Nuove scoperte megalitiche ad Alatri! Si scrive Alatri, si legge cultura megalitica – di Dino Coppola.

SI SCRIVE ALATRI, SI LEGGE CULTURA MEGALITICA 

di Dino Coppola

in collaborazione con Giancarlo Pavat

1 Terrazzamenti Monte Capraro

Terrazzamenti Monte Capraro

 

Posta a circa 60 km a sud-est di Roma, la piccola città ciociara di Alatri è nota ai più per l’imponente “acropoli” (detta localmente “Civita”) circondata da possenti mura in opera poligonale. Molto è stato scritto sulle sue strutture megalitiche urbane e già gli autori classici e i viaggiatori del “Gran Tour” del XVIII e XIX secolo, ne hanno fatto menzione nelle loro opere.

Alatri rappresenta per l’Italia un rarissimo esempio di città con “acropoli” ancora ben conservata. Benché l’attenzione sia di solito tutta rivolta alle strutture poligonali urbane, non sono queste l’oggetto del presente articolo.

Concentreremo la nostra attenzione e quella del lettore, nei confronti strutture megalitiche che si trovano fuori dal centro abitato, sulle colline che circondano Alatri a mezzogiorno. Manufatti che, grazie alle ricerche che il dottor Giulio Rossi e il prof. Angelo Boezi, stanno lentamente ritornando, se non alla luce, visto che non sono di certo sotterrate, quantomeno all’attenzione di un pubblico più vasto di appassionati e ricercatori.

E proprio assieme a questi due amici, medico e già vicesindaco ed assessore alla cultura il primo, e professore di latino il secondo, che domenica 21 giugno, Solstizio d’estate, abbiamo portato a termine una ricognizione in mezzo agli uliveti sulle colline poste a sud ovest della città, per vedere i manufatti già individuati e per cercarne di altri.

Già da alcuni mesi Rossi e Boezi hanno notato una serie di elementi del territorio che a prima vista non sono sembrati l’opera dei pastori e neanche strutture naturali.

3 Pavat Coppola e Boezi impegnati nella ricognizione sulle colline di Alatri

Pavat Coppola e Boezi impegnati nella ricognizione sulle colline di Alatri

2 Coppola impegnato a misurare i terrazzamenti

Coppola impegnato a misurare i terrazzamenti

L’area visitata dai nostri amici presenta un paesaggio e da una flora indigena splendidi. Viene spontaneo chiedersi, anche alla luce di una urbanizzazione spesso selvaggia verificatasi altrove, come mai proprio questa determinata zona sia rimasta praticamente intatta e libera dalla moderna edilizia residenziale spesso di dubbia eleganza.

Forse soltanto per mera casualità o per motivi al momento sconosciuti, ma questo fattore potrebbe avere contribuito a far sì che si conservasse un discreto numero di strutture megalitiche di epoca non ancora definita. Oppure, forse, è proprio la presenza di tali strutture ad aver in qualche modo frenato la passione edilizia degli abitanti della zona. Perché proprio lì non si è costruito tanto?

5 Le colline alatrensi

Le colline alatrensi

4 Probabile tomba a sacco scoperta da Rossi e Boezi

Probabile tomba a sacco scoperta da Rossi e Boezi

All’apparenza non sembra esserci un collegamento tra queste strutture e le opere in pietra poligonale visibili in città. Si tratta di cumuli di pietre e di un terrazzamento che presentano alcune caratteristiche del tutto particolari.

Per cominciare, i cumuli non sono meri cumuli di pietrisco ammassati per liberare aree da dedicare all’agricoltura. Infatti sembra evidente, che una ricostruzione in termini di archeologia sperimentale, finalizzata ad immaginare delle popolazioni rurali nell’impegno di liberare un terreno da pietre, mostrerebbe probabilmente una catena di persone che si passano di mano in mano le pietre raccolte. Alla fine della catena si troverebbero probabilmente una o più persone che getterebbero le pietre in un unico punto del terreno, creando dapprima una area dai contorni approssimativamente circolari e poi un cumulo a forma di cono, forma che appare essere quella più naturale. Inoltre, appare anche logica l’ipotesi che le popolazioni rurali avrebbero approfittato di una simile operazione per costruire muri a secco di contenimento o di terrazzamento. Invece, i cumuli visibili in questa zona sono piuttosto veri e propri edifici di varie dimensioni. Le loro forme, dimensioni e caratteristiche costruttive ricordano molto da vicino i “cairn”, ossia le tombe neolitiche ed eneolitiche a forma di cumulo. La parola “cairn” deriva dal gaelico cairn, “monumento di pietra”. La forma dei cumuli rinvenuti vicino Alatri è generalmente oblunga, vagamente assomigliante ad una barca o, come in un caso particolare, all’organo genitale femminile.

6 le colline alatrensi- sullo sfondo monte Rotonara che super ai 2000 metri di quota

le colline alatrensi – sullo sfondo monte Rotonara che super ai 2000 metri di quota

7 Coppola davanti ad un cairn

Coppola davanti ad un cairn

 

A supporto dell’ipotesi che possa trattare di cairns e non di meri cumuli di pietre valgano le seguenti considerazioni:

  • I terreni che circondano i cumuli sono spesso (ancora) ricchissimi di pietre anche di dimensioni significative o addirittura di rocce. Essi non appaiono affatto sgomberati da pietrisco e sembra difficile pensare che avrebbero potuto essere utilizzati per scopi agricoli;
  • Perché impegnarsi a costruire strutture disposte lungo un asse nord-sud, di forma allungata, se il loro scopo doveva essere solo quello di raccogliere pietre? Sulla base delle citate considerazioni di archeologia sperimentale ci si potrebbe chiedere se non sarebbe bastato fare semplicemente dei cumuli a forma di cono.
  • Alcuni di questi cumuli sono “aperti”. Infatti, qualcuno è visitabile dall’alto, nel senso che è stata asportata la calotta, rendendo visibile una camera interna. Altri hanno un vero e proprio accesso frontale con una camera interna, avente una forma che ricorda vagamente una “D”. La vulgata vuole che queste camere fungessero da ricovero per animali. Tuttavia, entrando in una di queste camere (pertinente ad uno dei cumuli di maggiori dimensioni!), è stato riscontrato che lo spazio disponibile basterebbe forse ad un massimo di 4/5 ovini oppure a due asini oppure ad una mucca, tutti posizionati in piedi. Infatti, le dimensioni interne sono all’incirca di 140cm di altezza, 250cm di lunghezza e 120cm di larghezza. Sarebbe necessario verificare, se sussista la convenienza di costruire strutture del genere, con pareti spesse ca. 80 cm (in merito a questa misura si veda più avanti nell’articolo), che possano in fin dei conti ospitare un numero molto esiguo di animali.
  • I cumuli accessibili frontalmente presentano tre texture differenti tra loro: vi è una muratura verticale caratterizzata da pietre poligonali di dimensioni importanti, accuratamente incastonate. Tale muratura è in molti punti “chiusa” con cura utilizzando pietre di dimensioni minori. Il tetto del cumulo è invece costituito da pietre poligonali di dimensioni ridotte, letteralmente “buttate” sopra la struttura, forse con l’intento di dissimulare la regolarità della struttura sottostante che costituisce la camera. Una terza texture si riscontra infine in un punto della parete verticale, di solito rivolto a sud, dove si presume possa essere celato l’ingresso alla camera. Si nota che le pietre sono di dimensioni inferiori rispetto al resto della muratura verticale del cumulo. L’area coperta da quest’ultima texture ha forme differenti: si va dalla forma vagamente rettangolare alla forma a semicerchio con l’arco rivolto verso il basso.

 

I sondaggi per comprendere la reale funzione di queste opere dovranno essere portati avanti con celerità, poiché il rischio che i cumuli vengano utilizzati per scopi costruttivi, fungendo praticamente da “cava” è concreto e supportato dal fatto che le poche case moderne costruite nei paraggi presentano spesso muri ornamentali in pietra naturale e non è difficile pensare che le pietre dei cumuli siano una preda allettante per chi voglia dotare la propria dimora di mura a secco o comunque di pietra naturale.

9 Coppola Boezi e Rossi effettuano misurazioni della tomba a camera

Coppola Boezi e Rossi effettuano misurazioni della tomba a camera

8 Probabile tomba a camera a Pelonga

Probabile tomba a camera a Pelonga

Veniamo ora invece al terrazzamento in opera incerta rinvenuto in contrada Piedimonte. Salta immediatamente all’occhio che esso ha una chiara delimitazione, costituita da pietre angolari. I sei gradoni hanno un andamento pressappoco lineare, parallelo ed equidistante (in media 8 metri). Il loro spessore è di circa 80 cm e la loro altezza si attesta attorno ai 100-120cm, a seconda del terreno sottostante che spesso ha ceduto. In tali punti, i terrazzamenti presentano un avvallamento. Per il resto, essi sono sostanzialmente orizzontali.

Specie per quanto concerne lo spessore delle mura è necessario fare una puntualizzazione: secondo l’ingegnere scozzese Alexander Thom (1894–1985) la misura di 83 cm corrisponde a quella che è stata definita l’unità di misura di base per molti manufatti megalitici che lo stesso ha analizzato nel corso della propria attività di ricerca. Tale misura è anche detta “yarda megalitica”.

Tuttavia, il recepimento del concetto di yarda megalitica non è unanime. Infatti, molti altri studiosi hanno criticato tale definizione, asserendo che la misura di ca. 83 cm corrisponde, in fin dei conti, approssimativamente ad un passo umano e che quindi non vi sarebbe alcuna reale “omologazione” più o meno tacita nel mondo megalitico in merito ad una eventuale unità di misura di base standardizzata. Indipendentemente dalle valutazioni che ciascuno può fare, resta senz’altro la singolare “coincidenza” tra il valore delle mura analizzate da Thom e quelle riscontrate nei pressi di Alatri.

10 Dino Coppola misura l'ingresso della tomba a camera di Pelonga

Dino Coppola misura l’ingresso della tomba a camera di Pelonga

11 Pavat e Coppola davanti alla Tomba a camera di Pelonga

Pavat e Coppola davanti alla Tomba a camera di Pelonga

I terrazzamenti si estendono lungo un fronte ampio qualche decina di metri. La funzione resta incerta. Benché a prima vista possano dare l’impressione di essere degli ordinari terrazzamenti collinari, come se ne vedono a migliaia in tutta la penisola, sorprende, ad una più attenta analisi, la presenza di una serie di fattori che ci allontanano dall’ipotesi che avessero una mera funzione di “sostegno della collina”:

 

  • Come già accennato prima, delle pietre angolari delimitano chiaramente ciascun terrazzamento alle due estremità. Le pietre non variano molto in dimensione. Una di queste, particolarmente ben accessibile e praticamente a forma di parallelepipedo, ha consentito una misurazione in situ: essa misura ca. 100cm di lunghezza, ca. 55cm di larghezza e ca. 40cm di altezza. Il peso di una tale pietra va dai ca. 500 kg se costituita di calcare leggero, ai ca. 550 kg se di calcare compatto, fino a giungere a poco meno di 600 kg se di calcare duro. Maneggiare tali pesi sarebbe forse stato poco pratico per chi volesse semplicemente creare dei terrazzamenti.

 

  • Altro punto che non parla a favore di un utilizzo come terrazzamenti, intesi nel senso ordinario del termine, è il fatto che essi non seguono l’andamento di tutta la collina, come invece fanno i terrazzamenti in agricoltura, che, a lavoro completato, danno l’idea di linee altimetriche. No, essi terminano dopo qualche decina di metri. Per quale motivo?

 

  • Essi sono rivolti a sud-est, guardando dritto verso Mezzogiorno, in direzione della valle del Sacco.

 

  • Gli altri terrazzamenti presenti in zona non sono né imponenti come questi, né sono stati costruiti con la medesima cura. Perché creare delle “brutte” e delle “belle” copie nel medesimo contesto?

 

Abbiamo cercato di riportare con dati oggettivi, e senza saltare a conclusioni fuorvianti, quanto abbiamo avuto il piacere di vedere di persona qualche giorno fa sulle colline intorno ad Alatri.

12 Coppola e Boezi davanti ad uno dei più grandi Cairn di Pelonga

Coppola e Boezi davanti ad uno dei più grandi Cairn di Pelonga

13 Enorme cairn a Pelonga

Enorme cairn a Pelonga

Oltre alla necessità di dover segnalare e conservare questi vulnerabili resti del passato, rappresenta priorità assoluta la catalogazione degli stessi. Inoltre, una mappatura dell’intera area, che si estende su ca. 4-5 km2, consentirebbe il confronto con eventuali siti simili altrove già studiati.

 

Crediti:

foto di Giancarlo Pavat.

 

 

APPROFONDIMENTO: ALCUNI SITI MEGALITICI CHE, SECONDO DIVERSI STUDIOSI SAREBEBRO STTAI REALIZZATI BASANDOSI SULLA “YARDA MEGALITICA”.

di Giancarlo Pavat

Scotland - Callanish - Lewis

Sulla costa occidentale dell’isola di Lewis, nell’arcipelago scozzese delle Ebridi esterne, sorge il piccolo abitato di Callanish.

Presso questa località sorge uno dei più straordinari monumenti megalitici delle Isole Britanniche. Si tratta di un cerchio di 13 pietre (Cromlech) con al centro un’altra pietrafitta (menhir) più grande che le sovrasta. Secondo gli archeologi scozzesi risalirebbe ad un arco temporale che va dal 4500 al 1500 a.C..

 

Ma non è l’unico. Nei dintorni di questo cerchio, che gli archeologi chiamano, non a caso “Callanish 1” (foto in alto) sorgono altri cromlech minori.

 5 Trojaborg Visby 21 Giancarlo osserva il labirinto

(Foto sopra: il grande Trojaborg di Visby)

Ebbene, fu proprio studiando questo monumento megalitico, che il prof. Alexander Thom, docente presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Oxford dal 1945 al 1961, si convinse che gli ignoti artefici del “Cromlech di Callanish” e di altri siti megalitici (Stonehenge compresa) avessero utilizzato una unità di misura standard chiamata “Yarda megalitica”.

Ma la “Yarda megalitica” sarebbe alla base anche dei più antichi labirinti di pietre “baltici”.

Ad esempio il grande labirinto, detto “Trojaborg”, di Visby, splendida capitale di Gotland, l’isola svedese in mezzo al Mar Baltico.

Il Trojaborg è uno dei labirinti “baltici” più grandi di tutta la Svezia, 19 x 18 metri circa, con 11 circonferenze formate da pietre irregolari grandi come una testa umana, con l’ingresso posizionato a Ovest – Nordovest, e risale all’Età del Bronzo (VI-V secolo a.C.). Secondo il ricercatore svedese Curt Roslund per la costruzione del Trojaborg venne utilizzata come unità di misura la cosiddetta “Yarda megalitica”.

A coniare questo termine fu il dottor Alexander Thom, professore della facoltà di ingegneria dell’Università di Oxford, dal 1945 al 1961. L’insigne studioso fu colpito per la prima volta dal mistero dei megaliti nel 1930, durante una gita in barca in Scozia, presso il sito del cerchio di pietre di Callanish.

Thom si rese conto che il sito era orientato astronomicamente. Da quel momento dedicò tutto il resto della sua vita alle ricerche e studi che oggi vengono definiti “archeoastronomici”. Fu un vero pioniere, a dispetto degli attacchi e ostracismi di cui fu oggetto da parte dell’archeologia ufficiale. Ma che cosa sarebbe esattamente la “Yarda megalitica”?

Secondo Thom, per realizzare non solo i grandi cerchi di pietre, ma tutti i siti megalitici da lui studiati, venne usata “una comune unità di misura, che egli battezzò yarda megalitica, di 83 cm. Con questo metodo gli antichi architetti avevano costruito figure che, più che cerchi, erano eleganti ellissi, forme ovali e cerchi appiattiti ai poli, tutti fondati su una legge geometrica che implicava l’uso di certi triangoli rettangoli la cui scoperta era stata attribuita alla scuola di Pitagora sorta più di duemila anni dopo.

Anche qui come nella scuola pitagorica, era evidente che alcuni numeri usati nella misurazione dei triangoli (5, 12, 13 oppure 8, 15, 17) avevano un significato, simbolico o magico. E questo implicava altresì la conoscenza del valore Pi greco almeno due millenni prima che ne parlasse il saggio indiano Aryabhata nel VI secolo d.C..”. (Francis Hitching, “Atlante dei misteri” – “Ingegneria megalitica”, pag. 62 dell’edizione italiana De Agostini 1982).

Nel caso di monumenti più grandi, come Avebury, Carnac e Stonehenge, secondo il professor Thom sarebbe stata impiegata la “pertica megalitica”, che misurava esattamente due volte e mezzo la “yarda megalitica”.

“In tutti e tre i casi l’armonia geometrica è sbalorditiva: a metà della straordinaria fila di pietre a Carnac c’è una curva a gomito dove le pietre cambiano direzione; Alexander Thom considerò questo passaggio come una perfetta opera geometrica, dato che era stato realizzato usando due triangoli pitagorici quasi perfetti, e lo definì come “qualcosa che qualunque ingegnere in qualsiasi tempo della storia del mondo sarebbe stato fiero di realizzare. I costruttori di megaliti furono dunque grandi matematici che esplicarono le loro attività prima di chiunque altro al mondo. Già solo questa idea era abbastanza sconvolgente per gli archeologi ortodossi; ma c’era assai di più. Oltre che matematici erano anche, a loro modo, astronomi di pari abilità”. (Francis Hitching, “Atlante dei misteri” – “Ingegneria megalitica“, pag. 62 dell’edizione italiana De Agostini 1982). 

Infatti, quando nel 1967 il professor Thom pubblicò il suo libro, frutto dello studio ed osservazione di circa 600 siti megalitici, in cui stabiliva che tutti i cerchi e strutture megalitiche erano state costruite basandosi su principi matematici, nell’ambiente accademico si scatenò l’inferno. Ancora oggi, l’”Archeologia ufficiale” non vuole nemmeno sentir parlare di “Yarda” o “pertiche megalitiche”. 

Aldilà delle feroci polemiche sulla “Yarda megalitica” e se sia stata davvero usata per realizzare il Trojaborg di Visby; la reale funzione di questo labirinto rimane del tutto sconosciuta. Le ipotesi attualmente maggiormente in voga lo vedono come sede di culti apotropaici o legati a riti della fertilità”.

(da “Fino all’ultimo labirinto” di Pavat, Marovelli, Consolandi, Pascucci, Ponzo, 2013)

 

Desidero concludere questo breve articolo ricordando il grande archeologo e astronomo svedese Curt Roslund, citato nel libro “Fino all’ultimo Labirinto” a proposito del Trojaborg di Visby.

Roslund, nato il 2 marzo del 1930, ci ha lasciati dopo una lunga malattia, il 5 gennaio del 2013

 

Roslund ha insegnato presso l’Università di Lund, di Göteborg e la Chalmers University of Technology A lui si deve la riforma dell’insegnamento dell’Astronomia a Göteborg. Ma non solo. Creò dei corsi che anche coloro che fossero privi di una formazione scientifica potessero comprendere.

Roslund si ritirò dall’insegnamento nel 1995. I suoi corsi di orientamento all’Astronomia sono proseguiti, ampliati, con Maria Sundin.

 

Roslund ha scritto numerosi articoli scientifici di divulgazione sulla storia dell’astronomia, sull’Archeoastronomia (indimenticabili i suoi lavori sul sito megalitico di Ales Stenar nella Svezia meridionale). Celebri i suoi articoli molto critici in merito a tematiche come l’astrologia e l’Ufologia.

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3 commenti:

  1. La colpa è delle istituzioni che da anni stanno boicottando Alatri. Chissà cosa cela Alatri nelle sue profondità. Forse proprio per questo che gli archeologi non vogliono che si scopra la Verità. la storia più antica di Alatri spaventa. Potrebbe sconvolgere la nostra Società. Voglio sperare che le scoperte che in queste settimane stanno portando avanti questi ricercatori possa gettare luce su questo lontanissimo Passato. Spero che non vengano fermati. Tutto potrebbe succedere.
    La storia insegna che molti ricercatori che stavano per scoprire la Verità sono stati fermati. In tutti i modi.
    Sosteniamo questi ricercatori. Non abbassiamo la guardia!

    La Verità ci renderà liberi!

    Giacomo

  2. Buongiorno,
    non scherziamo. Nuove scoperte vanno bene ma non esageriamo come fa Giacomo.
    La storia di Alatri è certamente molto più antica di quello che vogliono farci credere gli archeologi. A proposito: noto l’ “assordante silenzio” da parte della Soprintendenza e del Museo Civico alatrense……forse perchè gli scopritori non sono “addetti ai lavori”?
    Comunque ben vengano le ricerche di Rossi, Boezi & c………. siamo con voi.

    Laura.

  3. Alatri è stata certamente la culla di una grande e antichissima civiltà. Molto più antica e evoluta di quanto noi possiamo immaginare. Forse da Alatri si sono propagate le altre successive civiltà che noi conosciamo. Siamo davanti a grandi scoperte. Che modificheranno per sempre il nostro modo di comprendere il Passato.
    Non a caso, nonostante questi manufatti siamo sempre stati sotto gli occhi di tutti, solo ora, stanno tornando alla Luce. E’ un Segno dei Tempi.
    Prepariamoci.
    Giacomo (Frosinone)

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