La ricerca del Graal in San Giorgio e il Drago di Giovanni Stradano; di Gaetano Barbella.

 

Immagine di apertura; “San Giorgio e il drago” di Giovanni Stradano (ovvero Jan Van der Straet).

La ricerca del Graal in San Giorgio e il Drago di Giovanni Stradano

di Gaetano Barbella

 

Il “San Giorgio e il drago” di Giovanni Stradano (vero nome Jan Van der Straet) è un olio su tavola facente parte dell’altare della famiglia Vasari, in origine nella Pieve di Santa Maria Assunta e nel XIX secolo trasferito nella chiesa della Badia delle Sante Flora e Lucilla.

I dipinti che lo arricchiscono su tutti i lati vennero eseguiti – a eccezione della “Vocazione dei Santi Pietro e Andrea” del 1551 – tra il 1563 e il 1564 dallo stesso Vasari, avvalendosi principalmente della collaborazione del pittore fiammingo.

L’opera “San Giorgio e il drago” dello Stradano si rifà alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.

Ai tempi dell’impero di Diocleziano (284-305 d.C.) fuori dalla città libica di Selem c’era uno stagno dove si nascondeva un drago che uccideva con il fiato fetido tutte le persone che incontrava.

Per placarlo, gli abitanti gli offrivano due pecore al giorno, ma quando queste scarseggiarono furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la principessa Silene

Il re offrì il suo patrimonio e metà del regno pur di salvare la figlia, ma la popolazione si ribellò e il sovrano dovette cedere. La giovane si avviò così verso lo stagno per offrirsi alla bestia. In quel momento passò di lì il cavaliere Giorgio, il quale promise di salvarla, e quando il drago uscì dalle acque lo trafisse con la lancia senza ucciderlo. Quindi suggerì a Silene di avvolgere la sua cintura al collo della bestia, che prese a seguirla all’interno delle mura cittadine. Giorgio disse agli abitanti terrorizzati di non avere timore, perché se si fossero battezzati lui avrebbe ucciso il mostro. E così fu.

Il dipinto cinquecentesco ha una complessa iconografia. Tra i temi centrali c’è la peste. Si riteneva, infatti, che il veicolo di contagio della malattia infettiva fosse l’odore dei cadaveri.

Nutrendosi di essi, il drago con il suo alito diventava a sua volta contagiante.

La bestia è quindi una vera e propria prosopopea del morbo e San Giorgio, conficcandogli la lancia nella bocca, arresta lo sbuffo di fiato ammalante che esce dalle sue fauci.

Il drago rappresenta il male. La fisionomia del mostro è ricca di particolari curiosi, un mix di elementi di altri animali (orecchie d’asino, fauci da serpente) e fantastici (naso arricciato, vertebre spinose, lunghi ciuffi di pelo sul dorso).

2  immagine sopra; particolare del mostruoso e mortifero drago.

 

Nel collo e nella pagina superiore delle ali si scorgono delle maculature, simbolo della peste, ma più in generale connesse ai concetti di puro e impuro, così come le striature della coda, che ribadiscono la natura maligna e immorale della bestia.

Alla negatività del drago fa da contraltare la principessa, vittima sacrificale.

La fanciulla è vestita di bianco, la purezza, e di rosa vivo, che rientra nella gamma del rosso, colore usato dalle spose nell’antica Roma.

Il matrimonio tra il Bene e il Male che sta per consumarsi viene però interrotto dall’intervento di San Giorgio, che vediamo avvolto dalla cintura nuziale presa in prestito dalla ragazza, con la quale legherà il drago per trascinarlo dentro le mura della città. 

Il cadavere sotto il cavallo è la figura più misteriosa dell’intera scena. Gran parte del corpo è spolpato, tuttavia gli organi interni sono ancora freschi al loro posto, mentre testa, mani, piedi e pene risultano intatti ma anneriti, come se fossero “corificati” (la corificazione è un fenomeno dovuto a una temperatura idonea, che permette alle salme di conservarsi per l’arresto dei processi degenerativi dei tessuti. In pratica la pelle diventa come il cuoio).

 

3  immagine sopra; Il cadavere sotto il cavallo di San Giorgio.

Riguardo agli organi integri,  di Anel primo quadrante della cavità addominale, si nota una parte deformata dello stomaco, come se ci fosse la presenza di un tumore. Lo stato della salma non può che risultare da un’autopsia su un corpo, che l’artista avrà visto in diretta e poi riportato nel dipinto.

Il San Giorgio della chiesa della Badia è stato restaurato dal Consorzio R.I.C.E.R.C.A., grazie al contributo della fondazione inglese

Per la lettura iconografica si ringrazia Mauro Di Vito, storico dell’arte e della scienza, docente di Storia dell’arte alla SACI – Studio Art Centers International di Firenze e all’Università di Genova .

Il San Giorgio e il Drago in Alchimia

Giammai l’uccisione del drago, altrimenti tutto il processo dell’Alchimia della depurazione della nostra Materia Prima, che è poi il drago in noi, con le tre opere, nigredo, albedo e rubedo, viene inficiata.

Basilio Valentino, un monaco benedettino del 1400, autore di numerosi libri di alchimia, fa luce sul processo alchemico che ha il suo principio e fine con la Materia Prima, cioè il Leone verde. È simbolicamente rappresentata da un dragone alato sulla sfera terrestre, anch’essa alata, naturamente. Se ne parla nel suo libro dal titolo AZOTH, e questa di seguito è la descrizione che viene fatta sul suo conto a pag. 96 :

Io sono il Drago velenoso, presente dappertutto, che può essere acquistato ad un prezzo irrisorio. La «cosa» su cui riposo, e che su di me riposa, sarà trovata in me da chi saprà frugarmi come si conviene. La mia Acqua ed il mio Fuoco distruggono e compongono. Estrarrai dal mio corpo il Leone Verde e quello Rosso; se non mi conosci perfettamente, il mio Fuoco ti distruggerà i cinque sensi. […]
Io sono l’Uovo della Natura, che soltanto i Sapienti devoti e modesti conoscono, ed essi fanno nascere da me il microcosmo. […]
I Filosofi mi chiamano Mercurio, mio sposo è l’Oro (filosofico); sono l’antico Drago presente in ogni parte della terra; sono padre e madre, giovane e vecchio, forte e gracile, morte e resurrezione, visibile ed invisibile, duro e molle, discendente nella terra e da scendente al Cielo, grandissimo e piccolissimo, leggerissimo e pesantissimo; in me l’ordine della Natura è spesso invertito, incolore, numero, peso e misura; contengo la Luce naturale, sono oscuro e chiaro, vengo dal Cielo e dalla terra, conosciuto e considerato poco o nulla. Tutti i colori in me risplendono, e cosi tutti i metalli attraverso i raggi del sole. Sono il rubino solare, una terra nobilissima e chiarificata, per cui mezzo tu potrai trasmutare in oro il rame, il ferro, lo stagno ed il piombo.

Il dragone afferma di essere il rubino solare ed è per la stessa ragione che il Leone verde è chiamato Smeraldo dei Saggi e addirittura Graal Vetriolico.

La ricerca del Graal in San Giorgio e il Drago di Giovanni Stradano

Sacro contenitore, mistico oggetto di fede, ma anche pietra magica, tesoro di conoscenza, cuore dell’uomo: cosa sia il Santo Graal nessuno può saperlo.

Esso sfugge all’intelletto, come solo il mistero sfugge. Molti sono coloro che ne hanno intrapreso la ricerca, sempre seguendo tracce labili, inafferrabili cone l’incanto d’una leggenda al limitare del crepuscolo.

Il Graal appartiene a una dimensione di confine tra il conoscibile e l’arcano, tra la materia e l’idea.

Al pari di uno specchio, esso è mito che riflette la realtà, e in quanto racconto l’abbellisce, la distorce si che divenga all’uomo inaccessibile. “La ricerca del Santo Graal è la ricerca dei segreti di Dio, inconoscibili senza la grazia“, scrisse Etienne Gilson, esprimendone così l’essenza .

Ma il Graal è semplicemente il “segreto” di un “contenitore” noto che, ad un tratto, si riversa nella nostra mente irrorandola, facendoci meravigliare e cambiare vita.

Così come avvenne a Paolo di Tarso.
L’evangelista Luca, una seconda volta narra in modo (quasi) uguale la “caduta di San Paolo” negli Atti degli Apostoli (22, 6-9):

verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Io risposi: «Chi sei, o Signore?».

Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava”.

Quella “voce” proveniva dal mondo astrale-eterico il cui linguaggio possiede differenti velocità molecolari, e la mente si esprime per simboli e per meccaniche che l’uomo non è abilitato a concepire, la sua mente razionale non l’accetta.

È la matematica a legiferare nelle espressioni della mentalità astrale-eterica per far configurare una realtà nuova che si intreccia con quella terrena. Essa è tale da poterla intravedere nella essenza vitale o al contrario decaduta, ed è dato al veggente il poterla percepire, ma non la meccanica che la informa.
Faccio un esempio di come potrebbe agire la mente astrale-eterica nel caso del dipinto “San Giorgio e il Drago”.

Nella mente del suo autore, Giovanni Stradano, nel concepirla, si veniva formando lo spirito che doveva informarla a due livelli, di cui, uno era quello palese tradotto dal pennello nello scenario del quadro, e l’altro livello apparteneva a un mondo delle idee superiore e inconoscibile, l’astrale-eterico. E qui entrava in funzione il potere dell’arte che faceva da interprete fra i due livelli mentali di Giovanni Stradano.

Quale il potere dell’arte?
Ciò che non è concesso all’uomo di sapere del mistero di Dio, il Graal.

Ciò che ora mostrerò è il Graal dell’opera “San Giorgio e il drago” e svela questo mistero perché mi è dato di poterlo fare, nondimeno resta comunque il fatto che la mente umana non l’accoglie pur riscontrandone una razionalità, ma esclusivamente “matematica” e non “umana”.

Occorrerebbe essere bambini per credervi come quelli della saga dei film di Harry Potter.

In questo caso dell’opera “San Giorgio e il Drago” di Giovanni Stradaro, il Graal si esprime con la matematica del gioco del biliardo.

 

Un chiarimento  per il ricorso alla geometria del biliardo matematico.
 
Il lettore si troverà in difficoltà nel legare questa geometria a dei concetti esoterici emergenti, nel nostro caso del dipinto di Giovanni Stradano, ma gli artisti del Rinascimento ne facevano grande uso, naturalmente in gran segreto. Albrecht Durer in particolar, per esempio. Quale la ragione? Alchemica, ovviamente. Si tratta della prova della nascita del Mercurio filosofale, il “Reuccio” o Rebis filosofale. Viene anche chiamato dagli alchimisti, Sigillo di Ermes.
Ho omesso queste spiegazioni per tenere al largo l’alchimia che è ostica per i non addetti ai lavori.
Il telaio cosiddetto a losanghe (del biliardo matematico) viene associato alla culla in vimini dove viene posto Gesù della natività. Ma di questo ricorso se ne fa grande uso nelle scultoree di facciate e interni di chiese del Rinascimento.

 

Come nel gioco del biliardo si vince mandando la bilia avversaria in buca, così è per San Giorgio che vince il drago poiché la traiettoria della lancia conficcata nella sua gola si dirige nell’angolo in alto a destra, ossia in “buca”.

Ma gli fa salva la vita poiché la punta della lancia ha una direzione diversa, come evidenzia la traiettoria della linea azzurra, evitando così che la traiettoria gialla prosegua fino a giungere, passando per la spada di San Giorgio, all’angolo a sinistra, l’altra “buca”. (4. Immagine in basso).

 

 

A questo punto sembrerebbe che per caso fortuito sia possibile valicare la porte del Graal ma, ci si è dimenticato che “La ricerca del Santo Graal è la ricerca dei segreti di Dio, inconoscibili senza la grazia”

E se essa viene meno è inevitabile la ritorsione con terribili conseguenze vitali, e nel quadro di Jan van der Straet non manca la traccia di un secondo gioco del biliardo matematico che rivela le conseguenze del fortuito caso di aver valicato la porta del Graal impunemente, prefigurata nella fig. 3.

 

L’incauto è come il cavallo di San Giorgio senza la sua guida e può andare là dove non deve e incorrere in pericoli mortali.

Il gioco del biliardo matematico in questo caso assume come direzione della immaginaria bilia da mandare in buca, quella del cavallo come in immagine 5., in basso.

Notare che questa direzione principia in basso dal capo del cadavere, uno degli incauti che hanno osato la ricerca del Graal senza le dovute credenziali di cavaliere eletto.

Come previsto la “ritorsione” non ha mancato di mostrare il segno con la traiettoria del biliardo matematico che non ha sbocchi, per far sopraggiungere nel malcapitato incauto uno stato ossessivo da farlo impazzire.

Il cadavere sotto il cavallo prefigura questo stato al suo limite. Gran parte del corpo è spolpato, tuttavia gli organi interni sono ancora freschi al loro posto, mentre testa, mani, piedi e pene risultano intatti ma anneriti, come se fossero “corificati” (la corificazione è un fenomeno dovuto a una temperatura idonea, che permette alle salme di conservarsi per l’arresto dei processi degenerativi dei tessuti. In pratica la pelle diventa come il cuoio).

Riguardo agli organi integri, nel primo quadrante della cavità addominale, si nota una parte deformata dello stomaco, come se ci fosse la presenza di un tumore. Lo stato della salma non può che risultare da un’autopsia su un corpo, che l’artista avrà visto in diretta e poi riportato nel dipinto.
Non l’ho evidenziato ma le traiettorie del biliardo matematico della “ritorsione” sono perfettanmente ortogonali a quelle del precedende biliardo matematico della fig. 3.

(Gaetano Barbella)

 

CHI È GAETANO BARBELLA.

Di professione progettista di macchine e impianti industriali, ora in pensione. Dedicatosi in particolare allo studio di problemi di geometria, di esoterismo, di egittologia, di arte e di UFO, è uno scrittore esperto di geometria occulta, ricercatore del mistero e dell’insolito, che nel corso degli anni ha scritto numerosi articoli pubblicati in rete.

Nel 2008 è stato pubblicato dalla Macro Edizioni un suo libro in Ebook, dal titolo, “I due Leoni Cibernetici, l’alfa e l’omega di una matematica ignota”. Un altro suo libro è stato pubblicato nel 2023, “Il tesoro di Alarico” Editrice-Cliodea.
Gaetano Barbella vive a Brescia con la famiglia sin dal 1969.

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