Il mistero del naufragio del Vasa, un Titanic svedese del XVII secolo; di Domenico Pelino.

Quest’anno ricorre il centenario del tragico e famosissimo naufragio del transatlantico “Titanic”, colato a picco dopo aver cozzato contro un iceberg nella fredda notte atlantica tra il 14 e 15 aprile del 1912 durante il viaggio inaugurale.
Purtroppo la storia della navigazione di tutti i tempi è costellata da simili tragedie. Alcune sono ancor avvolte nel mistero, soprattutto perchè verificatesi in luoghi assolutamente inconsueti ed in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato.

Uno di questi naufragi è quello del gigantesco veliero svedese “Vasa”, che oggi è una delle maggiori attrazioni storico-turistiche della capitale del regno scandinavo.
In uno dei miei tanti viaggi alla ricerca di simbologie medievali e soprattutto Templari, giunto in Svezia e precisamente a Stoccolma, sono riuscito a visitare il “Vasa Museum”, “Vasamuseet” in svedese.
Interessante esempio di come un disastro si possa valorizzare e rilanciare trasformandolo in una ricchezza non solo economica ma pure, e soprattutto, culturale.

(Immagine sopra: Domenico Pelino al museo Vasa – foto dell’autore)

Il Museo è stato appositamente costruito sull’isolotto di Djurgarden nei pressi del porto di Stoccolma, con l’unico fine di ospitare il vascello più antico che esista e cioè il ”Vasa”. Vero gioiello della navigazione del XVII secolo, ricomposto per oltre il 95% da pezzi originali e decorato da centinaia di sculture intagliate, dalle dimensioni, capacità e caratteristiche futuristiche per l’epoca:
lunghezza fuori tutto m 69;
lunghezza tra le perpendicolari m 47,5;
larghezza massima m 11,7;
altezza (dalla chiglia alla formaggetta dell’albero di maestra) m 52,5;
dislocamento 1.210 tonnellate;
superficie velica 1.275 m2;
armamento 64 cannoni;
equipaggio 145 marinai e 300 soldati non presenti al viaggio inaugurale.
Il grande vascello fu fortemente voluto da re di Svezia Gustavo II Adolfo Vasa (1611-1632), soprannominato “Il Leone del Nord” in quanto, anche se salito al trono giovanissimo, si rivelò un grande condottiero, per mostrare la propria potenza navale ed avere un posto nella storia dell’Europa del Nord.
Teniamo presente che quella è l’epoca della massima espansione territoriale della potenza militare del Regno di Svezia, che dominava anche pure su parte della Norvegia, sulle coste tedesche del Baltico, in Finlandia ed in Estonia.
Il sovrano volle che il veliero fosse più alto delle altre navi per facilitare gli abbordaggi, più lungo per avere più bocche di fuoco e più sottile per navigare più speditamente, ma tutto questo a rischio della stabilità.
La costruzione del veliero ebbe inizio nel 1625, decorandolo con centinaia di sculture raffiguranti leoni, eroi biblici, imperatori romani, creature marine, divinità greche e molto altro.
Avevano lo scopo di glorificare il monarca svedese, dando espressione della sua potenza, cultura e ambizioni politiche.
I lavori terminarono nel 1628, ma nel luglio dello stesso anno, durante delle prove di stabilità ebbe non pochi problemi.
Venne comunque varato il 10 agosto 1628 ma, salpato dal cantiere di Skeppsgarden nel porto di Stoccolma, dopo aver navigato per appena un miglio marino, delle folate di vento fecero inclinare il veliero. Questi incominciò ad imbarcare acqua dai portelli dei cannoni inferiori rimasti aperti dopo la salva per festeggiare il varo.

Il veliero era ormai compromesso ed incredibilmente, sotto gli occhi increduli dei presenti (si trovava in mezzo ai laghi e canali della capitale e non in mezzo all’Oceano) prese ad inabissarsi, portando con sé nella sua liquida tomba almeno una cinquantina di uomini dell’equipaggio, finendo a circa 30 metri di profondità ed a soli 150 dalla costa.

Il re non essendo presente in quanto impegnato in guerra, venne avvisato con una lettera che ricevette due settimane dopo: (stralcio della lettera)
“Una volta uscita nel golfo all’altezza di Tegelviken, la nave prese un po’ di vento e cominciò a piegarsi molto sotto vento, per poi raddrizzarsi ancora un po’; arrivata però all’altezza di Beckholmen, si piegò completamente sul lato, l’acqua entrò attraverso i portelli dei cannoni e la nave si inabissò lentamente con tutto il suo arredo di vele e di bandiere”.
Fu subito istituita una commissione d’inchiesta per tenatre di fare luce su un naufragio che appariva a tutti incomprensibile, un vero mistero.
Da un verbale giunto sino a noi, apprendiamo che il capitano della nave Söfring Hansson, sopravvissuto al naufragio e sentito in merito all’accaduto, declinò ogni responsabilità, indicando come responsabili i progettisti e costruttori.
Ma la commissione venne a conoscenza che il progettista Henrik Hybertsson era deceduto l’anno precedente, ed i capimastri Hein Jakobsson e Arent de Groot, che avevano portato a termine la costruzione, si difesero adducendo che i progetti erano stati approvati e firmati dal Re, quindi, loro non erano imputabili.
Infine, la commissione chiuse il caso senza individuare alcun colpevole.
Anche se una commissione successiva giunse alla conclusione che l’affondamento del vascello probabilmente avvenne per un difetto di progettazione, infatti il pescaggio di 4.8 metri è risultato essere poco rispetto alla poppa che spiccava ben 12 metri dall’acqua, quindi la nave era instabile.

Nel 1950 un professore specialista della storia navale del Mar Baltico, tale Anders Franzén, cominciò le ricerche del relitto. Il ritrovamento avvenne il 25 agosto del 1956, anche se tra il 1664 ed il 1665 già erano stati recuperati una cinquantina di cannoni.
Cominciarono così i lavori per riportare il Vasa in superficie, vennero scavate sei gallerie sotto lo scafo per farci passare corde d’acciaio, così con sedici fasi successive si avvicinò il “Vasa” alla riva; vennero cambiati i perni di metallo ormai arrugginiti e pian piano il vascello ha rivisto la luce il 24 aprile 1961.
Apparve in buone condizioni, infatti la temperatura delle acque gelide del Baltico aveva impedito il deteriorarsi del legno, così svuotato da acqua e fango, il successivo 4 maggio dopo 333 anni galleggiava senza l’ausilio di gommoni o altro.
Iniziarono subito i trattamenti per conservare lo scafo, perché essendo pregno d’acqua, asciugandosi il legno si sarebbe spaccato. Si decise di irrorare regolarmente il relitto con acqua mescolata a glicole polietilenico (PEG), un polimero che riesce a penetrare nel legno prendendo il posto dell’acqua. Il trattamento iniziò nel 1962 e andò avanti per 17 anni al ritmo di 25 minuti di spruzzatura e 20 di pausa ogni giorno, 24 ore su 24.
Sino al 1988 Il vascello fu conservato in un museo temporaneo.

(Immagine sopra: Il museo del Vasa a Stoccolma)

Il museo attuale, vera e propria opera ingegneristica, venne inaugurato nel giugno 1990 dal re Carlo XVI Gustavo.
Una struttura in cemento armato che praticamente avvolge il vascello, ove all’interno non arriva mai la luce diretta del sole, sormontato dai tre alberi del vascello (ovviamente d’acciaio) posizionati sul tetto ed indicano l’altezza originale, ovvero 52.5 metri dalla chiglia del vascello.
Il “Vasa” è posizionato centralmente, monitorato costantemente e mantenuto in atmosfera protettiva, mentre un gruppo internazionale di esperti valuta periodicamente quali siano le migliori soluzioni per evitare il suo deterioramento.

(Immagine sopra: Ricostruzioni all’interno del Vasa)

Tutt’intorno ci sono ponti che permettono di ammirare da diverse altezze quest’opera unica al mondo giunta sino a noi, poi ricostruzioni del cantiere, manichini a grandezza naturale che mostrano la vita quotidiana durante la costruzione, filmati, p.c. interattivi, plastici delle fasi del recupero, oltre ovviamente alle migliaia di reperti tornati alla luce con esso (le vele più antiche al mondo ovvio, equipaggiamento di bordo, stoviglie, abiti dei marinai).
Insomma, si tratta di mirabile esempio di museografia, certamente da imitare anche nel nostro Pese che di storia ed arte ne ha certamente molta di più della Svezia, ma che non sa di frequente valorizzarla in maniera opportuna.

Testo e foto di Domenico Pelino
(Ricercatore storico templare)

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Un commento:

  1. vittorio ippolito

    vrngo da Stoccolma e confermo cheè unatestimonianza di. tecnologia interdisciplinare. ammirevole la tenacia nel voler salvare il vascello

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