Tra draghi ed orsi, sulle tracce di San Colombano nell’arco alpino; di Giancarlo Pavat

Vero e proprio “santo europeo”, Colombano portò avanti la propria missione di evangelizzatore, monaco e scrittore in diversi paesi dell’Europa occidentale.

Colombano nacque tra il 525 ed il 543 d.C. in Irlanda, la “Terra di Erin”, l’Ibernia degli Antichi Romani, probabilmente nell’attuale Ulster e viaggiò in lungo ed in largo per l’Europa del VI secolo, diventando l’irlandese più famoso del primo Medio Evo .

Mise piede sul continente europeo, in Gallia verso il 590 d.C., proveniente dal monastero irlandese di Bangor. Accolto benevolmente dai Re barbarici dei Burgundi, si stabilì nella regione dei Vosgi ove fondò tre Monasteri Benedettini.
Fissò la propria residenza nell’Abbazia di Luxeuil, da dove, però venne cacciato nel 610 dalla Regina Brunilde che non accettava che Colombano si ritenesse indipendente dal potere politico.

Il futuro Santo riprese a viaggiare attraverso la Gallia continuando a fondare monasteri finché nel 614, valicate le Alpi giunse in Italia, accolto a braccia aperte dal Re Longobardo Agilulfo e dalla Regina Teodolinda.

Figura di primo piano nell’opera di conversione al cattolicesimo dei Longobardi e fondatore sulle montagne piacentine del Monastero di Bobbio, vero faro di cultura e civiltà nei primi secoli del Medio Evo, Colombano morirà proprio a Bobbio nel 615.

La tradizione (non supportata però da documenti o prove storiche) vuole che San Colombano sia giunto anche in Trentino, nella Val d’Adige dalle parti di Rovereto.

Lungo il Torrente Leno, oggi insignificante corso d’acqua che nasce dal Pasubio, si narra vivesse un rettile spaventoso (drago o basilisco, così lo chiamano le leggende) che assaliva bestiame e uomini. Aveva un certa predilezione per i bambini che venivano portati sulle rive del Leno per essere battezzati.
San Colombano, passando appunto per quelle contrade, venne informato della presenza della mostruosa creatura e decise di liberare i valligiani della sua mortifera presenza.

Si arrampicò sino alla grotta, tana del rettile e riuscì a mozzargli la testa ed a precipitarlo nella profonda e stretta forra della Vallarsa scavata dal torrente Leno.


Per ringraziamento gli abitanti eressero un eremo dedicato a San Colombano. La costruzione che ancora oggi possiamo ammirare risale al 1319 e si trova nel comune di Trambileno ad est di Rovereto.
Costruito in una posizione suggestiva, aggrappato com’è alla parete rocciosa strapiombante, ha attraversato indenne la furia della Grande Guerra, il cui fronte correva a poca distanza.

Del mostro che infestava la zona non è mai stata trovata alcuna traccia. Ma tutta l’area circostante l’eremo è una sorta di Museo di geologia e paleontologia a cielo aperto. Tra le stratificazioni calcaree sono stati trovati nel corso degli anni numerosi fossili anche di dinosauri.

Ma tracce di San Colombano si trovano in tutto l’arco alpino. Significativa è la sua presenza (assieme a quella di altri draghi) nella Valle d’Ursera, nel Cantone Elvetico di Uri. Il capoluogo di tale vallata è la graziosa cittadina di Andermatt a 1.436 m.slm.. Vero e proprio crocevia al centro delle Alpi Svizzere.

A dire il vero, più che draghi, qui (come indica il nome stesso della valle) la fanno da padroni gli orsi. Originariamente, la vallata ricoperta da fitte foreste era caratterizzata dalla presenza, a volte ingombrante, dei giganteschi plantigradi.
Un orso nero con una croce campeggia in mezzo allo stemma verde di Andermatt. Animale simbolo, rappresentato anche sopra una colonna in granito di fronte alla Rathaus della cittadina.


Ed è sempre un orso nero rampante lo stemma di Hospental, il primo paesino che si incontra scendendo dal Passo di San Gottardo (2.114 m.slm.) nella Val d’Ursera.

Ad Andermatt più che San Colombano ci sarebbero voluti San Romedio o San Lugano, entrambi grandi ammansitori di orsi, ma, forse, a ben cercare, il Santo Irlandese non è del tutto fuori posto.

Dobbiamo risalire sino al IX secolo d.C. Quando il Monastero di Disentis (sorto circa un secolo prima) costruì una piccola cappella, dedicata proprio a San Colombano, all’uscita del Passo dell’Oberalp (Oberalppass).

Attorno a questa cappella sorse il primo insediamento della selvaggia Val d’Ursera. Con l’arrivo di coloni Walser, l’abitato si allargò ulteriormente, rimanendo però sempre esposto al pericolo di valanghe che precipitavano giù dal Nàtschen.

Pericolo talmente elevato che, nel XV secolo, gran parte delle abitazioni si trovavano ormai a fondovalle sulle rive della Reuss, qui rigogliosi pascoli avevano sostituito le foreste abitate dagli orsi. Andermatt deriva infatti da An der Matte, “al pascolo alpino”.

L’antico insediamento presso la cappella, diventata nel frattempo una chiesa sempre dedicata a San Colombano, veniva chiamato Zum Alten Dorf “al vecchio paese”. Oggi è indicato come Altkirch, “la vecchia chiesa”.
Anche se gli abitanti si erano spostati a valle, San Colombano continuò a proteggere la Val d’Ursera e la chiesa venne continuamente ristrutturata. Nel 1508 fu riconsacrata, assieme a 4 nuovi altari, dopo il rifacimento della navata e del coro. Circa 90 anni dopo venne rifatto il tetto del campanile.
Un decennio ancora ed un’altra valanga investì la chiesa, rendendo esiziali nuovi interventi. Riproposti ancora nel XIX secolo, quando l’edificio assunse una fisionomia in stile neogotico. L’immagine attuale, semplice ed austera, risale agli anni tra il 40 ed il 42, quando si volle riportare la chiesa al suo antico aspetto romanico.

Oggi, scendendo dai 2.114 m.slm. del S. Gottardo, e visitando l’incantevole Val d’Ursera, si incontra la chiesa di S. Colombano, a circa un km da Andermatt, svettare in grigia pietra sbozzata e con il suo tetto spiovente in scandole ed il campanile a 4 piani, sulle pendici del Nàtschen.
All’interno, tra varie opere d’arte sacra, si trova un ambone molto antico, restaurato nel 1559, dal quale, secondo una tradizione ben radicata nella Val d’Ursera, avrebbe predicato addirittura lo stesso San Colombano.

Sarebbe questa la “prova” dell’effettiva venuta dell’Irlandese nella vallata. È ritratto in una statua lignea posta a lato dell’arco del coro. Opera, come l’altra rappresentante S. Placido, dell’artista Urban Blanck di Wil (Sankt Gallen).

A quanto è dato di sapere, a San Colombano non ci sarebbero tracce di draghi o altri rettili. Ma ritornando ad Andermatt e visitando quell’esplosione di arte barocca che è la Parrocchiale dedicata ai SS. Pietro e Paolo, si fa uno sconcertante incontro.

Nella nicchia centrale dell’altare di destra dell’ampia e luminosa navata, è ospitata una statua, probabilmente del XVII secolo, chiamata SpittelMadonna. Questo perchè la Sacra Immagine proviene dall’antico ospedale per forestieri di Andermatt.

La statua rappresenta la Madonna con una veste rossa e mantello d’oro, con in braccio Gesù Bambino. Il Bambino impugna con entrambi le manine un’asta bianca con in cima una croce d’oro. Con quest’asta infilza un orrendo rettile che giace ai piedi Vergine. La particolarità stà nel fatto che non si tratta solito serpente, simbolo del peccato calpestato dalla Madonna.

Immagine iconografica diffusissima in moltissime chiese anche del nostro Paese. L’ignoto artefice della statua ha plasmato un vero e proprio drago, con le fauci spalancate, orecchie a punta e le ali membranose di pipistrello.
Il manufatto, pur mutuando stilemi, un po’ ingenui, di arte sacra popolare, inquieta proprio per la raffigurazione del mostro. Effettivamente piuttosto insolita. Sembrerebbe che l’artista abbia voluto rifarsi a immagini di draghi tratte da leggende o bestiari del Medio Evo Elvetico.
Usciti dalla Parrocchiale, un altro riferimento, seppur indiretto, ai draghi. Il lato nord-ovest della piazzetta è occupato dalla piccola cappella mortuaria barocca di San Michele.

In diverse pubblicazioni si legge che San Colombano, vista la sua capacità nell’eliminare mostri e rettili, avrebbe esorcizzato persino il famoso ed imprendibile “Mostro di Loch Ness” in Scozia.
Ma si tratta di cattiva letteratura e pressapochismo da parte degli estensori che non si prendono nemmeno la briga di documentarsi o controllare le citazioni altrui.
In realtà San Colombano viene confuso con il suo connazionale e contemporaneo San Columba.

Vissuto anch’esso nel VI secolo è noto perché nella (successiva) “Vita Sancti Columbae”, viene descritto l’episodio in cui Columba, dopo aver assistito al funerale di un contadino ucciso da uno spaventoso mostro uscito dall’acque di un fiume, riesce a scacciarlo definitivamente. Il fiume non è altri che il Ness, emissario del celebre lago scozzese. L’episodio narrato nella “Vita Sancti Columbae” viene utilizzato da coloro che credono in “Nessie” come prova che le storie del mostro non sono affatto contemporanee ma molto più antiche.

Ecco il celebre passo in latino:

Caput 28: De Cujusdam Aquatilis Bestiae Virtute Orationis Beati Viri Repulsione

“Alio quoque in tempore, cum vir beatus in Pictorum provincia per aliquot moraretur dies, necesse habuit fluvium transire Nesam: ad cujus cum accessisset ripam, alios ex accolis aspicit misellum humantes homunculum; quem, ut ipsi sepultores ferebant, quaedam paulo ante nantem aquatilis praeripiens bestia morsu momordit saevissimo: cujus miserum cadaver, sero licet, quidam in alno subvenientes porrectis praeripuere uncinis. Vir e contra beatus, haec audiens, praecipit ut aliquis ex comitibus enatans, caupallum, in altera stantem ripa, ad se navigando reducat. Quo sancti audito praedicabilis viri praecepto, Lugneus Mocumin, nihil moratus, obsecundans, depositis excepta vestimentis tunica, immittit se in aquas. Sed bellua, quae prius non tam satiata, quam in praedam accensa, in profundo fluminis latitabat, sentiens eo nante turbatam supra aquam, subito emergens, natatilis ad hominem in medio natantem alveo, cum ingenti fremitu, aperto cucurrit ore. Vir tum beauts videns, omnibus qui inerant, tam barbaris quam etiam fratribus, nimio terrore perculsis, cum salutare, sancta elevata manu, in vacuo aere crucis pinxisset signum, invocato Dei nomine, feroci imperavit bestiae dicens, Noles ultra progrdi, nec hominem tangas; retro citius revertere. Tum vero bestia, hac Sancti audita voce, retrorsum, ac si funibus retraheretur, velociori recursu fugit tremefacta: quae prius Lugneo nanti eo usque appropinquavit, ut hominem inter et bestiam non amplius esset quam unius contuli longitudo. Fratres tum, recessisse videntes bestiam, Lugneumque commilitonem ad eos intactum et incolumem in navicula reversum, cum ingenti admiratione glorificaverunt Deum in beto viro. Sed et gentiles barbari, qui ad praesens inerant, ejusdem miraculi magnitudine”.

Rimane il fatto che la propensione di molti santi (come San Lugano che liberò la valle dolomitica che da lui ha preso il nome da vipere ed altri serpenti che la infestavano o San Giulio che fece la medesima cosa sull’isoletta al centro del lago d’Orta in Piemonte) a scacciare animali nocivi o creature mostruose (ritorneremo su questa affascinante tematica) va letta soprattutto in senso allegorico. Mostri ed altri animali feroci (e persino inspiegabili, all’epoca, fenomeni naturali) sono sempre stati visti come personificazione del Male.

Giancarlo Pavat.

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2 commenti:

  1. Bell’articolo. Complimenti.
    Paolo Roberto.

  2. Buongionro, complimenti per l’articolo. Sono di Piacenza ed anch’io ho letto su un libro che il nostro san Colombano aveva scacciato il mostro di Loch Ness. La correttezza d’ogni informazione è alla base per il raggiugimento della Verità. Come recita il vostro slogan. Grazie
    Leda

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