I SEGRETI DEI SERPARI DI COCULLO (AQ) di Giulio Coluzzi.

Immagine di apertura; la statua di San Domenico di Cocullo coperta dai serpenti .

I segreti dei Serpari di Cocullo (AQ)

di Giulio Coluzzi

 
Il rito dei serpari che, il primo maggio di ogni anno, si ripete nel piccolo e grazioso comune abruzzese di Cocullo, in provincia de L’Aquila, può definirsi unico nel suo genere.
Esso si svolge durante la processione devozionale al patrono, San Domenico abate, ma affonda le sue radici in un passato molto più antico, un culto pagano risalente almeno al primo millennio avanti Cristo e diffuso tra le popolazioni italiche dei Marsi e dei Peligni, i primi abitatori dell’attuale territorio dell’Abruzzo.
I serpari si tramandano di generazione in generazione l’arte della cattura e della cura dei serpenti.
La raccolta di questi rettili comincia ai primi di marzo, con i primi tepori che porteranno alla primavera, quando i serpenti cominciano ad uscire dalle loro tane sotterranee per emergere freddi e intorpiditi alla ricerca di un po’ di calore. Sono generalmente rettili non velenosi appartenenti alla famiglia dei Colubridi, chiamati “cervoni” (o frustoni, cerviotti, succiavacche ecc) a causa delle piccole corna di pelle che sembrano formarsi sul suo capo quando inizia la muta.

2. Immagine sopra: un cervone (Fonte Wikipedia)
Il cervone è tra i più lunghi serpenti d’Italia (la sua lunghezza adulta può andare dai 110 a 250 centimetri), e ha un manto di colore bruno attraversato per tutta la sua lunghezza da quattro striature più scure, che gli hanno valso il nome scientifico di Elaphe quatuorlineata.
I serpenti catturati vengono conservati in vasi di terracotta o sacchetti di tela, con del terriccio e delle foglie secche, e accuditi fino al giorno della processione, che si svolge il Primo Maggio.
Questa data, in realtà, è stata fissata a partire dal 2012; prima, infatti, la processione di San Domenico si svolgeva nel primo giovedì del mese. Prima della messa di benedizione, i serpari si aggirano per il paese con i loro beneamati rettili attorno al collo, e lasciano che i turisti più coraggiosi li possano imitare, per una foto ricordo “da brividi”.
3. Immagine sopra: l’autore di questo articolo, l’ingegner Giulio Coluzzi, alle prese con un “cervone” alla Festa dei Serpari a Cocullo (AQ).
In realtà sono creature molto docili, probabilmente persino abituati alla cura degli umani.
Ogni rettile viene registrato attraverso un microchip, applicato alla base della coda o del collo con un nastro adesivo, affinché ogni serparo possa riconoscere e riprendere il proprio rettile per riportarlo in natura nel luogo dove era stato prelevato.

 

4. Immagine sopra: Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Cocullo (AQ).
Dopo la messa celebrata presso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie (originaria del XIII sec.), in cui i rettili vengono benedetti, la statua del Santo viene portata nel piazzale antistante e i serpari lasciano i rettili attorno alla statua, per la processione intorno al paese.
La statua è preceduta da due donne in costume tradizionale che recano sul capo delle ceste contenenti cinque pani speciali, chiamati “ciambellati”, decorati con zucchero colorato e a forma di ciambella.

5. Immagine sopra: i pani chiamati “ciambellati”, decorati con zucchero colorato e a forma di ciambella, preparati per la Festa dei Serpari.
Questi pani, da un lato, ricordano uno dei miracoli attribuiti a San Domenico, ma simbolicamente richiamano ancora una volta la figura del serpente, che si attorciglia su sé stesso.
Deposti sulla statua, i serpenti cominciano ad avvolgerla completamente, e la processione può cominciare, preceduta dalle autorità locali, i gonfaloni comunali e la banda cittadina.

 

Esiste persino un auspicio legato al modo in cui i serpenti si avvolgono attorno alla statua: se essi, infatti, dovessero ricoprire completamente il volto del Santo, nascondendolo ai fedeli, sarebbe interpretato come un cattivo presagio per il paese.

6. Immagine sopra; la statua di San Domenico a Cocullo.

 

Ma come e perché è nata questa tradizione?
Nei paragrafi successivi cercheremo di tracciare dapprima l’origine cristiana, legata alla devozione verso San Domenico abate, poi approfondiremo i legami con alcuni culti pagani preesistenti, legati alla dea Angizia, signora dei serpenti.

7. Immagine sopra: statua in terracotta in cui si è voluta riconoscere la dea Angizia. Museo Paludi di Celano (AQ). (Fonte Wikipedia)
 

Il culto di San Domenico abate.

San Domenico abate, o Confessore, noto anche come San Domenico da Sora, da Foligno o da Collepardo, fu monaco e abate benedettino che nacque a Foligno, nel 591, e morì a Sora, nel 1031. Iniziò la sua esperienza monastica nel territorio della Sabina, poi grazie alla conoscenza dei conti dei Marsi, predicò e fu attivo nelle terre dell’antica Marsica, tra Abruzzo e Molise.
Intorno all’anno 1000 fondò un monastero nei pressi del lago di Scanno, chiamato San Pietro de Lacu, oggi non più esistente, attorno al quale cominciò a formarsi e a crescere una comunità abitativa di coloni e fedeli che fu il primo nucleo dell’odierno paese di Villalago. Fondò anche un eremo, all’interno di una grotta carsica, che nel XV sec. è divenuto il luogo di culto oggi conosciuto come Eremo di San Domenico, che sorge sulla riva di un laghetto artificiale, realizzato nel 1929, chiamato Lago di San Domenico.
Durante questo periodo egli compì già diversi miracoli, che attirarono le mire di alcuni miscredenti. Sotto la minaccia di morte, San Domenico abbandonò l’eremo e fuggì in groppa alla sua mula in direzione del paese di Cocullo.
A metà strada tra Cocullo ed Anversa, il Santo incontrò un’anziana donna che si recava al mulino per macinare un sacchetto di grano per farne della farina. Domenico ne chiese un po’ per la sua mula e la donna acconsentì.

8. Immagine sopra; Statua di San Domenico di Cocullo avvolta dai serpenti. 

 

La sua generosità venne ampiamente ricompensata quando la macinatura di quel poco grano che era rimasto riempì ben due sacchi di farina che la donna portò a casa. Da questo miracolo, la tradizione di portare in processione i cinque pani “ciambellati”.
All’ingresso del paese, trovò molta gente turbata che inseguiva senza successo un lupo affamato, che aveva rapito alla madre un bambino appena nato, portandolo tra le fauci con l’intenzione di mangiarlo. San Domenico comandò al lupo di lasciare il bambino, e l’animale, ammansito, obbedì e rinunciò al suo proposito. Ma l’abilità per la quale divenne più famoso fu quella di guaritore: a quell’epoca le persone dormivano in rozze capanne e spesso addirittura all’aperto. I morsi dei serpenti e dei cani rabbiosi erano molto frequenti e il santo divenne famoso per la sua capacità di guarire da ogni morso.
Tra i tanti prodigi operati dal Santo a Cocullo, ve ne sono altri due che hanno fortemente influenzato il culto locale. Il primo avvenne quando San Domenico si recò da un maniscalco per ferrare la sua mula. Il meschino, credendolo un forestiero, gli fece un prezzo molto alto. San Domenico protestò dicendo che piuttosto preferiva restituire il ferro; detto ciò la mula scrollò la zampa e il ferro cadde da solo, come se non fosse stato mai inchiodato. Oggi quello stesso ferro è considerato una reliquia e si trova esposto nel santuario dedicato al Santo.
L’altra reliquia gelosamente costudita dai cocullesi è un dente del santo. Essa è legata ad un altro aneddoto riportato dalle tradizioni locali. Quando venne il tempo, per San Domenico, di lasciare il paese di Cocullo per proseguire la sua missione in altri luoghi, gli abitanti ne furono molto scontenti e lo pregarono di lasciare loro almeno qualcosa per continuare a proteggersi dai morsi dei serpenti velenosi. Mosso a compassione, il santo aprì la bocca e si levò un molare, donandolo a loro. In memoria di questo dono, è tradizione ancora oggi che i fedeli che assistono alla messa che precede la processione, suonino le campane della chiesa con una cordicella stretta tra i denti, per propiziarsi la buona salute del proprio apparato orale.
9. Immagine sopra; la “Signora dei Serpenti”, legata a culti ctoni della Civiltà Minoica (disegno di Giancarlo Pavat)

 

Il simbolismo degli elementi del culto di San Domenico

Se guardiamo agli elementi fondamentali del culto di San Domenico da un punto di vista non religioso, ma piò genericamente simbolico, gli spunti che vengono offerti sono tantissimi, e volgono tutti verso una specifica direzione.
Chiaramente, il simbolismo piò forte è legato alla sua fama di guaritore dai morsi dei serpenti.
Il serpente è un animale che vive sottoterra, quindi è legato ai culti ctoni. Con questo termine si identificano i culti tributati a delle divinità, quasi sempre femminili, legate al mondo sotterraneo e che personificano le forze sismiche e telluriche del sottosuolo (in termini più moderni, diremmo le “energie della terra”).
Sono generalmente legate ai cicli stagionali, ai cicli di morte/resurrezione (il seme che viene sepolto nella terra per rinascere a primavera come pianta viva) e anche alla conoscenza segreta, quella “esoterica”, che scorre nascosta come un fiume sotterraneo.
Molti culti misterici erano culti sotterranei: si pensi ai Misteri Eleusini, legati a Demetra, o a quelli di Mitra.

 

10. Immagine sopra; statua del dio Esculapio rinvenuta a Ostia Antica ed esposta ai Musei Vaticani. 

 

 

Il serpente è uno dei simboli principali di questo dualismo vita/morte: il veleno del serpente dà la morte ma dallo stesso si ricava l’antidoto che restituisce la vita. Il veleno dei serpenti, in greco, veniva chiamato phármakon, che significava anche “medicamento” (da cui i termini odierni farmaco e farmacia).
11. Immagine sopra: statua romana raffigurante la dea Igea (Archivio ilpuntosulmistero).

 

Il dio greco della medicina, Asclepio (Esculapio per i Romani), era simboleggiato da un bastone sul quale era avvolto un serpente. Sua figlia Igea, che presiedeva alla salute e alla prevenzione delle malattie (da cui derivò il termine “igiene”) era simboleggiata da una coppa dalla quale fuoriesce un serpente. Il bastone d’Esculapio viene spesso confuso con il caduceo, o bastone alato di Hermes, sul quale si avvolgono due serpenti, ed è anch’esso, seppur impropriamente, associato alla medicina. In realtà deve essere più correttamente associato alla sapienza misterica, o ermetica, che lo stesso Hermes (Mercurio per i Romani) rappresentava.
12. Immagine sopra: da sx il Caduceo di Hermes, la Coppa di Igea e la Verga o Bastone di Asclepio (Archivio ilpuntosulmistero)
 
Quanto agli altri attributi di San Domenico, ci sarebbe molto ancora da dire.
Prendiamo, ad es., il miracolo della farina e i cinque pani a forma di ciambella.
La farina è il prodotto del grano, e il grano, con i suoi chicchi dorati stretti attorno alla spiga, rappresenta da sempre la fertilità, la ricchezza e l’abbondanza. Cinque è il numero del Femminino Sacro per eccellenza, sublimato nel simbolo del Pentagramma, associato al peregrinare del pianeta Venere, che ricorda l’omonima dea della bellezza e dell’amore.
L’amore porta al matrimonio, e il matrimonio è suggellato da un anello, la cui forma circolare ricorda l’eternità. Quello matrimoniale ha un nome particolare: si chiama “fede”, proprio a richiamare l’amore e la fedeltà che garantisce l’eternità di questo amore. L’anello si porta sul dito anulare, proprio perché si credeva che da questo dito partisse un’arteria che portava dritta al cuore.

 

Nel caso particolare di Cocullo, la forma a ciambella ricorda anche quella di quei serpenti che prendono il sole acciambellati (in genere, lo fanno quelli velenosi, come le vipere), ma il legame con la femminilità e la fertilità è sottilmente richiamato dalle portatrici, che sono giovani ragazze.

 

13. Immagine sopra: statua di San Francesco e il lupo (Archivio ilpuntosulmistero)
Poi c’è il lupo. Quanti santi si conoscono che sono noti per aver miracolosamente ammansito un lupo selvaggio? San Domenico non è certo l’unico e tra tutti gli altri (San Guglielmo d’Irpinia, Santo Stefano di Manoppello) il caso più famoso, probabilmente, è quello di San Francesco d’Assisi che operò tale miracolo nei pressi di Gubbio.
14. Immagine sopra; Un lupo ulula alla Luna. Animale negativo per i Cristiani era invece un animale totemico, creatura sacra, per tutte le altre culture e civiltà (Archivio ilpuntosulmistero).

 

Il lupo per i cristiani è simbolo del Male, perché insidia e divora l’agnello, simbolo cristico. Ammansirlo significa dunque dominare il Maligno.
15. Immagine in basso; Odino, padre e sovrano dei Luminosi Asi della Tradizione norrena con i suoi due fedeli lupi; Freki e Geri (Fonte Wikipedia)

 

Ma, alla pari del cane a cui somiglia molto, è anche un animale psicopompo, cioè colui che accompagna le anime dei morenti verso l’aldilà.
Il lupo che si affaccia da una caverna, ad esempio, rappresenta lil rito di passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti. Ha anche la fama di fecondatore e di iniziatore, dunque propizio alle imprese più grandi. Romolo e Remo, i gemelli nati dall’unione della vestale Rea Silvia con il focoso Marte, vennero allattati da una lupa. E i lupercali, le feste romane in onore del dio Luperco (animale totem dello stesso Marte), celebravano tra l’altro la fertilità e la fecondità.

16.  Immagine sopra: il campanile della Basilica di Aquileia in Friuli – Venezia Giulia. In primo piano copia della Lupa capitolina con i gemelli Romolo e Remo (foto Giancarlo Pavat)

 

Il ferro di cavallo è da sempre considerato un portafortuna, da appendere ad es., sulla porta di casa. Ma chi conosce l’origine vera di questa credenza? Ebbene, la forma a “U” rovesciata di questo elemento ricorda quella dell’ingresso di una caverna, e quindi è uno dei simboli uterini per eccellenza. Si tratta quindi di un simbolo che propizia la fecondità e la fertilità, entrambi portatori di ricchezza: i figli, come forza lavoro e sostentamento della famiglia, e i campi, che producono le messi per i fabbisogni principali.
Veniamo, infine, al dente. Nel simbolismo tradizionale, essendo adibiti alla triturazione del cibo e alla sua masticazione, rappresentano la forza materiale, la possessione e l’aggressività legata agli istinti primari e materiali. In alcune culture, la simbologia è estesa a tutti gli altri appetiti primari, anche quelli sessuali. Nelle mitologie europee, non mancano storie di creature diaboliche che affondano le zanne nei poveri malcapitati.
Pensiamo ai vampiri, rappresentanti per eccellenza di queste creature, e al più famoso tra essi, il Dracula di Bram Stoker: cosa rappresentano i canini allungati che penetrano nella carne nel collo di giovani vergini se non un simbolo fallico?

 

17. Immagine sopra: la statua di San Domenico da Cocullo con i serpenti,  portata in processione. 
 
Tornando a San Domenico, e al suo dono verso la comunità di Cocullo, simbolicamente il Santo si priva di questo dente per donare ai cocullesi la capacità di guarire dal morso dei serpenti: dunque la metafora è che per raggiungere la sapienza superiore (la guarigione) occorre liberarsi delle passioni e degli istinti materiali. In altre parole, è una parabola di evoluzione mistica.

 

Il culto della dea Angizia

L’abilità taumaturgica di San Domenico diventa ancora più chiara se si pensa che nelle stesse regioni abruzzesi in cui ha vissuto e ha operato, la Marsica, esisteva già nel primo millennio a.C. il culto pagano alla dea Angizia, signora dei serpenti e del mondo sotterraneo.
Angizia (in lat., Angitia, Anctia per i Marsi, Anagtia per i Sanniti e Anaceta per i Peligni) era una divinità ctonia, secondo alcuni figlia di Eeta e sorella di Circe e Medea.
Le venivano attribuiti la conoscenza delle erbe curative, l’abilità di guarire dal morso dei serpenti e quella di poterli uccidere al solo tocco. Le poche raffigurazioni che ci sono giunte di questa divinità la rappresentano mentre regge un serpente con il braccio steso.
Come tante divinità ctonie, è anche una dea della fertilità (ricordiamo che l’umida cavità oscura sotterranea è da sempre anche una metafora per indicare l’apparato uterino). È significativa, a tal proposito, la somiglianza di questa dea italica alla persiana Anahita, o Anchita, secondo alcuni consorte del dio Mitra, e alla babilonese Ishtar, entrambe identificate col pianeta Venere e dee della fertilità e della gravidanza. 
18-19. Immagini sopra e sotto: um’altra “Signora dei Serpenti”. Santa Anatolia la cui statua effetto di venerazione nella chiesa di San Nicola a Supino (FR) – (foto G. Pavat 2023). Per un approfondimento sulla figura di Santa Anatolia si veda l’articolo pubblicato l’11 maggio 2023 su questo sito; “La Signora dei Serpenti. Una ricerca iconografica di Giancarlo Pavat”.

Numerose sono le tracce del suo culto in Abruzzo; tra le più evidenti, una statuetta della dea ritrovata nei pressi del lago del Fucino, dove si credeva che la dea avesse dimora. Ne parla anche Virgilio, nell’Eneide, quando cita;
Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda, te liquidi flevere lacus” (Eneide VII, 759-760):
Sei te il bosco (sacro) di Angizia, te il Fucino dall’onda cristallina, te piansero i limpidi specchi d’acqua.”
Grazie a tali versi gli archeologi potettero individuare, sulle sponde del lago del Fucino, l’antico sito archeologico dedicato alla dea, chiamato Lucus Angitiae, oggi compreso dell’attuale territorio di Luco dei Marsi (AQ).
Le numerosissime chiese dedicate alla Madonna delle Grazie, o Madonna delle Nevi, nello stesso territorio, richiamano questi culti pagani della fecondità.
20. Immagine sopra: Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Cocullo (AQ)

 

La Chiesa di Santa Maria delle Grazie

Risalente al XIII sec., la Chiesa di Santa Maria delle Grazie richiama, già nell’intitolazione il suo rapporto precedente con un culto pagano dedicato a una divinità femminile: denominazioni come Madonna delle Grazie, della Neve o del Latte sono assai comuni in questi casi.
La sua costruzione risale al XIII sec., ma ha subito diversi lavori di modifica nel corso dei secoli. Sulla facciata spicca un rosone circolare ad otto raggi, altro sottile richiamo alla Stella Polare, o Stella ad Otto Punte, che non solo si allaccia al simbolismo dell’Ottonario (il doppio quaternario attivo e passivo, l’anello di congiunzione tra il Quadrato, ossia la dimensione terrena, e il Cerchio, ossia la dimensione Celeste), ma è stato sin dall’antichità anche uno degli attributi della Grande Madre.
Nella lunetta del portale d’ingresso si notano ancora i resti di un affresco del XVI sec., raffigurante la Madonna con il Bambino.

21-22. Immagini sopra e sotto; Triplici Cinte presso l’ingresso della Chiesa di Santa Maria delle Grazie.

 

Ai lati del portale d’ingresso, sui sedili in pietra, spiccano due Triplici Cinte. Su uno degli stipiti, inoltre, vi sono altre incisioni simboliche tra cui spicca in bella vista un altro emblema caratteristico, il fiore a sei petali, o Fiore della Vita.
All’interno della chiesa, strutturata su un impianto navata unica e fortemente modificato nel XVIII secolo, si conservano degli affreschi cinquecenteschi raffiguranti la Crocifissione, la Deposizione e un trittico che rappresenta Sant’Antonio, Sant’Amico di Rambona e Maria Maddalena, che reca un vaso nella mano destra e un libro chiuso in quella sinistra (il simbolo della conoscenza esoterica).
La chiesa presenta anche un corredo di statue, di fattura barocca, di un certo pregio: troviamo san Nicola, Santa Maria del Rosario col Bambino, al lato dell’altare maggiore, San Rocco e Sant’Antonio, e infine San Giuseppe col Bambino.
Notevole anche la statua settecentesca di San Domenico abate, raffigurato con il bastone da viaggio in una mano, che presenta sul petto una nicchia nella quale è conservata la reliquia del dente. Dietro l’altare principale, una nicchia raccoglie la statua della Beata Vergine delle Grazie col Bambino, opera rinascimentale del XV secolo.

23. Immagine sopra: veduta del paese di Cocullo (AQ).

 

Curiosità

Pochi sanno che una processione analoga a quella di Cocullo, con la statua di San Domenico ricoperta di serpenti vivi, si è tenuta dal 1888 anche nel comune molisano di Castelpizzuto (IS).
Secondo la tradizione orale, questa festa venne abolita verso la metà degli anni Venti, quando un grosso rettile morsicò e restò attaccato al braccio di uno dei serpari. Una donna incinta, spaventata dall’accaduto, ha perso il bambino che aveva in grembo. Questo evento fece sì che la processione non venne più celebrata.

 

(Giulio Coluzzi)

– Se non altrimenti specificato, le immagini sono di Giulio Coluzzi.
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