebbe mostrando a Giuda. Nello stesso momento in cui il Giovanni/Maddalena sembra seduto/a sulle sue ginocchia. E qualcuno ha subito pensato all’anello che il Cristo al centro del Labirinto di Alatri sembra portare all’anulare sinistro.
Si è scritto a lungo su questo particolare, che sembrava alludere al fantomatico matrimonio di Gesù con la Maddalena. Il primo a segnalarlo fu nel 2002 l’allora direttore del Museo Civico di Alatri Gianfranco Manchìa. L’anello sembrava talmente evidente, che non vi erano dubbi in proposito. Invece, dai restauri dell’affresco alatrense recentemente conclusi è emerso che quello che si credeva appunto un anello, non era altro che un distacco dell’intonaco, come ha esaurientemente spiegato lo stesso restauratore dottor Salvati durante la conferenza di presentazione del 21 aprile 2012

Tornando alla tavola di Bolstad ed al gesto di Cristo, la spiegazione più logica (ma non per questo meno interessante), è di tutt’altro genere e va ricercata nel posto più ovvio; i Vangeli stessi!

Finora abbiamo indicato la tavola svedese come raffigurante l’ “Ultima Cena” o, come scritto sulla stessa guida della chiesa, l’ “Istituzione dell’Eucarestia il Giovedì Santo”.
In realtà si tratta, a ben guardare, di una inconsueta (ma non rarissima) raffigurazione iconografica dell’evangelico annuncio del tradimento da parte di Giuda.

Particolare dell’Ultima Cena di Bolstadkyrka

La descrizione del gesto che sta facendo Gesù sta scritta nell’ultimo Vangelo, proprio quello di Giovanni.

[21] Dette queste cose, GesĂą si commosse profondamente e dichiarò: «In veritĂ , in veritĂ  vi dico: uno di voi mi tradirà». [22] I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. [23] Ora uno dei discepoli, quello che GesĂą amava, si trovava a tavola al fianco di GesĂą. [24] Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». [25] Ed egli reclinandosi così sul petto di GesĂą, gli disse: «Signore, chi è?». [26] Rispose allora GesĂą: «E’ colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.

Ecco che cosa ha immortalato Dahlbom nel XIX secolo; il momento in cui GesĂą offre il boccone intinto a Giuda.
Per avere una conferma torniamo in Italia, ed andiamo ad ammirare una delle opere di quell’eccelso Maestro del Trecento che risponde al nome di Duccio di Boninsegna.
Nella sua celeberrima “Ultima Cena” che cosa fa Gesù, seduto, anche in questo caso, di fronte al discepolo traditore? Allunga la mano destra offrendo un pezzo di cibo. Mentre San Giovanni, sempre imberbe e giovanile, sgomento all’annuncio del tradimento, è chinato sulla spalla e braccio sinistri del Messia.

Stessa scena, quella miniata dal fiammingo Michiel van der Borch (opera oggi conservata presso la Konionkijke Bibliotheek de L’Aia nei Paesi Bassi) nel 1364. Giovanni reclinato in grembo a Cristo e questi che imbocca Giuda, mentre quest’ultimo tenta di afferrare un pesce dentro un piatto al centro della tavola.

Ultima Cena di Michiel van der Borch – Koninkliijke Bibliotheek – L’Aia (NL)

E tutto ciò con buona pace di coloro, purtroppo i tanti, vogliono vedere oscuri misteri e segreti inenarrabili ovunque, e che tanto danno hanno arrecato allo studio ed alla ricerca per far luce sui veri enigmi della storia. I segreti su cui far luce sono ben altri. E nelle foreste della Svezia, Grinstad docet, ce ne sono ancora tanti che attendono di essere svelati.

(Giancarlo Pavat)

Bolstadkyrka
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3 commenti:

  1. Filippo Di Biagio

    Concordo con Marco e Gianluigi, ottimo articolo, ben fatto ed avvincente. Desidero però sottlineare una cosa. Giuda è visto da sempre come il Traditore per eccellenza. Anche in questo articolo viene riproposta l’immagine di Colui che tradì GesĂą Cristo. Ma io mi sono sempre chiesto una cosa. Possibile che Cristo, per poter portare a compimento il suo disegno di Salvezza di tutti gli Uomini si sia servito, sacrificandolo per l’EternitĂ , di uno di quei suoi Figli e Fratelli, Giuda Iscariota appunto, per i quali Lui stesso si è sacrificato sulla Croce? Io credo piuttosto che Giuda fosse consapevole e consenziente di ciò che stava facendo e che fosse daccordo con Cristo stesso. Come emerge dal “Vangelo di Giuda”, scoperto in Egitto nel secolo scorso e pubblicato qualche anno fa dal National Geographic. Nel “Vangelo di Giuda” è chiaro come l’Apostolo daccordo con GesĂą nell’organizzare il “tradimento” in modo tale che potesse giungere a compimento il progetto di Salvezza voluto da Dio sin dall’inizio dei Tempi. Perchè la Chiesa continua a considerare Giuda un dannato, un Traditore, un rinnegato? Gentile dottor Pavat mi piacerebbe conoscere il suo pensiero in proposito. Filippo Di Biagio.

  2. Ottimo articolo. Fa luce sui significati di alcune simbologie prendendo spunto da nuove scoperte addirittura in Scandinavia. Questa è informazione e divulgazione, soprattutto perchè non eccede nel sensazionalismo. Questa è vera e seria ricerca nel mistero.
    Gianluigi

  3. Complimenti! Una descrizione precisa e dettagliata, corredata anche da altri elementi, che rende questo articolo davvero affascinante e completo in ogni sua parte. E’ davvero un piacere leggerlo dall’inizio alla fine!

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