Enrico Pandone e gli interventi nel Castello di Venafro; di Mario Ziccardi

1 Immagine di apertura: Castello Pandone a Venafro – foto G Pavat 2020

 

MOLISE SEGRETO.

Enrico Pandone e gli interventi nel castello di Venafro (IS)

di Mario Ziccardi

 

Il nome di Enrico è legato all’importante ciclo di affreschi dove sono rappresentati i suoi cavalli più importanti[1]: la loro disposizione nelle sale del piano nobile suggerisce elementi per ricostruire una parte della storia architettonica del castello.

La scala cinquecentesca dal cortile conduce al primo piano qui i primi due cavalli, rappresentati al galoppo, sono ai lati del pianerottolo: tutto il piano era decorato con questi soggetti a rilievo; una sorta di catalogo murale dove sono stati rappresentati gli esemplari migliori e i personaggi cui essi furono destinati.

La posizione delle figure aiutano a capire l’impianto originario del ciclo riuscendo a comprendere le modifiche, anche strutturali, eseguite durante il trascorrere dei secoli.

 

2 Immagine sopra: Lo scalone cinquecentesco che conduce al primo piano del Castello – foto G Pavat 2020

 La prima stanza a destra era decorata con due cavalli andati distrutti[2]. Sulla parete verso il cortile l’impianto decorativo prevedeva una figura e una finestra: l’apertura attuale fu spostata e ridimensionata andando a distruggere parte della decorazione. Nella parete di fronte era l’altra finestra che fu murata durante la realizzazione della scala settecentesca esterna che, ancora oggi, raggiunge il loggiato; nello spazio vuoto della parete cui si entra era un camino.

3 Immagine sopra: La scala esterna che conduce al Loggiato – foto Marisa D’Annibale 2020

4 Immagine sotto: Il “Gioco della Campana” dipinto su una parete di una stanza al primo piano del castello – foto G Pavat 2020

 

La stanza del “Gioco della Campana” è quella che più di tutte mantiene le caratteristiche originali con tutti e quattro i cavalli realizzati. È l’ambiente posto sotto il loggiato, realizzato anch’esso agli inizi del Cinquecento[3].

A seguire è la stanza situata nella torre angioina che protegge l’angolo di due muri portanti. In questo ambiente sono presenti un camino, delle nicchie e una latrina, l’ambiente sembrerebbe relegato anche in antico a passaggio secondario. In quest’ambiente non sono state trovate tracce di affreschi.

L’ambiente successivo ospitava tre cavalli, ormai perduti, di cui si riconosce solo la base e i contorni realizzati in carboncino mantenendo fortunatamente le didascalie: uno di questi ha perso quello che resta dei quarti anteriori a causa della realizzazione di un armadio a muro. La parete verso il cortile ha una finestra: è diversa per dimensioni e la tipologia era probabilmente quella con sedile in pietra presente nelle altre sale del castello.

 

5 Immagine sopra: l’ampia sala in cui sono affrescati ben sei cavalli tra cui quello donato all’Imperatore Carlo V d’Asburgo.

 

A seguire è l’ambiente più ampio di quest’ala dell’edificio dove sono raffigurati ben sei cavalli del ciclo affrescato, fra cui il “San Giorgio” donato all’imperatore Carlo V. Le finestre e le porte attuali sono frutto di interventi cronologicamente diversi, resi tutti leggibili con il restauro eseguito negli anni Ottanta del secolo scorso. Si osserva come non tutte le aperture siano coerenti con la decorazione voluta da Enrico Pandone: la finestra centrale è stata aperta successivamente al ciclo pittorico voluto dal conte dato che distrugge l’unica figura di cavallo campeggiante su questo lato della stanza, posta fra le due finestre originali munite di sedile di pietra.

Così come coerente al ciclo pittorico è la porta a destra in corrispondenza della dedica all’imperatore comunicante con il vano scala.

 

6 Immagine sopra: la scala a chiocciola – foto G Pavat 2020

 Ancora più antica è la porticina comunicante con la scala a chiocciola che fu murata per poter raffigurare il cavallo destinato al duca di Calabria[4]: fu successivamente riaperta, probabilmente durante il periodo dei de Lannoy[5] per ricollegare questo piano agli altri. Fu chiusa probabilmente nel periodo in cui il castello ospitò diverse famiglie venafrane dopo la Seconda Guerra Mondiale[6]. La definitiva riapertura del varco è avvenuta durante l’ultimo restauro. Oggi lascia a vista i conci regolari usati per la realizzazione dell’angolo murario del mastio cui la struttura della scala a chiocciola si ammorsa e inglobata dalla parete originaria sul versante nord-ovest.

La realizzazione di una contro parete verso il monte è riferibile ai lavori di Enrico Pandone in quanto funzionale alla realizzazione di un alloggio privato al secondo livello e di cui costituiva appunto il lato esterno.  

Alla seconda metà del Cinquecento, durante il periodo dei de Lannoy, può essere datata la porta aperta a sinistra del cavallo di Carlo V, che taglia pesantemente la figura dell’esemplare donato all’imperatore.

Il vano scala è quello che ha subito diverse trasformazioni nel tempo e la presenza dello scudo della famiglia Pandone sull’architrave in pietra è indizio dell’uso di questi ambienti in questo periodo.

L’utilizzo del mastio come residenza privata è attestata ancora alla fine del ‘400[7] infatti il vano scala è quasi in asse con l’androne ma presenta qualche problema d’interpretazione: come abbiamo visto il passaggio sotto la dedica a Carlo V era obbligato e portava su un solaio opposto a quello della torre; la scala smontava sul pianerottolo del mastio. Una soluzione compatibile, ma non verificabile è quella di una rampa unica fiancheggiata da un passaggio[8].

L’ambiente presente nella torre quadrangolare è senza solaio: il camino cinquecentesco[9] tradisce la presenza di un piano calpestabile coerente con quello presente al piano nobile[10].

 

7 Immagine sopra: il Teatrino settecentesco.

 Il teatrino e le due stanze successive, prima di giungere al grande salone, hanno un’altezza diversa dai precedenti ambienti e sembrerebbe che questa ala del castello non avesse raffigurazioni risalenti al periodo di Enrico, affreschi dei periodi successivi invece sono visibili sulla parte alta delle pareti.

Non avendo altri indizi rivelatori di quello che è potuto succedere alla morte del Conte, si potrebbe ipotizzare queste stanze fuori dal ‘catalogo’ accennato in precedenza destinandole a studio privato. La posizione dell’araldo imperiale nel salone e il cavallo di Carlo V nella parete nell’ala opposta del castello sembrerebbero separare quest’ala dal resto del castello ponendola verosimilmente sotto l’egida imperiale: una zona, forse, dove il Conte concludeva affari.

8 Immagine sopra: lo Stemma araldico imperiale.

 Il salone principale è tra le stanze più importanti del castello e ha due ingressi uno dallo scalone l’altro attraverso gli ambienti dopo il teatrino.

È l’ambiente che da al castello il suo aspetto più elegante; i grandi finestroni che si aprono sulla città danno all’edificio i caratteri di una dimora signorile ed è l’ala dell’edificio che ha subito le più importanti trasformazioni dopo la morte di Enrico Pandone: aveva un soffitto più basso e la parete verso la città è stata ricostruita più snella.

 

9 Immagine sopra: la Grande Sala di rappresentanza.

 Il prospetto non era come lo vediamo oggi, alcuni indizi sono sulla parete interna del cortile dove sono presenti quello che resta di due ordini di canali per lo scolo delle acque piovane, composto da mensole di pietra e canaline di terracotta, di cui quello superiore è più recente e coevo all’elevazione di questa ala del fabbricato; agli inizi del Cinquecento era funzionante quello inferiore composto da due canaline che convergevano verso il centro convogliando l’acqua in un montante collegato direttamente alla cisterna presente al livello inferiore[11]

Sulle pareti interne studi stratigrafici sull’intonaco hanno rivelato l’assenza, sulla parete a sud-est, di uno strato di preparazione coevo a quello presente sulle altre tre pareti; la riduzione dello spessore murario, probabilmente mediante un’opera di demolizione e ricostruzione, è visibile sia nell’angolo est sia a raffronto delle altre pareti spesse quasi il doppio visibili sul lato sud-ovest e nella stanza attigua al salone. Analisi stratigrafiche simili sono state effettuate anche sulla fascia pittorica di contorno esistente nella parte più alta del salone dove non è strato trovato nessuno strato pittorico coevo a quello dei cavalli di Enrico[12].

Lo scudo araldico, visibile solo nei tratti in carboncino, presente sulla parete di fondo[13] è compatibile con la situazione strutturale presa in esame mentre l’ingresso attuale è situato in mezzeria rispetto ai muri esistenti.

La tipologia degli infissi presente nel salone è compatibile con altre presenti al piano nobile ma la struttura dell’impianto pittorico fu realizzato in modo tale da trovarsi nello spazio superiore le finestre, quindi mettendo in dubbio l’esistenza dei grandi finestroni visibili oggi[14].

 

10 Immagine sopra: Gli stemmi araldici dei Di Capua e Piccolomini, databili ai primi decenni del XVIII secolo, realizzati per l’unione matrimoniale tra Giovanni Battista di Capua e Vittoria Piccolomini. I due si sarebbero dovuti sposare all’inizio del 1711, ma le nozze non avvennero a causa della prematura dipartita del promosso sposo – foto G Pavat 2020

 Un’ipotesi di ricostruzione della parete sud-est prevede la presenza di quattro finestre nel registro inferiore e probabilmente altri cavalli presenti nel registro superiore. Gli interventi successivi puntarono alla risistemazione spaziale distruggendo il muro, come già accennato, con il precedente impianto iconografico e la creazione di un nuovo ciclo pittorico visibile ad oggi nella parte superiore compatibile col periodo storico della seconda metà del ‘500 quando ormai il castello era nelle mani della famiglia de Lannoy cui si possono attribuire i lavori di sopraelevazione e il ciclo pittorico visibile nella fascia di nuova costruzione e successivamente sfruttato nel periodo in cui il castello era dei di Capua.

11 Immagine sopra: la Torre di guardia sulla montagna vista dal Loggiato – foto G Pavat 2020

 Uscendo dal grande ambiente sul pianerottolo di fronte lo scalone che collega il cortile e il piano nobile è una porta finestra che, mediante una scala esterna, collega il loggiato e il piano superiore[15] .

Gli elementi che compongo la scala sembrano del tutto simili a quelli che compongono la scala realizzata sull’avancorpo settecentesco esistente sulla braga merlata, inoltre le mensole somigliano a quelle usate per la realizzazione, nel prospetto esterno del grande camino nel salone principale.

Un’ipotesi ricostruttiva secondo la quale anche la scala che congiunge esternamente il piano nobile e il loggiato potrebbe essere stata eseguita in un periodo successivo a Enrico Pandone e questo spazio aperto sulla città poteva essere raggiunto solo dalle stanze private del Conte al secondo livello.

(Mario Ziccardi)

 

  • Se non altrimenti specificato, le immagini sono di Mario Ziccardi del 2015.

 

12 Immagine sopra: Giancarlo Pavat e Mario Ziccardi nel Castello Pandone – foto G Pavat 2020

 

Bibliografia minima

 

Ferrara 2013                Ferrara D., a cura di, Venafro, Castello Pandone – guida breve, Isernia, 2013

Morra 2000                  G. Morra e Valente F., Il castello di Venafro. Storia arte architettura, Ferrazzano, 2000.

Valente 2000               G. Morra e Valente F., Il castello di Venafro. Storia arte architettura, Ferrazzano, 2000.

 

13 Immagine sopra: Pianta Castello Pandone

 

  • Marco Ziccardi ha già affrontato questo argomento durante il convegno “Castelli del Molise – convegno di studi” Ex-Gil Campobasso 30 gennaio 2015.

 

14 Immagine sopra: Marisa D’Annibale nel Teatrino di Castello Pandone – foto Marco Di Donato

15 Immagine sotto: uno dei Cavalli di Enrico Pandone – foto Marco Di Donato

 

16 Immagine sotto: Venafro visto dagli spalti di Castello Pandone – foto Marco Di Donato.

NOTE

[1] I ritratti dei cavalli furono realizzati modellando l’intonato sulla parete finita dove, in carboncino, era riprodotta la forma dell’animale. La decorazione finale con la tecnica dell’affresco.

[2] Per approfondire sul ciclo pittorico consultare: Valente F., 2000 pp. 110-121;

[3] questa stanza conserva alcuni indicatori della tipologia di costruzione di alcuni elementi riscontrabili all’interno del castello come la tipologia della finestra con seduta di pietra e architrave in legno.

[4] Le dediche al duca di Calabria sono molto particolari; se ne contano almeno tre ed è l’unico personaggio conosciuto solo col titolo. Il delfino del trono di Napoli era una carica che scomparve dopo la conquista del regno e l’ultimo a ricoprirla fu Ferdinando d’Aragona figlio di Federico I ultimo re partenopeo, tenuto prigioniero in Spagna fino ai trent’anni; i francesi cercarono di liberarlo nel 1513 ma l’impresa fallì.

L’alleanza di Enrico coi francesi, oltre i noti problemi finanziari, potrebbe essere stata promossa da un eventuale ritorno della monarchia aragonese a Napoli con la figura di Ferdinando, Duca di Calabria.

[5] La datazione della scala a chiocciola è stata ritenuta più tarda, della seconda metà del Cinquecento, in Ferrara 2013, p. 14: il piano di accesso della scala è tuttavia compatibile con il piano della sala cosiddetta dei cavalli da guerra; osservando la fascia su cui sono raffigurati i cavalli si può considerare come essa sottraesse superficie utile alle rappresentazioni e come pertanto si decidesse di chiuderla.

[6] Questo ambiente era diviso in due stanze. Curioso l’aneddoto di una signora che visitò il castello per la prima volta nel 2012: lei da bambina abitava in una delle abitazioni popolari ricavate nel maniero e aveva il letto proprio sotto uno dei cavalli (quello di Annibale Caracciolo). Le pareti erano scialbate e la fiammella della sua candela, illuminando la parete, faceva un gioco di luci e ombre che la impressionavano durante la notte. Aveva sempre immaginano qualcosa sotto quel bianco e quando per la prima volta vide i cavalli risolse l’enigma delle sue paure.

[7] Morra 2000, p. 65.

[8] Un’altra ipotesi è un’unica rampa di scale: se dal piano terra si sale al primo dov’è lo stemma dei Pandone, un’altra rampa partiva dal pianerottolo accessibile dal passaggio sotto la dedica a Carlo V. Queste soluzioni a prima vista corrette pongono un problema di spazio nella fattispecie avere un’unica rampa implica un numero esiguo di pedate con alzate molte alte rendendo la scala ripida e con i gradini leggermente in sovrapposizione. Il problema rimane irrisolto; la soluzione proposta, pur compatibile con i collegamenti orizzontali originari, pone una non facile soluzione per quanto riguarda il collegamento con il secondo piano.

[9] Le decorazioni presenti nell’ambiente sono successive di almeno un secolo.

[10] La finestra di questa stanza è stata modificata: l’altezza e le dimensioni non sono compatibili col piano del camino.

[11] Questo sistema è ancora visibile all’interno del castello di Civitacampomarano.

[12] In questa fascia il ciclo pittorico è stato datato alla seconda metà del Cinquecento. SBSAE, relazione di restauro del 2013, p. 25.

[13] L’araldo in mezzo a due cavalli è attribuito all’imperatore Carlo V. nella parete prontale l’impianto iconografico doveva essere simile ma probabilmente lo scudo sarebbe da attribuire a Enrico Pandone. Anche in questi due casi l’impianto iconografico impegnava il registro superiore alle finestre; .

[14] La rappresentazione di Giovanni Antonio Monachetti (cfr. Valente 2000, p. 49) potrebbe rivelarsi giusta attribuendo al castello quattro finestre in prospetto invece dei tre finestroni esistenti.

[15] Al tempo di Enrico era solo una finestra: il passaggio e la scala furono realizzati solo in un secondo momento forse durante il periodo dei di Capua cui uno scudo campeggia immediatamente sopra l’architrave.

17 Immagine sotto: Mario Ziccardi a Castello Pandone – foto Marisa D’Annibale.

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