1. Immagine sopra; Sito megalitico di Derby. Sulla sx il pinnacolo roccioso che ricorda un “Menhir” e sulla dx quello che è stato identificato come “Volto megalitico di Derby” (Foto di Fabio Bertoletti 2022).
Le informazioni reperibili sul web in ordine al “Guardiano di Ceccano” scoperto nel 2015 dall’ingegner Roberto Adinolfi hanno fatto sì che il nostro sito venisse contattato dal dottor Fabio Bertoletti, ricercatore presso l’Accademia di Brera.
2. Immagine sopra, il megalitico profilo del “Guardiano di Ceccano” (Foto G. Pavat 2015)
Il dottor Bertoletti, che ringraziamo per la fiducia mostrata nei nostri confronti, ci ha informati in merito a quella che ha tutta l’aria di essere una straordinaria scoperta.
Nel 2022, mentre era in vacanza in Valle d’Aosta, Bertoletti ha scoperto un sito che potrebbe davvero cambiare radicalmente le conoscenze sul Passato più remoto del nostro Paese.
La storia della sua scoperta ha molti punti in comune con quella del “Guardiano” ceccanese.
Riteniamo, pertanto (anche perché inedita) che valga la pena di conoscerla, lasciando parlare proprio lo scopritore.
Scenario di questa straordinaria scoperta è il piccolo villaggio di Derby, frazione del comune di La Salle, a 825 metri slm, nell’Alta Valle.
In esclusiva per il nostro sito, andiamo a scoprire questo nuovo mistero assieme a Fabio Bertoletti.
I MISTERI DEL VOLTO MEGALITICO DI DERBY IN VALLE D’AOSTA
di Fabio Bertoletti
3. Immagine sopra; Sulla sx il pinnacolo roccioso che ricorda un “Menhir” e sulla dx quello che è stato identificato come “Volto megalitico di Derby” (foto di Fabio Bertoletti 2022)
Derby conserva un vero gioiello artistico e architettonico; l’antica chiesa parrocchiale di Sant’ Orso risalente al XII secolo.
Ma nonostante ciò è un borgo decisamente poco conosciuto, la cui storia nota inizia nell’anno 1040.
In questa data Umberto I Biancamano capostipite della dinastia dei Savoia e signore della Valdigne, donò ai canonici del Capitolo di Sant’Orso di Aosta e al Capitolo della Cattedrale, la giurisdizione su questo territorio oltre a vari beni mobili ed immobili: il nome Delbia appare per la prima volta proprio in questo atto.
Nel Medioevo tale località veniva denominata De-Herba o De-Herbia per l’abbondanza di foreste, pascoli e prati.
Tuttavia la presenza dell’uomo in quell’area risale certamente a tempi molto più antichi come dimostra la tomba neolitica di Derby rinvenuta casualmente nel 1952 nel corso di lavori di trivellazione per la realizzazione di un pozzo antincendio.
Tale scoperta venne resa nota nel 1955 dall’antropologa Savina Fumagalli.
Trattasi di una tomba oggi definita a cista litica, cioè una sepoltura a scatola di pietra (generalmente costituita da 4 blocchi di pietra affiancati e interrati) utilizzata in antichità per custodire i corpi dei defunti ed è un tipo di sepoltura di cui si trovano altri riscontri nelle necropoli valdostane.
Osservando con un binocolo i fianchi della montagna mi sono accorto di qualcosa di strano.
Le rocce sembravano delineare un sorprendente ed enigmatico “volto megalitico” sormontato da un copricapo conico e arroccato sull’estremità destra di una formazione rocciosa.
Inoltre accanto al volto megalitico (alla sua destra), vi è quella che ritengo essere una scultura zoomorfa di un animale non ben identificato.
Possibile tutto ciò?
Qualcuno aveva davvero scolpito quelle falde scoscese a guisa di gigantesco volto umano?
Oppure ci si trovava davanti ad un abbaglio o a un caso di pareidolia?
Però, focalizzando, insistentemente la mia osservazione su quel punto, spostandomi ora a destra, ora a sinistra per cercare di capire meglio cosa fosse, mi convinsi sempre più che quel volto non era un’illusione.
Purtroppo la mancanza di adeguata strumentazione non ha permesso di poter ottenere immagini fotografiche che consentissero di verificare se ciò che emergeva dalle rocce fosse davvero opera dell’uomo.
Dopo essermi arrovellato il cervello per un anno intero studiando le foto del 2022, ho trovato incoraggiamento a proseguire nelle ricerche da parte della dottoressa Licia Filingeri curatrice del sito “Museo delle Origini dell’uomo“, che era rimasta molto colpita dalle immagini.
A questo punto, acquistato un piccolo telescopio con adattatore per il cellulare, il pomeriggio del 10 agosto 2023 sono ritornato sul luogo dell’avvistamento nei pressi del cimitero di Derby.
Ciò che emerso ha dell’incredibile.
Le nuove osservazioni visive e le nuove foto, fortunatamente più nitide, hanno rivelato diversi dettagli sorprendenti di quella formazione rocciosa e di quel luogo in generale e mi hanno ragionevolmente consentito di escludere la pareidolia.
Si tratta di un manufatto realizzato dall’uomo o comunque una formazione rocciosa sulla quale l’uomo ha messo mano. […]
4. Immagine sopra; Il presunto “Volto megalitico di Derby” e l’ipotetico pozzo verticale (foto di Fabio Bertoletti 2022)
Personalmente sono semòpre più propenso a credere che quella zona un tempo remoto, abbia costituito un importante luogo sacro e forse anche un insediamento abitativo.
La natura di quel luogo inoltre sembra assai più complessa di quello che pensavo. L’anno scorso infatti non avevo notato che sul pendio di quella montagna vi è uno strano picco roccioso a punta che svetta solitario sopra i boschi di pini quasi a mo’ di Menhir e che sembra essere allineato con il volto megalitico che si trova arroccato poco più in alto sempre sullo stesso pendio della montagna.
Osservando dall’alto il picco roccioso su Google Earth si vede che proietta la sua ombra sul bosco.
5. Immagine sopra; su Google Earth si vede il picco roccioso proiettare la sua ombra sul bosco (Foto di Fabio Bertoletti 2022).
A breve distanza, esattamente di fronte al Volto megalitico, vi è una misteriosa apertura nel terreno. Trattasi forse del bordo di un antico pozzo sacrificale? O dell’ingresso di una caverna? Impossibile purtroppo saperlo senza un sopralluogo si possono fare solo mere congetture.
Ma le sorprese sono solo all’inizio.
Accanto al bordo di questa apertura nel terreno si vede come una lettera o simbolo sconosciuto scolpito in rilievo nella roccia e poco più in alto vi è quello che sembra un graffito pesantemente inciso (forse rappresentante una giraffa che cammina?) Naturalmente potrebbe anche trattarsi di qualunque altra cosa per quel che ne sa.
Su una parete di roccia nelle immediate vicinanze, in un paio di foto scattate si vede chiaramente che vi è un’altra apertura, forse un altro probabile ingresso di una grotta.
Oltretutto esattamente a metà strada della distanza che separa la formazione rocciosa a punta tipo menhir e il volto megalitico, ma più in lontananza sullo sfondo si nota quella che appare come una” pietra che guarda”, come l’avrebbe chiamata Peter Kolosimo (il noto autore di controverse ipotesi archeologiche nei suoi libri di archeologia misteriosa degli anni 60-70 NDR) cioè il profilo discoidale di una roccia letteralmente protesa e aggettante verso il vuoto che non può far a meno di far pensare a un presunto antico trampolino sacrificale, insomma qualunque cosa sia quel sito è un ambiente dall’aspetto primordiale dove il tempo sembra essersi fermato a un epoca remotissima e così suggestivo che finisce per stimolare anche la fantasia.
6-7. Immagini sopra e sotto; la “Pietra che guarda” o “trampolino sacrificale” fotografato da Fabio Bertoletti e l’altro “Trampolino sacrificale” di caprie in Val Susa (TO) di cui si è occupato anche Peter Kolosimo.
Tornando al Volto megalitico, questo appare tridimensionale, cioè scolpito a tutto tondo sulla estremità destra di una formazione rocciosa con tanto di copricapo conico sporgente sopra la parte centrale della fronte.
Il Volto è orientato verso Ovest, non guarda in basso verso il fondovalle, ma in direzione della montagna stessa che ascende verso l’alto, verso il cielo.
Pur eroso dall’inesorabile trascorrere del tempo e dalla millenaria azione degli agenti atmosferici (neve, pioggia, vento ecc.) appare ottimamente conservato, ben armonizzato nelle sue proporzioni e nitidamente distinguibile in tutti i suoi elementi costitutivi: le orbite oculari scure sono perfettamente allineate, la forma del naso, pur probabilmente fortemente erosa, è ben riconoscibile nella parte inferiore con le due narici simmetriche e ben delineata è pure la bocca che presenta al suo interno una regolare e nitida incisione di denti!
8. Immagine sopra; Il Volto di Derby (Foto Fabio Bertoletti).
Proprio il particolare della presenza dei denti all’interno della bocca sembra essere il dettaglio più importante che fa pensare che si tratti di un’opera fatta da mano umana.
Un settore del Volto nella parte inferiore presenta una accesa pigmentazione di colore rosa.
Forse tracce di un antico pigmento pittorico o naturale ossidazione di qualche minerale presente in quella roccia?
Immediatamente sotto la bocca del volto sembra ci sia la testa sporgente (e forse anche il corpo) di un volatile, di un uccello con il collo e il becco protesi in avanti.
Forse è una rappresentazione del cigno che già in tempi remoti indicava l’etnia del popolo ligure?
La figura del cigno ci rimanda alla leggenda del re dei Liguri Cicno che, afflitto e disperato per la morte del suo amico Fetonte, fu dagli dei per pietà tramutato appunto in cigno. Forse Cicno era il nome di un antico re ligure divinizzato.
Alla immediata destra del Volto megalitica sembra ci sia una presunta scultura zoomorfa.
A mio parere, appare la rappresentazione primordiale di una sorta di animale corazzato con alcune formazioni a cuspide scolpite sul fianco del corpo quasi a imitazione di grosse squame sovrapposte o placche ossee.
9-10. Immagini sopra e sotto; presunta scultura zoomorfa di un animale corazzato tipo rinoceronte, collocata di fianco al Volto megalitico. Sulla parte anteriore del muso è un piccolo corno , inoltre alcuni triangoli scolpiti sul fianco richiamano l’imitazione di grosse squame o placche ossee ? (Foto Fabio Bertoletti).
Inoltre l’animale anteriormente sul muso è dotato di un piccolo corno a punta come un rinoceronte. Se non sapessi che è assurdo solo pensarlo, direi che questa scultura richiama alla mia mente l’immagine di un triceratopo, il blocco roccioso collocato sopra la testa del presunto animale, che avevo ipotizzato potessero essere corna, potrebbe forse voler rappresentare una sorta di collare o scudo osseo che possiamo ritrovare in un animale corazzato.
Forse munito di un abbozzo di zampe posteriori che forse si intravedono in modo evanescente nella parte inferiore del corpo.
Tale evanescenza secondo me non è dovuta a un mio problema di messa a fuoco dell’immagine come inizialmente pensavo ma in realtà in tutte le mie foto, anche quelle più nitide, appaiono sempre così.
Queste zampe devono essere leggermente abbozzate nella roccia o forse erano addirittura in parte dipinte? Ciò potrebbe spiegare l’effetto di evanescenza che ho sempre visto nella parte inferiore del corpo dell’animale. Che sembra essere munito di una massiccia coda posteriore che appare concava e convessa nella parte inferiore.
Sulla formazione rocciosa dove è presente il Volto megalitico sembrano esserci graffiti e incisioni nella roccia e forse quel che rimane di antiche pitture rupestri ormai assai sbiadite.
Sotto il Volto megalitico, si nota il grosso graffito di una specie di bandierina triangolare rivolta a sinistra.
Inizialmente pensavo che il graffito della bandierina potesse essere una rappresentazione stilizzata di una alabarda o scure dell’età del Bronzo come quella presente sulla roccia di “Le Crou-Champrotard“, sempre in Valle d’Aosta, che si trova nei pressi della centrale elettrica di Villeneuve dove sono incise armi (alabarde e pugnali), figure topografiche e coppelle.
In origine gli Egizi raffiguravano la lettera R con il disegno di una testa vista di profilo e fin qui nulla di strano. Successivamente i Fenici eliminarono il disegno della testa e rappresentavano la lettera R esattamente con il simbolo di una bandierina triangolare ….Ebbene per i Fenici tale simbolo stava a significare “Testa”!
Sarà pure una coincidenza incredibile non so che pensare, ma il fatto che un simbolo che per i Fenici nel loro alfabeto indicava la testa si trovi inciso esattamente sotto un testone megalitico è un fatto che ho trovato a dir poco sconcertante.
Tale simbolo si ritrova identico in una immagine presente sul sito della S.Va.P.A. (Società Valdostana di preistoria e Archeologia) nell’articolo “Escursione alle incisioni del Lac Couvert di Issogne” dove è perfettamente visibile il simbolo della bandierina triangolare inciso su una superficie rocciosa in mezzo ad altri anche se non viene spiegato cosa ignifichi.
11. Immagine sopra; Il simbolo che il dottor Fabio Bertoletti chiama “della bandierina” tra le incisioni rupestri del Lac Couvert di Issogne – dahttp://www.archeosvapa.eu/escursione-alle-incisioni-del-lac-couvert-di-issogne/
Tornando alla formazione rocciosa di Derby, sotto il simbolo della bandierina triangolare, sono stati individuati i contorni evanescenti (ma ancora distinguibili) di una misteriosa figura. Forse in una posa forse rituale? Con un busto rappresentato di profilo, quasi alla maniera egizia e un braccio proteso e disteso in avanti e il palmo della mano aperto, mentre l’altro braccio appare ripiegato. Questa figura presenta una testa di profilo direi grottesca con la bocca aperta ed è munita di quello che sembra un copricapo non ben distinguibile e forse anche un orecchino, naturalmente la distanza mi rende arduo se non impossibile osservare certi dettagli.
Esattamente alla base della formazione rocciosa poi vi è quella che sembra un’ombra nera.
Forse una sorta di figura stilizzata fatta di roccia nera, una rappresentazione stilizzata di un uomo munito di elmo che corre portando davanti a sè un oggetto voluminoso (un grosso scudo?) o è una formazione naturale? […] Non posso fare a meno di chiedermi continuamente quale sia il reale confine in quello che ho visto tra la realtà e la mia fantasia?
Eppure le stranezze e gli indizi visivi di quel luogo sono veramente troppe e mi fanno pensare che possa trattarsi di un potenziale, sconcertante sito preistorico sconosciuto tutto da studiare e scoprire. […] Ma chi possono essere stati i misteriosi artefici che in un lontano passato, in un luogo cosi scosceso e impervio hanno dato forma a un enigmatico volto megalitico e alla scultura zoomorfa al suo fianco? […] Forse i membri di una tribù dei Liguri che furono tra i più antichi colonizzatori di molte aree alpine? Forse i Celti che in quei territori riuscirono a integrarsi con loro perché anch’essi si rifacevano a culti naturalistici? Che divinità rappresentava quel testone che è rivolto verso la stessa montagna che ascende verso l’alto? Forse il dio Penn, il dio delle vette adorato anche, in tempi più recenti, dai Salassi gli antichi abitanti della Valle d’Aosta che tanto filo da torcere diedero ai legionari romani?
Non ne ho idea, ma riguardo il copricapo conico non rappresenta affatto un assurdo storico, la presenza in tempi antichi di un manufatto del genere è confermata da alcuni reperti archeologici come ad esempio il ciottolo in arenaria da Dogliani datato tra il VI- V secolo a.C.. […] Trattasi di una testa scolpita su un ciottolo fluviale di arenaria che presenta un copricapo conico suddiviso in tante scanalature verticali che farebbero pensare a delle possibili “cuciture”.
Quindi in questo caso presumibilmente doveva trattarsi di un copricapo realizzato con materiale organico (pelle o corteccia di betulla) e non in metallo. Rimando all’interessantissimo articolo sul sito “Gallica Parma” dal titolo “Ricostruire un copricapo ligure“, pubblicato il 16 giugno 2015, dove vengono evidenziati alcuni reperti archeologici che testimoniano l’esistenza di copricapi conici in tempi abbastanza remoti come l’elmo conico in bronzo da Fiorenzuola d’Arda (rinvenuto nel dragaggio del fiume Po e databile tra fine VI inizio V secolo NDR) o il copricapo conico celtico in corteccia di betulla rinvenuto nella tomba principesca di Hochdorf”. (Trattasi della tomba di un guerriero celtico della prima Età del Ferro scoperta nel 1977 a Hochdorf an der Enz, un villaggio nel Baden-Wurttemberg a nord di Stoccarda in Germania NDA)
12. Immagine sopra; Elmo conico in bronzo da Fiorenzuola d’Arda, rinvenuto nel dragaggio del fiume Po. Datato tra la fine VI e l’inizio del V secolo a:C.. (dahttps://www.gallicaparma.it/2016/12/23/ricostruire-un-copricapo-ligure/)
Personalmente i Liguri li vedo tra i possibili indiziati come colonizzatori di quell’area. Le origini dei Liguri sono sconosciute, Marco Porcio Catone, parlando di loro in termini poco lusinghieri rimarcava questo, li definiva ignoranti e bugiardi, un popolo che ha perso memoria delle proprie origini e anche Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C) riferisce che non si conoscono le origini dei Liguri.
Le fonti antiche, sia romane che greche (e non si sa nemmeno quanto realmente attendibili poiché di parte), sono carenti e ci forniscono solo un quadro parziale sulle caratteristiche e le vicissitudini dei liguri divisi in numerose tribù indipendenti (a loro volta organizzate in piccoli villaggi o castellari), ognuna delle quali prendeva autonomamente le proprie decisioni anche in contrasto con le altre.
I Liguri non conoscendo la scrittura ovviamente non ci hanno lasciato testimonianze scritte sulla loro storia, sui loro miti e di qui deriva per gli storici la grande difficoltà di ricostruire certi aspetti delle loro credenze e rituali religiosi.
Strabone d’altra parte dice “in quanto alle Alpi…molti popoli (éthne) occupano queste montagne, tutti Celti (Keltikà) tranne i Liguri; ma sebbene questi Liguri appartengano a un popolo differente (hetero-ethneis), essi sono simili ai Celti nel loro modo di vivere (bìois).
Abituati a una vita di sacrifici e duri sforzi fisici (ai quali partecipavano senza risparmiarsi pure le loro donne) e vivendo in stretto e diretto contatto con la natura aspra e selvaggia delle zone alpine i liguri risultarono però, da queste dure prove del loro vissuto quotidiano, temprati e forgiati sia nel fisico che nello spirito avendo sviluppato un temperamento indomito e vigoroso e una grande tenacia nei confronti di ogni avversità.
Diodoro Siculo scrive dei Liguri: “Essendo il loro paese montuoso e pieno di alberi, gli uni di essi tutto quanto il giorno impiegano in tagliar legname, a ciò adoperando forti e pesanti scuri; altri, che vogliono coltivare la terra, debbono occuparsi in rompere sassi, poiché tanto è arido il suolo che cogli strumenti non si può levare una zolla, che con essa non si levino sassi. Però, quantunque abbiano a lottare con tante sciagure, a forza di ostinato lavoro superano la natura […] si danno spesso alla cacciagione, e trovando quantità di selvaggiume, con esso si risarciscono della mancanza di biade; e quindi viene, che scorrendo per le loro montagne coperte di neve, ed assuefacendosi a praticare poi più difficili luoghi delle boscaglie, indurano i loro corpi, e ne fortificano i muscoli mirabilmente. Alcuni di loro per la carestia de’ viveri bevono acqua, e vivono di carni di animali domestici e selvatici”.
Per Diodoro Siculo i Liguri erano nemici assai temibili: pur non essendo particolarmente imponenti dal punto di vista fisico, la forza, la volontà e la tenacia fa di loro dei guerrieri più pericolosi dei Galli. […] Non avevano abitudine di fare prigionieri in guerra, i nemici vinti li uccidevano oppure li sacrificavano alle loro divinità. […] non avendoci tramandato i liguri fonti scritte, questo ha lasciato agli studiosi ampio spazio a diverse speculazioni intellettuali sia pure supportate da reperti vari e testimonianze archeologiche. Di certo si sa, da numerose evidenze archeologiche, che la loro religiosità è sfociata nella proliferazione di manifestazioni megalitiche. (Il riferimento è alle enigmatiche statue stele nella Lunigiana o a quelle rinvenute nell’area Megalitica di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta NDR).
13. Immagine sopra; Stele antropomorfe delle necropoli di Saint-Martin-de-Corleans ad Aosta (disegno G. Pavat 2023)
I Liguri erano ossessionati dal culto delle teste, così spesso rappresentate in quanto ritenevano che fossero “la sede dell’anima, il centro delle emozioni e il punto del corpo dove erano concentrati tutti i sensi, di conseguenza l’essenza del divino e da qui il suo culto”.
Tendevano quindi a divinizzare gli elementi e le forze della natura erigendo in luoghi elevati, o presso le cime dei monti, altari e centri sacri dove celebravano i loro misteriosi rituali.
I Liguri celebravano anche sacrifici umani?
A leggere l’estratto del poeta romano Marco Anneo Lucano (39-65 d.c) sulla religione dei liguri sembrerebbe proprio di si.
“Et nunc tonse Liger, quondam per colla decora Crinibus effusis toti praelate Comatae : Et quibus immitis placatur sanguine diro Teutates, horrensque feris altaribus Hesus ; Et Taranis scythicae non mitior ara Dianae. Vos quoque, qui fortes animas, belloque peremtas, Laudibus in longum vates demittitis aevum, Plurima securi fudistis carmina, bardi. Et vos barbaricos ritus, moremque sinistrum Sacrorum, druidae, positis repetistis ab armis”.
Traducibile in “Eccovi liberi, Comate dai lunghi capelli erranti sulle spalle bianche; e tu, Liguri, la cui fronte è senza capelli, ma il cui valore è più celebrato. Tu che plachi con inondazioni di sangue umano Teuta lo spietato, l’orribile altare di Hesus, e Taranis più crudele della taurica Diana; voi che ravvivate anime forti perse in battaglia, cantori la cui lode dà l’eternità, bardi! non hai più paura di ripetere i tuoi inni; druidi! riprendi i tuoi riti barbari, i tuoi sanguinosi sacrifici che la guerra aveva abolito”.
In questa ottica la pietra che guarda, cioè la roccia fortemente aggettante nel vuoto, presente nel sito di Derby poteva essere un antico trampolino sacrificale? Tra i numi tutelari dei liguri vi era anche Belanu, dio della luce (da Bel=luce) per il quale si eseguivano sacrifici e riti collegati ai solstizi; è solo una suggestione o il volto megalitico di Derby, collocato sull’estremità destra più alta di quella formazione rocciosa, è rivolto verso l’alto, verso la montagna stessa quasi volesse cercare la luce del sole?
E la presenza, poco al di sotto del Volto megalitico, di quel picco roccioso che svetta solitario sopra i boschi proiettando in certi momenti della giornata un’ombra più o meno lunga è casuale o costituisce una sorta di menhir disposto ad hoc?
Ammesso per ipotesi che il complesso megalitico di Derby sia davvero opera di una tribù di liguri i quali (da quel che sappiamo) non conoscevano la scrittura, perché sotto il volto megalitico è presente l’incisione di una lettera (R) dell’alfabeto fenicio che significa “Testa”?
Gli ignoti artefici di quella scultura avevano avuto dei contatti o scambi commerciali con i Fenici?
Forse le risposte a questi e molti altri interrogativi che sorgono inevitabili si celano proprio tra gli ombrosi anfratti, tra gli avvallamenti e le formazioni rocciose di quel luogo in gran parte ammantato di boschi di larici, pini e betulle.
Quella stessa natura selvaggia che gli antichi Liguri celebravano e divinizzavano nei loro misteriosi riti animisti e con la quale avevano, a prezzo di gravosi sacrifici, imparato a convivere appare ora una gelosa custode dei loro segreti.
Al tramonto del sole il Volto megalitico di Derby, muto testimone di riti caduti nell’oblio del Tempo appare esattamente metà in luce e metà in ombra. Incredibilmente suggestivo ma pure un po’ inquietante.
(Fabio Bertoletti)
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