IL LABIRINTO IN ETÀ ANTICA: IL FASCINO DI UN SIMBOLO ANCORA PIENO DI MISTERI di I. Burgio (II parte)

IL LABIRINTO IN ETÀ ANTICA: IL FASCINO DI UN SIMBOLO ANCORA PIENO DI MISTERI

di Ignazio Burgio

Parte seconda: i labirinti a mosaico romani.

 

 

Tra il I secolo a. C. ed il V d. C. all’interno di molte ricche ville e di alcuni edifici pubblici – soprattutto terme – in Italia e nelle province occidentali dell’Impero Romano vennero realizzati pregevoli pavimenti a mosaico raffiguranti labirinti circondati da mura e torri. Di forma prevalentemente quadrata, come quasi tutti quelli ritrovati in Italia ad es. a Roma, Pompei, Cremona, Taormina, ecc. ma alcuni anche circolari ed in rari casi anche esagonali ed ottagonali, continuano tuttora a far discutere gli archeologi e gli storici dell’arte che s’interrogano sull’origine ed il significato di queste opere artistiche e degli elementi simbolici che li contraddistinguono. Il restauro in anni recenti (dicembre 2014) di uno degli esempi più antichi di labirinto quadrato romano, ovvero quello ritrovato a Roma nel 1958 in piazza San Giovanni in Laterano, ha riportato in auge la questione della loro interpretazione. In questa seconda parte si illustra come la loro genesi ed il loro significato possano ricollegarsi alle cerimonie sacre di fondazione di nuove città che i Romani ereditarono dalla civiltà etrusca, e si propone come loro “inventore” il nome di Lucio Cornelio Silla.

 

Le città quadrate. A noi moderni potrebbe sembrare curiosa o inspiegabile l’usanza da parte di Etruschi e Romani di eseguire un rito funerario come il Ludo Troiano anche in occasione della fondazione di una nuova città. Ma in realtà è soltanto perché dopo quasi cinquecento anni di rivoluzione scientifica la nostra visione cosmologica è completamente differente da quella degli antichi. Questi infatti erano convinti di vivere in un livello cosmologico intermedio tra il cielo sopra di loro, sede delle divinità celesti, ed il mondo sotterraneo delle divinità infernali e dei defunti. Qualsiasi atto di devozione religiosa prevedeva quindi di rendere omaggio non solo agli dei del cielo e della natura circostante, ma anche alle anime degli antenati nell’Ade ed alle loro divinità.

Come desunto quindi dalle fonti, ma soprattutto dagli scavi archeologici ad es. a Marzabotto, Meggiaro D’Este ed altrove, presso gli Etruschi e i Latini la cerimonia di fondazione di una nuova città si basava soprattutto sui riti che mettessero in comunione tutti e tre questi piani cosmici, affinché la nuova città nascesse sotto i migliori auspici e con la sorte migliore. Veniva data fondamentale importanza agli orientamenti solari, in particolare quelli solstiziali. Nei giorni del solstizio d’inverno, il sacerdote etrusco ed i suoi assistenti con le spalle a nord-ovest (tramonto del solstizio estivo) e gli occhi rivolti a sud-est, alba del solstizio invernale, attendevano il sorgere del sole. L’alba ed il tramonto nella mentalità religiosa degli antichi erano i momenti della giornata più propizi, allorchè il sole toccando l’orizzonte terrestre sembrava idealmente unire proprio i tre “mondi” o piani cosmici, ovvero il cielo, la superficie terrestre e gli inferi. Lungo la diagonale solstiziale nord-ovest / sud-est veniva quindi scelto il punto centrale attorno al quale sarebbe sorta la nuova città.

Il sacerdote quindi si spostava su questo punto centrale e scavava una buca in cui poneva non solo delle offerte, ma anche un simbolico cippo di pietra. Questa buca poteva prendere il nome di mundus o anche di umbilicus ed assumeva la funzione di asse verticale di comunicazione fra Cielo, Terra e Inferi, e come osservano gli etruscologi, era in un certo senso la raffigurazione della città che si stava per edificare. In sostanza, il foro nel terreno, sotto il punto di vista sacrale, simboleggiava un vero e proprio “labirinto infernale” sopra il quale sarebbe stata edificata la nuova città.

Su questo mundus-umbilicus, dentro il quale i neo-cittadini più importanti ponevano anche un po’ di terra della loro città di origine, sarebbe stata poi costruita la piazza del Foro, e sopra di esso sarebbe passato l’incrocio delle due principali vie delle città: il “cardo” (in direzione nord-sud) e il “decumano” (est-ovest). Fra le rovine della Marzabotto etrusca è stato infatti ritrovato al di sotto dell’incrocio delle due vie principali un cippo interrato, a sua volta perfettamente in asse con altri due cippi lungo la diagonale solstiziale nord-ovest – sud-est in corrispondenza dei quali vi sono i resti di are e templi, a confermare l’antico concetto di sacralità di quegli orientamenti.

Anche Roma venne fondata seguendo il medesimo rituale etrusco, come dimostrato dalle fonti antiche e dall’archeologia. Plutarco ad esempio scrive: «…venne scavata una fossa circolare intorno all’attuale Comizio, nella quale furono deposte offerte votive di tutto ciò che risultava adatto secondo le consuetudini e necessario secondo natura. Infine ogni abitante portò una piccola porzione della propria terra d’origine e la gettò nella fossa, mescolandola insieme con le altre. Chiamano questa fossa con lo stesso nome con cui indicano il cielo: mundus ». (Vita di Romolo, 11, 1-2). Nel caso di Roma il mundus è stato identificato nel Foro romano, e secondo la tradizione religiosa antica esso veniva aperto per tre giorni l’anno per fare in modo che le anime dei defunti accedessero al mondo dei vivi. In tutto il mondo antico infatti aveva grande importanza il culto degli antenati. Nell’antica Grecia gli antenati Tritopatori (= trisavoli) che dimoravano nell’Ade erano considerati i numi tutelari del benessere e della prosperità dell’intera famiglia, era loro dedicato un altare nella casa, e quando si era in attesa di una nuova nascita i familiari si auguravano che si reincarnasse un illustre antenato (F. Vian, p. 64).

Ricoperta la buca centrale, il sacerdote etrusco sulla base di essa e aiutandosi con l’ombra di uno gnomone individuava le otto direzioni astronomiche principali, i quattro punti cardinali, più i punti di alba e tramonto del sole nei solstizi, ed anche su questi punti venivano scavate altrettante buche e interrati dei cippi, come dimostrato dai recenti ritrovamenti degli scavi eseguiti a Marzabotto, e a Meggiaro d’Este (Gottarelli, p. 70). Anche la città etrusco-romana vera e propria non era destinata ad avere una forma circolare ma quadrata. I cippi interrati scoperti a Marzabotto, a Meggiaro, o anche nell’antica Bantia (l’odierna Banzi, in Basilicata, quindi in un contesto italico non etrusco) formano un perimetro quadrato, e la Roma arcaica fondata da Romolo secondo le fonti era una “Roma quadrata”. Il perimetro delle mura doveva dunque avere forma quadrata, sia che fosse una città etrusca o latina. Il solco tracciato dall’aratro, le cui zolle venivano accuratamente rivolte verso l’interno, aveva dunque un valore sacro come il mundus-umbilicus centrale (con valore di “labirinto”) di cui il perimetro della città era l’estensione. La leggendaria uccisione da parte di Romolo del fratello Remo (simbolo del “sole morente” autunnale) che aveva violato il perimetro, è dunque strettamente in connessione con questa inviolabilità sacrale, sancita anche dal cosiddetto pomerium (post-murum), lo spazio fra le mura e l’aperta campagna che non poteva essere occupato da nulla.

Eseguire pertanto la danza del Ludo Troiano in occasione dei funerali aveva chiaramente la finalità di esorcizzare nei vivi la paura della morte e dell’Ade, e al contempo di augurare ai defunti il loro celere ritorno tra i nuovi nati. Eseguirla invece nel corso della fondazione di una nuova città significava invocare la protezione delle ombre degli antenati dell’Ade in primo luogo per propiziarsi prosperità, prole numerosa e rapido incremento di popolazione. Ma anche, anzi soprattutto, per evitare che “l’inquietudine” o la pericolosa “ira” delle divinità degli Inferi potesse danneggiare edifici e mura: per gli antichi, che non possedevano alcuna cognizione di geologia e di sismologia, i terremoti erano i segni più drammatici dello sfavore del mondo degli inferi nei confronti di chi dimorava in superficie, e dunque era indispensabile accattivarsi il favore di tutti gli spiriti sotterranei.

La genesi dei labirinti romani.

Nelle lussuose ville dei ricchi patrizi, i mosaici sui pavimenti spesso erano incorniciate da un bordo a forma di mura quadrate. Secondo gli studiosi esse potevano costituire una sorta di “messaggio” da parte dei padroni di casa agli ospiti che si trovavano sotto il loro tetto, ovvero quello di sentirsi al sicuro e protetti come all’interno di una fortezza. Non è escluso tuttavia che avessero anche i significati apotropaici e di buon auspicio di cui si è parlato sopra, in quanto anche le mura e le torri di guardia con le loro fondamenta sotterranee riunivano simbolicamente i tre mondi, l’Ade, la Terra ed il Cielo, insieme a tutte le rispettive divinità. A partire dal I secolo a. C. all’interno di queste mura a mosaico sui pavimenti delle ville aristocratiche iniziano a comparire anche i labirinti, che dall’Italia si diffonderanno nei secoli successivi in tutta la parte occidentale dell’Impero, dal Nord-Africa all’Europa occidentale (Cirene, Taormina, Cremona, Vienna, Coimbra, ecc.). Se si eccettua un frammento di labirinto (circolare, non quadrato) proveniente da Selinunte e datato alla fine del II secolo a. C. (125 – 100 a. C., cfr. Kern, p. 119), la più antica testimonianza archeologica al riguardo è stata finora ritrovata a Roma. È rappresentata dalla metà superstite di un labirinto quadrato rinvenuto nel 1958 nel corso di lavori stradali in piazza San Giovanni in Laterano, e risalente all’inizio del I secolo a. C. (tra il 100 e l’80 a. C. come riportato in Kern, p. 118).

Asportato subito dal suo sito originario – non senza disappunto degli archeologi che ancora oggi ne lamentano, all’epoca, la sommaria descrizione del contesto – rimase per molto tempo imballato in un deposito museale finché da alcuni anni, dopo un attento restauro, è possibile oggi ammirarlo al Museo Centrale Montemartini di Roma. L’archeologa Carla Salvetti che lo ha recentemente studiato ne ha rilevato l’alta qualità sia del lavoro che delle tessere di vari colori (bianche, nere, rosse, giallo ocra) che lo compongono. La cinta muraria che ne delimita il perimetro è costituita da tre livelli di blocchi, dai colori alternati, e da tre torri su ogni lato più una torre ad ogni angolo.

La rappresentazione sembra insomma abbastanza realistica e vicina a quelle che dovevano essere le fortificazioni reali dell’epoca, specie quelle urbane, dal momento che nel mosaico la torre principale è anche di tipo poligonale e dotata di finestre. I corridoi interni del labirinto appaiono poi ben delimitati e dotati anche di una certa “tridimensionalità” sotto l’effetto di una luce virtuale proveniente da sinistra. E già in questo primo esempio molto antico si presenta un’importante caratteristica che contraddistinguerà poi tutti i labirinti quadrati romani (ed anche alcuni di quelli circolari): nonostante il percorso sia univoco, da una porta d’ingresso nella parte perduta del mosaico fino al centro (dove sicuramente doveva esservi rappresentato qualcosa), il labirinto si presenta infatti suddiviso in quattro sezioni, separate da quattro lunghi corridoi, proprio come la pianta delle città etrusco-romane suddivise in quattro parti dalle due vie principali, il Cardo e il Decumano. Come scrive Salvetti, “…La stessa cortina muraria è del resto significativamente utilizzata nelle rappresentazioni che accompagnano i testi degli agrimensori romani, dove le città sono rappresentate non da un insieme di abitazioni, ma da una cinta turrita continua “simbolo riassuntivo dell’intero insediamento” all’interno della quale l’incrocio tra cardo e decumano, come estrema semplificazione del reticolo quadrato del labirinto, coincide con il centro della città. Il legame con la città si estende poi alla “nozione mitica” del tema del centro, di cui il labirinto esprimerebbe graficamente il simbolismo, con successiva trasposizione dal significato di palazzo a quello di polis. Tra le varie interpretazioni proposte nell’esegesi dei pavimenti musivi di provenienza occidentale con questo tipo di rappresentazione, quella che ricorre nella maggior parte degli studi, è ovviamente quella che riconosce nell’associazione labirinto-cinta muraria il rapporto tra città e domus, con una ulteriore funzione magica e protettiva che coinvolge tanto il singolo quanto la comunità.

La posizione di questi pavimenti nei triclinia o più spesso negli atri o nei vestiboli che precedevano l’area più riservata di contesti privati e di strutture residenziali (generalmente di grande prestigio), sembra costituire, come è stato più volte sottolineato, una esplicita dichiarazione del committente di essere esponente di una élite che riveste un doppio ruolo, da un lato quello istituzionale di magistrato e dall’altro quello privato di patrono, comunque rappresentante di quella urbanitas che appartiene alla classe dirigente romana…” (cfr. C. Salvetti, La rappresentazione del labirinto e della cinta muraria in un mosaico romano da San Giovanni in Laterano, in: www.academia.edu).

Chi commissionò l’opera doveva essere insomma una persona non solo facoltosa ma anche importante, appartenente all’aristocrazia romana, poiché la sua scelta di riprodurre all’interno di una cinta muraria il labirinto, in un certo senso diventato anche immagine della medesima città di Roma, voleva richiamare l’attenzione sulla propria discendenza dai padri fondatori, coloro che avevano mescolato la loro terra d’origine nel mundus-umbilicus del Foro – simboleggiato dal centro del labirinto-città – per propiziarsi le divinità dell’Ade e gli antenati che lì dimoravano. L’epoca a cui risale il labirinto era infatti quella delle contese civili tra i patrizi conservatori e tradizionalisti capitanati da Lucio Cornelio Silla, da un lato e i populares guidati da Gaio Mario dall’altro. Non a caso il medesimo Silla, vissuto tra il 138 a. C. ed il 78 a. C. riportò in auge proprio la cerimonia del Ludo Troiano con un evidente richiamo sia ai valori della tradizione, sia al suo ruolo di pacificatore e, in un certo senso, di nuovo fondatore dell’Urbe, anche se a prezzo di lotte fratricide, proprio come nel caso di Romolo nei confronti di Remo. Certamente quindi il proprietario del labirinto romano abbracciava i medesimi ideali del dittatore di cui sicuramente era un seguace. Anzi, chissà, magari fu proprio Silla, membro di una delle cento tradizionali famiglie fondatrici dell’Urbe, a creare quel primo esempio di mosaico pavimentale labirintico destinato ad avere poi grande fortuna.

La possibilità che il labirinto del Laterano fosse stato commissionato proprio da Silla, come sua invenzione originale, potrebbe venir supportata dalle medesime vicende della sua vita. Con un atto senza precedenti quanto sacrilego, nell’88 a. C. con le sue sei legioni invase Roma violando il pomerium e le mura dell’Urbe, facendosi strada incendiando le case e costringendo così alla fuga Mario ed i suoi seguaci. Poi nel corso del conflitto con Mitridate, invase e saccheggiò Atene nell’86 a. C. uccidendo molti dei suoi abitanti, nonostante fosse un estimatore della cultura greca: come riferisce Plutarco volle farsi iniziare ai Misteri Eleusini, e prelevò dalla biblioteca privata di Apellicone di Teo quasi tutte le opere di Aristotele e Teofrasto per portale a Roma e farle riordinare dal grammatico Tirannione. Una volta divenuto dittatore nell’82 a. C., mise mano ad una profonda e generale riforma delle leggi romane, ridimensionando i poteri dei ceti popolari ed aumentando quelli dei senatori, restituendo quindi al Senato, cioè alle famiglie più antiche di Roma, la sua tradizionale supremazia. In un certo senso poteva quindi considerarsi un nuovo “fondatore dell’Urbe” come Romolo. Silla potrebbe quindi aver voluto fissare in maniera allegorica tale convinzione proprio nel simbolo del labirinto, da lui conosciuto certamente in Grecia, reso quadrato e suddiviso dalle due vie del cardo e del decumano in quattro settori, proprio come l’originaria Roma quadrata. E la cinta muraria che circonda il labirinto, oltre ai consueti valori apotropaici, poteva anche possedere in quel primo esempio una sorta di significato di “riparazione” per aver egli violato brutalmente sia le mura di Roma che quelle di Atene, proprio la città di Teseo. Potrebbe darsi quindi che se si scavasse nuovamente in Piazza S. Giovanni in Laterano, a Roma, nel luogo dove venne trovato il labirinto (nei pressi della Scala Santa) ci si potrebbe anche imbattere nella dimora di Lucio Cornelio Silla…

Simboli di buon auspicio. Oltre a quello quadrato del Laterano sono giunti fino a noi una cinquantina di altri mosaici pavimentali di epoca romana che riproducono labirinti, e quasi tutti della parte occidentale dell’impero: Italia, Balcani, Nord-Africa, Francia, Svizzera, Penisola Iberica e Inghilterra. Ospitati anch’essi generalmente in ville private (ma alcuni, come il labirinto di Sarajevo, anche nelle terme), possedevano anche, e soprattutto, come si è già detto, finalità apotropaiche e protettive. In quello che rimane ad es. del labirinto quadrato di Cirene – 200 d. C. – nella torre d’ingresso al labirinto vi è raffigurata Arianna che augura in greco “molta fortuna”. E al centro del labirinto pavimentale quadrato di Pont-Chevron in Francia (II sec. d. C.) vi è l’immagine di una casa, certamente la medesima villa romana che doveva venire protetta dalle anime degli antenati e dagli dei dell’Ade. Il labirinto quadrato rinvenuto a Brindisi, risalente alla prima metà del III sec. d. C., ha una caratteristica che l’accomuna ai coevi labirinti di Cormerod (Friburgo, Svizzera) e di Gargates (Vienne, Francia) anche se questi ultimi due sono circolari: ovvero la presenza di colombe poggiate sulle mura, chiaro segno che dopo i primi labirinti del I sec. a. C. le motivazioni ideologiche e politiche andarono sempre più perdendosi, sopravvivendo solo quelle di buon augurio.

Il labirinto pavimentale quadrato di Taormina – ritrovato in Sicilia nel 1920 dall’archeologo Paolo Orsi ed attualmente conservato al Museo di Siracusa – presenta lungo il suo perimetro torri e cinta muraria merlata composta da tre file di blocchi di pietre. Risale al 150 d. C. e nonostante non si sia conservato completamente, i dettagli ben curati fanno sospettare che il perimetro riproducesse realmente le mura dell’antica città greca (Tauromenion): le torri, ad esempio – simboli anch’esse del livello celeste – presentano delle finestre con le imposte spalancate, e su di un lato è rappresentato il mare con i pesci.

Anche un grande labirinto pavimentale quadrato ad Ostia (attualmente non visitabile perché in fase di restauro) possiede mura merlate, ed al centro di esso vi è l’immagine di un faro, certamente il medesimo (oggi perduto) che nella città portuale guidava ed accoglieva le numerosissime imbarcazioni dirette a Roma. Il suo significato comunque (a parte l’orgoglio cittadino) sembra fosse di tipo solstiziale ed archeoastronomico: la luce del faro doveva rappresentare per tutte le navi un “filo d’Arianna” nel labirinto del mare notturno. Oltre a quelli di Roma, Ostia, Brindisi e Taormina, in Italia sono ancora presenti altri labirinti quadrati di epoca romana: a Ravenna, Nora, Cremona, Calvatone (Piadena), persino nell’isola di Giannutri, e naturalmente anche a Pompei dove ne sono stati rinvenuti diversi. Fra questi uno in particolare riveste grande importanza. Non è un mosaico pavimentale orizzontale come quello che dà il nome alla Domus del Labirinto, sempre nella cittadina distrutta dal Vesuvio, ma è verticale inciso su di un pilastro della villa di un certo Marco Lucrezio. E non è neppure tanto bello poiché si presenta come un rozzo graffito disegnato forse di fretta da qualcuno (uno schiavo?) che probabilmente ce l’aveva con l’ambiente domestico e col proprietario della dimora. La scritta latina posta accanto al graffito – LABYRINTHUS. HIC HABITAT MINOTAURUS (Labirinto. Qui abita il Minotauro) – per molti studiosi ha un significato satirico ed oltraggioso nel confronti della villa e del suo proprietario, equiparato al Minotauro! Ma è importante perché è la prova più antica (siamo già al 79 d. C.) che il simbolo che aveva tanto successo nel mondo ellenistico e romano veniva chiamato effettivamente “labirinto”. Se è ragionevole supporre che già i Micenei quasi 1300 anni prima gli avessero dato questo nome – come si è già visto – stupisce tuttavia come da Omero in poi gli autori greci e latini ne parlino sporadicamente e sempre in maniera imprecisa, confondendolo per di più con grandiosi templi, mausolei, o anche semplici decorazioni a meandro.

Se dunque i primi labirinti pavimentali a mosaico, come quello del Laterano a Roma, possedevano anche un significato ideologico-politico, oltre che sicuramente apotropaico, in quelli che successivamente vennero realizzati nel resto d’Italia e delle altre regioni occidentali dell’Impero sopravvissero unicamente i valori esoterico-religiosi di buon auspicio, come nel già citato labirinto di Cirene. Il labirinto nel mondo antico era l’immagine dell’Ade, cioè dell’oscuro mondo sotterraneo, ed i viventi dovevano ingraziarsi i favori dei numi infernali e delle anime degli antenati, non solo per scacciare via la cattiva sorte, personificata dal Minotauro ucciso, ma anche per attirare ricchezza e fortuna, dispensate dal generoso dio Pluto che nel mondo greco e romano finì per prendere il posto dell’antipatico dio Ade.

 

Gli otto angoli del cielo. Nonostante la stragrande maggioranza dei labirinti di epoca ellenistico-romana avessero forma quadrata, se ne costruirono anche di circolari, alcuni dei quali con poche volute, ma altri più complessi, con otto, nove o dieci circonferenze. Dall’antica città di Paphos nell’isola di Cipro provengono due mosaici pavimentali (privi di mura) che rappresentano labirinti circolari. Il primo del IV sec. d. C. è molto grande e con al centro una straordinaria raffigurazione policroma della lotta tra Teseo e il Minotauro. L’altro più piccolo e più semplice risale invece al II sec. d. C. Un altro labirinto circolare di epoca tardo-imperiale è stato ritrovato fra le rovine dell’antica Side, nell’attuale Turchia. Scolpito nel marmo e privo anch’esso di una cornice di mura presenta molti aspetti enigmatici relativi alla sua collocazione: secondo lo studioso George Bean doveva essere originariamente collocato sul soffitto di un locale pubblico, come un Gymnasium o una biblioteca.

Passando dalla parte orientale a quella occidentale dell’impero romano, il labirinto circolare di Cormerod (Friburgo, Svizzera, 200-225 d. C.) diviso in otto settori, nonostante la sua forma, presenta anch’esso lungo il suo perimetro curvilineo, mura merlate e 4 torri di vedetta. Poggiati sui merli, come già detto, vi sono anche parecchi uccelli, certamente colombe. Il suo centro sufficientemente capiente contiene la classica lotta fra Teseo ed il Minotauro.

Anche il labirinto circolare dell’antica Verdes (Francia, prima metà del III sec. d. C.) presenta torri, mura merlate e ben quattro file di blocchi murari lungo il suo bordo. Ha quattro porte disposte lungo gli assi cardinali e quattro torri lungo gli assi solstiziali. Le circonvoluzioni piuttosto elaborate sono dieci, contando anche il centro che presenta un motivo floreale “a ghirlanda”.

Una forma che può essere considerata intermedia fra quella quadrata e quella circolare si trova nel labirinto romano di Gamzigrad, nell’odierna Serbia, che possiede addirittura una forma esagonale. Datato al 300 d. C. presenta anch’esso ai bordi tre file di blocchi murari con tanto di merli, e sei torri di guardia a ciascun angolo, con finestre ed archi per le sentinelle. La sua parte centrale – quella che di solito in molti labirinti contiene la figura del Minotauro con o senza Teseo – è tuttavia molto piccola, ed ovviamente vuota, cosa poco frequente per l’epoca. Di forma ottagonale è invece il mosaico pavimentale sotto forma di labirinto (risalente al IV sec. d. C.) che si trova tra le rovine delle terme dell’antica città romana di Rusguniae (oggi Tametfoust/Bordi El-Bahari) in Algeria, con addirittura 16 torri lungo il suo perimetro di mura merlate. Al centro possiede un coloratissimo albero pieno di frutti, simbolo anch’esso di ricchezza e buona fortuna.

Curiosamente però il primo esempio a noi noto di labirinto ottagonale non è costituito da un pavimento a mosaico, bensì da una fontana e si trova a Roma nella Domus Flavia all’interno dell’attuale area museale dei Fori Imperiali. Residenza di Domiziano, imperatore romano dall’81 al 96 d. C., nel suo peristilio venne costruita una fontana ornamentale di forma appunto ottagonale i cui muretti bassi riproducono un labirinto con cinque corridoi. Perchè proprio di forma ottagonale? Molto probabilmente non si trattò di una semplice innovazione estetica, poiché, bussola alla mano, si scopre che quattro dei suoi lati sono perfettamente orientati ai quattro punti cardinali, mentre gli altri quatto ai punti intermedi di Nord-Est, Sud-Est, Sud-Ovest e Nord-Ovest. La fontana-labirinto della Domus Flavia è insomma una vera e propria “rosa dei venti”, e probabilmente i punti intermedi dovevano rappresentare l’orientamento all’alba ed al tramonto dei solstizi, anche se in realtà solo simbolicamente, per non rovinare la perfetta simmetria geometrica. Dati questi presupposti archeoastronomici, il suo significato doveva dunque essere molto più che semplicemente benaugurante e magico-protettivo, in quanto l’unione simbolica dei tre livelli cosmici – il labirinto immagine dell’Ade, l’acqua metafora della superficie terrestre, e gli orientamenti celesti o “otto angoli del cielo” – richiamavano quindi la tradizionale cerimonia di fondazione di ogni città. Dunque così come il labirinto del Laterano, anche la fontana-labirinto della Domus Flavia doveva idealmente rappresentare il “foro centrale”, o mundus-umbilicus, ma non della città di Roma, che si trovava in un altro luogo, bensì dell’intero impero romano, simbolicamente abbracciato dagli otto orientamenti celesti, prolungamento ideale del potere imperiale di Domiziano. Viene in mente al riguardo la celebre “sala ottagonale” all’interno della vicina Domus Aurea di Nerone che mossa da schiavi poteva ruotare su se stessa imitando il moto apparente della volta celeste. La sala insieme a tutto il palazzo neroniano era ancora perfettamente visibile in tutto il suo splendore ai tempi di Domiziano, anche se dopo la morte di Nerone la sua faraonica dimora era stato adibita ad usi pubblici, principalmente termali. Dunque la sua architettura ottagonale ed i suoi significati simbolici ed ideologici potrebbero aver fornito ispirazione per la costruzione della fontana-labirinto di Domiziano.

Anche i successivi labirinti in qualche maniera ottagonali costruiti in diverse parti dell’Impero – quello algerino dell’antica Rusguniae, quello svizzero dell’antica Cormerod, circolare ma diviso in otto settori, ecc. – vennero forse creati con i medesimi significati, perlomeno quelli archeoastronomici di “rosa dei venti” e magico-simbolici di unione fra Cielo, Terra, Inferi. Nella successiva età medievale altri illustri monumenti ottagonali, come Castel del Monte in Puglia o la Torre di Federico ad Enna, col loro perfetto orientamento astronomico avrebbero ripreso i medesimi significati, sia quello esoterico che quello ideologico-politico. Ma per rimanere nel campo dei labirinti, l’ottagonale labirinto che domina il pavimento della duecentesca cattedrale di Amiens in Francia, è ovviamente orientato perfettamente ai punti cardinali, ma non solo. Al centro di esso i bracci di una croce bianca sono rivolti non ai punti cardinali, ma alle diagonali della grande figura geometrica, perché come spiega Hermann Kern, “l’asse orientato diagonalmente al coro doveva indicare il punto dell’orizzonte su cui, la mattina del 15 agosto (Assunzione della Vergine, cui era dedicata la chiesa), sorgeva il sole. …” (H. Kern, Labirinti, cit. p. 197). Anche in età medievale insomma si sarebbe poi continuato col medesimo significato di comunione “architettonica” fra Cielo e Terra, a cui nel mondo romano prima del trionfo del Cristianesimo si aggiungeva anche quella con gl’Inferi, che per la cultura pagana avevano un valore positivo.

Una volta resa libera la religione cristiana da Costantino con l’Editto di Milano (nel 313), vennero costruiti labirinti a mosaico anche sui pavimenti di alcune chiese, anticipando così la grande stagione d’oro dei labirinti cattolici medievali dopo l’anno Mille. Proprio al IV sec. d. C. appartiene un labirinto pavimentale nella Basilica di Santa Reparata (costruita nel 324 d. C.) in quella che era l’antica città romana di Castellum Tingitanum, poi Orleansville ed oggi Al-Asnam, in Algeria. Il labirinto, di forma quadrata, nel classico stile romano, realizzato ovviamente con la tecnica del mosaico, riporta al centro una composizione costituita dalla frase “Sancta Eclesia” ripetuta in maniera tale da potersi leggere in tutte le direzioni.

Si ha notizia anche di un altro labirinto, sempre quadrato, del 450 d. C., che esisteva nella basilica cristiana dell’antica Iomnium, oggi Tigzirt-sur-mer sempre in Algeria, andato perduto ma di cui rimane una frammentaria iscrizione in latino che, secondo lo studioso Batschelet-Massini, accosterebbe per la prima volta il simbolo del labirinto al concetto tutto cristiano di “sentiero della perdizione”.

Con questi ultimi due esempi di labirinti cristiani antichi – i soli superstiti di tanti altri andati perduti – termina la fase dei labirinti in età antica, e con i primi sporadici esempi di labirinti cristiani medievali incisi sulle rocce nel VI sec. – a Cnido, nell’attuale Turchia, a Hollywood, in Irlanda – il simbolo comincia ad assumere un significato prettamente negativo, ovvero quello di condizione di esilio e doloroso pellegrinaggio di ogni fedele in un mondo dominato dal male e dal peccato, in cui regna sovrano il diavolo-Minotauro. Ma questa non può che essere tutta un’altra storia.

 

Bibliografia ed osservazioni.

Le città quadrate. Antonio Gottarelli, Templum solare e culti di fondazione. Marzabotto, Roma, Este: appunti per una aritmo-geometria del rito (IV), in: Ocnus, 18,2010, pp. 53-74, amsacta.cib.unibo.it/3038/1/IV_Gottarelli.pdf. Micaela Merlino, L’etruscus ritus nella fondazione della colonia di Alba Fucens, in: www.aequa.org/public/documenti/AonLine/Etruscus.DOC. Raffaella La Marra, Roma, creatura leggendaria, in: Archeopolis (xoomer.virgilio.it/arkeos).

Le città-labirinto. Carla Salvetti, La rappresentazione del labirinto e della cinta muraria in un mosaico romano da San Giovanni in Laterano, in: www.academia.edu . Studio molto dettagliato del labirinto quadrato ritrovato nel 1958 a Roma in piazza San Giovanni in Laterano. Nell’articolo l’archeologa sottolinea inoltre: “La rappresentazione della città (labirinto entro mura) avrebbe potuto trovare spazio proprio nel settore più importante della casa, sottolineandone il valore di centro ideale della città stessa, distinguendo però l’inserimento della domus nell’ambito del tessuto connettivo della città attraverso l’iconografia della cinta muraria e, secondo un altro punto di vista, l’ingresso nell’area più riservata della casa, suggerito dall’attraversamento del labirinto. È questa doppia chiave di lettura che invita ad immaginare il proprietario come un personaggio di rilievo della politica o dell’economia della città, di cui si sente a pieno titolo parte integrante e che, proprio per questa sua funzione pubblica, riserva un ambito particolare della casa alla vita privata, selezionando le sue frequentazioni con un percorso, come quello che porta nel cuore del labirinto, del tutto privato che attiene ad altri parametri…” (Carla Salvetti, La rappresentazione del labirinto…, cit.). Una dettagliata elencazione dei labirinti pavimentali romani si trova in Hermann Kern, Labirinti… cit., da p. 97; a p. 83 si parla del graffito di Pompei con il “labirinto satirico”. Per completezza si deve aggiungere che – come riportato dal medesimo Kern a p. 118 – sempre a Roma nel 1854 venne ritrovato presso la chiesa di Sant’Agata in Petra Aurea un precedente labirinto quadrato, appartenente ad un edificio termale e risalente al 130 d. C. “… portato nelle Stanze di Raffaello in Vaticano, da cui fu rimosso in occasione del restauro del 1935 è da allora scomparso” (H. Kern, cit. p. 118).

Gli otto angoli del cielo. Riguardo al labirinto di Side si veda: Sarah Coles, A labyrinth at Side, in: Caerdroia, n. 21, e Ivor Winton, Remarks on the Labyrinth at Side, in: Caerdroia, n. 22. Il labirinto ottagonale della Domus Flavia a Roma è ampiamente documentato in rete, ad es. in: www.romanoimpero.com/2012/07/domus-flavia-domiziana.html . Hermann Kern, Labirinti… cit. a p. 101 lo definisce un “pozzo” ma in realtà è una fontana ornamentale.

Notizie sul labirinto tardo-antico cristiano di El-Asnam/Orleansville si trovano sia in Hermann Kern, Labirinti… cit., p. 103 (che a p. 121 fornisce notizie sul labirinto scomparso di Tigzirt-sur-mer) come anche in Giancarlo Pavat, Giancarlo Marovelli, Fabio Consolandi, Luca Pascucci, Fabio Ponzo, In cammino… Fino all’ultimo Labirinto, Youcanprint, a p. 151.

Maggiori dettagli sui labirinti ed i loro misteri ancora irrisolti, dall’antichità fino all’età contemporanea, si possono trovare nel mio ebook: LABIRINTI. ENIGMI SVELATI, MISTERI IRRISOLTI (Nuova edizione, 2018).

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