Immagine di apertura: il professor Roberto Volterri e gli altri componenti della spedizione del Mistery Team de IlPuntosulMistero nel Condotto di Nemi del 25 luglio 2020 – foto G PAvati.
Immagine in basso: Giancarlo Pavat all’interno dell’Emissario del Lago di Nemi – foto Bruno Ferrante
Risolto il Mistero di come è stato scavato il Condotto del Lago di Nemi?
Nei precedenti articoli dedicati ai Misteri di Nemi e, in particolare all’Emissario e ai quesiti ancora irrisolti che lo riguardano, si è parlato delle famigerate “unghiate” ben visibili all’interno del Condotto.
Ogni volta che sono entrato nell’Emissario (e con quelle dello scorso 25 luglio 2020 sono arrivato a quota 10!) mi sono sempre chiesto che cosa abbia potuto produrre quei perfetti solchi paralleli e circolari che caratterizzano le sezioni del condotto scavate nel basalto. Generalmente si ritiene che siano il risultato dell’opera di scavo del Condotto. Ma non è per nulla chiaro COME sia stato realizzata quella straordinaria opera di ingegneria idraulica. Sono state proposte diverse soluzioni. Si va da quella di stretta osservanza dell’“archeologia ufficiale” (ovvero una “macchina da scavo” costituita da un asse orizzontale incastrato di traverso tra le pareti del cunicolo. Poi con una lama di praticavano dei tagli del basalto che poi veniva rotto a martellate!) a quella folkloristica-naturalistica (una ruota dentata inserita nel condotto e un uomo-criceto che correndo al suo interno la faceva girare!), a quelle decisamente fantascientifiche e fumettistiche (tecnologie aliene come raggi della morte che sciolgono il basalto, o strumenti atlantidei ad ultrasuoni che perforano la roccia!). Personalmente ho sempre ritenuto che sia stato usato un macchinario, una sorta di “talpa meccanica” e che le “unghiate” siano, appunto, le tracce lasciate da questo strumento di cui, comunque, ci sfugge la concettualità. Ma il problema, in realtà, è un altro. Non si tratta tanto di che forma avesse questo fantomatico “macchinario” MA CON QUALE MATERIALE SAREBBE STATA FATTA LA PUNTA DELLA TRIVELLA (oppure le lame usate dallo scavatore dell’“archeologia ufficiale” o i denti della ruota dell’”Uomo-criceto”). Come si approfondirà tra poco, lo scavo è stato realizzato nella roccia più dura esistente su questo nostro Pianeta. Quindi allo stato attuale delle ricerche, nessuna spiegazione sembra essere soddisfacente. I dubbi permangono….o no?!
E a questo proposito, abbiamo il piacere e l’onore di ospitare su questo sito una nuova ipotesi relativa allo scavo del Condotto di Nemi. Ipotesi che si rifà al celebre “Rasoio di Occam” e che sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) risolvere una volta per tutte il mistero e che, per quanto ne sappiamo noi, è la prima volta che viene formulata da qualcuno.
La paternità è del professor Roberto Volterri (scrittore, docente universitario ma, soprattutto, archeologo) dopo essere entrato per la prima volta nell’Emissario durante la spedizione organizzata dal Mistery Team de IlPuntosulMistero dello scorso sabato 25 luglio. Fedeli all’aforisma di Eraclito che è, ormai, diventato il motto del nostro sito, e alla nostra “politica” di seminare dubbi per cercare di far ragionare le persone e non di propinare dogmi monolitici, la presentiamo in esclusiva ai nostri lettori, chiedendo loro di farci sapere che ne pensano.
(Giancarlo Pavat)
- Immagine in basso: il Lago visto dal borgo di Nemi – foto Gaetano Colella.
Nell’Emissario del Lago di Nemi, Madre Natura Vs “lame rotanti?
di Roberto Volterri
Molti punti relativi alla tecnica di scavo dell’Emissario di Nemi sono ancora un po’ oscuri.
C’è chi sostiene l’uso della cosiddetta “Dolabra”, un piccolo piccone che in realtà era una vera arma bianca munita di manico in legno, usata dalle truppe romane in ambito militare, Da una parte il ferro era affilato, tagliente come una lama, mentre dall’altra parte mostrava una robusta punta,
In definitiva era una sorta di strano connubio tra un piccolo piccone e una piccola ascia.
- Immagine sopra: Dolabra rinvenuta in scavo archeologico.
- Immagine sopra: Ai nostri giorni in un dialetto “napoletano-calabro-siculo” la Dolabra sarebbe chiamata “Sciamarru”.
Altri ricercatori avanzano l‘ipotesi dell’uso si un non meglio identificato macchinario realizzato con un asse su cui sarebbero state fissate delle lame rotanti che avrebbero eroso la roccia avanzando di circa tre centimetri ogni dieci giri della macchina.
Poiché il fronte lavoro era in grado di tenere occupata una sola persona, con un simile macchinario – ammesso che sia esistito – per percorrere tutti i 1653 metri sarebbe stato necessario un tempo inimmaginabile.
Sempre ammettendo l’esistenza di tale paleotecnica, forse essa potrebbe essere stata usata solo nei punti dove ancor oggi sono ben visibili le cosiddette “unghiate”, tracce circolari parallele, molto ben marcate?
Una volta che i due gruppi di scavatori si fossero incontrati, l’ultima parte del lavoro consisteva nello scavare il diaframma di roccia che li separava dalle acque del Lago. Evitando però di farsi travolgere dalle stesse…
4 – 5. Immagini sopra e sotto: Bruno Ferrante illumina meglio le cosiddette “unghiate”, le strane tracce circolari, parallele, distanti circa 3 – 4 cm una dall’altra, visibili in alcuni punti del cunicolo. Particolare delle “unghiate”- foto G Pavat.
In pochi punti dell’Emissario di Nemi si notano le “unghiate”.
In pratica solo dove c’è un consistente masso di Basalto, soprattutto sono ben visibili nel punto in cui le due squadre di operai, oltre due millenni e mezzo fa, si incontrarono ma con uno scarto di due metri e mezzo sul piano verticale e di poco meno su quello orizzontale.
Si dice che tali “unghiate” non siano visibili in molti altri punti del pur lungo cunicolo solo perché l’erosione dovuta al passaggio dell’acqua ha cancellato le tracce lasciate dal fantomatico attrezzo a lame rotanti, su non durissime formazioni vulcaniche tufacee…
Ma siamo veramente certi che le ‘unghiate” siano di origine artificiale, dovute alle quasi avveniristiche tecniche di scavo impiegate e non siano palese testimonianza di come Madre Natura possa lasciare curiose tracce in seguito a particolari eruzioni vulcaniche che, in relazione a diverse velocità di scorrimento della lava, potrebbero aver dato origine a strutture che possono trarre in inganno?
“frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora…”
… è futile fare con più mezzi ciò che si può fare con meno, sosteneva il frate e filosofo francescano Guglielmo di Occam (1288 – 1347), affermazione nota anche come “Principio dell’economia delle cause”, ovvero “Non sunt multiplicanda entia sine necessitate”. Insomma, perché cercare spiegazioni complicate che spesso “spiegazioni” non sono?
Confesso che il buon Guglielmo non mi è mai apparso troppo “simpatico” poiché se si fosse posta alla base della ricerca, in senso lato, il suo filosofico “rasoio” la Conoscenza sarebbe avanzata più lentamente. In alcuni casi non sarebbe avanzata affatto…
Però trascurare del tutto il suo sano “Principio” e cercare di attribuire a mai identificate “trivelle rotanti” la presenza delle strane tracce circolari che anche io ho visto durante il percorso sotterraneo, mi sembra un po’ eccessivo.
Avendo percorso una sola volta il cunicolo, andata e ritorno, ho chiesto all’amico Giancarlo Pavat – “veterano” della lunga e non facilissima “passeggiata” nell’emissario di Nemi – di indicarmi in quanti e quali punti siano visibili le cosiddette “unghiate”.
“Considerando il senso di marcia da Nemi verso il Cratere di Ariccia – mi ha scritto Giancarlo – le prime ‘unghiate” compaiono già qualche metro prima del punto di incontro dei due cunicoli. E precisamente dove inizia a comparire il basalto.
Poi sono visibili lungo quasi tutto il cinquecento metri finali “ariciani”. Ovvero sempre nel basalto.
È come se avessero usato il misterioso macchinario solo nei punti in cui c’è la roccia più dura.
Oppure erano presenti anche nei settori del tufo ma l’acqua, essendo la roccia più friabile, le ha cancellate.”
Dunque è confermato che le “unghiate” si vedono solo in corrispondenza delle masse basaltiche.
Chi scrive le ha viste molto bene in corrispondenza della brevissima deviazione verso il basso, dove si incontrarono le squadre di scavatori. In effetti, sembrerebbero dovute a qualche attrezzo metallico in grado di scavare il durissimo basalto in modo regolare. Ma poichè “non è tutto Oro ciò che luccica”, qualche dubbio sull’origine artificiale delle tracce sul basalto appare abbastanza legittimo…
Da un sommario esame della durezza di alcune pietre in base alla ben nota Scala di Mohs – empirico criterio che valuta la durezza dei materiali. Criterio ideato dal mineralogista austriaco Fiederich Mohs (1772 – 1839) – appare chiaro che il valore massimo della “durezza” è 10 ed è attribuito al Diamante.
Ma nella stessa “Scala” troviamo che il Basalto si piazza più che onorevolmente al terzo posto con un valore di 8. Ad un passo da quello del Diamante!
Durezza | Materiale | Tipo |
4.0 | Acciaio | Metallo |
1.5 | Alluminio | Metallo |
2.0 | Alluminio (lega) | Metallo |
5.0 | Apatite | Minerale |
3.0 | Ardesie | Pietra |
2.5 | Argento | Metallo |
2.5 | Argilliti | Pietra |
8.0 | Basalti | Pietra |
2.5 | Bronzo | Metallo |
3.0 | Calcari | Pietra |
3.0 | Calcite | Minerale |
9.0 | Corindone | Minerale |
8.5 | Cromo | Metallo |
10.0 | Diamante | Minerale |
Chi scrive non è un geologo, ma è un archeologo che ha lavorato e ancora opera in opportuni ambiti di ricerca nel campo delle analisi archeometriche su materiali ceramici e metallici.
Però anche ad un “non geologo” apparirebbe alquanto strano che oltre due millenni e mezzo fa (V-IV secolo a.C.) si possedesse una tecnologia meccanica in grado di azionare un asse ligneo o anche metallico, munito di taglienti e robuste lame capaci di tagliare con precisione un materiale poco meno duro del diamante!
E in uno spazio di lavoro dove al massimo potevano agire due persone. Forse solo una…
E con quale fonte di energia l’improbabile attrezzo sarebbe stato mosso?
Vapore acque in pressione, come qualcuno ha suggerito?
Erone di Alessandria con la sua divertente Eolipila venne alla luce almeno cinque secoli più tardi, anche se nel I° secolo a.C. Vitruvio ne aveva fatto cenno nel suo De architectura.
- immagine sopra: La cosiddetta “Eolipila” ideata da Erone di Alessandria (I secolo d.C.).
Una sorta di giocattolo azionato dal vapore acqueo proveniente da una piccola caldaia. Si narra che con qualcosa di maggiori dimensioni si potessero aprire anche le porte di un tempio. Si narra, appunto…
8. Immagine in basso – il Condotto di Nemi con le sue “unghiate” – foto Bruno Ferrante
A malincuore, molto a malincuore, sono quindi dovuto ricorrere a Guglielmo di Occam.
Lave vulcaniche con tendenze “artistiche”…
Due-parole-due sulle lave vulcaniche e poi vedremo il motivo per cui a chi scrive qualche dubbio è venuto dopo avere osservato da vicino le “unghiate”.
Quando un vulcano erutta, dalla camera magmatica esce la lava, ovvero una miscela di molti minerali allo stato di fusione, minerali ricchi di Silice.
A seconda della composizione chimica della lava e a parametri fisici correlabili anche all’ambiente in cui emerge dalla superficie terrestre (condizioni e forse anche particolare asperità del terreno, temperatura della lava e valori della pressione in uscita), essa può assumere forme differenti.
Anche molto artistiche…
Ad esempio, le “lave basaltiche” caratterizzate da temperature superiori ai 1000 °C., con basso contenuto di Silice e maggiore fluidità, solidificano con un colore grigio scuro come quelle di Nemi e creano spesso strutture che susciterebbero l’invidia di qualsiasi scultore moderno.
Qualche esempio? Una brevissima galleria di “Lave a corda”…
9 – 10 – 11. immagini sopra: capolavori della Natura…..
E, dulcis in fundo, anche una formazione lavica di Basalto che non sfigurerebbe affatto nella Galleria Nazionale di Arte Moderna…
12. Immagine sopra: una formazione lavica di Basalto
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13. Immagine sopra: il professor Roberto Volterri nel cunicolo dell’Emissario a fianco delle famigerate “unghiate” – foto G Pavat
Le immagini sopra riportate si riferiscono alle cosiddette “Lave a corda”, lave basaltiche che in lingua havaiana si chiamano Pahoehoe, ovvero “Pietre su cui si può camminare” poiché non sono taglienti e pericolose come altri tipi di lava.
La struttura “a corda” trae origine dallo scorrimento di uno strato in superficie che solidifica prima rispetto ad uno strato sottostante che scorrendo con maggiore velocità tende ad incurvare gli strati superiori.
Anche in forme quasi perfettamente circolari…
14 – 15. Immagini sopra e sotto: Sezione di una roccia basaltica con all’interno formazioni magmatiche caratteristiche delle “Lave a corda”.
Direi che ricordano molto da vicino quelle che chi scrive ha visto nel cunicolo dell’emissario di Nemi…
Cosa concludere? Nulla di definitivo, ovviamente.
Solo un invito a riflettere sulla alta improbabilità che le “unghiate” di Nemi siano dovute all’intervento dell’uomo e alla consistente probabilità che in quell’area, migliaia e migliaia di anni fa Madre Natura si sia sbizzarrita a fare uscire dal centro della terra rocce di Basalto solidificatesi nella struttura “a corda” proprio nella zona dove si è poi deciso di scavare per controllare il livello delle acque dello stupendo Lago di Nemi.
Se qualche esperto di geologia volesse/potesse esplorare altre aree del cono vulcanico di Nemi e si potessero trovare altre strutture basaltiche “a corda”, forse si potrebbe fornire qualche elemento in più a sostegno dell’ipotesi “Madre Natura”.
Purtroppo a discapito della pure suggestiva ipotesi delle “Mazinghiane lame rotanti”…
(Roberto Volterri)
Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dal professor Roberto Volterri.
16. Il borgo di Nemi sul bordo del Cratere – foto Gaetano Colella.
17 – 18. Colonne basaltiche in Boemia e nella Contea di Antrim in Irlanda del Nord