Pietre dal Cielo. Pietre degli dei. Quando i meteoriti hanno influito sulla storia dell’Umanità. – 1^ parte.

new_Big Meteor Crater in Arizona

new_new_Statua del Budda

Negli ultimi mesi i media di tutto il Mondo hanno dato ampio risalto a notizie relative ai meteoriti.
Ad esempio in merito al famigerato e falso “Budda di ferro meteorico”, oppure sulla presenza di mollecole d’acqua in alcuni meteoriti scoperti in diverse zone del Pianeta o, addirittura, sul ritrovamento (poi rivelatosi un ennesimo falso) di alghe fossili all’interno di un altra pietra proveniente dallo Spazio e precipitata in dicembre nello Sri Lanka.
Prendendo spunto, quindi, da questa rinnovata attenzione per i meteoriti e per tutto quello che ci potrebbe cadere sulla testa proveniente dal Cosmo, Giancarlo Pavat (che nei suoi libri, in particolare “Nel segno di Valcento”, Edizioni Belvedere 2010, ha affrontato spesso il tema delle pietre ritenute sacre da antiche civiltà e culture) ha scritto questo articolo in esclusiva per “Ilpuntosulmistero” dedicato appunto alle “pietre cadute dal cielo”, che i nostri lontani antenati ritenenro degne di riti cultuali in quanto, proveniendo dal Cielo, manifestazione palese dell’esistenza e del volere degli dei.

PIETRE DAL CIELO, PIETRE DEGLI DEI.
QUANDO I METEORITI HANNO INFLUITO SULLA STORIA DELL’UMANITA’.
1^ parte.

di Giancarlo Pavat

Se la datazione, la provenienza e la storia che avvolgeva la statuetta del “Budda di ferro meteorico” si sono dimostrati un clamoroso falso, è stata invece confermata dai geologi e dai chimici la composizione dell’oggetto. Si tratta per davvero di un meterite di ferro (si veda in questo sito, l’articolo “E’ un falso del XX secolo la statuetta del Budda con la swastica ricavata in un blocco di meteorite!”).

Questa conferma porta a ricordare come i meteoriti, definiti volgarmente “sassi piovuti dal cielo”,
sono stati spesso protagonisti nella storia dell’Umanità.

I meteoriti, quando precipitano sulla Terra, entrando nell’atmosfera a grande velocità, con l’atrito, diventano fiammeggianti, tanto che assumono l’aspetto e vengono definiti “stelle cadenti”.
Ma, oltre a sprigionare un grande calore e venire avvolto da gas incandescenti, il meteorite provoca onde d’urto, che vengono percepite come uno spaventoso boato.

Comprensibile quindi che meteoriti siano stati associati a manifestazioni divine. Per i Greci ed i Romani era la voce di Zeus o Giove Tonante.

Ma in realtà i meteoriti non sono semplici “sassi piovuti dal cielo”. Grosso modo si dividono in due tipi;
i meteoriti di ferro e quelli di pietra.

A seconda della tipologia, i meteoriti rinvenuti dall’Uomo vennero o lavorati e forgiati a guisa di armi o più semplicemente, essendo, come si è già detto, considerati manifestazioni tangibili del volere degli dei, divennero oggetti di culto religioso.

I meteoriti di ferro, quando entrano nella nostra atmosfera mantengono la propria direzione di caduta e, in seguito al riscaldamento, si fondono assottigliandosi nella parte anteriore, assumendo praticamente la forma ogivale.
E quando vengono ritrovati e recuperati si presentano con la caratteristica forma conoidale.

Probabilmente molte di quelle armi, presenti in tutte le culture e mitologie, considerate “magiche” o “divine” in quanto cadute dal Cielo (molte di queste si riallacciano a miti di fondazione di stirpi o città o di investitura di condottieri e capi popolo) sono certamente riconducibili a meteoriti di ferro.
Senza voler assolutamente essere esaustivi, qui di seguito citiamo alcune di queste armi. Sia famosissime, che meno.

Cominciamo con lo “Scudo di Achille”, descritto nell’Iliade di Omero (Libro XVIII, vv. 671-843) e forgiato da Efesto (il Vulcano dei Latini, dio della metallurgia).

new_Achille e Patroclo

(Achille e Patroclo)

Diversi autori latini (ad esempio Ovidio nei suoi “Fasti”, Liber III) ci hanno tramandato la leggenda dell’Ancile. Lo scudo sacro che Giove inviò al Re di Roma, Numa Pompilio.

Il leggendario sovrano (uno dei 7 re) appreso che il destino dell’Urbe sarebbe stato indissolubilmente legato allo “scudo divino”, per timore che venisse rubato, ne fece costruire undici copie dall’artigiano Mamurio Veturio (che in latino significa “vecchio Marte”). I dodici scudi (dodici come gli avvoltoi, o aquile, che Romolo aveva visto nel cielo durante la gara con il fratello Remo, per decidere chi avrebbe regnato sulla nuova città che erano in procinto di fondare) per tutta la storia dell’Urbe vennero portati in processione dai sacerdoti Salii durante l’annuale ricorrenza del 2 Marzo.

Nella mitologia Classica, troviamo un’altro “scudo divino”. L’ “egida” della dea Pallade Atena, ovvero uno scudo magico (secondo alcune versioni del mito darebbe una specie di corazza) con al centro la testa della Gorgone, uccisa da Perseo.

new_Una delle versioni della Gorgone o Medusa del Caravaggio

Quanto alle armi di offesa. E’ ormai entrata nell’immaginario collettivo la spada che il giovane Artù estrasse da una roccia diventando Re d’Inghilterra, gesto ispirato a quello contrario, ma ben più reale, compiuto in Italia, nel XII secolo, dal giovane cavaliere Galgano Guidotti sulla collinetta di Montesiepi (SI).

new_new_Copia di La Spada nella Roccia - foto G Pavat  2005

(La Spada nella Roccia dell’Eremo di Montesiepi SI – foto G Pavat)

new_new_G Pavat dentro l'abbazia di S Galgano - 2005

(Giancarlo Pavat all’interno della diruta Abbazia di San Galgano)

Galgano, poi santificato, infilò la propria spada in uno spuntone roccioso. Dove ancora oggi è visibile, all’interno della struttura circolare con cupola interna a cerchi concentrici, dell’Eremo di Montesiepi, vicino ai ruderi dell’abbazia cistercense di San Galgano.
La spada è dritta come la Croce di Cristo, salda come la Fede di Galgano stesso. Unico esempio al mondo di vera “Spada nella Roccia“.
Re Artù nel mosaico di Fra Pantaleone a Otranto

(nella foto: Rex Artorius nel mosaico di fra’ Pantaleone nella cattedrale di Otranto).

Per non parlare dell’altra celeberrima spada del “Ciclo arturiano” (o “Materia di Bretagna”), ovvero l’Excalibur (anch’essa arma fatata impugnata da Re Artù, da non confondere però con quella precedentemente estratta dalla roccia).

Ma nel ciclo epico del Sire di Camelot si incontra pure un’altra spada, sempre infissa in un macigno a sua volta trasportato dalla corrente di un fiume che scorre presso il castello.
La Spada reca un messaggio sibillino. Soltanto “il migliore cavaliere del mondo” potrà estrarla ed utilizzarla. E questo eroe è il puro Galahad. Colui che successivamente ritroverà il Calice dell’Ultima Cena, la Coppa di Giuseppe d’Arimatea in cui venne raccolto il sangue di Cristo sulla Croce; il Santo Graal.

E proprio durante la cosiddetta “Processione del Graal” compare una altra arma molto particolare. La lancia con cui il centurione romano Longino (citato nei Vangeli apocrifi ma non i quelli canonici) avrebbe colpito il costato di Cristo Crocifisso. e che, secondo alcuni, sarebbe la “Heilige Lance” conservata alla Hofburg di Vienna.

new_Longino con cioce ai piedi - Affresco dall'Eremo di S Michele a Caprile - Rocacsecca FR - dis G Pavat

(Longino ai piedi della Croce. Frammento di affresco proveniente dall’Eremo di S. Michele a Caprile – Roccasecca – FR – disegno di G Pavat)

E sempre un’arma straordinaria è retta da un altro prode Cavaliere della Tavola Rotonda, Gawayn, il cui nome latinizzato, “Galvanus”, è incredibilmente simile a quello di Galgano.
Non è una spada ma uno scudo (forse riecheggiante i miti classici), reso potentissimo dal fatto di essere decorato con un simbolo esoterico ed allegorico potentissimo risalente al biblico Re Salomone; il “Pentalfa” o, appunto, “Scudo di Salomone“.

new_Galgano conficca la spada -illustrazione da tavoletta di Biccherna  - Archivio di Statoa di Siena

(San Galgano conficca la propria spada nella roccia – Tavoletta di Biccherna – Archivio di Stato di Siena)

Anche il più importante e famoso dei “Paladini” dell’Imperatore Carlo Magno, Orlando, impugnava una spada “magica”, la “Durlindana“. Che secondo il ricercatore e scrittore professor Domenico Rotundo si potrebbe ravvisare nella “stranissima spada-croce del Santuario di Polsi in Calabria“. (“Le segrete origini dell’ordine del Tempio. Templari e Cavalieri di Rodi in Calabria e nel Lazio“, vol. 1 – Editrice Frusinate
2010”, vol 1).

new_new_La Croce-Spada di Polsi d'Aspromonte dis G Pavat

(La Croce-spada del Santuario di Polsi. Disegno di G Pavat da immagine di Domenico Rotundo)

Beowulf, l’eroe dell’omonimo poema anglosassone (forse del VII secolo d.C.), per affrontare mostri spaventosi, soprattutto nell’ultima ed esiziale battaglia contro un immenso drago, si impadronisce di una “lama dotata di vittoria, una spada antica di giganti, un segno di prestigio per qualunque guerriero, la perla delle armi” (“Beowulf” – edizione italiana a cura di Ludovica Koch – Einaudi, 1992).
Quindi un’arma risalente ad una antichissima civiltà perduta di esseri giganteschi.

Una spada dimenticata che aveva il potere di far cadere contemporaneamente “una, venti, trenta, centomila teste” viene scoperta dall’Eroe boemo Bruncvìk.
Secondo la leggenda sarebbe ancora nascosta dentro un pilone in pietra del Ponte dell’Imperatore Carlo IV a Praga. (“Racconti e leggende della Praga d’Oro” di Alois Jiràsek – edizione italiana a cura di Cristina Bongiorno- Mondadori, 1989).

Secondo un’altra leggenda, sarebbe stata un misteriosa “Spada magica” caduta dal cielo durante una tempesta, a spingere il capo Unno Attila a lanciarsi alla conquista dell’Impero Romano.

Ovviamente non vogliamo assolutamente affermare che tutte queste armi, in gran parte di fantasia, siano state ricavate da meteoriti ferrosi.
Ma una quasi certamente sì. E la certezza è molto vicina al 100%.
Si tratta della cosiddetta “Alabarda di San Sergio“, simbolo araldico della città di Trieste.

Alabarda di Trieste

Un’Alabarda bianca (o d’argento) in campo rosso, è, infatti, lo stemma della Città capoluogo della Regione Autonoma del Friuli – Venezia Giulia.
Ed i Triestini sono molto fieri e gelosi del proprio simbolo. Guai a scambiarlo per un “giglio”.
Come ho scritto nel mio libro del 2010, “Nel segno di Valcento” (Edizioni Belvedere di Latina), sebbene “affondi le sue radici nell’anima stessa di Trieste e della sua storia, non è una mera immagine civica. Bene o male ricorda una croce ed è comunque un simbolo cristiano. Legato all’evangelizzazione della città all’epoca dei Martiri e delle persecuzioni. La tradizione locale e l’agiografia narrano di un Tribuno Romano della XV Legione “Apollinare” di stanza a Tergeste (l’antico nome di Trieste), sul finire del III secolo d.C., di nome Sergio.
Costui si convertì al Cristianesimo, e quando il suo reparto venne trasferito in Oriente, tirando già aria di persecuzioni, nel congedarsi dai proprio correligionari triestini, disse loro che, in caso di morte, avrebbe mandato un “Signum” celeste. Effettivamente, nel 301 d.C., probabilmente in Mesopotamia (secondo altri in Siria), allora provincia dell’Impero Romano, essendosi rifiutato di sacrificare agli dei, Sergio venne messo a morte tramite decapitazione, ma non prima di essere stato sadicamente torturato. Venne costretto a trainare un carro con dei chiodi ai piedi. Il “Signum” promesso ai Triestini, cadde dal cielo in mezzo al Foro sull’attuale Colle di San Giusto, nel giorno del suo martirio. Ed era una Alabarda.”.

Come simbolo triestino l’Alabarda è attestata con sicurezza sin dal XIII secolo, visto che compare su alcune monete coniate dal Vescovo Volrico. Il Sacro Romano Imperatore Federico III d’Asburgo, in premio per la fedeltà mostrata dai Triestini durante la guerra contro Venezia, con un “Diploma Imperiale”, datato 22 febbraio 1464, confermò la mistica Alabarda, quale Stemma araldico della città, aggiungendovi l’Aquila Bicipite ed i colori rosso, bianco e rosso, di Leopoldo V Babenberg, Duca d’Austria.

Sacro Romano Imperatore Federico III d'Asburgo 1415-1493

(Il Sacro Romano Imperatore Federico III d’Asburgo 1415-1493)

Dopo la Prima Guerra Mondiale, ed il ritorno dell’Italia a Trieste, lo Stemma tornò ad essere quello originario. “Di rosso all’alabarda di San Sergio d’argento”, recita il Regio Decreto del 3 luglio 1930, poi riportato nel Libro araldico degli Enti morali. Rimasto inalterato sino ad oggi.
Ma l'”Alabarda di San Sergio” è pure un oggetto tangibile conservato nelal città adriatica nel “Tesoro” della Cattedrale trecentesca di San Giusto. Si tratta di una punta di alabarda, detta appunto “di San Sergio”, nella quale si vuole riconoscere proprio quella caduta dal cielo.

Stemma di Trieste  asburgica  - Città Immediata dell'Impero

(Stemma araldico di Trieste Asburgica)

In realtà, da un’analisi della forma (slanciata all’asta e fiancheggiata da due bracci o raffi, uno più corto dell’altro) si nota che non si tratta di un arma romana ma “corsesca” di epoca medioevale. Fabbricata in Persia o, comunque, in Medio Oriente. Quasi certamente proveniente dalla Terrasanta come bottino di guerra della “Prima Crociata” a cui parteciparono anche molti Triestini.

Aldilà delle leggende, l’Alabarda della Cattedrale ha una caratteristica che l’avvicina a determinati oggetti, sparsi in tutti i continenti, che per alcune loro peculiarità sono avvolti nel mistero e hanno spesso suscitato le ipotesi più affascinanti, straordinarie o stravaganti” ho scritto in “Nel segno di Valcento” “Come quelle di essere il retaggio di una civiltà superiore scomparsa migliaia di anni prima della storia da noi conosciuta oppure di provenire da altri mondi. Infatti, l’Alabarda Triestina è fatta in una lega particolare che non si ossida. E’ immune alla ruggine ed è impossibile rivestirla d’oro. Gli appassionati e gli studiosi di antichi enigmi, andranno certamente con il pensiero alla famosissima misteriosa “Colonna che non s’arrugginisce”. Realizzata in ferro massiccio, alta 7 metri e del peso di altrettante tonnellate, vecchia, probabilmente di 1.600 anni, si innalza a New Dehli in India. In realtà, l’Alabarda triestina è stata forgiata probabilmente con il cosiddetto “acciaio indiano” (ferro meteorico e platino), celebre nel Medio Evo per la sua capacità di non perdere la lucentezza e per la specifica robustezza“.

Fine 1^ parte.
continua…
by Giancarlo Pavat.
giancarlo.pavat@gmail.com

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3 commenti:

  1. Lombrico Feroce

    La frase “il ritorno di Trieste all’Italia” mi sembra un po’ azzardata. Quando le sarebbe stata strappata? Non certamente prima del 1918. L’Austria entrò a Trieste nel 1382 per volere della città e vi rimase fino al 1918. Quindi per il regno sabaudo è stata terra di conquista … una sventurata terra di conquista come la storia dimostra
    saluti

  2. Giancarlo Pavat

    Grazie per i complimenti ma l’esclusione della “Spada di San Vittore” non è stta una dimenticanza. Nell’articolo si parla di armi (spade, scudi, lance, alabarde) che in qualche modo sono entrate nel Mito e nella leggenda, ritenute di origine soprannaturale e, forse, forgiate da meteoriti caduti sulla Terra. La “Spada di San Vittore” nonostante la sua indiscussa importanza ed eccezionalità non è annoverabile tra le armi sopracitate. E’ un arma assolutamente “terrestre” e ben “concreta” di cui conosciamo persino l’artefice ( e qui sta uno dei fattori della sua eccezionalità). Ecco perchè non è stata citata (come tante altre) nell’articolo.
    A proposito, a breve verrà pubblicata la seconda parte, in cui si parlerà dei meteoriti diventati idoli ed oggetto di culto e venerazione. Da non perdere.
    Giancarlo Pavat.

  3. Bell’articolo ma tra tutte quelle armi vi siete dimenticati della Spada di Alessandro Magno di San Vittore del Lazio!!!!

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