Il mistero della Lancia di Giulio Cesare a Wolin; di Giancarlo Pavat.

 

  1. Immagine di apertura: La vasta area geografica dell ‘Europa settentrionale affacciata al Mar Baltico interessata alle vicende della leggendaria Lancia di Wolin

 

Lo scorso 21 aprile, 2773 anni fa, stando al mito e alla tradizione nasceva la città che avrebbe dato vita alla più grande civiltà mai apparsa sul palcoscenico della storia dell’Uomo. Non esiste regno, impero, stato, nazione, confederazione, succedutosi nei secoli che non si sia ispirato o abbia cercato di imitare l’Impero Romano.

Con questo testo di Giancarlo Pavat vogliamo iniziare una serie di articoli che avranno come tematica storie, luoghi, monumenti, leggende, legate alla Cultura e Civiltà romana ma localizzate in aree geografiche (se non addirittura continenti) in cui i Romani non sono mai arrivati o comunque presso culture esistite secoli dopo la fine della Civiltà Classica.

Con questo primo appuntamento ci recheremo sulle coste e le isolette bagnate dalle acque del Baltico meridionale. In particolare sull’isola di Wolin (Polonia) e nell’omonima cittadina, nella cui cattedrale, durante il Medio Evo era conservata una Lancia, considerata sacra, che secondo la leggenda era appartenuta addirittura a Caio Giulio Cesare.

 

Il mistero della leggendaria lancia di Giulio Cesare a Wolin (Polonia)

 

di Giancarlo Pavat

 

Nel suo quadrante meridionale il Baltico, il vasto mare chiuso dell’Europa settentrionale che ho avuto modo di visitare e solcare diverse volte tra il 2011 e 2014, forma la “Baia di Pomerania”, delimitata a occidente dall’isola di Rügen, tanto cara al più grande pittore del romanticismo tedesco, Caspar David Friedrich (1774-1840) e a meridione dalle isole costiere di Usedom e Wolin.

  1. Immagine sopra: in basso a destra l’Isola di Rügen fotografata dall’areo da Giancarlo Pavat nel luglio del 2013

  1. Immagine sopra: il celebre quadro di Caspar David Friedrich; “Le bianche scogliere di Rügen” 1818 (Collezione Oskar Reinhart am Romerholz, Winterthur, Svizzera) – (Fonte Wikipedia)

Questi due piatti e boscosi lembi di terra durante la II Guerra Mondale divennero vere e proprie fucine di Efesto in cui vennero testate le “Wunderwaffen”, le “armi meravigliose” o “armi miracolose”, della Scienza e Tecnologia nazista che avrebbero dovuto rovesciare le sorti della Seconda Guerra Mondiale. Prime fra tutte le famigerate V1 e V2, ideate da Werner von Braun nella base di Peenemünde nella parte nord-orientale di Usedom.

A Wolin, invece, venne testata un’altra tipologia di “Wunderwaffen”. Il 14 novembre 1944, i nazisti provarono il cosiddetto “supercannone” “Roechlin”, capace di colpire obiettivi fino a 150 chilometri di distanza. Questo gigantesco mostruoso cannone, realizzato dall’ingegner Coders delle “Officine Roechling” di Saarbrücken, venne chiamato anche “Pompa ad alta pressione” o V3.

A chi volesse approfondire questo affascinante e controverso argomento, si consiglia il libro che ho scritto nel 2013 assieme a Gerardo Severino; “Il Raggio della morte” (X-Publishing)

  1. Immagine sopra: la copertina del libro “Il Raggio della Morte” di Gerardo Severino e Giancarlo Pavat (2013)

Tornando all’area geografica che ci interessa in questa sede, al termine di quell’immane carnaio che fu il Secondo Conflitto Mondiale, Wollin venne assegnata interamente alla Polonia e cominciò a chiamarsi Wolin.

L’annessione rientrava nella definizione dei nuovi confini e lo spostamento dello stato polacco verso occidente; sia per punire la Germania (venivano infatti inglobati territori che da secoli erano abitati da popolazioni di lingua tedesca, come la Prussia orientale, la Pomerania orientale, il Brandeburgo orientale e gran parte della Slesia) sia per “restituire” all’Unione Sovietica di Stalin quelle regioni (oggi facenti parte della Bielorussia e dell’Ucrania) che la Polonia aveva ottenuto dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e la “guerra sovietico-polacca” combattuta tra il 1919 ed il 1921. Regioni che Stalin aveva già rioccupato con l’assenso di Hitler dopo il famigerato “Patto Molotov-Ribbentrop” del 23 agosto 1939 (che di fatto aveva dato via libera al III Reich di scatenare la Seconda Guerra Mondiale) e la successiva vigliacca invasione della Polonia (già in ginocchio a causa dell’attacco hitleriano di sedici giorni prima) del 17 settembre 1939.

Nel 1945, anche da Wolin/Wollin, come dagli altri territori diventati polacchi, la popolazione tedesca venne interamente espulsa.

Oggi l’isola, vasta circa 248 chilometri quadrati, prevalentemente sabbiosa e boscosa, posta tra lo Stettiner haff e il Mar Baltico, e collegata alla terraferma da un ponte che supera il canale di Dievenow, è una nota località di vacanze estive. Nulla sembra ricordare quel passato di armi fantastiche e avveniristiche e di altre diavolerie infernali di teutonica concezione. Passato che non è necessariamente così recente. Da quelle parti, infatti, da molto prima della Seconda Guerra Mondiale si parla di armi “divine” usate da “combattenti non di questo mondo”.

Non ci credete? Allora leggiamoci assieme la cosiddetta “Cronaca di Erasmus Francisci” riportata nel libro in lingua tedesca “UFOs due unerwunschte Wahrheit“ del ricercatore nonché fisico ed astronomo tedesco Ildebrand von Ludwiger.

Erasmus Francisci è lo pseudonimo del nobile erudito tedesco Erasmus von Finx (1627-1694) e la “Cronaca” è nota anche con il titolo “Der Wunder-reiche Uberzugunserer Nider-Welt – Oder Erd Umgebende Lufft-Kreys. Nurnberg 1680”.

Von Finx riporta quanto avvenuto l’8 aprile 1665, attorno alle ore 14.00, presso il litorale di Stralsund, la città baltica tedesca posta di fronte all’isola di Rügen e non lontano da Usedom e Wolin. In pratica, sei pescatori che si trovavano sulla spiaggia, videro in alto nel cielo, prima verso Nord e poi in direzione Sud, alcuni grandi velieri che giunti in prossimità gli uni degli altri, presero a darsi battaglia.

I pescatori rimasero atterriti di fronte ad un simile prodigio. La battaglia nei cieli continuò sino alle 18.00, quando le due flotte “volanti” si diressero una verso Nord e l’altra nella direzione opposta. Ma in quel momento a Occidente apparve un un’altra grande nave dalla quale uscirono quelle che ai testimoni sembrarono otto lunghe travi. Inoltre dalle fiancate, tra fumo e fiamme, uscirono innumerevoli oggetti più piccoli. Dopo un po’ fece la sua comparsa in mezzo al cielo un’altra cosa inusitata, che terrorizzò ancora di più i pescatori tedeschi. Si trattava di quella che venne descritta come una cosa rotonda a forma di cappello da uomo. Questo oggetto che aveva una fila di luci più luminose della Luna, si fermò sulla verticale della chiesa di San Nicola, dove rimase fino a tarda sera.

I poveri pescatori ormai sconvolti per quanto stavano vedendo in cielo, abbandonarono il litorale, cercando disperato rifugio nelle loro capanne. Stando alla “Cronaca”, il giorno dopo si sarebbero sentiti tutti male. Accusarono tremori e fortissimi dolori alle mani, ai piedi, alla testa ed in altre parti del corpo. Von Finx conclude il proprio resoconto, specificando che persone istruite e notabili della città si preoccuparono a lungo per quanto verificatosi quell’8 aprile.

Ma la “Cronaca” di Von Finx, alias Erasmus Francisci, non è l’unico documento sull’inquietante “Fenomeno aereo di Stralsund” giunto sino a noi. Infatti ne troviamno traccia anche sul “Berliner Ordinari und Postzeitung”, che ne diede notizia con un particolareggiato articolo nell’edizione stampata il 10 aprile 1665.

A parte l’ovvia ipotesi di una manifestazione ufologica ante litteram, non è mai stata data una spiegazione plausibile e razionale di quanto verificatosi in quel giorno di aprile nei cieli sopra il Mar Baltico.

  1. Immagine sopra: Cartina dell’area di Stralsund e dell’isola di Rügen.

 Tutto ciò sembra ricordare i misteriosi episodi e avvistamenti verificatisi su quelle regioni europee all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale e di cui ci si è già occupati su questo sito con l’articolo “Il Mistero del lago di Kölmjärv in Svezia” pubblicato 1° ottobre 2015.

  1. Immagine sopra: il Lago Kölmjärv in Svezia – foto G. Pavat 2013

 Ma pure vicende ancora più antiche sembrano adombrare l’esistenza in quelle plaghe di armi e combattenti “soprannaturali”.

In questo caso Storia e Archeologia si mescolano in maniera quasi inestricabile con le Leggende e la Mitologia. E tutto ciò riguarda proprio la località su cui da questo momento in poi focalizzeremo la nostra attenzione. Ovvero l’isola e l’omonima città di Wolin.

Secondo diversi storici tedeschi e scandinavi (e non solo) l’attuale città di Wolin, posta sulla sua estremità sud-orientale dell’omonima isoletta baltica, coincide con il sito della mitica città vichinga di Jomsborg (Jomsburg in tedesco).

  1. Immagine sopra: Spada vichinga del X secolo d.C.. (Fonte R. Volterri)

Ad essere precisi, il sito vero e proprio si troverebbe un po’ a nord del centro abitato, sulla collinetta di Silberberg, dove effettivamente gli archeologi hanno rinvenuto tracce di un antico insediamento.

Secondo il cronista medievale Adamo da Brema (1050–1085), Wolin, che lui chiama Jumne, era la più grande città del suo tempo e dotata di un trafficatissimo porto.

Citata nelle saghe, in particolare nella “Jómsvíkinga Saga”, è entrata nella leggenda a cagione dei suoi fieri guerrieri. Un vero e proprio corpo di elite; gli Jómsvíking.

Sembra che costoro fossero qualcosa di più (molto di più) che coraggiosi combattenti e prezzolati mercenari. Basandosi su quanto emerge dalla “Jómsvíkinga Saga” si intuisce che, in pratica, erano qualcosa che sfuggiva alla comprensione ed alla logica di allora. In cui la società era fortemente gerarchizzata, in cui ognuno sin dalla nascita aveva il suo ruolo e i propri doveri, in cui l’interscambio tra classi era praticamente inesistente. C’era il re, i capi e comandanti dei combattenti, altri uomini liberi non combattenti (artigiani, marinai, pescatori) ed i servi, poco più che schiavi. Su tutto vegliava la Chiesa Cattolica da poco affermatasi sul Baltico.

Molto spesso gli stessi vescovi erano a loro volta principi e condottieri.

Ebbene, gli Jómsvíking esulavano da tutto ciò. Per diventare Jómsvíking ciò che contava non era la nascita, il lignaggio ma il valore e la dedizione e il rispetto delle ferree leggi di Jomsborg.

Che tra le altre cose imponevano la pace tra gli Jómsvíking e l’obbligo di vendicare l’uno la morte dell’altro.

  1. Immagine sopra: Statua di Giulio Cesare a Cividale del Friuli. Secondo la tradizione la città sarebbe stata fondata dal condottiero e politico romano che le diede il nome di “Forum Iulii”, da cui poi ha preso il nome tutta la regione. (foto G. Pavat 2018)

Una volta entrati a far parte di questa sorta di “Fratellanza in armi”, automaticamente si diventava alieni alla società feudale dell’epoca. Questa alterità ed il loro comportamento sprezzante del pericolo e della morte in battaglia, fece nascere varie dicerie e racconti che venivano mormorati sottovoce nelle taverne del Baltico o accanto ai focolari durante i lunghi inverni nordici.

Si giunse ad asserire che la vantata invincibilità in combattimento fosse da attribuire ad un patto con oscure potenze demoniache.

Tra l’altro non si era nemmeno certi che gli Jómsvíking avessero davvero abbandonato culti e credenze pagane. Si raccontava che scendevano in battaglia sentendo il suono del corno di Heimdallr, il guardiano di Asgard, la patria dei luminosi Asi.

 Heimdallr è colui che sorveglia il ponte Bifröst e che quando giungerà la Fine di tutti i Tempi, il Ragnarok, suonerà nel magico Gjallarhorn la chiamata all’ultima battaglia.

Si diceva che quando gli Jómsvíking spiravano, i cieli si aprivano e scendevano a cavallo le Walkirie per raccoglierli e condurli nel Walhalla.

Insomma con gli Jómsvíking l’antica religione norrena non aveva mai ceduto il posto a quella proveniente da un deserto della Palestina. Persino la fine degli Jómsvíking e della loro città-fortezza in realtà è avvolta dal Mistero.

 

  1. Immagine sopra: Il mitologico Heimdallr, il guardiano del Ponte di Bifrost, suona il magico Gjallarhorn (Fonte Wikipedia).

Per lo storico svedese Lauritz Weibull (1973-1960), gli Jómsvíking e Jomsborg non sarebbero nient’altro che un parto della fantasia degli scaldi e degli autori di saghe. Tesi che però non ha mai incontrato un consenso generale.

Per la maggioranza degli storici non vi è alcun dubbio che la città-fortezza sia esistita davvero e che sia stata rasa al suolo nel 1043 da Magnus “il Buono” (1024-1047), noto anche come Magnus I°, re di Norvegia dal 1035 al 1047 e di Danimarca dal 1042 all’anno della morte.

I contemporanei videro in Magnus I° lo strumento di Dio per liberare l’Umanità da quella “Fratellanza” di adoratori di divinità pagane o di demoni. Che nella mentalità del cristiano di allora, erano praticamente la medesima cosa.

Un’aspetto interessante e apparentemente curioso, che potrebbe indicare come la realtà storica di Jomsborg fosse ben diversa da quella delle saghe e dei miti, riguarda il ruolo esercitato da quella città-fortezza nella vicenda storica ed umana di Harald “Denteazzurro”.

 

  1. Immagine sorpa: Magnus I detto “il Buono”, re di Norvegia dal 1035 al 1047 e di Danimarca dal 1042 all’anno della morte (fonte Wikipedia).

 

Nelle rune della più grande delle due “Pietre di Jelling”, si legge che Harald fu colui che “convertì in cristiani i Danesi”.

  1. Immagine sopra: Cristo crocifisso scolpito sulla più grande delle “Pietre di Jelling (X secolo d.C.). Si tratta della più antica raffigurazione del Crocifisso in tutta la Scandinavia. Le cd. “Pietre di Jelling” sono due grandi “Pietre runiche” datate al X secolo d.C., rinvenute a Jelling, un paesino a qualche chilometro nord della cittadina di Vejle (nel cui Museo cittadino, tra gli altri reperti interessanti, sono conservati i resti dell”Uomo di Balle” risalente al Neolitico) nella penisola dello Jylland in Danimarca. La più antica delle due fu fatta erigere dal re Gorm (primo sovrano di tutta la Danimarca) in memoria di sua moglie Thyrè (o Thyra). “Il re Gorm ha fatto questo monumento in memoria di Thyrè, sua moglie, vanto della Danimarca”. La più grande, invece, fu realizzata dal figlio Harald “Denteazzurro” (in danese Harald Blåtand; 911-986 d.C.), che la volle in memoria dei suoi genitori e per celebrare la conquista della Danimarca e della Norvegia e la conversione dei Danesi al Cristianesimo. L’iscrizione, notissima nei Paesi scandinavi tanto che i ragazzini la imparavano a memoria a scuola, recita: “Re Harald ha ordinato l’erezione di questo monumento in memoria di Gorm, suo padre, ed in memoria di Thyrè, sua madre. Harald che conquistò tutta la Danimarca e convertì in cristiani i Danesi”. Il monolite su un lato reca la più antica raffigurazione di Cristo in un paese scandinavo. Mentre sull’altro si vede un serpente attorcigliato ad un leone. Le pietre sono visibili (purtroppo inglobate in due brutti cubi trasparenti che stridono con la suggestiva atmosfera del sito) nel cortile di una chiesa del 1100, in mezzo a due grandi tumuli alti oltre 10 metri posti a nord e a sud dell’edificio e dell’annesso camposanto. Probabilmente trattasi dei sepolcri di Gorm e della regina Thyrè. Copie di queste “Pietre” si possono vedere in quasi tutti i musei scandinavi. Storicamente importanti in quanto rappresentano il periodo di transizione tra il paganesimo nordico e il processo di cristianizzazione. Inoltre sono considerate il “documento” che attesta la nascita dello stato della Danimarca, visto che vi compare per la prima volta il nome. – foto G Pavat 2013

 

Quindi Harald era cristiano, ma con tutta evidenza non ebbe problemi a sposare Tovi, principessa pagana dei Vendi (la stirpe slava che era insediata sulle coste baltiche della Germania settentrionale), il cui padre Mistivoj regnava appunto sul Wendland (territorio all’interno del quale si trovava, ovunque fosse ubicata esattamente, anche Jomsborg).

Questo evento eternato nella “Pietra runica” (la cosiddetta “Sønder Vissing-stenen I”) rinvenuta nel 1836 murata nella parete occidentale della chiesa di Sønder Vissing a nord di Braedstrup, nella municipalità di Horsen, nello Jylland.

 

  1. Immagine sopra: la Sønder Vissing-stenen I” rinvenuta nel 1836.

 

  1. Immagine sopra: una “Pietra runica” moderna scritta in danese e polacco in ricordo della fondazione di Jomsborg-Wolin ad opera di Harald “Denteazzurro”.

Ma non è tutto. Ad Harald “Denteazzurro” è stata attribuita la fondazione stessa di Jomsborg, dove Vichinghi e Vendi, entrambi pagani, presero a vivere assieme.

È più probabile che Harald, non sia stato tanto il fondatore della città-fortezza, bensì colui che, o annettendola nei propri domini o alleandosi ad essa, ne favorì lo sviluppo economico, a prescindere dai culti che vi si praticavano.

Comunque, la non sicura individuazione del sito su cui sorgeva la capitale dei misteriosi e terribili Jómsvíking, ha fatto nascere il mito secondo il quale Dio in persona l’avrebbe distrutta facendola travolgere da una gigantesca onda di marea. Una Atlantide medievale? Per quanto incredibile possa sembrare, esiste un fondo di verità in tutto questo.

Infatti, secondo alcuni ricercatori, Jomsborg si sarebbe trovata non sull’isola di Wolin, ma sulla vicinissima isola di Usedom, nel quadrante Nord-ovest, ovvero in un’area che oggi si trova sotto la superficie del Mar Baltico.

E questo spiegherebbe il motivo per il quale il sito archeologico non è mai stato identificato con certezza.

Le attuali isole costiere sarebbero ciò che rimane di una lunga striscia di terra, compresa tra Rügen e Usedom, che venne sommersa da una spaventosa tempesta all’inizio del XIV secolo.

Quindi il ricordo di un fatto storico, come la distruzione di Jomsborg e la fine dei suoi Jómsvíking, ad opera di nemici umani, si sarebbe fuso con quello di un devastante avvenimento naturale, una terribile tempesta, verificatosi però più di due secoli dopo.

  1. Immagine sopra: Giancarlo Pavat osserva le grigie acque del Baltico. Che cosa si nasconde nelle sue profondità? Un’intera isola fu davvero sommersa da una spaventosa tempesta?” – Foto Sonia Palombo 2014.

Ma secondo un’altra leggenda, gli Jómsvíking sarebbero assurti alla favolosa potenza perché nella loro Jomsborg-Wolin avrebbero custodito gelosamente un misterioso oggetto. Un’arma che sarebbe stata donata dagli dei ad un invitto condottiero e che, anche dopo la sua morte, avrebbe continuato ad irradiare l’aura di potenza soprannaturale di cui era intrisa.

Un condottiero venuto da una terra posta molto più a sud, che sarebbe stato il vero fondatore di Jomsborg-Wolin e che per questo motivo in alcune fonti medievali veniva chiamata “Iulin” in suo onore.

L’arma era una Lancia e il suo invincibile proprietario era Caio Giulio Cesare.

  1. Immagine sopra. Busto di Caio Giulio Cesare conservato ai Musei Vaticani. (Fonte Wikipedia)

Secondo la leggenda locale, il grande condottiero e uomo politico romano, sarebbe arrivato in riva al Baltico alla testa delle sue legioni e dopo aver sconfitto i nemici di Roma, avrebbe fondato una città a cui avrebbe donato la propria “Lancia”.

Quest’arma, essendo appartenuta ad un “guerriero” invincibile, aldilà se fosse o meno un dono degli dei, era comunque da considerarsi prodigiosa perché aveva ”assorbito” il valore e la fortuna del proprietario. Non sappiamo con certezza se i tremendi Jómsvíking siano stati per davvero in possesso di questa “Lancia”.

Rimane il fatto che, dopo l’avvento del Cristianesimo in quelle regioni baltiche, in una chiesa di Wolin (generalmente viene indicata quella di San Nicola) venne per davvero conservata, come fosse un “Santa reliquia”, una punta di “Lancia” attribuita a Giulio Cesare. All’uomo considerato il fondatore dell’Impero Romano, il cui nome era diventato sinonimo stesso di Imperatore e che ancora oggi sopravvive in molte lingue (anche non neolatine) con il significato di capo militare, sovrano, condottiero; come “Kaiser” in tedesco, “Czar” in russo, persino il persiano “Scia”.

 

  1. Immagine sopra: La chiesa di San Nicola a Wolin (Fonte Wikipedia)

Inoltre, non va dimenticato nel Medio Evo occidentale, Giulio Cesare era entrato a far parte della ristretta schiera dei “Nove prodi”. Tema creato dalla letteratura europea del XIII secolo che “diede lustro alla cavalleria riunendo gli eroi delle diverse origini” spiega Jacques Le Goff nel suo “Il cielo sceso in Terra. Le radici medievali dell’Europa” (Laterza 2003) “È il tema dei “nove prodi”, la storia sacra della cavalleria, che raccoglieva insieme […] i prodi della Bibbia, Giosuè, Davide, Giuda Maccabeo, i prodi cristiani, Artù, Carlomagno e Goffredo di Buglione” e quelli antichi come Ettore figlio di Priamo re di Troia, Alessandro Il Grande e, appunto, Giulio Cesare.

Per tutto il Medio Evo, a Wolin, la punta della “Lancia di Giulio Cesare”, fu oggetto di un vero e proprio culto che prevedeva anche veri e propri pellegrinaggi nella città per l’adorazione della “Sacra Arma”.

Ovviamente, è superfluo ricordare che, sebbene abbia viaggiato molto in lungo e in largo per l’Europa occidentale e il Mediterraneo, quasi sempre alla testa delle sue Legioni, Giulio Cesare, non è mai giunto sulle coste meridionali del Baltico.

La leggenda e la tradizione sulla “Lancia di Wolin” si inseriscono nel quadro mitico-religioso di diverse popolazioni barbariche che, pur non essendo state conquistate e romanizzate, entrarono in contatto con la Civiltà di Roma. Questi Popoli, comprendendo e ammirando la grandezza della Civiltà Romana, trasformarono tutto ciò che ad essa, in qualche modo, poteva essere collegato, in garanzia di potenza, vittoria e favore degli dei.

Ma sebbene il Divo Giulio non è mai arrivato in quella che un giorno diverrà la regione della Pomerania, i suoi compatrioti non solo erano a conoscenza dell’esistenza del Mar Baltico, che chiamavano “Mare Suebicum”, ma ne esplorarono le coste e diverse isole e isolette.

  1. Immagine sopra: Statua di Giulio Cesare ai Fori Imperiali a Roma. (foto G Pavat 2018)

Nella primavera del 2011, gli organi di informazione svedesi diffusero la notizia che un contadino di Gotland, la grande isola svedese al centro del Baltico, aveva casualmente fatto una straordinaria scoperta archeologica nel proprio appezzamento di terreno, sito lungo la costa orientale dell’isola.

Si trattava di un reperto bronzeo costituito da un elmo con la maschera da parata di un ufficiale romano di cavalleria. Consegnato alle autorità archeologiche dell’isola, ha immediatamente suscitato notevoli dubbi. Non tanto per l’autenticità del reperto, che sembra incontestabile, ma per le circostanze del ritrovamento.

  1. Immagine sopra: La maschera bronzea da parata di un ufficiale romano di cavalleria “rinvenuta” sull’isola di Gotland nel 2011.

 Innanzitutto lo “scopritore” si è contraddetto più volte; prima dicendo di averlo trovato e subito consegnato, poi ha affermato di esserselo tenuto nascosto per qualche tempo nella propria abitazione.

Inoltre le condizioni del pezzo sembrano indicare che non è possibile che provenga da un campo arato. È molto più plausibile che si tratti di un reperto rinvenuto con l’ausilio del metal detector durante una ricerca e scavo illegale. Forse il contadino non è riuscito a venderlo al mercato clandestino dell’antiquariato ed ha deciso di consegnarlo alle autorità nella speranza di una ricompensa. A questo punto sorge il dubbio: l’ha davvero trovato a Gotland? O da qualche altra parte nell’Europa settentrionale, magari in Germania o in Inghilterra?

 

Per il momento gli amici svedesi devono rinviare i festeggiamenti per la prova definitiva dello sbarco romano nel loro Paese. Circostanza, comunque, che è certamente avvenuta. Ovviamente non bastano le monete rinvenute qua e là a Gotland o nella Penisola scandinava. Si sa, la “pecunia” viaggia proprio come gli uomini, passando di mano in mano. Semmai certificano gli scambi commerciali con il continente europeo romanizzato non l’arrivo delle Legioni aquilifere.

 

Ma gli autori Romani (e pure quelli greci) conoscevano il Baltico ed i suoi abitanti. Gaio Plinio Secondo conosciuto come Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) ci ha lasciato scritto che i Romani avevano circumnavigato la Penisola dei Cimbri (lo Jylland) dove si trovava il Golfo di Codano (forse il Kattegat). Sempre secondo Plinio, in questo golfo vi erano alcune grandi isole tra cui la più famosa era la Scatinavia (la Scandinavia).

È accertato che gli imperatori Ottaviano Augusto e Nerone inviarono delle flotte per esplorare il “Mare Suebicum”.

Non ci sono giunte le relazioni (che certamente vennero redatte) di queste esplorazioni ma non dobbiamo mai scordare che i testi scritti sopravvissuti al naufragio del Mondo Antico e giunti sino a noi, sono solo una minima parte dell’immenso patrimonio culturale e della congerie di libri, codici, vere e proprie enciclopedie della Civiltà Classica.

Inoltre Tacito (nel suo “De origine et situ Germanorum Liber”, XLV, meglio noto come “Germania”) descrive quello che, secondo gli studiosi, altri non è che l’attuale Mare Glaciale Artico;

 

Trans Suionas aliud mare, pigrum ac prope immotum, quo cingi cludique terrarum orbem hinc fides, quod extremis cadentis iam solis fulgor in ortus edurat adeo clarus, ut sidera ebete; sonum insuper emergentis audiri formasque equorum et radios capitis aspici persuasio adicit. Illuc usque, et fama vera, tantum natura”.
Ovvero…

Aldilà del territorio dei Suioni si estende un altro mare, pigro e quasi immoto, dal quale si crede che sia circondata e chiusa tutta la terra, perché l’estremo fulgore del sole al tramonto vi dura fino all’alba con una luce tanto chiara da offuscare le stelle. La credulità popolare afferma che sia possibile udire il rumore del sole che sorge dall’acqua e scorgere le sagome dei suoi cavalli e i raggi attorno al capo. Comunque, si sa per certo che solo fino a lì arriva la natura”.

È un passo importante perché dimostra quali fossero le conoscenze geografiche degli Antichi. E si potrebbe continuare a lungo. Infatti se n’è parlato in altre occasioni anche su questo sito. Ad esempio nell’articolo “Quando i Romani sbarcarono (o naufragarono) in Texas”, pubblicato il 7 settembre 2019.

Tornando alla “Lancia di Cesare”, oggi nessuno sa dove sia finita.

A quanto pare non si troverebbe più a Wolin. Secondo alcuni storici scandinavi del XIX secolo, la “reliquia” sarebbe stata presa dai Cavalieri Teutonici che se la sarebbero portata dietro, a guisa di invincibile talismano, durante le “Crociate del Nord”.

  1. Immagine sopra: Combattimenti di Cavalieri Teutonici immortalati in affreschi quattrocenteschi presenti nella Bungekyrka sull’isola di Gotland (foto G Pavat 2012).

 

Quindi sarebbe finita in una cappella di qualcuno dei numerosi castelli innalzati dall’Ordo Fratrum Domus Hospitalis Sanctae Mariae Teutonicorum in Jerusalem (questo il vero nome dell’Ordine Teutonico) nelle regioni baltiche, per poi sparire definitivamente ed entrare a far parte delle leggende senza tempo.

(Giancarlo Pavat)

 

 

Ma non è tutto! Alcuni studiosi scandinavi notando che una delle particolarità della “Lancia” sembra fosse il colore rossastro, hanno ipotizzato che forse era stata realizzata in un materiale pregiatissimo e difficilissimo da lavorare: l’Oro rosso del baltico, ovvero l’Ambra. Per saperne di più non resta che andare a leggersi il libro “La Sala d’Ambra. Storie e misteri dell’Ottava meraviglia del Mondo” (Dunwich edizioni 2020), l’ultima fatica letteraria dei due ricercatori del Mistero Alessandro Moriccioni e Giancarlo Pavat.

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