Una fotografia che coglie l’insieme delle “Pietre di Ale”
Ricerche e testo di Giancarlo Pavat
Fotografie di Gianluca Riggi
Non soltanto Menhir e Dolmen. Nel panorama deli manufatti e strutture megalitiche ricoprono una posizione importante affascinante le cosiddette “Navi (o Barche) di pietre”.
Manufatti peculiari dell’area scandinava.
La “Nave di pietra” forse più straordinaria e che ha suscitato maggiori polemiche tra archeologi accademici, ricercatori di confine, romantici sognatori, nazionalisti scandinavi, e semplici appassionati, è certamente l’enorme manufatto che da un’altezza di circa 37 metri su un promontorio che si protende nel Mar Baltico, sorveglia l’orizzonte a 360°, 180° sulla distesa marina e 180° sulla terraferma.
Si tratta di Ales Stenar, chiamata la “Stonehenge della Scandinavia”.
Questa formazione monumentale di pietre si trova appena fuori il villaggio di pescatori di Kåseberga, circa diciotto chilometri a Sud-est di Ystad nello Scania (in svedese: Skåne).
Il promontorio su cui sorge è incredibilmente piatto, un verdeggiante pascolo per gli animali (non è raro incontrare delle mucche che brucano tranquillamente l’erba all’interno della struttura) a decine di metri di altezza sopra una spiaggia di ciottoli. Da là sopra la vista sul Baltico è davvero mozzafiato.
Arrivare ad Ales Stenar vuol dire farsi avvolgere, rapire, da emozioni contrastanti. Anche se non si conosce la storia del sito, si percepisce comunque che ci si trova davanti a qualcosa di straordinario.
Una gigantesca arca arenatasi dopo un cataclisma. Ecco quello che sembra Ales Stenar. Oppure appare come una imbarcazione in procinto di essere fatta scivolare tra le onde per salpare verso un viaggio fino ai confini del Mondo.
Veduta aerea del sito: immagine di David Bengtsson
La struttura è formata da 59 grandi massi disposti a disegnare la forma di una imbarcazione lunga 67 metri e larga 19 metri. I massi sono tutti più o meno della medesima altezza. Quelli situati in corrispondenza della prua sono alti circa 3,3 metri e sono di dimensione maggiore rispetto a quelli posti in corrispondenza della poppa, i quali misurano invece circa 2,5 metri.
Che cosa sia davvero Ales Stenar, a quando risalga e chi l’abbia realizzato, sono domande che ancora attendono una riposta certa.
Nel corso degli ultimi decenni sono state formulate numerose ipotesi su Ales Stenar. Le speculazioni sui significati astronomici, geometrici, geografici e mitologici di questa maestosa imbarcazione con i suoi 59 giganteschi macigni, hanno fatto perdere il sonno a parecchia gente.
Comunque, seppur lentamente, gli archeologi svedesi sono riusciti a gettare un po’ di luce su alcuni aspetti del monumento.
La più antica testimonianza scritta di Ales Stenar la dobbiamo ad un viaggiatore del 1624, Niels Ipsens. Per avere una prima raffigurazione bisogna attendere un secolo e mezzo dopo. Infatti, nel 1777 C.G.G. Hilfeling realizzò alcuni famosi disegni della “Nave di pietra”. Infine, esiste una accurata descrizione del 1853, stesa da Nils Gustaf Bruzelius.
Il ricercatore polacco Andrew M. Kobos, in uno studio del gennaio 2001, “Ales Stenar. When? Who? What for?”, sottolinea come sia “abbastanza sorprendente che fino alla fine del 1980, in Svezia, ci sia stata una certa mancanza di un più ampio interesse scientifico per il sito. Forse a causa dell’abbondanza di simili monumenti in pietra preistorici in tutta la Svezia”.
Finalmente, a partire dal 1989, si sono svolte esplorazioni e campagne di scavo presso il sito da parte di un team interdisciplinare guidato dalla professoressa Märta Strömberg dell’Università di Lund nella Svezia meridionale.
La letteratura sull’argomento, per quanto possa sembrare incredibile, non è poi così vasta. Perlomeno quella con accettabili basi scientifiche. Lavori basati più su supposizioni, intuizioni, voli di fantasia o peggio, ce ne sono a iosa, soprattutto sul web. Ovviamente sto parlando di pubblicazioni o libri in svedese o inglese. In italiano la desolazione è ancora maggiore.
Cercherò qui di seguito di sintetizzare lo stato attuale delle conoscenze, anche grazie allo scambio personale di e-mail con alcuni dei protagonisti delle ricerche su Ales Stenar e basandomi sui dati emersi dagli scavi del team della Strömberg. Anche se non tutti i risultati sono stati pubblicati.
Il primo enigma che si è tentato di sciogliere è certamente quello del nome. Secondo alcuni ricercatori, in norreno “Ales Stenar” significherebbe semplicemente “una cresta”. Asserzione che si sposa a perfezione con la topografia del luogo, visto che sorge su una dorsale della riva del Baltico.
Altri, basandosi su una leggenda locale, affermano che “Ale” sarebbe il nome del capo vichingo, vissuto un tra l’VIII e il IX secolo d.C., sepolto all’interno del monumento. Quindi il nome andrebbe tradotto come “Le pietre di Ale”.
“Tuttavia, non esiste alcuna prova storica di tale nome vichingo” spiega Andrew M. Kobos “Un’altra leggenda riporta che circa nell’anno 1000, un capo vichingo, Olav Tryggvasson, fu sepolto su questo crinale insieme con la sua nave. Oskar Montelius (1843-1921), il famoso studioso svedese dei tempi preistorici “pagani”, parlando nel 1917 della forma della “nave” di Ales Stenar, suggerì che si trattava di un monumento collettivo per i vichinghi che erano morti nei loro viaggi di conquista”.
L’altra questione principale (e spinosa) è la datazione. Se si fa una rapida ricerca sul web (e ribadisco che i siti seri su Ales Stenar sono decisamente pochi) ci si imbatte in date che vanno dal 4000 a.C. al 600 d.C.. È chiaro che l’appassionato che si avvicina alla tematica, si ritrova privo di strumenti e punti di riferimento attendibili.
Come fare a districarsi in questo vero e proprio labirinto e perché non ci sono posizioni univoche?
Per prima cosa bisogna tenere conto che è stato dimostrato che non tutte le attuali posizioni dei massi che formano Ales Stenar sono quelle originarie. Proprio come è successo per Stonehenge. Agli inizi del XX secolo, molti monoliti erano a terra e durante interventi di restauro sono stati riposizionati verticalmente.
Per molti tutto ciò non significa assolutamente nulla. Visto che l’eventuale differenza di messa in opera sarebbe di pochi centimetri. E comunque non va a inficiare l’ipotesi della “nave” come sepolcro. Ma può cambiare molto se Ales Stenar fosse stato qualcos’altro.
Immagini aeree del terreno prese con una telecamera a raggi infrarossi durante la spedizione del 1989 guidata dalla professoressa Strömberg, non hanno rivelato tracce di antiche strutture sotterranee all’interno o nelle immediate vicinanze delle fiancate della “Nave di pietra” di Ales Stenar.
Gli scavi archeologici hanno permesso di riportare alla luce alcuni reperti, tra cui pezzi di carbone di legno di giovani querce che è stato possibile datare con il sistema del radiocarbonio (o C14).
Il risultato è stata una data pari al VII-VIII secolo d.C..
Nella sezione sud-est all’interno della “Nave”, molto vicino ai menhir, è stato trovato un frammento di carbone di legno di noce, poi datato 640-980 d.C..
Inoltre, sempre all’interno della struttura, è stata rinvenuta una specie di pentola di creta decorata, con all’interno ossa umane carbonizzate Probabilmente sono ciò che rimane di una pira funebre. L’individuo venne cremato e successivamente le sue ossa vennero rinchiuse nella “pentola” e sotterrate. Furono trovati anche oggetti appartenenti a periodi diversi. Alcuni risalivano al 330-540 d.C., altri, come pezzetti di cibo e di legno carbonizzato, erano del 540-650 d.C..
Durante altri scavi condotti nel 1991, sono stati rinvenuti al centro del monumento diversi pezzi di carbone di legna di faggio che solo risultati risalire al 820-980 d.C, vale a dire al periodo vichingo.
A questo punto, il lettore attento avrà già pronta una obiezione. Probabilmente la stessa che il sottoscritto ha avanzato a suo tempo.
Ovvero che la presenza di carbone risalente a quelle epoche non significa assolutamente che sia coevo dell’intera struttura megalitica.
E questo vale anche per la ”pentola” con funzioni di urna cineraria. Si è già visto a proposito di altri siti come questi siano stati frequentati ed utilizzati durante un arco temporale lunghissimo.
La controbiezione è arrivata immediatamente. Frammenti di carbone di betulla sono stati trovati sotto uno dei massi della sezione settentrionale della “Nave”. La datazione è stata di nuovo 540-650 d.C.. Il masso è uno di quelli che si trovano ancora nella posizione originaria. Non era mai stato spostato prima. Quindi viene difficile supporre che il carbone sia finito sotto dopo il suo innalzamento.
È questa la strada corretta per cercare di dipanare la nebbia che avvolge l’epoca della costruzione di Ales Stenar. Non posso che concordare con Andrew M. Kobos, laddove afferma: “solo la datazione di campioni prelevati da sotto massi rimasti inalterati, servirà a determinare l’età della formazione Ales Stenar oltre ogni ragionevole dubbio”.
Un po’ di chiarezza è giunta anche dalla geologia. Il professor J. Bergström, un geologo che ha partecipato alla campagna del 1989 con la Strömberg, ha stabilito che quattro menhir dell’arco della poppa, sono di arenaria bianca. Tutti gli altri sono di vari tipi di granito, gneiss, porfido, e anfiboliti. I geologi sono poi riusciti a determinare l’origine di alcuni di questi massi. I quattro di arenaria devono essere stati presi in prossimità del mare lungo la costa del Mar Baltico tra le località di Gilslövhammar e Simrishamn: Gli altri massi provengono da diverse località dello Scania.
Quindi non vengono da chissà dove, come ha ipotizzato qualcuno, che si è chiesto come avessero fatto gli ignoti artefici a portarli da chissà quale lontana località.
Su alcuni dei massi sono state individuate della “coppelle” a prima vista opera dell’uomo. Se queste rispondessero ad un disegno logico si potrebbe utilizzarle per una ulteriore datazione.
“Se si potesse spiegare l’origine di queste cavità come il segno di alcune attività di culto relative alla costruzione di Ales Stenar, in questo caso l’utilizzo di queste cavità porterebbe ad una datazione nell’Età del Bronzo” ha spiegato la professoressa Strömberg “Tuttavia, i gruppi di cavità, essendo molto diversi nelle loro posizioni, non si prestano a tale interpretazione” e conclude affermando che “sembra più valido ritenere che queste cavità esistessero già sui massi quando sono stati sollevati per essere messi in opera nell’ambito di questa formazione”.
Ma pure lo studio dell’ambiente naturale che circonda il sito sembra condurre ad una datazione relativamente “recente”. È stato dimostrato che nell’Età del Bronzo quello che oggi ci appare come un promontorio erboso spazzato dai venti del Baltico, fosse in realtà un fitto bosco. Solo durante l’Età del Ferro l’area ha assunto l’aspetto attuale. Quindi se davvero Ales Stenar fosse stata realizzata durante l’Età del Bronzo si sarebbe trovata in mezzo a un bosco che in quel tratto, si sarebbe dovuto quindi disboscare. E ne sarebbe rimasta traccia. Invece di quest’opera dell’uomo non vi è alcun indizio se non durante l’’Età del Ferro. Quando si procedette al disboscamento e dissodamento del terreno per impiantare coltivazioni. In questo caso Ales Stenar sarebbe sì sorta in un’area già priva di alberi d’alto fusto.
Se tutto pare ormai chiaro e nulla sembrerebbe andare contro la datazione “recente” fatta ormai propria dalla Scienza ufficiale, ecco che un dispettoso appartenente al “Piccolo Popolo”, ha fatto saltare fuori un elemento che sembra far crollare tutto questo castello di certezze. Ne parla Kobos nel suo lavoro;
“Vi è un altro reperto archeologico a Ales Stenar. Nel mese di ottobre 1995, su richiesta di Bob Lind, una squadra di archeologi di Märta Strömberg ha eseguito uno scavo in un sito indicato da Lind stesso, a circa 1-2 metri dalla pietra di prua. Tra i rifiuti moderni lasciati dalla Guardia Costiera svedese al tempo della Seconda Guerra Mondiale, sono stati trovati i resti di un focolare (cinque pietre coperte di fuliggine). La fuliggine è stata successivamente sottoposta al radiocarbonio (C14) ed è risultata risalire al 3.300-3.600 a.C., cioè al Paleolitico”.
Un’epoca pazzesca se relativa ad Ales Stenar!
Kobos specifica che la professoressa Märta Strömberg non ha mai menzionato questa scoperta, né nel saggio, né sulla pagina web dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Lund e ha chiesto lumi su questa omissione. “Sembrava abbastanza inusuale; dopo tutto non capita tutti i giorni che gli archeologi trovino oggetti di 5500 anni di età”.
Questa la risposta della professoressa Strömberg a Kobos:
“Per noi archeologi, risulta del tutto impossibile credere che questa datazione precoce di un campione possa valere anche per la “Nave di pietra”. A quell’epoca in Svezia vennero costruite tombe megalitiche (dolmen con tombe a camera ad esempio NDA) e non “navi”. Tuttavia, nel Neolitico, persone provenienti da siti abitativi a nord della cresta potrebbero aver usato quest’area per il loro bestiame e per lo spostamento dai loro insediamenti alla costa, per la pesca, e così via. Durante la nostra ricerca abbiamo trovato sulla cresta centinaia di attrezzi di vario tipo, anche all’interno e all’esterno della “Nave di pietra”. Per quale motivo quelle persone non potrebbero aver avuto un focolare in un luogo in cui molto più tardi gli abitanti dei villaggi della zona hanno costruito la “Nave”? L’ipotesi non è così drammatica come si potrebbe credere“.
Il ragionamento logico non fa una grinza. E non mi sento di contestarlo. Ma non tutti l’hanno pensata in questo modo. I complottisti a tutti i costi si sono detti convinti che l’archeologa non voglia ammettere una datazione così lontana nel tempo perché deve nascondere le prove di una Civiltà avanzatissima che avrebbe realizzato Ales Stenar. Un bivacco tra le pietre e massi disposti a forma di imbarcazione sarebbero il prodotto di una Civiltà avanzatissima, sicuramente aliena (ho letto anche questo)? Ma per piacere!
La professoressa Strömberg in diverse sue pubblicazioni è lapidaria in merito alla datazione;
“È mio parere che il monumento di Ales Stenar sia stato innalzato nel periodo vichingo, o al massimo un po’ prima. Le datazioni di reperti relativi al periodo Vendel ci informano di precedenti attività, forse un luogo di culto e di alcune sepolture in questo settore, prima che venisse costruita Ales Stenar“.
Posizione che è pure quella ufficiale della Riksantikvarieämbetet, la Commissione Nazionale Svedese per i Beni Culturali.
Pertanto, oggi, la maggior parte degli studiosi ed archeologi ritiene che la struttura della “Nave di pietra” di Ales Stenar sia vecchia di 1400 anni, ovvero sia un monumento sepolcrale costruito verso la fine dell’Età svedese del Ferro.
Rimane però il dubbio se Ales Stenar sia davvero una tomba.
È vero che, per quanto se ne sa, la stragrande maggioranza delle “Navi (o Barche) di pietra” sono effettivamente sepolcri, ma all’interno di Ales Stenar non è stata identificata ancora alcuna inumazione. Come ammesso dagli stessi archeologi che non hanno trovato alcun corpo sepolto dentro la “Nave”. Se si escludono le poche ossa carbonizzate rinvenute nella “pentola”. Ma, come si è visto, non è affatto certo che la sepoltura della “pentola” e la costruzione della struttura, siano coeve e la diatriba è ancora aperta. È stata rispolverata anche la vecchia teoria di Montelius secondo cui Ales Stenar sarebbe una sorta di cenotafio, un monumento funebre collettivo per tutti i vichinghi morti in imprese d’oltremare.
Molto suggestivo! Ma pure in questo caso non vi è alcun elemento oggettivo di prova.
È stata proprio questa mancanza di sepolture che ha spinto diversi ricercatori, anche di vaglia, a puntare su ipotesi legate all’archeoastronomia.
L’astronomo svedese Curt Roslund (quello che ritiene che la “Yarda megalitica” sia alla base della costruzione del Trojaborg di Visby sull’Isola di Gotland) ha definito l’archeoastronomia come “un campo di ricerca interdisciplinare per indagare come le persone di culture del passato hanno percepito e hanno risposto a fenomeni celesti. L’Archeoastronomia è più nota per la sua ricerca di allineamenti astronomicamente orientati (delle antiche strutture NDA). L’orientamento di una struttura architettonica molto più dell’oggetto in sé, ci può dire della cultura che lo ha inserito nelle sue attività. ” (2)
Per Curt Roslund le funzioni astronomiche del sito emergono da precisi rilievi matematici e astronomici. Mediante misurazioni con il sistema EDM (Electronic Distance Measurement), attrezzatura che utilizza i raggi infrarossi, Roslund stabilì che la pianta Ales Stenar era stata disegnata sovrapponendo due parabole. I punti di intersezione corrisponderebbero ai massi di prua e di poppa. Il suo utilizzo sarebbe stato quello di calcolare il momento esatto del Solstizio d’Estate. Ma in due date precise: il 300 a.C. o il 300 d.C..
La data 300 d.C. può essere considerata in ragionevole accordo con la datazione del frammento di legno, ma entrambe le date (300 d.C. e 300 a.C.) sono molto più tarde rispetto alle date proposte dalle teorie archeoastronomiche per la realizzazione di strutture megalitiche (ad esempio Stonehenge) nelle Isole Britanniche.
Dopo che vennero rese pubbliche le datazioni mediante C14 degli altri reperti scavati dal team di Märta Strömberg, Curt Roslund ritirò la sua proposta di una applicazione astronomica ad Ales Stenar.
Tuttavia, sino alla sua scomparsa nel 2013, Roslund ha continuato a sostenere che il disegno sul terreno è stato composto da due parabole opposte.
Roslund ha avanzato l’ipotesi del calendario astronomico nel 1980 anche per il sito megalitico di Stenehed che però non si trova sul Baltico ma sulla costa del Mare del Nord, Svezia occidentale.
La località si trova a circa 1 km a sud ovest di Hällevadsholm, nel comune di Munkedal (antica provincia del Bohuslan), a 110 km a nord di Göteborg nella contea di Västra Götaland. Stenehed è una necropoli dell’Età del Ferro che contiene circa 45 tombe, un cerchio di pietre, una fila di menhir ed una “nave di pietra”. Anticamente nel sito esistevano ben dodici menhir. Oggi sono sopravvissuti soltanto nove. Quello più alto supera i tre metri, quello più basso non raggiunge il metro e mezzo. L’area aveva acceso l’interesse di Roslund in quanto si sapeva che nel 1900, presso la fattoria Herregårda, erano stati scoperti oggetti risalenti all’8000 a.C.. Inoltre vi è un sito di petroglifi, Lökeberg på Tungenäset, datato all’Età del Bronzo.
Trovandosi in una zona abitata da millenni Roslund sperava di poter provare che i suoi abitanti avevano osservato il cielo per moltissimo tempo, realizzando poi un calendario di pietre. Ma anche in questo caso le sue ipotesi e risultanze dei suoi calcoli non sono state accettate dalla Comunità Scientifica.
Negli ultimi anni del secolo scorso, altri ricercatori (subito attaccati dalla comunità scientifica) come l’archeologo polacco Wladislaw Duczko, il canadese Gunnel Gavin di Vancouver (British Columbia, Canada) e Bob Lind di Malmö in Svezia, hanno sviluppato in maniera indipendente ipotesi secondo le quali Ales Stenar non solo sia da far risalire all’Età del Bronzo ma che sia servita sia come calendario in pietra che come un orologio solare preistorico.
Il più famoso e controverso di tutti è certamente Bob Lind, per il quale la struttura di pietre costituirebbe un calendario di pietra allineato con l’alba e il tramonto.
Tutto si basa sulla interpretazione della posizione dei massi, che sarebbero posti in relazione ai 365 giorni dell’anno e alle 24 ore del giorno.
Lind nel suo lavoro “Solens skepp och Als Stenar” (Stjärnljuset Förlag, Malmö 1996) ha sviluppato le sue speculazioni basandosi però solo sulle prove indiziarie, cioè la mitologia nordica e la relazione tra l’allineamento di Stenar Ales e fenomeni astronomici che coinvolgono ogni anno il sole.
Lind, studiando le coppelle presenti su uno dei menhir (quello indicato come N1) di Ales Stenar, ritiene di aver riconosciuto lo schema della Costellazione del Cigno.
Basandosi su questa evidenza nonché sulle mitologie greca e nordica, lo studioso di Malmö ha dedotto che la data di elevazione delle pietre di Ales Stenar si colloca tra il 700 e il 400 a.C..
Egli chiama il sito di Ales Stenar la “Nave solare” o la “Nave del dio Sole”.
Inoltre per Lind, una notevole cavità nella parte superiore della faccia anteriore del masso M1 rappresenta il Sole, mentre le quattro cavità circolari all’inizio della pietra S7 simboleggiano l’allineamento della “Nave” di Ales Stenar rispetto al l’alba e il tramonto nei giorni del Solstizio d’Estate e quello d’Inverno (quattro eventi insieme).
Lind assegna il simbolismo degli dei nordici ai quattro massi principali:
(M1) – Heimdall, dio del Tempo e il guardiano dei santuari;
(M3) – Ing-Frö, dio della fertilità;
(N14) – Balder, dio dell’estate;
(S15 ) – Ull, dio dell’inverno.
Ovviamente gli archeologi, basandosi sulle datazioni C14 dei reperti archeologici, ritengono che la teoria di Lind sia priva di qualsiasi fondamento. Ribadiscono che non vi è alcun elemento che indichi che Ales Stenar esistesse già nell’Età del Bronzo.
Ma infuocate diatribe a parte, la “Nave di pietra” di Ales Stenar è davvero allineata secondo i Solstizi d’Inverno e d’Estate!
Ovviamente gli archeologi accademici e gli altri detrattori degli studi di Lind & c., affermano che tale allineamento è del tutto essere casuale
Comunque, se il giorno Solstizio d’Inverno, un osservatore si pone in piedi al centro di Ales Stenar, potrà vedere sorgere il sole sopra il menhir di poppa.
Al contrario, e questo ve lo posso confermare per averlo riscontrato personalmente quando mi sono recato sul sito, il giorno del Solstizio d’Estate, un osservatore vedrà sorgere il sole sopra il masso di prua.
E non è finita. Lo stimato astronomo svedese Göran Henriksson di Uppsala ha avanzato una ipotesi in qualche modo simile e non meno affascinante. Secondo lui Ales Stenar potrebbe essere stato un monumento connesso all’eclissi totale di Luna verificatosi nel 2.116 a.C..
Vi lascio immaginare la risposta della Scienza ufficiale.
Ma Ales Stenar ha in serbo ancora molte sorprese. La notizia non arriva da qualche website di dubbia affidabilità o da qualche sedicente ricercatore a caccia di notorietà, ma da Annika Knarrström del “Swedish National Heritage Board”.
Nel 2012 gli archeologi svedesi Bengst Söderberg e Björn Wallem, assieme al loro staff, hanno rinvenuto a qualche decina di metri fuori (e sottolineo; fuori) dalla struttura della “Nave di pietra”, quella che ha tutta l’aria di essere una tomba preistorica appartenuta a qualche capo tribù risalente ad oltre 5000 anni fa.
Si tratterebbe di un dolmen, ormai completamente interrato, che doveva essere circondato da numerosi menhir. Gli archeologi hanno individuato le tracce delle buche in cui erano stati piantati i massi. Secondo loro vennero rimossi in epoca vichinga per concorrere alla realizzazione della “Barca di Pietra” di Ales Stenar. L’Età di questa “nuova” tomba preistorica si basa sulla datazione al carbonio 14 (C14) di diverso materiale organico rinvenuto durante lo scavo della sepoltura. Tutto ciò confermerebbe che, aldilà della diatriba sull’Età della “Nave di pietra”, il sito era considerato sacro e meritevole di ricevere le spoglie mortali di personaggi importanti della tribù locali, già da migliaia di anni.
Tornando alla questione se le numerose “Navi di pietra” siano o non siano allineate con la levata o il tramonto del Sole in alcuni periodi dell’anno o con i punti cardinali, il problema è che non rispondono tutte ad un modello comune.
Sebbene in Italia siano poco note (per non dire del tutto sconosciute), sono giunte sino a noi più di un migliaio di “Navi di pietra”, tutte situate o in Danimarca, o nella Svezia meridionale ed in alcune isole del Baltico. Ci sono pure delle situazioni particolari con “Navi di pietra” (o presunte tali, visto che ci sono solo miseri resti) sul Mare del Nord e nella Svezia settentrionale ma sempre presso le rive del Baltico.
Le “Navi (o Barche) di pietra” variano tra loro sia per lo stato di conservazione che per le dimensioni.
Si va da una decina di metri fino a oltre e 60 metri di lunghezza.
In alcuni casi sono stati trovati resti di “navi” che certamente raggiungevano gli 80 metri.
Come, ad esempio, sull’isola di Gotland in mezzo al Mar Baltico, spesso appaiono isolate, oppure in contesti di necropoli, o addirittura formano vere e proprie “flotte di pietra”.
Giancarlo Pavat presso il sito della “Nave di pietre” di Gannarve sull’isola di Gotland (foto Sonia Palombo)
In alcuni casi i menhir che le formano sono conficcati l’uno vicino all’altro, quasi a toccarsi, in altri sono posti ad una certa distanza.
Aldilà di alcune teorie speculative, è ormai accertato che la grande maggioranza di “Navi di pietra” sono state impostate basandosi su linee geometriche di due curve circolari di raggio uguale che si intersecano. Le eccezioni (pur presenti) sono attribuibili alla difficoltà di costruzione su terreni accidentati o a successive modifiche durante restauri.
La maggior parte (prescindendo dal dibattito su alcuni esemplari, certamente dell’Età del Bronzo) risale all’Età del Ferro o all’epoca Vichinga.
Per i “Signori delle baie” o “delle isole” (questo dovrebbe essere il significato etimologico della parola “Vikingo”, visto che ”vik” in norreno significa “baia”, “insenatura” o “fiordo” e pure “piccola isola”;
ed il suffisso “-ing” indica provenienza o appartenenza) le “Navi di pietra” erano il simbolo della loro profonda convinzione che la morte altri non era che un viaggio verso l’ignoto.
Prendendo in considerazione anche solo le “Navi di pietra” vichinghe (che sono comunque la maggioranza) non si può fare a meno di notare che tante sono orientate al sorgere del Sole al Solstizio d’Estate e d’Inverno. Altre lungo l’asse Nord-Sud, che, dopo l’avvento del Cristianesimo è stato sostituito con quello Est-Ovest (come le chiese cristiane).
Ma non sono poche quelle che puntano agli Equinozi. E qui il discorso si fa interessante e delicato. Infatti, alcune sono orientate al sorgere del Sole all’Equinozio convenzionale (21 marzo).
Altre, ad esempio a Brattahild in Groenlandia, puntano invece al sorgere all’Equinozio “reale”.
Pochi sanno che l’Equinozio fissato per il 21 marzo è solo convenzionale. Infatti può cadere il 19, il 20 o 21.
In realtà l’Equinozio non è un giorno ma un punto immaginario in cui il Sole, passando dall’Emisfero Australe a quello Boreale (o viceversa in Autunno), attraversa l’Orizzonte Celeste, toccando il cosiddetto “Punto Vernale”, ovvero l’intersezione tra l’Eclittica e l’Equatore celeste.
In realtà è la Terra a muoversi e a raggiungere quel punto della sua orbita in cui il Sole sembra toccare il “Punto Vernale”.
Questo è il punto in cui l’Asse terrestre (che è inclinato, ecco perché Eclittica e Orizzonte celeste non sono sullo stesso piano) è quasi parallelo al Sole e quindi i suoi raggi arrivano quasi perpendicolari sulla superficie terrestre
Ebbene, alla luce dell’allineamento di alcune “Navi (o Barche) di pietra”, è possibile che i Vichinghi avessero compreso tutto ciò? È ipotizzabile che le conoscenze astronomiche dei navigatori del Nord fossero maggiori di quello che normalmente si crede?
In questo sito ci siamo già occupati in diversi articoli di “Conoscenze perdute” e torneremo a farlo In particolar modo proprio in relazione agli indizi che sembrano indicare come i “Signori delle baie” (ed i loro predecessori) disponessero di competenze (anche tecnologiche) decisamente avanzate per la loro epoca.
(Giancarlo Pavat)
1 “La forma delle navi differisce dalla nostra perché le imbarcazioni hanno la prua dall’una e dall’altra parte e sono, quindi, sempre pronte all’attracco”.
2. Curt Roslund, Jonathan Lindström e Pia Andersson “Alignments in Profusion and Confusion. The Growing Pains of Archaeoastronomy“. Lund Archaeological Review, 1999.
Se non altrimenti specificato, tutte le fotografie di Ales Stenar sono state scattate dal fotografo e ricercatore Gianluca Riggi
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