LA SCALA DI PITAGORA.
Un racconto distopico di Alessandra Filiaci
Il Signor Enea B. ricopriva la funzione pubblica di Bibliotecario da oltre venti lustri. Il suo impiego gli permetteva di avere a disposizione un po’ di tempo libero ogni giorno al di fuori di quello stabilito di riposo per tutti i Cittadini Adulti.
Non esisteva nessun altro lavoro come il suo che non impegnasse gli abitanti di Felix Terra tutti i giorni dell’anno per dodici ore al giorno ad eccezione, appunto, di un giorno alla settimana, a rotazione, che ciascun Cittadino Adulto poteva dedicare agli svaghi concessi dal Direttivo, e della Sublime Giornata della Ricorrenza Annuale della Fondazione della Nuova Memoria.
Nel giorno di riposo e in quello della Ricorrenza Annuale ogni Cittadino Adulto, compreso il Bibliotecario e gli altri Funzionari, era sostituito nelle proprie mansioni dall’ologramma personale definito Compendiatore di Sintesi, reso attivo esclusivamente in quei giorni e nei casi di sopravvenuta emergenza. Le ore libere dal lavoro erano destinate: una al pranzo, una alla cena e le restanti al riposo notturno. Nessuno soffriva d’insonnia: tutti i Cittadini prima di coricarsi assumevano una pillola verde dal gradevole sapore e della grandezza della falange superiore del mignolo di una mano di misura media. Le pillole verdi erano distribuite gratuitamente dalla Direzione Centrale, organo pubblico sottoposto, come gli altri organi pubblici, direttamente al controllo del Direttivo, e il loro utilizzo non aveva bisogno di essere pubblicizzato: i genitori somministravano la Benefica Piccola Verde, altrimenti chiamata Pillola del Quieto Riposo, ai figli sin dalla nascita, insieme al primo alimento, al momento di metterli a letto, sussurrandone al loro orecchio le straordinarie virtù; ciò, fino a quando i bambini erano in grado di alimentarsi da soli ed erano capaci di inghiottire la pillola senza l’aiuto dei genitori.
Compiuti i due anni e sino al raggiungimento dei dodici, i bambini venivano presi in carico dal Centro Istruzione Pubblico ed al loro mantenimento e alla loro educazione provvedevano gli Insegnanti di Primo Grado della Benemerita Sorofratellanzietà. Successivamente, essi tornavano a vivere dai loro genitori e alla Benemerita Sorofratellanzietà era affidato soltanto il compito della loro istruzione fino al momento in cui erano pronti per essere dichiarati Cittadini Adulti e smistati nei Servizi di Pubblica Utilità, sulla base di criteri conosciuti soltanto dal Direttivo, che provvedeva, seguendo altri criteri, a trovare a ciascuno di loro un compagno o una compagna con cui formarsi una nuova famiglia. Il giorno del matrimonio i due novelli sposi comunicavano al Centro Unico Funzionari Coppie Ufficiali, che registrava l’avvenuta unione, i due cognomi scelti dai nubendi per la futura prole, uno tra i due paterni ed uno tra i due materni.
Alla disposizione relativa alla scelta del coniuge faceva eccezione tutto il Comparto Cittadini Funzionari Pubblici. Al pari degli altri Cittadini Funzionari, il Bibliotecario aveva facoltà, prima di insediarsi, di decidere – e per maturare tale decisione erano ritenuti sufficienti tre giorni lavorativi – se e quando contrarre matrimonio.
Il Signor Enea B., in particolare, aveva scelto di rimanere celibe sino alla fine del suo mandato. Non perché egli rifiutasse per principio o per indole il matrimonio, ma perché sapeva quanto fosse delicato il lavoro del Bibliotecario. Non che prima di lui qualcuno con quella mansione che fosse stato sposato avesse mai fallito in qualche modo e portato onta al Comparto, ma egli sin dall’età della ragione aveva maturato il convincimento che l’essere Funzionari fosse un privilegio e un onore e, come si insegnava a scuola, comportando quella funzione delle responsabilità e dei doveri ben più ponderosi di quelli dei Cittadini Comuni, si potesse svolgere il proprio servizio al meglio dedicandosi al lavoro anima e corpo. Oltre a ciò, se si fosse sposato, egli non avrebbe potuto trarre piena soddisfazione dal suo delicato incarico, e il Signor Enea B. non soltanto prendeva le cose molto sul serio sin dall’infanzia, ma anche aveva la propensione ad un sano egoismo.
La sua deliberazione, egli ne era ovviamente cosciente, avrebbe comportato l’impossibilità di avere figli, dal momento che avrebbe potuto scegliere la sua compagna solamente tra quante avessero maturato identica propensione. Che cosa sarebbe potuto accadere se la eventuale compagna fosse morta prima di lui lo ignorava, ma, per ovvie ragioni, non se ne preoccupava, e d’altronde di una tale evenienza non si preoccupava nessuno degli altri Cittadini, tutti confidando nella giustezza delle deliberazioni del Direttivo, composto dai Membri Elettori, che grazie ad una capillare rete di organizzazioni statali deteneva il potere, ma era soggetto, anch’esso, alle Leggi Supreme emanate dai Padri Fondatori della Nuova Civiltà che costituivano la Summa per la Pacifica Convivenza.
Nei grandi ambienti dell’edificio della Benemerita Sorofratellanzietà destinati ad accogliere i bambini fino ai dodici anni veniva insegnato loro tutto ciò che c’era da sapere sulle Prassi Giornaliere, sui Costumi Pubblici e sull’Armonia delle Leggi Universali, filtrate dai qualificati Insegnanti di Primo Grado che ne fornivano ai fanciulli soltanto i rudimenti che fossero comprensibili a quelle giovani vite. Dopo i dodici anni, i non più teneri virgulti venivano seguiti dagli Insegnanti di Grado Superiore e potevano studiare anche altre materie, selezionate al fine di farne degli amorevoli Cittadini Adulti.
In quella terra felice, in cui le norme del vivere collettivo erano stabilite dalla Summa ed applicate dal Direttivo, in cui tutto era regolato seguendo i Principii del Bene Comune che soltanto i Membri Elettori conoscevano, di tanto in tanto, tuttavia, si verificava un’anomalia: qualcuno rivolgeva con garbo al Funzionario preposto dell’Ufficio Informazioni Collettive una domanda che esulava dal conosciuto conoscibile.
Il Corpo Speciale Addetto al Mantenimento della Salubrità Pubblica ogni volta provvedeva a spegnere sul nascere qualsivoglia curiosità: il qualcuno veniva subito preso in consegna da un Funzionario dell’Ufficio Risoluzione Istantanea, il quale invitava affabilmente il curioso a seguirlo, e, dopo averlo rassicurato che alla di lui domanda avrebbe risposto un altro Funzionario, di grado superiore al suo, lo conduceva in una stanzetta di tre metri per tre, un cubo perfetto, spoglio di mobilia ad eccezione di un tavolo di metallo lucente e di una sedia del medesimo materiale. Chiusa delicatamente la porta che immetteva nell’ambiente, il solerte Funzionario invitava il qualcuno a mettersi comodo e ad attendere serenamente chi avrebbe a breve soddisfatto la di lui curiosità. Nel giro di qualche minuto da una porta più piccina, nascosta dietro ad un tendaggio di morbido sintex opalescente – di quel materiale erano intessuti tutti i tendaggi senza eccezione alcuna -, faceva il suo ingresso nella stanza un uomo abbigliato come il primo Funzionario: un’aderente tunica bianca a girocollo con ampie maniche, guanti, pantaloni e stivaletti senza stringhe nella stessa tonalità ed un copricapo rotondo, bianco anch’esso. Le maniche e i pantaloni erano bordati con nastri di colori diversi, a seconda del grado.
La solennità con la quale il secondo Funzionario appariva causava invariabilmente un senso di meravigliosa beatitudine nel curioso di turno, amplificata dallo sguardo profondo e magnetico del Funzionario, dall’aura mistica e misteriosa insieme che da lui emanava, dal soave profumo che con la sua apparizione si diffondeva nella stanza. A quel punto il Funzionario di grado inferiore usciva dopo essersi inchinato davanti al suo Superiore, senza proferire parola, continuando a sorridere al curioso e ponendogli il palmo della mano destra sulla spalla sinistra per scendere poi sul torace fino a fermarsi all’altezza del cuore. Il secondo Funzionario, dopo avere guardato fissamente negli occhi il curioso per qualche istante, lo invitava a chiuderli e subito dopo iniziava a parlargli, facendo uso di dolci mezzi dissuasivi consistenti in richiami alla mitezza, beninteso mai ad alta voce, ma sussurrati, aventi lo scopo di obliare in chi li udiva le più recenti memorie. Ad essi si univano, dopo qualche istante, particolari sottofondi musicali che si materializzavano all’improvviso dal nulla, atti a rinforzare l’effetto delle suadenti parole.
Ovviamente, il Funzionario, prima della immissione nell’ambiente di quelle gradevoli armonie, provvedeva a coprirsi le orecchie con delle piccole cuffie acustiche adeguatamente insonorizzanti, dopo averle estratte da una delle tasche della tunica. Il movimento era tanto rapido che se il curioso avesse tenuto gli occhi aperti non se ne sarebbe accorto tanto facilmente, precipitato in uno stato di vaga sonnolenza causatagli dai tranquillizzanti e ininterrotti mormorii del Funzionario.
Nel raro caso che i mormorii e le melodie non avessero prodotto l’effetto voluto, il Funzionario si muoveva verso una parete e premeva un punto segnato con una C e una D, iniziali delle parole: CASO DIFFICILE. Allora, subito alla musica si alternavano il rilassante suono dell’acqua che scorre e lontani richiami di uccelli, mentre i continui, ipnotici richiami del Funzionario a godere delle meravigliose armonie e di dimenticare l’inutile, vano quesito, erano sostituiti dall’invito bonario al curioso “Caso Difficile” ad assumere due pillole, di colori diversi ma della stessa grandezza della Benefica Piccola Verde, che in pochi minuti ispiravano a chi le aveva ingoiate un senso di pace assoluta; una pillola era azzurra come il cielo terso e l’altra bianca come le vesti candide indossate da tutti i Funzionari.
L’organizzazione della società nella quale viveva il Signor Enea B. non era perfetta, ma perfettibile; i Membri Elettori, i quali erano preposti anche all’espletamento delle funzioni religiose e da centinaia d’anni, di generazione in generazione, provvedevano al mantenimento del Benessere Olistico dei Cittadini, ne erano perfettamente consapevoli. Nessuno di loro, peraltro, per quanto potesse sembrare strana la curiosità manifestata molto raramente da qualcuno, perdeva mai la calma; nessuna curiosità era mai parsa loro tanto strana da meritare un’inchiesta approfondita e l’applicazione di una pena severa, pure contemplata dalla Summa, ma mai messa in atto. Finché arrivò il giorno in cui accadde qualcosa che meritava una particolare attenzione.
Una mattina un Cittadino, recatosi all’Ufficio Informazioni Collettive, domandò per quale motivo, ad eccezione del Cittadino Bibliotecario, i Cittadini lavorassero per dodici ore al giorno, tutti i giorni della settimana tranne due, e non avessero altri svaghi in quei giorni se non quelli consigliati benevolmente dal Direttivo: la lettura dei testi conservati nella Biblioteca, un numero minimo di opere alle quali il Pubblico poteva accedere, le sole rese disponibili dal Direttivo, e la visita ai parenti, con i quali condividere la visione del rilassante spettacolo di immagini della natura trasmesso dagli schermi casalinghi, immagini che venivano trasmesse ininterrottamente ogni giorno dell’Anno Cosmico Lunare Solare anche da quelli comunitari installati nei centri abitati e posizionati a distanza di trenta metri l’uno dall’altro. Le immagini fruibili dalla collettività, che variavano ogni ora ed erano accompagnate, in virtù di un sofisticato sistema sonoro ed olfattivo, da melodie e profumi che contribuivano a mantenere una uniforme serenità nell’animo di ognuno, erano quelle dei prati, dei giardini ben curati e e dei boschi realizzati, insieme a laghetti e piccoli corsi e cascatelle d’acqua dolce, ai margini estremi delle città. Quegli spazi verdi erano visitabili nella Sublime Giornata della Ricorrenza, purché se ne facesse richiesta, almeno trenta giorni prima, al Centro Festività Autorizzata che rilasciava a tale scopo un pass, del medesimo colore della Pillola del Dolce Riposo, sul quale erano riportati i dati sensibili del Cittadino Adulto che aveva inoltrato la domanda e l’orario in cui gli era consentito l’accesso. Medesimo iter burocratico ma diverso pass, più piccino dell’altro, occorreva invece per entrare nei centri denominati Zoolandia, arche di Noè che ospitavano le specie animali discendenti da quelle scampate, migliaia di anni prima, alla catastrofe planetaria in seguito alla quale l’umanità superstite era stata costretta a ripensare il suo rapporto con la Natura.
Essendo tutto organizzato nei minimi particolari da centinaia e centinaia d’anni e da centinaia e centinaia d’anni i Cittadini essendo nati e cresciuti seguendo le regole del Direttivo, sempre le stesse, era dunque un mistero, per il Direttivo, che qualcuno avesse posto siffatte domande, beninteso in modo pacato giacché tutti ignoravano che cosa fosse la violenza, fisica o verbale. Quasi nessuno, in verità. Soltanto il Direttivo era a conoscenza del fatto che millenni prima della Rifondazione gli esseri umani, dopo un lungo periodo di pacifica convivenza, a causa del riemergere del primordiale istinto di sopraffazione (i testi ereditati dai primi Membri Elettori non ne chiarivano le cause) erano divenuti via via sempre più aggressivi gli uni nei confronti degli altri e la ferocia, l’intolleranza, il desiderio di vendetta, si erano a tal punto impadroniti degli animi che la società era precipitata nel caos più completo e si era arrivati ad un passo da una guerra totale che non avrebbe lasciato in vita nessuno. Sull’orlo dell’abisso, un asteroide aveva spazzato via oltre i tre quarti della popolazione mondiale e la società, giocoforza, era cambiata.
In quell’organizzazione ottimale della specie umana messa a punto dai Padri Fondatori, chi poteva mai, dunque, aver fatto sorgere gli inusuali quesiti nella mente di quel Cittadino? Forse, aveva ipotizzato uno dei Membri Elettori, era stato l’unico tra i Cittadini ad avere diritto a due ore in più di tempo libero ogni giorno lavorativo; l’unico, ad avere accesso alla parte della Biblioteca non aperta al Pubblico; l’unico, ad avere la dignità in vita del titolo “Signor” connesso col suo ufficio e a potersi fregiare, per il medesimo motivo, del nome “Enea B”. Difatti, tutti i Bibliotecari, uomini scelti sulla base delle migliori qualità richieste per svolgere quella delicata funzione, si erano chiamati e si sarebbero chiamati “Enea B.”, con la B. che ne indicava la qualifica: B. per Bibliotecario, appunto (nel Compendio dei Bibliotecari essi erano classificati e dunque distinguibili l’uno dall’altro soltanto in virtù della serie numerica assegnata dopo il punto seguente la lettera B). Il motivo per il quale il Bibliotecario dovesse chiamarsi “Enea” era noto, ovviamente, soltanto ai Membri del Direttivo.
Era stato lui, dunque, il Cittadino Bibliotecario, a seminare il dubbio nella mente di quel curioso che si era rivolto all’Ufficio Informazioni Collettive ponendo quelle bizzarre domande inerenti le ore di lavoro e gli svaghi? I Membri Elettori più anziani non si erano mai trovati in un frangente simile. La cosa, come s’è detto, meritava un’attenzione particolare. Immediatamente furono convocati i Funzionari più alti in grado del Corpo Speciale per indagare, oltre che sul Cittadino curioso, anche sullo stato operativo del Bibliotecario.
Intanto, il Signor Enea B. trascorreva le sue ore di onorato servizio nella Biblioteca. Non che fosse un lavoro faticoso, tutt’altro: i testi liberi alla consultazione non avevano bisogno di essere spolverati, infatti i Cittadini potevano leggerli, necessariamente soltanto dopo essersi rivolti a lui, sfiorando un tasto olografico su un visore anch’esso olografico, tutto qui, avrebbero saputo farlo anche i bambini al di sotto dei dodici anni, se non fosse che fino a quell’età l’accesso alla Biblioteca era loro negato, mentre i ragazzi dai dodici fino ai sedici anni potevano entrarvi soltanto se accompagnati da uno degli Insegnanti della Sorofratellanzietà che ne permettevano l’accesso soltanto per consultare i testi a loro destinati.
Quelli che ora pulsavano di una luce che da bianca si trasformava in azzurra e da azzurra in bianca davanti agli occhi del Signor Enea B. erano i titoli dei libri a disposizione degli adulti sopra ai novant’anni; al di sotto di quell’età e sopra i sedici anni tutti i Cittadini ne avevano altri, anch’essi accuratamente selezionati, da poter leggere, lì, in Biblioteca, oppure (ma in tal caso si doveva farne richiesta con largo anticipo e soltanto dopo l’assenso del Corpo Speciale, il che significava dover attendere anche dei mesi, sempre che la richiesta fosse accolta) sugli schermi delle case in cui abitavano, assegnate alle famiglie sulla base di criteri che solamente il Direttivo conosceva.
Quell’immensa Biblioteca era stata concepita e poi realizzata seguendo questo criterio: in un’ala del monumentale edificio erano conservati i testi consultabili dai Cittadini, ai quali, superfluo dirlo, il Direttivo aveva libero accesso; nell’altra ala erano custoditi libri ed altri oggetti antiquati, risparmiati dalla catastrofe planetaria soltanto grazie all’interessamento disinteressato dei Primi Custodi, i Fondatori della Biblioteca, i quali li avevano raccolti da piccole biblioteche sparse in tutto il mondo e dalle abitazioni private sopravvissute all’apocalisse e catalogati con immane fatica.
Nessuno conosceva l’esistenza di quelle antichità ad eccezione dei Membri Elettori, del Bibliotecario e dei Funzionari del Corpo Speciale e del Centro di Soccorso e Salvaguardia Reperti Vetusti; il Bibliotecario, però, era il solo tra costoro a non essere autorizzato ad accedere liberamente a quelle vecchie opere cartacee e a quegli altri oggetti che nessuno, da tempo immemorabile, utilizzava più. Peraltro, nessuno dei Membri Elettori in carica, né i loro predecessori fin oltre la settima generazione, aveva mai consultato il Catalogo Inventario dei Reperti, né aperto uno solo di quei libri di carta, né toccato uno solo di quegli oggetti, di molti dei quali si ignorava l’utilizzo. Al Bibliotecario non era consentito neanche sfiorare uno solo di quei manufatti; in caso di evidenti irregolarità nel Sistema di Controllo, egli era tenuto ad informarne immediatamente il Centro di Soccorso e Salvaguardia Reperti Vetusti.
Orbene, il Signor Enea B.. all’oscuro del fatto che il Corpo Speciale stesse indagando su di lui, si trovava in Biblioteca a controllare che tutto funzionasse a dovere. Ogni giorno, due volte al giorno, egli ispezionava l’intero edificio: al mattino, appena arrivato, e alla sera, prima di andare via. Nel suo giro di ispezione non aveva mai mancato di recarsi anche nell’ala destinata a contenere i testi di carta, conservati in lunghe ed alte librerie all’interno di gigantesche teche trasparenti, appositamente ventilate, e gli altri oggetti; tutto ciò era custodito in un unico ambiente le cui pareti erano composte di un materiale, anch’esso trasparente, che il Bibliotecario non avrebbe saputo dire quale fosse. La stanza contenente le antichità era provvista di un sistema di sicurezza autonomo che consentiva di intervenire senza mettere a rischio l’integrità dei manufatti in essa contenuti. Il Bibliotecario vi poteva accedere, ma soltanto nella remota evenienza che potesse verificarsi un imprevisto di tale entità da non permettergli di contattare all’istante il Centro di Soccorso e Salvaguardia Reperti Vetusti, attraverso una porta che poteva aprirsi grazie ad un codice che, per quanto composto da una lunga fila di lettere e numeri, egli conosceva a memoria e che poteva essere inserito dalla sua postazione o digitato direttamente sulla tastierina a sfioro sul lato sinistro della porta e questa si sarebbe aperta, oppure chiusa, a seconda della necessità. Soltanto nel caso del verificarsi di una grave anomalia il Signor Enea B. sarebbe potuto entrare nella stanza per verificare dall’interno la sua portata, ma mai, mai egli avrebbe potuto toccare una delle antichità ivi custodite.
Proprio quel giorno accadde ciò che non era mai accaduto in tanti decenni di onorato servizio. Il Bibliotecario, nel corso della sua ispezione mattutina, giunto davanti a quella porta si fermò e, gettato uno sguardo all’interno della stanza, gli parve che uno degli oggetti visibili dall’esterno mostrasse segni di cedimento, essendosi inclinato verso il basso. Egli, seguendo un bizzarro, inspiegabile, istinto, dopo avere digitato il codice sulla tastierina a sfioro sul lato sinistro della porta entrò e velocemente si approssimò al reperto; si avvicinò tanto all’oggetto da riuscire ad intravvedere, all’altezza del quarto dei dieci gradini dal basso, una piccola etichetta di metallo, nascosta in un punto difficilmente visibile e parzialmente ricoperta da una spessa patina nera. Che l’oggetto fosse una scala di legno egli lo sapeva già: nell’Omnicatalogo del Bibliotecario il reperto, uno dei più antichi della collezione e uno dei pochi di cui si conosceva l’utilizzo nel passato remoto, era classificato come segue: “Scala in legno in uso prima dell’arrivo dell’asteroide. Gli esseri umani ne salivano e scendevano i gradini per superare agevolmente un dislivello”. Il Bibliotecario, dunque, aguzzò la vista e si fece tanto prossimo al reperto da riuscire a leggere sulla parte dell’incisione che non era coperta dalla spessa patina scura: Scala… di… Pitagora… ditta… ebanisti… 19…
Il Bibliotecario, incuriosito, accarezzò l’etichetta, poi con l’unghia dell’indice della mano destra provò a grattare via un po’ di quel nerume, senza riuscirvi.
Sul momento il Signor Enea B. non si era reso conto di avere commesso una grave negligenza; se ne avvide soltanto dopo essere uscito dalla stanza. Un’emozione sconosciuta si fece strada dentro di lui, facendogli imperlare la fronte di sudore. Doveva rivelare la sua distrazione ai suoi Superiori o era preferibile mantenere il segreto?
Il Bibliotecario deglutì a fatica. Si sentì pervadere il corpo da un tremore del tutto sconosciuto. Ripreso il dominio su se stesso, si lambiccò il cervello per qualche minuto, valutando i pro e i contro, ed infine prese l’unica decisione che gli parve essere la più sensata, sebbene non la più onesta: non farne parola con nessuno, mai, per nessun motivo; ne andava della sua immacolata reputazione di onorevole Funzionario. Dopo tutto non gli sembrava, rassicurò se stesso, una cosa tanto seria da dover essere segnalata. Tornato alla sua postazione si sarebbe limitato a comunicare il problema che aveva riscontrato, tacendo, ovviamente, sul suo intervento diretto. Asciugatosi la fronte dal sudore freddo con il dorso della mano destra, proseguì il suo giro d’ispezione.
La sua notte, grazie alla consueta pillola verde, trascorse tranquilla e i due giorni che seguirono il Signor Enea B. aveva ritrovato, o così voleva credere, la serenità. Una nuova seccatura, però, era in agguato. La mattina del terzo giorno, mentre consultava gli Archivi per un Cittadino, gli parve che le parole Scala di Pitagora apparissero di punto in bianco sul suo Dispensatore di Letture Accessibili. Le pronunciò ad alta voce, poi guardò meglio e si rese conto che aveva letto male. Ma ormai il Cittadino le aveva udite e di rimando gli aveva osservato: <<Scala di Pitagora? Veramente avevo chiesto di poter consultare un altro testo>>.
Il Bibliotecario, pur trovandosi in forte imbarazzo, riuscì tuttavia ad annuire sorridendo.
<<Qual è l’argomento?>>, gli domandò il Cittadino.
Il Bibliotecario, preso alla sprovvista, condizionato dall’argomento richiestogli, pescò nella memoria il titolo di un’opera attinente.
<<È un testo di Matematica Convergente sui Massimi Sistemi>>, rispose senza alzare gli occhi dal Dispensatore.
<<Mi piacerebbe leggerlo>>.
Il Bibliotecario, a quel punto, doveva trovare velocemente una soluzione. Ma quale? La risposta affiorò in maniera del tutto inattesa sulle sue labbra: il titolo dell’opera era scomparso dagli Archivi. Subito dopo avere pronunciato quelle parole egli si rese conto di avere commesso un’ulteriore superficialità. Dentro di lui sentì sollevarsi un’altra onda di quella sgradevole emozione che tre giorni prima lo aveva assalito.
Gli era evidente che le lettere incise sulla targhetta si erano insinuate nel suo cervello più profondamente di quanto non aveva sperato e che il senso di colpa stava lavorando dentro di lui, come uno di quegli sgradevoli animaletti chiamati “tarli” che egli sapeva avevano afflitto i bibliotecari millenni prima. Ma perché, perché non si decideva a raccontare tutta la verità ai suoi Superiori su quanto era accaduto nella stanza delle antichità? Il Signor Enea B. si sforzò di mantenere la calma.
<<Eccolo qui, il testo che vuoi consultare: Matematica di Compensazione Idraulica>>. Con un largo sorriso, comunicò la posizione dell’opera al Cittadino, poi gli augurò una buona lettura. Dopo che il richiedente se ne fu andato, rimasto solo il Bibliotecario si accasciò sul sedile. Un senso di stordimento lo invase, mentre altre domande gli andavano affollando la mente. Il Cittadino avrebbe riferito a qualcuno quel che aveva udito? Come si sarebbe dovuto comportare qualora il suo segreto fosse stato scoperto dai Membri del Direttivo? E una volta vagliate le sue mancanze, egli avrebbe dovuto dire addio al lavoro che tanto lo gratificava e alla divisa di cui tanto andava fiero?
Quella sera il Signor Enea B. si mise a letto con un lancinante mal di testa; si girò e rigirò a lungo tra le lenzuola, provando inutilmente ad addormentarsi. Dopo qualche ora di affanno egli prese, infine, quella che reputò essere l’unica risoluzione che avrebbe potuto sì costargli una severa punizione, ma non l’adorato impiego: riferire l’infrazione al regolamento ai suoi Superiori. Non nell’immediato, tuttavia, giacché egli doveva trovare una valida giustificazione al suo agire insensato. Rappacificatosi con se stesso, il rimuginio cessò, il suo cuore riprese a battere con regolarità e il sonno lo colse nella posizione di un bebè rannicchiato sulla pancia della mamma.
Il giorno successivo, il Signor Enea B. si svegliò, contrariamente alle aspettative della sera prima, con uno stato d’animo molto agitato. Durante la notte la sua coscienza gli aveva lanciato un messaggio d’allarme che non poteva ignorare: aveva sognato se stesso al cospetto dei Superiori scusarsi invano per avere taciuto la sua distrazione e quelli minacciarlo di deporlo dal suo incarico puntando i loro indici accusatori contro di lui. Nonostante il forte disagio, il Bibliotecario si recò al lavoro con la ferma intenzione di svolgere la propria mansione senza farsi travolgere da pensieri ed emozioni molesti, che, si ripromise, si sarebbe sforzato ad ogni costo di tenere sotto controllo fino al momento di ricevere la reprimenda che certamente sarebbe stata emessa in seguito alla lettura, da parte dei Superiori, della sua Relazione Confessa, che egli aveva ottimisticamente programmato di presentare il mattino seguente o tutt’al più il successivo o quello dopo. Seduto nella sua postazione, prima di mettersi come di consueto al servizio dei Cittadini, egli avrebbe richiesto al Sistema di visionare il modello da compilare, contenuto in fondo al R.I.A.O.S. – Regolamento Interno Ab Origine Sempiterno – e messo a punto, anche quello come il resto, dai Padri Fondatori nella remota, anzi remotissima eventualità che un Bibliotecario potesse commettere in un lontanissimo futuro un macroscopico arbitrio nello svolgimento delle proprie funzioni. Per una ragione a lui inspiegabile, il Signor Enea B. tuttavia non riusciva a ricordare se il modello fosse seguito oppure preceduto da un elenco dei reati e delle relative sanzioni, e la sua smemoratezza al riguardo e l’ignorare quale pena gli sarebbe stata comminata gli causarono un ulteriore turbamento.
Figurarsi quale avvilimento e quale timore avrebbero potuto prodursi nel suo animo se egli fosse venuto a conoscenza del fatto che il giorno prima, nel pomeriggio, uno dei Membri Elettori, il Responsabile Incaricato alle Comunicazioni Esterne ed Interne Superiori ed Inferiori per quell’anno lunisolare era stato informato dal Funzionario del Corpo Speciale più alto in grado che un Cittadino si era rivolto all’Ufficio Informazioni Collettive chiedendo dove potesse trovare un’opera di Matematica Convergente sui Massimi Sistemi intitolata “Scala di Pitagora”, che aveva sentito nominare dal Bibliotecario il quale, tuttavia, gli aveva affermato che il titolo del testo era <<scomparso dagli Archivi>>.
Subito, il Membro Elettore ne aveva parlato agli altri Membri del Direttivo e tutti si erano lambiccati il cervello sul come potesse essersi verificata una tale stramberia. Un interrogativo seguì l’altro. Chi era questo Cittadino? Quale ruolo rivestiva nella società? Poteva mai essere che il Bibliotecario si fosse confuso? Se il testo era realmente scomparso dagli Archivi, perché il Bibliotecario non aveva immediatamente informato di ciò i suoi Superiori? E, infine, com’era mai possibile che nell’arco di pochi giorni due distinti Cittadini lo avessero citato per motivi diversi? Dalla prima indagine non era risultato nessun addebito a suo carico, ma ecco che si presentava una nuova, e ben più grave, questione che lo riguardava e questa volta non si potevano avere dubbi su un suo coinvolgimento diretto.
Uno dei Membri Elettori avanzò l’ipotesi che il Signor Enea B. stesse perdendo il ben dell’intelletto. Un altro obiettò che egli era sì anziano, ma ancora mancavano trent’anni al compimento dei centosettantacinque che gli avrebbero permesso di riposarsi nella Casa di Ristoro dell’Età Placida.
Fu chiaro a tutti che qualcosa non tornava e non era qualcosa che si potesse sottovalutare, perciò, tutti concordi, fu convocato immediatamente il Responsabile Capo del Corpo Speciale al fine di investigare, con obbligo di riferire al Direttivo, tenuto conto dei sofisticati Mezzi di Esplorazione Diurni e Notturni in carico al Corpo Speciale, entro il tempo massimo di quarantotto ore terrestri, ritenute, secondo il parere unanime dei Membri Elettori, più che sufficienti per svolgere le indagini e rendicontare. Nel frattempo, i Membri del Direttivo avrebbero consultato il Libro Terzo delle Istruzioni Connessioni Astrali e Sinaptiche Omniverso.
La mattina in cui il Signor Enea B. aveva stabilito di presentare la sua Relazione fu contattato ampiamente prima dell’inizio del proprio orario di lavoro sul suo Appendix da polso: una voce ignota lo invitava benevolmente a presentarsi entro un’ora al Centro Smistamento Corpo Speciale Affari Pubblici, Ufficio Marcatura Vigilanza Disciplina, ultimo piano, ultima stanza a sinistra in fondo al corridoio, per chiarimenti, senza specificarne il motivo, e aggiungeva che il suo ologramma era già stato attivato, perciò egli avrebbe potuto godere, per quel giorno, di un surplus di svariate ore di riposo.
Sul momento il Bibliotecario rimase senza parole; d’altra parte, quali parole avrebbero potuto esprimere la profondità del suo senso di vergogna?
Fattosi forza, egli si limitò a ringraziare un istante prima che la voce ignota chiudesse il contatto e un istante dopo fu colto da un senso di smarrimento e al contempo di liberazione, prima di precipitare di nuovo nello sconforto più nero.
Trascorsi alcuni minuti all’impiedi incapace di formulare qualsiasi pensiero, qualcosa dentro di lui finalmente fece appello al suo senso di responsabilità e lo richiamò ai suoi doveri.
Pur prostrato nel profondo, il Bibliotecario si fece coraggio e andò incontro al suo ignoto destino.
Presentatosi puntuale alla convocazione, il Signor Enea B. fu introdotto da un cordiale Funzionario preposto all’accoglienza in un’ampia stanza esagonale, nella quale erano già presenti, seduti su alti scanni, altri due Funzionari, i quali dopo averlo salutato affabilmente lo fecero accomodare di fronte a loro. L’incontro durò il tempo della lettura di un documento di poche righe, che tuttavia al Bibliotecario parve interminabile.
Riaccompagnato dal primo Funzionario all’uscita dell’edificio, il Signor Enea B. si allontanò barcollando; fatti pochi passi, nonostante la volontà che lo indirizzava verso casa, i suoi piedi si mossero, come se vivessero di vita propria, in un’altra direzione. Egli iniziò a vagare per le vie della città completamente assorto nei propri pensieri, formulando svariate ipotesi sulla sorte che lo attendeva, ma nessuna che reputasse convincente, che si alternavano al ruminare mentale sul discorso che gli era stato letto che lo inchiodava alle proprie responsabilità.
Ma ciò che maggiormente lo manteneva in uno stato di allarme e di afflizione era il fatto che, contrariamente alle proprie aspettative, nessuna sentenza era stata emessa, l’ultima parola spettando, come gli era stato comunicato in quella stanza, ai Membri Elettori, essendo il suo, addirittura, un caso classificato: “abnorme”, a causa della straordinarietà della gravità delle sue azioni ed omissioni. Egli avrebbe conosciuto il giudizio del Direttivo solamente il giorno dopo, come gli aveva anticipato uno dei due Funzionari, il quale, prima di congedarlo, lo aveva bonariamente invitato a presentarsi il mattino seguente nel medesimo ufficio alla stessa ora per la lettura del Verdetto Senza Appello.
Trafitto nel proprio intimo da un’angoscia sempre più crescente, il Bibliotecario girovagò per ore senza mèta e soltanto all’imbrunire, finalmente, non sapeva come, fece ritorno a casa. Con lo stomaco chiuso per l’apprensione, non toccò cibo e subito dopo avere ingoiato la Benefica Piccola Verde si mise a letto, sentendosi febbricitante. Quella notte il Signor Enea B. non riuscì ad addormentarsi; sudava come non aveva mai sudato prima in vita sua, fagocitato dall’ansia che quasi gli aveva fatto perdere il lume della ragione.
L’incertezza della pena e la consapevolezza di avere perduto l’onore e l’amor proprio gli toglievano il respiro e gli facevano bruciare la pelle, come quando – il ricordo dell’evento balenò nella sua mente all’improvviso – da bambino aveva mangiato di nascosto dai genitori una seconda porzione del suo dolce preferito.
Alle prime luci dell’alba il Signor Enea B. iniziò a vedere tutto scuro intorno a sé. Con uno sforzo supremo, annaspando, allungò una mano verso il PhonoVelox per contattare il Servizio Celere di Sanità, poi svenne.
Pochi giorni più tardi, ancora privo di forze nel suo letto nella Casa Generalizia Cure Palliative ed Integrali, un Funzionario di settimo grado del Corpo Speciale gli fece visita.
Il Funzionario gli comunicò che il Direttivo aveva provveduto a sostituirlo nelle sue mansioni e che una volta rimessosi in piedi, dopo essersi presentato davanti al Consiglio Generale di Tenuta in Ordine ed Armonia, sarebbe stato ospite lavorante nella Casa Generalizia per il Bene di Recupero Olistico fino alla fine dei suoi giorni.
Dopo avere pronunciato senza rivelare emozione alcuna quelle parole – che provocarono un indicibile senso di vergogna e un indescrivibile senso di smarrimento nell’ex Bibliotecario -, il Funzionario si frugò nella tasca sinistra della tunica e ne trasse un piccolo contenitore nel quale erano alloggiate svariate pillole di un meraviglioso verde brillante che il deposto Bibliotecario non aveva mai veduto prima. Il Funzionario prese una di quelle pillole e gli chiese con amabile gentilezza di aprire la bocca e di tirare fuori la lingua. Deciso a non commettere un altro errore, egli non ebbe tentennamenti. Inghiottì la pillola, grande quanto un seme di girasole.
Il Funzionario lo rassicurò, accarezzandogli la fronte: <<Vedrai che fra poco ti sentirai meglio. Non ricorderai questa conversazione, né la tua funzione di Bibliotecario. Vivrai ancor più serenamente di prima>>.
Quello che era stato il Signor Enea B. sentì il suo corpo avvolto da un tiepido, piacevole calore, la mente svuotarsi. L’uomo con la tunica bianca aveva ragione: non si era mai sentito meglio. Si addormentò sereno, felice che ci fosse qualcuno ad occuparsi di lui.
(Fine)
(Alessandra Filiaci)
-Le immagini sono state fornite dall’autrice.
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(Della stessa autrice: “Adele”; link: https://www.ilpuntosulmistero.it/adele-un-racconto-di-alessandra-filiaci/)






















