ANATEMA! di Roberto Volterri

 

 

Immagine di apertura; La statua di Gregorio XIII (sì, quello della Riforma del Calendario Giuliano) sulla facciata di Palazzo d’Accursio a Bologna. Il Pontefice sta benedicendo o lanciando un….

 

ANATEMA!

Misteri e Miti delle antiche “maledizioni”

   di Roberto Volterri

 

Anatema” – ci preciserebbero Giacomo Devoto e Giancarlo Oli nel loro arcinoto ‘Vocabolario’ – deriva dal greco ανάθημα, letteralmente traducibile con ‘sospeso’, ‘posato sopra’.

E di ‘qualcosa’ ‘posato sopra’ in un’ottica sicuramente negativa è piena la storia di tutti i popoli…

Non introdurrai quest’abominio in casa tua, perché sarai come esso votato allo sterminio; lo detesterai e lo avrai in abominio, perché è votato allo sterminio.”

Afferma categoricamente il Deuteronomio (7, 26) riferendosi evidentemente a ciò che è maledetto da Yahvè poiché costituito da idoli d’oro o d’argento, bottino dei vincitori contro il nemico ‘pagano’. 

Oggetti preziosi quanto si voglia, ma che non debbono essere più toccati perchè destinati alla completa distruzione.

Sono insomma degni di un tremendo ‘anatema’, di una ‘maledizione’, forse non presi del tutto alla lettera data la consistenza dei metalli preziosi utilizzati per gli esecrandi idoli…

Però, si sa, per l‘homo homini lupus esecrandi possono essere gli idoli ma anche le popolazioni che li hanno adorati, stigmatizza ancora il Deuteronomio (7, 1-2) se ammonisce…

 

“… Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel Paese che vai a prendere in possesso e ne avrà scacciate davanti a te molte nazioni: gli Hittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Perizziti, gli Evei, i Cananei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, quando il Signore tuo Dio le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia.”.

 

Insomma nell’antica Israele c’era poco da scherzare in tema di ‘anatemi’!

Passano i secoli e si giunge alla Nuova Alleanza con l’Onnipotente, si arriva al messaggio del Cristo, in alcuni casi interpretato in modo molto ‘personale’ da Saulo di Tarso, ben più noto come San Paolo, il quale nella sua ‘Lettera ai Galati’ (1, 8), così ammonisce…

 

“… Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!”.

2. Immagine sopra; “Michelangelo a Bologna si presenta a Giulio II”, di Anastasio Fontebuoni (1571-1626). Galleria Casa Buonarroti (Fonte Wikipedia). Il terribile condottiero ma illuminato mecenate Giuliano Della Rovere ovvero Papa Giulio II, dopo aver conquistato Bologna (e scacciato i Bentivoglio, alfieri della libertà cittadina), vi convocò Michelangelo. Il Genio fiorentino era fuggito da Roma a Firenze in quanto il Pontefice aveva cambiato idea sul progetto del proprio grandioso mausoleo. Dopo averlo perdonato, Giulio II lo incaricò di realizzare una sua statua bronzea da collocare sulla facciata di San Petronio. Terminata alla fine del 1507, la statua, denominata “Papa Giulio II Benedicente” in realtà rappresentava il pontefice nell’atto di minacciare i Bolognesi se avessero osato ribellarsi di nuovo. Ma la minaccia di ANATEMA e di chissà quali castighi (Giulio II era capace di tutto!)  non fu di lunga durata. Con la nuova rivolta e il rientro dei Bentivoglio nella città fulmineanel 1511, il capolavoro fo Michelangalo venne abbattuto e fatto a pezzi. Questi furono venduti ad Alfonso d’Este che li e fece fondere per realizzare una colubrina, chiamata, chissà perchè.., “Giulia”! Per farsi una idea di come doveva essere la statua michelangiolesca, conviene andare a dare un’occhiata a Palazzo d’Accursio (attuale sede comunale) in piazza Maggiore. La facciata è caratterizzata dalla statua di papa Gregorio XIII di Alessandro Menganti (1525-1594), che a fine XVIII secolo venne trasformata in quella di San Petronio per salvarla dalle requisizioni dei “liberatori” francesi (Nel 1895 verrà ripristinato l’aspetto originario dell’opera di Menganti). La posa è le forme ricalcano proprio quelle della minacciosa statua di Giulio II.

 

Però, non contento ancora, in una sua ‘Lettera ai Romani (9, 2-3), Saulo/Paolo si ‘immola’, identificandosi quasi  con l’anatema stesso poiché egli ha

“…  nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne.”

Passano molti altri secoli e si arriva, tra i tanti susseguitisi nel tempo, al Concilio di Trento (tenutosi dal 1545 al 1563) quando, nella Sessione VI del 13 Gennaio 1547, nei trentatre ‘Canoni sulla Dottrina della Giustificazione la parola ‘anatema’ – intesa come temibile separazione del fedele dalla Chiesa stessa, ovvero ab ipso corpore Christi – ricorre spesso.

Ne bastino un paio di esempi…

“ Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.”. 

Oppure…

“ Se qualcuno afferma che Gesú Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.”

 

E così via per ben … trentatre volte!

Ma nell’ambito della Chiesa gli ‘anatemi’ non finiscono mai…

 

“ L’empio muoia infelice!”

O, più esattamente…

“ Malus male pereat. In iudicio non resurgat, cum Iuda proditore partem habeat, cui clausuram hanc violare praesumpserit.”

 

Ben poco caritatevole epigrafe in cui all’empio che osasse violare la clausura dell’Abbazia si augura di non risorgere nell’ultimo giorno del Giudizio e di ‘far compagnia’ a quel bistrattato ‘Giuda traditore’!

Vediamo però di quale Abbazia si tratta e dove andare ad indagare su tale esempio di cristiana tolleranza…

 

3-4. Immagini sopra e sotto; Nella fertilissima piana della città di Fondi (LT), caratterizzata dall’omonimo grande lago, sorgono le imponenti rovine del monastero oliventano di San Magno (sopra). A poca distanza si incontra un ponte dallo stesso nome, restaurato pochi anni. Ben due Triplici Cinte (in basso) si trovano incise sopra un grosso masso squadrato posto in opera lungo l’argine delle acque. Forse per usufruire delle valenze apotropaiche (che secondo diversi studiosi avrebbero i 3 quadrati concentrici) al fine di difendersi dall’Anatema di San Magno?  (Foto G. Pavat da https://www.centro-studi-triplice-cinta.com/products/fondi-lt-1/)

 

Nei pressi della bella cittadina di Fondi, nel basso Lazio, nella provincia di Latina, esiste un magnifico complesso religioso da poco tempo in fase di restauro: è appunto l’Abbazia di San Magno.

5. Immagine sopra; una un’antica stampa, la cittadina di Fondi (Latina). Si intravede sullo sfondo l’Abbazia di San Magno, ove c’era un’epigrafe con un anatema lanciato contro chi violasse la clausura.
6. Immagine in basso; il Castello e Palazzo Caietani di Fondi (Archivio IlPuntosulMistero).

 

Magno visse durante le persecuzioni romane, nel III secolo d.C. e, convertitosi al Cristianesimo, donò tutti i suoi beni ai poveri venendo successivamente eletto vescovo di Trani. Visse in odore di santità, compiendo ‘miracoli’ in cui guariva storpi e ammalati. 

Per sfuggire alle persecuzioni, si rifugiò a Roma, poi a Fondi, ad Aquino, a Sora, a Pico, dove continuava a testimoniare la Buona Novella, finché non venne anche lui martirizzato. Sembra non lontano dall’attuale Ceprano.

Il suo corpo fu sepolto dapprima nella chiesa di Sant’Andrea (secondo alcuni nella Basilica di Santa Salome), a Veroli (FR), per poi venire ‘venduto’ dai Saraceni, nell’anno 877 ed essere tumulato nella cripta della Cattedrale di Santa Maria Annunziata ad Anagni.

7. Immagine sopra; la Cattedrale di Santa Maria Annunziata ad Anagni (FR), realizzata tra la fine del XI e gli inizi del XII secolo dal vescovo Pietro da Salerno.
8. Immagine sopra; la Cripta della Cattedrale di Anagni, dedicata a San Magno, patrono della città,  costruita contemporaneamente alla chiesa superiore tra il 1068 e il 1104. È conosciuta come la Cappella Sistina del Medioevo (Fonte Wikipedia).

 

Fin qui, in estrema sintesi, la storia dell’Abbazia, ma ciò che ci interessa  maggiormente in questo excursus tra un anatema e l’altro è un’epigrafe un tempo posta a protezione della clausura, usanza questa, all’epoca, abbastanza diffusa nei centri monastici.

9. Immagine sopra; l’epigrafe con l’anatema lanciato da Papa Gregorio XI e ancor oggi visibile a Formia (Latina) nella chiesa di Sant’Erasmo. Ė molto simile a quella di San Magno, di Fondi.

 

Dopo essere stato a verificare de visu qualche particolarità di carattere archeologico dell’ Abbazia di Fondi, ho assunto altre utili informazioni dal gentile professor Roberto Frecentese, autore dell’articolo ‘L’anatema del monastero di San Magno a Fondi’, in Studi e ricerche sul territorio di Formia” (Edizioni Caramanica, Marina di Minturno 1996, pp.165-170). 

Il Frecentese fa anche notare che a Formia (LT), sul nartece dell’antico cenobio della chiesa di Sant’Erasmo – nel rione ‘Castellone’ – c’è un’epigrafe molto simile a quella che c’era nell’Abbazia di San Magno, epigrafe contenente un anatema di papa Gregorio XI  (1330-1378) che, forse perché ‘lanciato’ da sì alto scranno, appare ancor più tremendo…

 

 “ Anatema Gregory PP. XI.

In sudicio non resurgat damnatus male perat cum Iuda iniquo portionem habeat quicumque hoc coenobium quovis modo violare praesumpserit. 1621”

 

Anatema il cui significato appare del tutto simile a quello di San Magno, ben descritto anche dallo storico G. Conte Colino in una sua “Storia di Fondi” pubblicata nel 1901 ma ristampata alla fine degli anni Settanta.

10. Immagine sopra; Papa Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort, 1330 – 1378), il poco caritatevole autore dell’anatema conservato nella chiesa di Sant”Erasmo a Formia (Latina) e lì posto, però, nel 1621.

 

Volete un altro esempio di sviscerato ‘amore’ per il prossimo rivolto questa volta non tanto al singolo, incauto, individuo ma destinato ad un’intera cittadina?

 

Bene, le solite ‘antiche cronache’ tra le quali andiamo cercando strane, curiose testimonianze di quanto avvenne nei secoli andati, ci narrano che tale don Pietro Cossentino, curato vissuto alla fine del Settecento e ‘pastore di anime’ in quel di Giuliana (Palermo) dal 1806 al 1816, cadesse spesso in suggestive crisi mistiche durante le quali colloquiava amabilmente con la Vergine. O almeno così sosteneva…

Si sa come alle lunghe tali vicende possano finire: gli abitanti del piccolo paese, forse istigati anche dalle autorità ecclesiastiche che mal vedevano tali episodi – che ci riportano un po’ a ciò che accadde un secolo più tardi a Pietrelcina – tanto dissero e tanto fecero che il ‘mistico’ don Pietro fu costretto a rifugiarsi nel paese di Chiusa Sclafani ove nel 1817 abbandonò – pare in ‘odor di santità’ – questa valle di lacrime.

Però il buon parroco pare si sia dimenticato di ‘porgere l’altra guancia’ poiché nel lasciare il suo paese e le sue ingrate ‘pecorelle smarrite’ pensò bene che il luogo che lo stava rifiutando meritava il tremendo ‘anatema’ …

“Giuliana senza conforto, acqua, vento e campane a morto!”

 

Parole che nulla hanno da invidiare al più noto anatema pronunciato da Marco Porcio Catone il Censore – parole che ci riportano per un attimo sui banchi del Liceo… – quando, tra il 146 a.C e il 149 a.C.,  egli terminava ogni suo discorso al Senato con il ‘tormentone’….

Ceterum censeo Carthaginem esse delendam!”.

‘Maledizione’ che ebbe i suoi effetti con Publio Cornelio Scipione il quale distrusse la città alla fine della terza Guerra Punica…

 

“… nel caso ti imbattessi in questo sarcofago…”

Lasciamo il mondo della Cristianità e facciamo un notevole balzo indietro nel tempo, proprio all’epoca dei Fenici e dei Punici, ovvero i Fenici d’Occidente.

Vediamo infatti come – qualche secolo prima dell’Era cristiana – si lanciasse un’anatema contro chi avesse osato violare il sarcofago in cui il regnante di turno era destinato a riposare in eterno.

O almeno così egli sperava…

12. Immagine sopra; il Sarcofago di Tabnit, re di Sidone, datato al VI secolo a.C., rinvenuto non lontano da Beirut nel 1886, e ora conservato presso il Museo Archeologico di Istanbul. I sarcofagi in origine contenevano il corpo di un egiziano di rango ma venivano riutilizzati dai Fenici. In particolare, questo sarcofago arrivò in Fenicia, proveniente dall’Egitto, dopo la conquista divquesto obese da parte del sovrano persiano Cambise, con il quale si erano alleati i Fenici di Sidone. 

 

Nell’Ottocento fu portato alla luce un sarcofago antropoide di basalto nero in cui un regnante Fenicio riposava per sempre nell’ultima dimora che fu in origine di qualche sconosciuto dignitario egiziano.

Proveniva da Sidone e nell’iscrizione in lingua fenicia riportata sulla sua base si menziona  tale Tabnit figlio del re Eshmunazar I e padre di Eshmunazar II.

13. Immagine  sopra; Testo in lingua fenicia  dell’iscrizione di Tabnit. Contiene un anatema contro chi osasse aprire il sarcofago stesso alla ricerca di tesori sepolti insieme all’abusivo occupante del sarcofago stesso.

14. Immagine sopra;  cio che rimane del corpo del re Tabnit rinvenuto nel sarcofago egiziano riutilizzato e su cui fu inciso un anatema contro chiunque avesse osato aprirlo.

 

Il testo, letteralmente tradotto, suona così…

“Io, Tabnit, sacerdote di Astarte, Re dei Sidoni, figlio di Eshmunazar, sacerdote di Astarte, Re dei Sidoni, giaccio in questo sarcofago, e tu, chiunque tu sia, nel caso ti imbattessi in questo sarcofago, non aprirlo e non disturbarmi, anche se hanno qui posto argento e oro, poiché ciò è abominio di Astarte…”.

 

E così via di questo passo, con altri anatemi volti a dissuadere qualche incauto ‘Indiana Jones’ dal disturbare il sonno eterno dell’eccessivamente fiducioso Tabnit.

Non sappiamo come in antico siano in realtà andate a finire le cose, ma è probabile che qualcuno non tenne conto dell’anatema e si impadronì dell’oro e dell’argento, poiché del povero Tabnit c’è rimasto solo qualche scarno (molto scarno!) resto tuttora conservato nel Museo Archeologico della bella città che fu capitale dell’Impero Romano d’Oriente.

 

“… entro quest’anno tu devi morire…”

 

“Maledizione! Maledizione! O pontefice romano. Ti do quaranta giorni di tempo per trovarti accanto a me davanti al tribunale di Dio. E tu, mio Re, Filippo, io ti perdono ma è inutile. La tua sorte è segnata. Entro quest’anno tu devi morire e presentarti anche tu al tribunale del Signore!”

Parola di Jacques de Molay, Gran Maestro templare!

Ebbene, pare proprio che questo anatema pronunciato il 18 Marzo del 1314 dal de Molay – condannato al rogo, a Parigi, insieme a Precettore di Normandia, al Visitatore di Francia e al Commendatore d’Aquitania – sortisse gli effetti ’augurati’ poiché il 20 Aprile dello stesso anno il Papa Clemente V passò a miglior vita, a Lione, mentre il Re Filippo il Bello cessò di essere tale, a Fontainebleau il 29 Novembre successivo.

Mai sfidare l’ira funesta dei Poveri Cavalieri di Cristo!

 

                          

15. Immagine sopra; Statua di Jacques de Molay installata sul Monte Cacume (Patrica, FR) lungo il “Sentiero di Dante” (inaugurato nel 2022, nato da una idea del sindaco Lucio Fiordalisio e con la consulenza storico-scientifica di Giancarlo Pavat e quella artistica di Cesare Pigliacelli). L’ultimo Gran Maestro dei Templari è stato immortalato dall’artista Cesare Pigliacelli , proprio nel momento in cui, condannato al rogo, lancia contro il Re di Francia  e il Papa un terribile anatema. “Andato a segno”’ entro brevissimo tempo… Per quanto se ne sa.. quella sul Monte Cacume in Ciociaria, è l’unica statua esistente che ritrae de Molay mentre lancia la sua “maledizione”, quantomeno in Italia (Foto Giancarlo Pavat)

 

Per terminare in bellezza – si fa per dire! – questo nostro excursus tra anatemi, maledizioni e incisivi ‘suggerimenti’ a… passare oltre, ricordo che di recente, sulla costa meridionale dell’isola di Cipro, da una spedizione archeologica che stava scavando nel sito conosciuto come ‘Regno di Amathus’, è stata rinvenuta una tavoletta di piombo datata al VII secolo d.C. che dal capo della spedizione, il professor Pierre Aubert, tra un brivido e l’altro, è stata così tradotta…

“ Che il tuo pene ti arrechi dolore quando fai all’amore!”

 

Mai anatema provocò – pensiamo a ragione… – una così grande quantità scongiuri e apotropaici gesti come quella che sembra serpeggiasse tra gli archeologi ‘coinvolti’ nella scoperta!

 

(Roberto Volterri)

– Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dall’autore. 

 

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Un commento:

  1. Giusto sottolineare come questa Chiesa dovrebbe più abbracciare le persone e lanciare meno anatemi. Anche questo ultimo pontefice non è stato da meno. Quante scissioni ha creato. E chi separa si sa chi è…..
    Marina “Luce del giorno”

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