La barchetta in mezzo al mare è diretta a Santa Fè… Il pirata Barbanera e altre (strane) cose di mare… di Roberto Volterri…

 

Storie di mare.

La barchetta in mezzo al mare è diretta a Santa Fè…

Il pirata Barbanera e altre (strane) cose di mare…

di Roberto Volterri 

 

È diretta a Santa Fè … per potere caricare mezzo chilo di caffè…”, recita una simpatica filastrocca del tempo che fu.

Ma, poiché, anche ai nostri supertecnologici giorni, siamo ancora ‘in alto mare’ sia con le troppo innovative ‘vele rotanti’ – che incontrerete più avanti – sia con la scarsa apertura mentale che certe volte è necessaria per far progredire la Scienza e la tecnologia (mi viene sempre in mente, per analogia, il motore Wankel…) vediamo come il ben noto Sir Henry Bessemer, ingegnere e inventore inglese abbia avuto un ‘lampo di genio’, oppure di follia. Dipende dai punti di vista…

Bessemer, ben più noto nel mondo dell’industria metallurgica poiché, verso la metà del XIX secolo, mette a punto il sistema per produrre acciaio su vasta scala, progetta un ‘salone a dondolo’ installato su un piroscafo che fa servizio nel Canale della Manica e che – guarda caso! – si chiamava proprio ‘Bessemer’.

2. Immagine sopra; Henry Bessemer – con un’aria un po’ preoccupata’ – ideatore del ‘salone a dondolo antirollìo’. Folle idea dalla breve vita…

Forse il nostro geniale inventore soffre il mal di mare, forse è particolarmente altruista e pensa a chi non riesce a sopportare il continuo barcollamento del malcapitato viaggiatore in preda ai furori di Nettuno, non lo sappiamo e tutto ciò ha scarsa importanza perché il progetto va avanti e un bel salone, riccamente arredato, viene allestito, in equilibrio, al centro della nave mediante dei grossi perni che dovrebbero garantire l’assoluta orizzontalità del pavimento infischiandosene degli umori del ‘Re del mare’.
Mai sfidare la potenza degli dei, soprattutto di quelli armati di tridente!
Nonostante la ‘folle’ invenzione il rollio si dimostra particolarmente violento e non cessa neppure un istante, mentre i passeggeri si affannano a trovare un posto appartato per rendere ‘omaggio’ a Nettuno in maniera non troppo… ‘civile’!

3. Immagine sopra; Lo sfortunato ‘lampo di genio’ che ha suggerito all’ingegner Henry Bessmer come annullare il rollio di una nave durante una tempesta. Ma Nettuno non la pensava così…

Sir Henry, però, non demorde e introduce unh freno idraulico per controllare i sussulti del ‘salone a dondolo’.

Evidentemente il buon Nettuno se ne accorge e intensifica il già insopportabile rollìo della nave rendendo quasi ingovernabile l’imbarcazione che urta contro le banchine di Calais e di Dover.
A questo punto Sir Henry capitola e vende la nave come rottame.

Il ‘salone a dondolo’ viene acquistato da un College del Kent ma durante la seconda guerra mondiale una bomba non trova di meglio che cadergli sopra e cancellarlo per sempre dalla storia delle umane ‘follie’.
Proseguiamo…
Di “geni da legare” è pieno il mondo, l’umana fantasia non ha limiti ben definiti, dunque perché meravigliarci se a qualcuno è venuto in mente di… pedalare, pedalare con vigore per non annegare, nello sventurato caso si fosse trovato su una bel bastimento in procinto di far visita al dio Nettuno, laggiù negli abissi dell’oceano?
Evidentemente il principio di base su cui funziona la bicicletta ha stimolato una miriade di inventori alla ricerca di qualcosa che potesse dare loro eterna gloria, ingenti guadagni oppure… la ‘camicia di forza’!
Uno dei più strani ‘lampi di genio’ applicati alle ‘due ruote’ è una curiosa scialuppa di salvataggio monoposto da utilizzare in caso di naufragio. L’”Eureka!” di prammatica lo grida, nel 1895, il francese Francois Barathon che inserisce in una sorta di piatto sedile una borsa di gomma gonfiabile e alcuni accessori.

4. Immagine sopra; La stranissima ‘bicicletta marina’ per non affogare dopo un naufragio.
Data la scarsa eco avuta, evidentemente non assicurava un pronto approdo…

Il sopravvissuto al naufragio si siede sulla borsa di gomma che ha già gonfiata e aziona con le mani e con i piedi delle manovelle che azionano due eliche, una verticale per tenere stabile il trabiccolo dei ‘mari’ ed un’altra per spingerlo verso il più vicino porto.
Nonostante le buone intenzioni dell’inventore, si vede che durante i collaudi il numero di affogati è superiore alle aspettative, perché questa ‘follia su due eliche’ cade subito nel dimenticatoio…
Ma subito si fa vivo un altro ‘folle’ inventore con la sua ‘Valigia di salvataggio’ da aggiungere al beauty case delle gentili viaggiatrici per mare…
L’importante è pedalare, pedalare, pedalare… per non affogare!
Nel 1880, infatti, uno strano inventore tedesco, il Krenkel, inventa una ‘valigia di salvataggio’ da portare sempre a bordo in occasione di viaggi lunghi e in mare aperto.
La valigia ha sul fondo e sul coperchio dei pannelli facilmente asportabili dall’aspirante Robinson Crusoe il quale, tolti diligentemente e con la dovuta calma i suddetti pannelli, si infila in una specie di guarnizione impermeabile, di gomma, e si introduce fino alla vita nel provvidenziale natante.

5. Immagine sopra; La stranissima invenzione di Krenkel consentiva di salvarsi e di salutare educatamente gli altri naufraghi

Secondo l’inventore – al quale sembra si sia sentito urlare un “Eureka!” che avrebbe fatto invidia al buon Archimede – la ‘valigia salvagente’ è in grado di tenere a galla il naufrago per parecchie ore lasciandogli inoltre le mani libere per togliersi educatamente il cappello nel caso egli debba incontrare gentili compagne di sventura. Cosa questa di fondamentale importanza!

Le cronache dell’epoca non ci dicono come andò a finire.
Sappiamo però molto bene, fin dai tempi del Liceo, come andarono le cose “per l’alto mare aperto” al prode Ulisse. Vediamo…

“… sol con un legno…” il dantesco Ulisse si avventura per acque sconosciute, spinto dalla sua insaziabile sete di conoscenza, dall’insopprimibile desiderio di penetrare nei più intimi recessi dell’animo umano, di navigar tra i vizi e le virtù dei suoi simili.

Ma, al di là delle poetiche metafore, l’Uomo ha da sempre cercato di varcare i confini geografici impostigli dai luoghi in cui la sua nascente ‘civiltà’ sta muovendo i primi, incerti passi…

Verso la fine dell’Era Glaciale, “anno più, anno meno”, decine di millenni or sono.

Qualcuno, qualche pescatore che vive sulle coste del sud est asiatico scopre che fissando un tronco di bambù cavo ad alcuni alberi può creare un mezzo che gli offre la stabilità e la manovrabilità necessarie per affrontare il mare aperto. Oggi diremmo che quel nostro lontanissimo progenitore… ha quasi inventato il ‘catamarano’!
Remando disperatamente “da un’isola all’altra” quei primi colonizzatori – dotati di un coraggio che gareggia con altrettanta ‘incoscienza’ – raggiungono le coste dell’attuale Australia e della Nuova Guinea, come ci confermano innumerevoli testimonianze archeologiche. Ma il ‘fiume del tempo’ non si ferma qui…

Oban, costa centro occidentale della Scozia, VI millennio a.C..

Qualcuno costruisce delle rudimentali imbarcazioni in pelli d’animale cucite strettamente tra loro e si avventura in alto mare per raggiungere branchi di pesci che, ostinatamente (chissà perché…) si rifiutano di avvicinarsi alla riva. Passa il Paleolitico, passa anche il Neolitico e, risalendo il ‘fiume temporale’ di innumerevoli secoli, in terra d’Irlanda scorgiamo il popolo celtico mentre naviga su traballanti ‘curragh’ che richiedono un non comune coraggio solo per definirle… barche.

Eppure, nell’alto Medioevo, non c’è monaco irlandese che non vi sia salito a bordo per intraprendere qualche viaggio a largo raggio, tra le burrasche dell’Oceano Atlantico! Se Cristoforo Colombo sapesse che – almeno con qualche buona probabilità… – San Brandano e alcuni suoi del tutto ‘incoscienti’ ma pii monaci potrebbero aver raggiunto il Nuovo Mondo già dal VII secolo… se ne avrebbe di sicuro a male!

Vogliamo ‘remare’ un po’ contro corrente e tornare per un attimo nell’Egitto del III millennio a.C.? Ma sì, ne vale la pena!

 
Piana di Giza, anno 1954.
In uno scavo effettuato sul lato sud della Grande Piramide, chiusa quasi ermeticamente in una sorta di camera, giace la ‘Barca solare’, una delle più antiche, belle e complesse imbarcazioni mai realizzate da mano umana. Qualche illuminato ‘ingegnere navale’ che vive sulle rive del Nilo la progetta, la costruisce, forse la fa navigare sul serio nelle acque del fiume e poi… la smembra in ben 1224 pezzi che sono rimasti intatti per lunghi, lunghissimi secoli.

Perché lo ha fatto? Uno dei mille misteri insoluti dell’antico Egitto…

E gli onnipresenti Cinesi? Li vogliamo forse dimenticare? Manco per idea!
Guangzhou – ma oggi la chiameremmo Canton – verso la fine del V I secolo a.C.
Tre magnifiche, imponenti piattaforme da costruzione sostengono navi di legno lunghe ottanta metri e con una stazza di ben sessanta tonnellate. Intorno ad esse una miriade di piccoli, efficientissimi carpentieri “con gli occhi a mandorla” danno gli ultimi ritocchi a delle imbarcazioni d’alto mare al cui confronto la celebre Mayflower – con i suoi scarsi diciotto metri di lunghezza e otto di larghezza e destinata a condurre in America i Padri Pellegrini ai quali si deve il vero e proprio inizio della moderna colonizzazione del Nuovo Mondo – scomparirebbe del tutto!

6-7  Imnagine a sx; statua di Flavio Gioia e, a dx, una bussola (Archivio ilpuntosulmistero)

Da queste parti – e c’era da aspettarselo! – inventano anche il timone, forse anche quello ‘assiale’ o ‘baonesco’ – dalla città francese di Bayonne dove ufficialmente esso prende vita, però ben undici secoli più tardi! – e, dato che “c’erano”… anche la bussola, con buon pace dei simpaticissimi amalfitani e del mai esistito Flavio Gioia, “figlio” di un’errata traduzione! Succede, ma questa è un’altra storia e, poiché – almeno per adesso – scarso è il ‘vento di bolina’ e di quello ‘in poppa’ manco a parlarne… siamo giunti in porto!

8. Immagine sopra; “… per l’alto mare aperto sol con un legno…” avrebbe permesso al prode Ulisse di avventurarsi per anni sui mari. Ma, per uscire dalla leggenda, dal mito, per affrontare sul serio le insidie degli oceani, nei secoli scorsi servirono questi poderosi velieri.

Ai tempi dell’omerico Ulisse – ne sono quasi certo – non si “cazzava la randa” né qualcuno aveva mai pensato di muovere un’imbarcazione senza che il buon Eolo desse la necessaria ‘spintarella’. Ma molti secoli più tardi, il solito bell’ingegno di turno, ebbe però un’idea che il ‘cieco cantore’ avrebbe senza dubbio descritta come di fatto fece nel Libro X del suo capolavoro…

Dea veneranda un gonfiator di vela
vento in poppa mandò, che fedelmente
ci accompagnava per l’ondosa via…”
(Odissea, Libro X)

In effetti, nel 1925 chi osserva il mare della Germania pensa di avere le traveggole!
Una strana nave, un veliero, al posto delle tradizionali vele di tela si muove tramite due curiosi cilindri, altissimi, che sembrano ruotare intorno ad un asse verticale. Ma non c’è da meravigliarsi troppo perché ciò che stanno vedendo è il risultato di lunghi esperimenti compiuti fin dal 1922 presso l’Università di Gottinga da uno stravagante, forse geniale, inventore Anton Flettner.Il quale, studiando l’effetto Magnus – lo incontreremo più avanti mentre fa ‘impazzire’ una pallina da golf… – nota che la pressione del vento su un cilindro rotante è molto più forte di quella esercitata su una classica vela di stoffa. Abbandoniamo a… vele spiegate la fluidodinamica e torniamo alle stranissime vele cilindriche.
Se esse hanno un rettilineo moto di traslazione – la nave che avanza – e ruotano su un asse verticale, è come se due superfici dei cilindri, a ‘babordo’ e a ‘tribordo’, a sinistra e a destra, venissero investite da una corrente d’aria che si muove in senso opposto a quellodi traslazione, creando intorno alle superfici delle curiose ‘vele’ un risucchio, come avviene in un’ala portante di un aereo, sfruttando al massimo l’energia eolica. In pratica le ‘Rotonavi’ del Flettner sono dotate di due piccoli motori che azionano i cilindri rotanti. Girando ad una velocità circa quattro volte superiore a quella del vento, le vele rotanti producono una velocità di crociera ben quindici volte superiore a quella consentita da vele in tela delle stesse dimensioni. La pressione del vento sui due cilindri può essere variata facendoli ruotare a velocità diverse. Inizialmente la geniale (o folle?) idea del nostro inventore trova ampi consensi perchè gli esperti di navigazione sostengono che tale mezzo nautico è poco costoso, più veloce delle altre navi a vela ed è di facile manovra.

E – dulcis in fundo! – riesce ad avanzare anche in mezzo alle tempeste, mentre una nave ‘ortodossa’ deve per forza ammainare le vele per non rischiare di affondare!

Ma passano solo venti anni e la Baden-Baden, la ‘rotonave’ che ha effettuato parecchie traversate atlantiche da Amburgo a New York, superando tremende tempeste senza alcun problema, viene demolita…

Perché? Una delle ragioni addotte è che l’incessante vibrazione prodotta dai rotori e dai motori che li mettono in moto causano seri problemi meccanici alle strutture della nave. E poi, se vogliamo, anch’essa dipende dal vento!

Edward Teach, ovvero il Pirata Barbanera

Vele e bandiere al vento sfruttò un truce personaggio, realmente esistito, che seminò il terrore su buona parte degli oceani, nel lontano XVII secolo: il pirata Barbanera.

Quella barba era nera ed egli se la faceva crescere fino a una lunghezza esagerata, per largo gli arrivava sino agli orecchi… Si nascondeva le micce accese sotto il cappello, ed esse, apparendo ai lati della faccia, facevano una tale figura che l’immaginazione non potrebbe dipingere una furia dell’Inferno con un aspetto più terrificante…”.

Daniel Defoe, ‘padre’ del romanzo moderno e più conosciuto come l’autore del notissimo ‘Robinson Crusoe’ così descrive uno dei più caratteristici e temibili ‘Fratelli della Costa’ ovvero i pirati che imperversavano nei mari e negli oceani a partire dal XVII secolo.

Chi, con apparente noncuranza, ha l’insana abitudine di tenere delle micce accese sotto il cappello (spegnendole al momento opportuno. Almeno così si spera facesse…) è l’inglese Edward Teach (1680-1718), più conosciuto come il pirata ‘Barbanera’, signore incontrastato del Mar dei Carabi durante i bei tempi della pirateria.

Il suo ‘battesimo del fuoco’ avviene sulle navi dei corsari giamaicani ma nel 1716 si mette ‘in proprio’, facendo società con tale Benjamin Horrigold, assalendo almeno di una nave al mese, per almeno un anno e mezzo. Non contento di essere diventato il terrore dei mari, allarga il giro d’affari, assalendo anche i porti delle Bahamas e della Carolina meridionale. Subito sorgono innumerevoli leggende legate sia al suo quasi demoniaco aspetto sia alle sue strane abitudini, come quella di riempire di zolfo acceso la stiva di una delle sue navi in modo da creare un’atmosfera letteralmente ‘infernale’ in cui egli, ovviamente, resiste più di ogni altro membro dell’equipaggio.

9.  Imnagine sopra; Quando a bordo c’era il Pirata Barbanera la tranquillità non regnava certamente sovrana…

‘Gran comunicatore’ ante litteram, anziché firmare folcloristici proclami o ‘contratti’ davanti alla ciurma, ama farsi vedere in pubblico beve pinte di rhum mescolato con… polvere da sparo mentre si avvolge intorno alla orecchie i riccioli della sua barba da Guinnes dei primati.

Fedele al motto ‘vale più un’immagine di diecimila parole’ per farsi ubbidire ciecamente dalla turbolenta ciurma, appena sente odor di insubordinazione spara direttamente alle gambe dei marinai poco arrendevoli. Togliendo in tal modo qualsiasi altra velleità di contestazione…
Tra un arrembaggio e l’altro non gli manca però il tempo di sposarsi almeno quattordici volte, ma in maniera estremamente ‘democratica’, facendo partecipare agli…’utili’ tutti i suoi uomini.

Quando è particolarmente ubriaco – ovvero quasi ogni giorno… – chiama tutto il suo harem nella cabina di comando e fa ballare le fortunate fanciulle al ritmo dei colpi di pistola che ama sparare tra i loro piedi.
Ma così, senza cattiveria, solo per creare un po’ di eccitazione a bordo. Come se ce ne fosse bisogno!
Sempre per rallegrare qualche giornata di ozio forzato, narrano le ‘antiche cronache’ che facesse tagliare le orecchie di qualche malcapitato prigioniero e lo obbligasse a mangiarsele. Però, da esperto gourmet, la fa ben condire con sale e pepe!
Ma la ‘Nera Signora’ è in agguato…

Il 20 Luglio 1718 Woodes Rogers. Governatore delle Bahamas, offre a ‘Barbanera’ l’amnistia, a patto che egli cessi con le sue scorribande.

A soli trentott’anni non si può andare in pensione neppure se si esercita un mestiere logorante come quello del pirata! Così ‘Barbanera’ rifiuta sdegnosamente e Rogers incarica il tenente di vascello Robert Maynard di catturarlo vivo o morto. La seconda opzione è caldamente consigliata, naturalmente!

Maynard raggiunge il ‘nostro’ il 21 Novembre 1718, nell’insenatura di Ocracoke e lo ferisce gravemente con vari colpi di pistola.

Ci vuole ben altro per annientare un pirata che ha seminato il terrore per pochi ma cruentissimi anni! ‘Barbanera’ combatte strenuamente fino a che deve anch’egli soccombere alle innumerevoli ferite infertegli sia con l’arma bianca sia con armi da fuoco “… tanto che l’acqua intorno alla nave era colorata di rosso…” precisa ancora Daniel Defoe, aggiungendo che Maynard “… fece spiccare dal corpo la testa di Barbanera, che venne infissa in punta al bompresso…”.

 

Quando il passato risorge dai flutti…

La nave con cui ‘Barbanera’ è andato all’arrembaggio per non più di due terribili anni va così in rovina e, lentamente, scivola sul fondo dell’Oceano Atlantico. Non molto tempo fa – su iniziativa di Wilde Ramsing – è però nato un serio progetto di recupero della ‘Queen Anne’ Revenge’, come era stata ribattezzata la nave pirata, completamente ricoperta di alghe e di coralli ma ancora in buone condizioni, con i suoi venticinque cannoni che avevano seminato terrore e morte nel Mar dei Caraibi. Gran parte del materiale è stato già recuperato e custodito presso i laboratori della East Carolina University e, in buona misura, è ora visibile sia nella cittadina di Beaufort, presso il Museo Marittimo, sia a Parigi nell’analogo Museo.

 

10. Immagine sopra; Recuperata l’ancora della nave del Pirata Barbanera.

Come c’era da aspettarsi, la leggendaria figura del pirata ‘Barbanera’ è entrata nel mito sia grazie al romanzo di Robert Louis StevensonL’isola del tesoro’ sia grazie al ‘Peter Pan’ dello scozzese James Matthew Barrie, opera del 1902 in cui non possiamo non riconoscere alcuni personaggi come quel gran pasticcione del Capitan Uncino, ispirato forse ad un non meno confusionario nostromo di una delle navi della piratesca flotta…

 

11. Immagine sopra; “Quella barba era nera ed egli se la faceva crescere fino a una lunghezza esagerata, per largo gli arrivava sino agli orecchi…”. Così lo scrittore Daniel Defoe descriveva il Pirata Barbanera, qui ritratto nella finzione cinematografica.

(Roberto Volterri)

Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dall’autore. 

 

“C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce; è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità; è la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere: è la regione dell’immaginazione, una regione che potrebbe trovarsi “Ai confini della realtà”.”

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