“IN PRINCIPIO FU IL TAM-TAM…E I SEGNALI DI FUMO”. Breve storia delle comunicazioni postali e non solo…; di Roberto Volterri.

Immagine di apertura; Segnali di fumo…anche il mitico Tex Willer, l’eroe del Vecchio West creato dalla fantasia di G.L. Bonelli e Aurelio Galeppini (in arte Galep), si trova a dover utilizzare questo comodo sistema di comunicazione.

 

“In principio fu il tam-tam!…

…e i segnali di fumo”

di Roberto Volterri 

 

 

.… che così fosse, e già voleva dirti…
(Inferno: CANTO XXVI. V. 51).

 

…potremmo infatti dire a proposito degli infiniti sistemi con cui l’uomo ha sempre trovato il modo di comunicare ai suoi simili i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi desideri o i suoi perentori ordini. Il classico tam-tam di certe tribù africane (e non solo…), il teponaztli di alcune tribù del Rio delle Amazzoni oppure il döbön usato da popoli della Papuasia sono tutti metodi ideati per inviare messaggi sia collettivi che individuali.

Un missionario tedesco, padre Joseph Schmidt, che ha passato gran parte della sua esistenza tra i ‘popoli di natura’, riferisce che ogni messaggio affidato al linguaggio dei tamburi è sempre preceduto da un tema introduttivo che identifica il villaggio di provenienza ed è seguito da un altro tema che costituisce la ‘firma’ del mittente o la ‘sigla’ del clan nel caso in cui il testo inviato – definiamolo benevolmente così! – appartenga a tutta la collettività. Una sorta di ‘Telecom Italia’… in ‘formato capanna’!

2. Immagine sopra; Quando non c’erano i telefonini cellulari, bisognava adattarsi! Segnali di fumo dei nativi americani in un quadro di Frederic Remington.

 

Tralasciamo i ‘messaggi di fumo’ degli indiani d’America, tema ricorrente nei film western ‘anni Cinquanta’ (e non solo), sorvoliamo sulle loro ‘tracce’ poste sul terreno incrociando in modo variabile piccoli rami, abbandoniamo l’irriducibile Tex Willer ai suoi ‘segnali’ luminosi trasmessi manovrando opportunamente specchietti esposti ai raggi solari ed entriamo a piè pari nei segreti di quelli che sono stati i trisavoli del cosiddetto ‘Servizio Postale’.

Già a metà del III millennio a.C. i Faraoni dispongono di un personale servizio di corrieri che diffondono nei loro estesi domini ordini, editti, notizie, insomma le loro incontestabili volontà.

Forse è proprio tra una piramide e l’altra che è nata anche la ‘Posta aerea’ con l’introduzione di infaticabili piccioni viaggiatori sulle cui ali vengono dipinti brevissimi messaggi – gli SMS dell’epoca, insomma! – mentre alle zampine vengono legati piccoli pacchetti.

3. Immagine sopra; un bel piccione viaggiatore impegnato nella missione che gli è stata affidata.

Nel 1939, alcuni archeologi hanno rinvenuto in terra d’Egitto un documento che rende testimonianza di come un innamorato Faraone abbia fatto dono alla sua amata consorte di innumerevoli piccoli dolci legati al collo di altrettanti zelanti piccioni viaggiatori.

Quasi un “Servizio DHL” in riva al Nilo!

I Persiani, oltre ai piccioni, addestrano anche le rondini ma con scarsi risultati.

Forse… ‘non c’era campo, direbbe oggi un maniaco del ‘cellulare’!

Sembra che nella Grecia antica si usi anche un curioso espediente per evitare le ‘intercettazioni’: si rade il capo dello schiavo di turno, si scrive sul cranio lucido il messaggio, si attende che i capelli ricrescano e…si lancia il ‘messaggio’, ovvero si invia lo sventurato schiavo a destinazione.

Qui basta procedere ad ulteriore integrale rasatura, et voilà, il messaggio appare come d’incanto!

I Romani, abilissimi realizzatori di una sterminata rete stradale, istituiscono un servizio postale basato appunto sulla collocazione di apposite ‘stazioni di cambio’ dei cavalli, dette ‘positae’, ed è proprio da tali ‘stazioni’ intermedie che prende il nome l’attuale vocabolo di ‘posta’.

4. Immagine sopra; Servizio postale “celere” nell’antica Roma.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente – nel 476 d.C. – è la Chiesa a monopolizzare quello che potremmo definire ‘Servizio Postale’ poiché tra i molteplici ordini religiosi emerge la figura del ‘chartularius’ che porta a Roma le notizie provenienti da ogni provincia e destinate al Papa o al regnante di turno.   

Pazienti monaci, viaggiando di convento in convento portano invece notizie di scarsa importanza destinate al ‘popolino’. ‘Cartoline postali’ dei secoli bui, insomma!

Il nostro viaggio non si ferma qui anche perché lunghissimo è il percorso per arrivare al primissimo francobollo, emesso dal Servizio Postale della “Perfida Albione”, dall’Inghilterra: il quasi introvabile e preziosissimo ‘Penny nero’.

5. Immagine sopra; ebbene si’, anche i mostri lacustri (o presunti tali) sono stati “arruolati” nel servizio postale!

 

 

Il primo rarissimo francobollo.

Il 6 Maggio 1840, a Londra, emette il suo primo ‘vagito’ Mr. Penny Nero.

No, non è un curioso personaggio con un cognome che tradirebbe lontane origini italiane.

No, in quel fatidico giorno nasce il primo – oggi quasi introvabile – francobollo della storia!

E nasce anche per porre fine ad una strana consuetudine che, all’epoca, ha creato innumerevoli abusi, piccole truffe, confusione. Ma ora ci arriviamo…

6. Immagine sopra; il primo francobollo della storia delle comunicazioni postali. Vale un capitale!

La geniale idea del francobollo nasce nella ‘parsimoniosa’ mente di uno scozzese, Rowland Hill e da quel momento a pagare la tariffa postale non è più il destinatario ma, come è giusto che avvenga, il mittente.

Inoltre, l’applicare quel piccolissimo frammento di carta su un angolo della busta mette fine agli abusi dei portalettere che fino ad allora hanno preteso fantasiosi sovrapprezzi all’atto della consegna delle missive.

Molti altri Paesi adottano subito l’innovativa soluzione ma, come sempre avviene, qualche contestatore non trova migliore occasione per dimostrare… chi è.

7. Immagine sopra; Rowland Hill, l’inventore del francobollo.

Gli svizzeri, ad esempio, giudicano molto offensivo ricevere una lettera a spese del mittente ed estremamente privo di bon-ton inviarla già pagata, come se il destinatario non fosse in condizione di pagarsela da sé.

Alla fine, poiché “… l’adattarsi al tempo è necessaria virtù…” – sosteneva il Metastasio – anche i nostri organizzatissimi vicini d’Oltralpe emettono il loro primo francobollo, il rarissimo “doppio di Ginevra” il quale – poverino! – rimane invenduto per un tempo così lungo che il governo svizzero decide di… svenderlo, ad un prezzo molto inferiore al valore ‘facciale’!

8. Immagine sopra; il rarissimo francobollo “doppio di Ginevra”. Forse vale quasi quanto il “Penny Nero”.

 

Dopo pochissimi anni, soprattutto tra le gentili ed annoiate dame parigine, si diffonde una nuova moda: collezionare quei piccoli, variopinti quadratini di carta. E nata la filatelia!

In un libro dell’epoca che descrive le bizzarrie della buona società francese, l’esterrefatto autore ha modo di scrivere che “… c’è persino chi fa collezione di francobolli!”. Che tempi!

Tornando un attimo agli abusi postali che precedono il primo ‘vagito’ di Mr. Penny Nero, ricorderei che ne fu coinvolto anche l’illustre filosofo Jean Jaçques Rousseau il quale si lamenta che “… tutti gli sfaccendati di Francia e d’Europa gli scrivano, a rischio di mandarlo in rovina!”.

Quasi il contrario di ciò che oggi avviene con i ‘telefonini’ con contratto “autoricarica”, che prevederebbe la ‘ricarica’ proprio a spese di chi chiama!

Anche all’epoca, pur di non pagare, i solito ‘geniali’ sfaccendati e furbastri destinatari di importanti missive inventano un ingegnoso sistema – quasi degno di James Bond! – per leggere le lettere senza doverle né aprire né accettare.

Mettono a punto un ‘linguaggio cifrato’, convenuto con i possibili mittenti, in base al quale la disposizione dell’indirizzo, le sottolineature, apparentemente innocenti svolazzi nella scrittura e altri segni particolari corrispondono ad altrettante notizie essenziali.

Al destinatario basta quindi dare una rapida occhiata alla lettera, intuire al volo i contenuti e respingerla, risparmiando così la tassa postale!

Dopo aver aperte tante buste e aver letto messaggi piacevoli o meno, il lettore, forse, voleva prendersi un attimo di relax con un buon caffè…

Il nero Elisir di lunga vita: il caffè.

Ogni tanto, si sa, qualcuno sostiene di aver trovato la vera Panacea in grado di sconfiggere qualsiasi male. Il ‘Fungo cinese’, tanto di moda negli anni Cinquanta, il ‘Kefir’, l’Aloe (ma mi raccomando che sia quella ‘vera’!), la “Kombucha” e vari altri ritrovati di matrice quasi sempre orientale compaiono e scompaiono dalle tavole dei consumatori più propensi a credere che tale Panacea esista davvero.

Il caffè – almeno per un certo periodo di tempo – ha subito la stessa sorte…

In tempi ormai andati un medico olandese, il dottor Cornelius Dekker approfitta della diffusione che in tutto il mondo ha avuto la ‘magica’ bevanda ed esalta oltre ogni limite in conferenze, pubblici dibattiti, articoli e libri le medicamentose virtù di quei piccoli semi tostati, macinati e fatti bollire.

Firma tutti i suoi scritti con lo strano nome di “Bontekoe” che pare significhi “mucca screziata” dal nome di una locanda di proprietà di suo padre.

Un’innocente stranezza, ma nulla in confronto a ciò che farà più tardi.

La sua terapia inizia con ben dieci tazze di caffè al giorno per arrivare a farne sorbire anche cinquanta.

Non è dato sapere quali e quante siano state le catastrofiche conseguenze di tali ‘dosi da cavallo’ di caffeina sulla salute dei suoi creduli pazienti ma, evidentemente, il nostro Cornelius è fortunato poiché entra nelle grazie del Principe Elettore di Berlino, il quale lo vuole al proprio servizio come medico personale dopo essere stato guarito dalla podagra grazie alla curiosa terapia… ‘al vetro’, come spesso si sente dire nei nostri bar.

É il momento in cui la Compagnia Olandese delle Indie Orientali sta distribuendo in tutto il mondo, in particolare in Germania, il caffè.

Così il nostro “Bontekoe” si monta la testa e pubblica un ponderoso tomo dal rassicurante titolo “Come allungare la vita umana”.

Il nostro strano dottor Dekker, però, non ha il tempo di riscuotere neppure un centesimo dei suoi diritti d’autore perché con o senza caffè si ammala e, a soli 38 anni, passa a miglior vita…

Per tutti i tedeschi, convinti di diventare presto dei novelli Matusalemme solo bevendo qualche caffè in più, la morte del dottor Dekker è un colpo tremendo, ma subito si riprendono cambiando… bevanda e tornando alla cara, vecchia, ‘bionda’ birra!

Le piantagioni di caffè, dai possedimenti olandesi, cominciano poi a diffondersi, quasi furtivamente, qua e là per il mondo. A volte solo per caso, in seguito ad un innocente regalo…

Il Borgomastro di Amsterdam una mattina dell’anno 1714 decide di inviare due innocenti piantine di caffè a Sua maestà Luigi XIV, il “Re Sole”.

Fin qui nulla di strano: usuali gesti di cortesia tra due Paesi in pace tra loro. Ma non è così…
Il Re Sole è ormai vecchio e malandato, consegna le due piantine ai suoi giardinieri e poi… diparte da questa terra.

Gli succede il nipote, Luigi XV che, divenuto adulto scopre nelle reali serre quelle due strane piante ormai cresciute con lui.

Ci si diverte un po’ raccogliendo le bacche, tostandone i semi e preparando un pessimo caffè che offre agli amici della corte di Versailles.

Le piante rimangono lì, quasi dimenticate da tutti, ma non dal capitano Gabriel Mathieu de Clieu, il quale sogna da anni di rubare una ‘margotta’ della pianta e di portarla all’estero. Costi quel che costi!

9-10. Immagini sopra e sotto; Gabriel Mathieu de Clieu, “ladro” di piantine di caffè e al quale dobbiamo l’ottimo caffè della Martinica. (Fonte Wikipedia).

Ci riesce e dopo mille e una inenarrabili peripezie le porta in Martinica.

Solo dopo qualche decennio in quelle isole si possono contare circa venti milioni di esemplari della ‘magica’ pianta! E ancor oggi il caffè della Martinica è uno dei più richiesti al mondo…

(Roberto Volterri)

 

Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dall’autore.

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«C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi “Ai confini della realtà”.»

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