Storia dimenticata d’Abruzzo. Il Blockhaus o Fortino dei Briganti di Opi; di Guglielmo Viti.

 

Storia dimenticata d’Abruzzo.

Il Blockhaus o Fortino dei Briganti di Opi.

di Guglielmo Viti 

 
Immagine di apertura; Opi (AQ) vista da un aereo (Fonte Wikipedia).

 

Nella Val Fondillo ad Opi, in provincia de L’Aquila, lungo un crinale del colle dell’Osso si trovano i ruderi del Blockhaus, in tedesco “case di pietra”, sono alcuni resti di muratura in pietra assolutamente fatiscenti ma che ci raccontano antiche ed emozionanti storie di un passato non molto lontano ma che appartiene oramai al mito. 

 

2. Immagine sopra; i ruderi del Blockhaus di Val Fondillo ad Opi.

“…“colpisci, vendicami, altri non ebbero pietà di me, di tuo padre, di tua sorella!””…Ed ora dopo tanti anni vi ripeto che quel figlio che ha a sorte di nascere da una virtuosa madre, dessa avendo ricevuto il minimo oltraggio da un uomo prepotente, se non prende vendetta, egli è un codardo, un uomo dappoco. Dunque io che nascendo, ho creduto che sulla terra ero qualche cosa, per un oltraggio fatto alla mia povera madre, mi sono accinto a far scorrere torrenti di sangue, e vi sono riuscito a meraviglia!..”

Questo è un brano tratto dal libro “Come divenni brigante” di Carmine Crocco e lo riporto come inizio anche della nostra storia.

3. Immagine sopra; Il brigante Carmine Crocco.

Il brigante nasceva così, per vendetta, ma sempre, soprattutto per miseria. Una situazione economica come già rilevato nel 1700;

“ …un quadro socio economico sostanzialmente omogeneo, di dignitosa povertà, che se non consentirà da un lato l’emergere di potentati locali – come i Sipari a Pescasseroli, i Graziani a Villetta, gli Antonucci a Civitella, potentati sovente emersi per appropriazioni indebite e per arbitrio come dimostrato nel caso di Sipari, dall’altro, garantirà uno sviluppo armonico e “democratico”, senza sostanziali squilibri ed ostentazioni ed esercizio del potere, salvo naturalmente quello, malefico, ecclesiastico, con le sue numerose “Cappelle, Chiese, e Luoghi Pii” e relativi ingenti patrimoni connessi, che tuttavia, assolveranno, almeno alla necessaria funzione di soccorso e carità, in luogo di uno Stato ancora assente e comunque mai presente se non per la riscossione di tasse”.

( da “Opi al tempo dei Don“, di Nicola Vincenzo Cimini).

4. Immagine sopra; la localizzazione del “Baraccone dei briganti” in Val Fondillo in Abruzzo.

 

Il fortino dei briganti o “baraccone i je brejande“ come viene chiamato ad Opi nasce probabilmente intorno al 1867, anche se non abbiamo una data certa, quando vennero distaccati a Pescasseroli, Opi, Barrea e dintorni vari reparti di Fanteria e Bersaglieri, oltre alla Guardia Nazionale.

Stiamo dopo il 17 marzo del 1861 quando a Torino si riunisce il Primo Parlamento Italiano e viene proclamato Vittorio Emanuele II Re d’Italia, ma, in realtà di unità non si può davvero parlare.

5. Immagine sopra; la casa del brigante Carmine Crocco.

Esistono differenze troppo radicate fra regioni e regioni, fra paesi e paesi , fra zone e zone, troppo distanti sono le condizioni economiche e troppo era radicata e forte il legame del sud con i Borboni per accettare di punto in bianco di sottostare al Re Sabaudo.

 

6. Immagine sopra; Stemma Sabaudo sull’esame di una spada di un ufficiale (XIX secolo).

Un episodio che Andrea Di Marino racconta nel suo bel libro “L’uomo dal Vardamacchje di capra” ( testo da cui ho tratto molte notizie) è emblematico di questa situazione di conflitto: ad Opi, dopo l’Unità d’Italia i cittadini si rifiutarono di riconoscere il Tricolore e, su istigazione del parroco, assalirono la sede della Guardia Nazionale al grido di “viva Francesco II, a morte Garibaldi”.

Naturalmente la rivolta fu sedata ed i capi furono incarcerati. In questo clima fatto anche di soprusi ed angherie dei vincitori contro i vinti, che si sviluppa il brigantaggio.

In realtà i briganti nascono molto prima del 1860 ma è da questa data che il fenomeno acquista maggior rilievo.

In questo contesto di nuove ingiustizie, il brigantaggio politico alimentato dai borboni e dal papato trovava teritorio fertile, non solo con azioni di disturbo e di uccisioni singole, come diverse avvenute in territorio di Pescasseroli ed Opi tra il 1799 ed il 1807 ma anche con la presa di interi paesi ed uccisioni di massa. Come quelle operate da Benedetto Panetta di Vllalatina che a capo di una banda di 700 briganti, arrivò ad assediare Atina nel settembre 1806 e poi nel 1807 a saccheggiare Gioia dei Marsi, facendo strage di nobili, recandosi poi a Pescasseroli con trofei di orecchi, nasi e dita mozzate, infilati a mò di collane”. “Ed anche dopo diverse bande continuarono ad operare..”

(N.V.Cimini op,cit).

7. Immagine sopra; papa Pio IX, il nemico dell’indipendenza e dell’Unità d’Italia (Fonte Wikipedia).

 

Anche molti cittadini furono complici dei briganti come Luca Tarquinio di Pescasseroli “arrestato per aver fornito viveri ai briganti” o Remigio Tatti di Opi, “accusato di aver fornito vestiario” o Antonio Gasparrone di Sonnino “ che nel marzo 1821 si rese responsabile insieme a Celestino Maccari di Cataletto e Domenico Ricci di Opi, di omicidio a scopo rapina in territorio di Pescasseroli”.

Nel Fortino di Opi si rifugiarono varie bande fra cui ricordiamo Domenico Fuoco, quello chiamato “Matera” e Bucci che commisero vari saccheggi proprio ad Opi, derubando nel 1812 due famiglie.

La storia del brigante Domenico Fuoco è emblematica della natura e ragione del brigantaggio, quello vero, non banditismo che fu tutt’altra cosa.

Il brigante Fuoco si ispirò, quasi identificandosi, al brigante Angelo Pezza detto Frà Diavolo, celebre per essere stato uno dei principali protagonisti del famoso esercito dei Sanfedisti guidati dal cardinale Fabrizio Ruffo, esercito che nel 1799 pose fine alla Repubblica Napoletana restaurando la monarchia borbonica.

Anche il nostro Fuoco era un fedele monarchico infatti passò dalle fila dell’esercito borbonico in cui militava come sergente, dopo la disfatta del Volturno, a continuare “in proprio” la battaglia contro l’esercito piemontese.

Domenico Fuoco nasce a San Pietro Infine il 16 aprile 1837, figlio di una famiglia di contadini e pastori, fin da piccolo aveva mostrato un carattere fiero ed autoritario, presto fu arruolato nell’esercito borbonico dove raggiunse il grado di sergente servendo fedelmente il suo re.

8. Immagine sopra; la Battaglia del Volturno, con i Garibaldini che combattono presso Santa Maria Capua Vetere  (Fonte Wikipedia).

Dopo la sconfitta rovinosa sul Volturno lasciò l’esercito e tornò al suo paese di origine. In paese, però, oramai tutti si erano schierati con i piemontesi e, lui, che amava girare con la divisa borbonica, era additato a traditore e fu costretto a fuggire dopo aver subito varie angherie da un signorotto locale.

Da questo momento nasce la sua avventura di ribelle e brigante, stiamo nel 1860 e Fuoco si unisce prima ad un gruppo di disertori poi si allea con il brigante Chiavone, altro personaggio importante per la storia del brigantaggio di Opi.

Quando Chiavone morì, 1862, Fuoco organizzò una sua banda fra i monti della sua terra. Strettissimi furono i rapporti con i rappresentati dell’ex governo borbonico con cui collaborò ricevendo finanziamenti , spesso si recava a Roma (ancora sotto Pio IX) dove esisteva una vera e proprie rappresentanza dell’ex monarca Borbone.

Riuscì a riunire numerose piccoli gruppi di sbandati formando una banda composta da più di 150 uomini. Fuoco aveva formato quella che fu chiamata la “banda regia” per evidenziare la fede politica del brigante , e si distinse per la crudeltà e la ferocia con cui eliminava quelli che considerava nemici e per dieci anni fu il dominatore assoluto dei territori fra Lazio, Abruzzo e Campania.

Fu furbo, sanguinario, spietato e inafferrabile, tanto da avere sulla sua testa numerose taglie.

9. Immagine sopra; ciò che rimane del Blockhaus in Val Fondillo ad Opi.

A proposito del Blockhaus in Val Fondillo ad Opi si ricorda che, partendo proprio da questo fortino, il brigante Fuoco il 4 dicembre 1865 “catturò, nel bosco di Valle Fredda, un certo Francesco De Luca che si trovava a fare legna; questi, minacciato di morte e accompagnato da una brigantessa di nome Annunziata, fu costretto a recarsi dal prete di Opi per procurare viveri alla banda. La cosa però non riuscì, in quanto la brigantessa venne arrestata e gli altri briganti costretti a fuggire…Il 20 giugno 1867 si rifece viva la banda di Fuoco e fu incriminata per aver ucciso 150 ovini appartenenti ad un signore di Civitella Alfedena presso i pascoli di Pianezze di Opi.“.

(A.Di Martino,op.cit.).

L’Unità d’Italia diventò un pretesto, una motivazione d’appoggio a quelle che erano lotte intestine, scaturite già dalle rivolte antiborboniche del 1848

(M.Zambardi).

Non si contano i sequestri, le rapine, gli omicidi ma anche i combattimenti contro l’esercito piemontese o i gendarmi, della banda di Domenico Fuoco, che morì il 18 agosto del 1870 a causa del tradimento di un suo fido collaboratore all’età di 33 anni.

Abbiamo visto che il brigante Fuoco mosse i primi passi con il brigante luigi Alonzi detto “Chiavone” (soprannome che stava ad indicare una forte “ascendenza” sul sesso femminile), che insieme a Cuoco, Giulio Cesare De Sanctis detto “Scarpaleggia”, Domenico Coja detto “Centrillo”, Bernardo Stramenga, Nunzio Tamburini, Nunziato Mecola, Primiano Marcucci ecc. (oltre 360) imperversavano nelle terre della Marsica.

Solo per dare altre informazioni su questo fenomeno mi soffermo anche su Chiavone, nato a Sora il 19 giugno 1825 e morto a Trisulti il 28 giugno 1862.

Anche Chiavone da buon brigante operò, fedele suddito di Re Francesco II, contro l’esercito piemontese distinguendosi in varie vittorie.

Naturalmente anche lui di origine contadina ed anche lui fu sergente nell’esercito borbonico e quando Garibaldi entrò a Napoli, Chiavone fu chiamato dal re, che si era rifugiato a Gaeta, per avere il suo aiuto contro il governo provvisorio che si era costituito a Sora. Il Chiavone , alla guida di una colonna borbonica e di una gran parte della popolazione, al grido di “viva il Re” entrò in Sora e gettò a terra il tricolore.

Chiavone era un abile stratega tanto da sconfiggere 700 soldati garibaldini ad Avazzano. Le imprese di Luigi Alonzi furono tutte imperniate su battaglie contro il Regno Sabaudo per mantenere il territorio di Sora sotto il governo del Re Francesco II.

 

10. Immagine sopra: Francesco II di Borbone, “Franceschiello”, di Camillo Guerra (1859 circa). (Fonte Wikipedia).

Sempre sostenuto dai Borbone, fu, secondo il suo punto di vista, un patriota, ma un brigante secondo i piemontesi che con l’accusa di aver compiuto crimini di vaio tipo e scelleratezze di ogni genere, lo fucilarono.

Chi sono i briganti ? Lo dirò io, nato e cresciuto tra di essi. Il contadino che non ha casa, non ha campo, non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non ha armento; non possiede che un metro di terra in comune al camposanto. Non ha letto, non ha vesti, non ha cibo d’uomo, non ha formaggi, tutto gli è stato rapito dal prete al giaciglio di morte o dal ladronaccio feudale o dall’usura del proprietario o dall’imposta del Comune e dello Stato….Ma il brigantaggio non è miseria, è miseria estrema, disperata: le avversioni del clero e dei caldeggiatori, il caduco dominio e tutto il numeroso elenco delle volute cause originarie e di questa piaga sono scuse secondarie e occasionali, che ne abusano e le fanno perdurare. Si facciano i contadini proprietari. Non è cosa difficile, ruinosa, anarchica e socialista come ne ha la parvenza. Una buona legge sul censimento, ai piccoli lotti del beni della Casta ecclesiastica e demanio pubblico ad elusivo vantaggio dei contadini nulla tenenti, e il fucile scapperà di mano al brigante…Date una moggiata al contadino e si farà scannare per voi, e difenderà la sua terra contro tutte le onde barbariche dell’Austria-Francia

(da uno scritto di Francesco Saverio Lipari riportato da A.Di Marino op.cit.).

Ad Opi, fra i faggi maestosi del colle dell’Osso in Val Fondillo ancora i ruderi di imponenti mura ci raccontano storie lontane storie di anime dannate che ancora cercano pace.

Un unico ambiente che misura mt 2 x mt 7 con le mura fatte in blocchi di pietra ben squadrati per un’altezza che attualmente arriva a due metri. Vi erano vari finestroni e due accessi.

Sembra che, come già scritto, la costruzione iniziale risalga intorno al 1867 come fortino per i Bersaglieri e la Guardia Nazionale, presto però il sito fu abbandonato e divenne rifugio e nascondiglio dei Briganti che potevano controllare varie vie di accesso che da Forca d’Acero-San Donato si diramavano nel territorio abruzzese dall’alto Sangro in poi lungo quella che oggi è la Strada SS83 Marsicana.

Dagli anni 20 in poi varie sono state le ipotesi di riutilizzo del Blockhaus, fortunatamente abbandonate ed oggi il fortino attende solo di essere restaurato e accessibile alle visite.

Se è vero, come è vero che le pietre raccontano anche quando sono solo dei ruderi sperduti in montagna mai luogo fu più ricco di emozioni come questo, emozioni legate a storie di quelli che furono falsi eroi e vere vittime, condottieri e assassini, patrioti e rinnegati.

(Guglielmo Viti)

se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dall’autore.
11. Immagine in basso; lo stemma comunale di Opi (AQ).

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Un commento:

  1. Ho sempre letto con interesse e piacere gli articoli del prof. Viti ma stavolta mi si permetta di dissentire. Ci risiamo. Ecco un ennesimo articolo revisionista filoborbonico e antitaliano. Ma ci vogliamo.mettere inntesta che i briganti non erano eroi ma criminali comuni. Combattere per il peggior stato d’Europa, per una tirrania come quella dei Borboni che lasciava morire di fame la propria gente, non è certo cosa di cui vantarsi.
    I briganti erano assassini e basta. C’è un parsino del Lazio meridionale in cui.la stragrande maggioranza dei suoi abitanti si vanta di discendere da un brigante assassino e dalle donne da lui violentate. Da non credere.
    Sicuramente per liberare l’Italia e unirla , sono stati commessi molti errori ma gli Stati spazzati via (soprattutto regno borbonico e Stato della Chiesa) non erano certamente migliori.

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