I segreti delle “ pettegole” Statue Parlanti di Roma; di Roberto Volterri

 

 

Immagine di apertura: la celebre statua di Pasquino visibile nell’omonima piazza romana.

 

Le “ pettegole” Statue Parlanti di Roma

Marforio: “striscia la notizia” d’altri tempi…

di Roberto Volterri

 

Forse una volta rappresentava il dio Nettuno, forse il nostro biondo Tevere, forse… chissà?

Quel che certamente non gli possiamo negare è – dopo il celeberrimo Pasquino sul quale torneremo in un prossimo articolo – un ottimo secondo posto in classifica tra le sei “Statue parlanti” di Roma.

Ora conservata presso i Musei Capitolini, la statua viene rinvenuta nel Foro di Augusto, a due passi dal tempio di Mars Ultor – Marte Vendicatore – e forse dal luogo prese il nome di Marforio. Oppure, come vorrebbe un’altra corrente di pensiero, deve il suo strano appellativo ad una scomparsa iscrizione documentata nel 1588 che avrebbe riportata la scritta “Mars in Foro”.

Ma poiché l’umana fantasia degli archeologi – ed io tra questi… – non ha limiti ben definiti, Marforio potrebbe derivare anche dal nome della ben poco illustre famiglia romana dei Marfuoli che avrebbe avuto dimora nei pressi del Carcere Mamertino, non lontano dal luogo di rinvenimento della statua.

O, ancora, potrebbe esser debitore del suo strano nome all’essere stato identificato nel fiume Nera, affluente del Tevere, come argutamente scrisse – in un dialetto che spero sia comprensibile! – il poeta ternano Eucherio Morelli in Terni d’un témpu…

 

A Collesacro una ce ne stà/ che al Nera volse Roma dedicà/ Stà statua che Marforio angò se jiama/ conosciuta è da tutti anghi pè fama./ Lu nome primu fu però struppiato/ ché “NAR FLUVIUS” infatti era jamatu / In quantu “NAR” significaa Nera/ e “FLUVIUS” fiume. Pò da mane a sera/ ma in verità pian piano e lèmme lèmme la ENNE se cambiò e diventò EMME/ e stu “Nar Fluvius” se jiamò “Marforio” / e testo lu rennétte più notorio.

 

 

Qualunque sia l’origine del nome, il buon Marforio comincia a vagare all’ombra del Colosseo, da un luogo all’altro, prima per volere di papa Sisto V che decide di porlo sulla piazza di San Marco, poi forse ci ripensa e la fa spostare sul Campidoglio per dar lustro ad una fontana progettata da Giacomo Della Porta.

Tempus fugit, purtroppo!

E anche il buon Marforio ha avuto spesso bisogno di qualche sapiente opera di maquillage nel 1594 poiché una parte del viso presentava “rughe” in abbondanza, il piede destro era in parte mutilo e la mano destra, che ora stringe una conchiglia, era ridotta Ecce homo.

 

 

2. Immagine sopra: Una bella stampa del tempo che fu, con un “Marforio” che ancora non aveva subito il Body lifting” che ce lo ha restituito un po’ meno “Ecce homo”!

 

Passano gli anni, si avvicendano i Vicari di Cristo e così, a metà del Seicento papa Innocenzo X fa viaggiare nuovamente per Roma il povero e paziente Marforio e lo fa traslocare verso la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli. Ma anche per le parlanti statue di Roma non c’era pace e alla fine lo ritroviamo dove si trova adesso, nel cortile del Palazzo Nuovo.

E da lì, per anni ed anni, tra il XVI e il XVII secolo, dette vita a celebri “pasquinate” interloquendo a distanza con il suo più noto concorrente, il Pasquino, mediante lettere e biglietti di protesta contro il cosiddetto potere costituito

 

3. Immagine sopra: “Marforio” ai nostri giorni, giace ancora placidamente sdraiato in attesa di qualche cartello di protesta che, però, da tempo non appare.

 

 

“Madama Lucrezia”, la “Sora Tuta” de noantri…

 

Radio Campidoglio” e ancor di più “Campo de’ Fiori” sono state trasmissioni radiofoniche i cui testi scritti da Giovanni Gigliozzi ci hanno fatto sorridere in anni in cui la televisione era di là da venire e stazionava ancora in qualche laboratorio della RAI. Tra i personaggi spiccava la “Sora Tuta” irriverente donna del popolo, magistralmente interpretata dall’attrice Gisella Monaldi (1913 – 1984), la quale insieme al “Sor du Fodere”, un grande Fiorenzo Fiorentini, ha allietato anche chi scrive quando soltanto pochi anni avevano “raggelato le sue scarne membra”, avrebbe detto il solito Poeta…

Madama Lucrezia” – o Madama Luggrezia come qualche romano de Roma preferirebbe dire – è l’unica “quota rosa” tra le sei “Staue parlanti” della Capitale.

Unica statua femminile appartenente alla Accademia degli Arguti, raccoglieva poche ma ben mirati cartelli con pungenti versi volti a colpire la “Casta” della città.

Una vera e propria “Sora Tuta” del bel tempo che fu…

 

 4. Immagine sopra: “Madama Lucrezia”, muta interlocutrice (forse) del loquacissimo ““Pasquino”

 

La nostra simpatica “quota rosa” si presenta sotto forma di un colossale busto di donna, alto tre metri, di epoca romana, oggi visibile su un basamento posto all’angolo tra Palazzetto Venezia e la Basilica di San Marco che si trova nell’omonima piazza.

Naturalmente storici ed archeologi si sono sbizzarriti del cercare di identificare chi mai rappresentasse in antico la gentil fanciulla. Va per la maggiore l’identificazione con una sacerdotessa della dea egizia Iside – oppure con la dea stessa – in relazione alla forma del nodo della veste, caratteristico, sembra, del culto egiziano.

Il popolino romano, invece, faceva il tifo per l’identificazione con la dea Venere, reputando la statua una sorta di ritratto a tutto tondo della bella Lucrezia D’Alagno, amante di Alfonso V di Aragona, re di Napoli.

Il busto marmoreo sarebbe stato quindi un dono ricevuto da Lucrezia da parte del suo momentaneo “amato bene”…

A Roma Lucrezia viene una prima volta per cercare di ottenere dal papa il divorzio dall’evidentemente “poco amato” consorte. Tornata a Napoli senza l’agognato divorzio, dopo la dipartita della sua altra metà del cielo da questa “valle di lacrime”, Lucrezia, invisa al successore del bistrattato marito, si trasferisce a Roma proprio in un palazzetto sito nei pressi del posto dove adesso è visibile la statua.

Forse sarebbe abbastanza attendibile quest’ultima ricostruzione storica perché non a Roma ma a Napoli era in uso il termine “madama”. Chissà…

Muta “voce” – ci si perdoni l’ossimoro… – di alcune “pasquinate”, “Madama Lucrezia” costituiva la voce di protesta del popolino romano verso i personaggi pubblici meno amati e più chiacchierati della Roma del XIV e XV secolo e oltre.

Ė il caso di ricordarne almeno due…

Anno del Signore 1591. Papa Gregorio XIV, prossimo anche lui a salir sulla “barca di Caronte”, si fa trasferire nel Palazzetto Venezia poiché spera di trascorrere i suoi ultimi giorni in un ambiente più tranquillo per la presenza, intorno al palazzetto stesso, di uno steccato talmente alto da attutire ogni rumore di una Roma anche all’epoca alquanto caotica.

 

5. Immagine sopra: Papa Gregorio XIV così poco simpatico al popolino romano da spingerlo ad augurargli una rapida dipartita tramite un anonimo cartello affisso sulla statua di “Madama Lucrezia”

 

Nella città ben poco affranta dalla imminente dipartita di un Principe degli Apostoli evidentemente alquanto inviso al salace popolino romano, compare subito il solito anonimo cartello che sentenzia…

“La Morte entrò attraverso i cancelli”

… stigmatizzando così che anche la Nera Signora, infischiandosene dello steccato che fungeva da “barriera acustica” molto ante litteram, avrebbe trovato subito il modo di liberare i cittadini da una presenza molto poco bene accetta!

 

Poco più di due secoli più tardi, durante la Repubblica Romana, nell’Anno del Signore 1799, il popolino adirato contro il cosiddetto “ordine costituito”, per dare libero sfogo all’insoddisfazione repressa, non trova di meglio che buttare a terra il busto marmoreo e attaccargli sulle spalle il solito cartello – rigorosamente anonimo! – con la scritta…

                                        “ Non ne posso veder più!”

 

Di inequivocabile significato…

 

Un marmoreo “piedino” di “Madama Lucrezia”?

A Roma, in via Santo Stefano del Cacco, “Madama Lucrezia” – novella Cenerentola – anziché perdere la “scarpina di pelliccia di scoiattolo” – quella di cristallo sarebbe stata più molto romantica, ma… è frutto di un’errata traduzione – avrebbe lasciato addirittura tutto un suo piede!

In Campo Marzio, non lontano dal Pantheon, su un piedistallo, c’è infatti un “graziosissimo” piede di marmo proveniente di certo da una statua di grandi dimensioni.

Ci sono buone possibilità che il piede sia appartenuto ad una statua di Iside, forse proveniente dal tempio noto come Iseo Campense che esisteva più o meno da quelle parti.

Quasi tutta la statua di Iside è andata perduta ma ce n’è una copia nel Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini, copia che ci ricondurrebbe alla nostra “Madama Lucrezia” poiché indossa una tunica con maniche lunghe, mentre un mantello le avvolge il capo incrociandosi tra i seni, dando così origine al cosiddetto “nodo isiaco” quasi identico a quello sulla statua di Palazzetto Venezia.

6-7 Immagini sopra e sotto: Non è affatto improbabile che “Madama Lucrezia” raffiguri la dea egizia Iside, come mostrerebbero queste due immagini. SIl “Madama Lucrezia” che l’Iside Capitolina hanno entrambe sulla veste, tra i seni, il cosiddetto “nodo isiaco”…

Torniamo al “piedino” smarrito…

8-9 Immagini sopra e sotto: Il “Pie’ di Marmo” situato a Roma, in Campo Marzio, in una foto d’epoca e ai giorni nostri. Apparteneva alla statua che a Roma è nota come “Madama Lucrezia”?

 

Non è affatto detto, considerazioni stilistiche a parte, che il piede sia appartenuto alla statua di “Madama Lucrezia”, anzi, facendo approssimative valutazioni sulle dimensioni di ambedue i reperti, diremmo che l’ipotesi è altamente suggestiva ma ancor più altamente… improbabile.

Analisi di tipo archeometrico sulla composizione dei due marmi potrebbero forse portare a conclusioni più scientificamente attendibili…

Però – verità scientifiche a parte – ci piace pensare che il “piedino” quasi dimenticato lì, in una via della vecchia Roma, sia appartenuto ad una dea venerata all’ombra delle piramidi e poi, molti secoli più tardi, punto di riferimento per chi avesse qualcosa di caustico da dire sulla “Casta” di una Città Eterna della fine del XVI secolo!

 

Abbondo Rizio, “er Facchino” di via Lata

 

“Che qualunque acquarolo che piglia acqua alla fontana di Trevi de continuo tutto l’anno, paghi in tutti julii cinque: item, che tutti cavalli et muli che caricano acqua alla fontana, paghi baiocchi cinque per ciasche bestia

 

10-11 Immagini sopra e sotto: La suggestiva “Fontana del Facchino”, ritenuto una delle sei “Statue parlanti” di una Roma che in gran parte non c’è più…

Il “Facchino” ha meritato – come altre “Statue parlanti” di Roma – anche l’onore di un libro totalmente a lui dedicato.

 

Una volta il nostro “Facchino” stava a via del Corso…

Poi, nel 1874, cambia casa e si trasferisce in via Lata. Il “Facchino” viene unanimemente considerato il capostipite di tutte e sei le “Statue parlanti” di Roma poiché sembra sia stata realizzata nel 1580 da Jacopo Del Conte su incarico della Corporazione degli Acquaroli, costituita da baldi operai che distribuivano l’acqua presa dalle pubbliche fontane e la vendevano con un sistema porta-a-porta.

 Qualcuno, però, pensa che il simpatico personaggio fosse veramente un facchino, anche se un’epigrafe dedicatoria una volta recitava…

“O con che grato ciglio

villan cortese agli assetati ardenti

offri dolci a li genti

io ben mi meraviglio

se vivo sei qual tu rassembri a noi

come in lor mai bagni i labbri tuoi

forse non ami i cristallini humori

ma di Bacco i licori”.

 

In ultimo, il Vanvitelli pensava che la statua fosse addirittura opera… del Buonarroti!

Michelangelo o meno, il buon Abbondo Rizio – così venne identificato il “Facchino”, forse avvezzo a portare acqua ma non a berla – un brutto giorno venne ricordato con una triste epigrafe…

 

“Ad Abbondio Rizio, coronato [facchino] sul pubblico selciato, valentissimo nel legar fardelli. Portò quanto peso volle, visse quanto poté; ma un giorno, portando un barile di vino in spalla e dentro il corpo, contro la sua volontà morì.”

 

 

 

“Abbate Luiggi”, l’irriverente sagrestano

 

12. Immagine sopra: L’Abate Luigi. Sul basamento vi è  inciso  a lettere rosse il seguente epitaffio :

 

“Fui del’antica Roma un cittadino

ora Abate Luigi ognun mi chiama

conquistai con Marfolio e Pasquino

nelle satire urbane eterna fama

ebbi offese, disgrazie e sepoltura

ma qui vita novella alfin sicura “

 

L’”Abate Luigi” (o, con accento romanesco, Abbate Luiggi), è un’altra delle sei Statue parlanti di Roma. Scultura di epoca tardo-romana raffigura molto probabilmente un magistrato ma il solito, arguto, popolino romano aveva notata una stretta rassomiglianza con il sagrestano della Chiesa del Sudario, situata a due passi dalla statua e allora… il passo fu breve!

Come accade spesso a molte statue dell’antica Roma, anche l’”Abate Luigi” è stato spesso decapitato. Nel 1966, dopo l’ultimo vandalico gesto, anche il paziente “Abate” si stancò e comparve subito una “pasquinata” valida… a tutte le ore!

 

O tu che m’arubbasti la capoccia

vedi d’ariportalla immantinente

sinnò, vòi véde? come fusse gnente

me manneno ar Governo. E ciò me scoccia!

 

 

13. Immagine sopra: L’epitaffio leggibile sotto la statua dell’”Abbate Luiggi”.

 

 

“ Er Babbuino”, l’irriverente Sileno di un tempo che fu…

Il “Babuino” (o, con accento romanesco, “Babbuino”), è l’ultima delle sei statue parlanti di Roma delle quali ci occupiamo in questo breve saggio, comparandole con il nostro “Maripara”…

Per l’archeologia di stretta osservanza esso sarebbe un “Sileno giacente” su una base di rocce, ma per il solito popolino romano, avvezzo a dare un soprannome a chiunque, la statua rappresenta senza dubbio alcuno una scimmia. E anche particolarmente brutta!

Fino all’anno 2002 faceva (pessima!) concorrenza al più morigerato “Pasquino” poiché decine di bombolette spray furono consumate per tappezzarlo di inutili “messaggi” che avrebbero trovata miglior collocazione sulle pareti del “salotto buono” dei distratti genitori di quegli improvvidi (e analfabeti) adolescenti in vena di lasciare una traccia di ciò che a scuola… non avevano mai imparato!

14. Immagine sopra: “Er Babbuino” fino al 2002 era così. Poi… 

15. Immagine sotto: … nel 2007 ha subito un piacevolissimo “body lifting” ed ora è così, per la gioia dei “romani de Roma” e di milioni di turisti!

A causa di lavori per la costruzione della rete fognaria, nel 1877 la vasca della fontana venne spostata a via Flaminia mentre il Sileno si accontentò di soggiornare un po’ nell’ex Palazzo Boncompagni.

Nel 1957 tornò alla sua antica dimora ed ora si trova a pochi metri di distanza dalla chiesa di Sant’Atanasio dei Greci, appunto all’angolo tra la via che prende il nome dall’epiteto dato dai romani al povero Sileno e via dei Greci…

Ai romani – e all’Ufficio toponomastica – è talmente piaciuta che da moltissimo tempo la via in cui la statua giace ha cambiato nome, da via Paolina alla ben nota via del… Babuino!

 

Per adesso finisce qui il nostro viaggio tra alcune “strane” statue che fanno bella mostra di sé nella convulsa città di Roma.

In un prossimo articolo daremo spazio a “Pasquino”, certamente la Statua Parlante più conosciuta non solo tra i romani ma anche tra le migliaia di turisti che vengono a visitare i luoghi dove vissero Caio Giulio Cesare, Augusto, Cicerone Tiberio, Caligola e, nei secoli successivi, infiniti altri personaggi che hanno dominate le vicende della nostra bella Penisola.

 

(Roberto Volterri)

 

Tutte le immagini sono state fornite dall’autore.

 

Il libro che ha ricevuto un più che positivo apprezzamento anche da parte di Dario Argento. “Il Mago del brivido

 

 

 

 

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Un commento:

  1. Ottima spiegazione

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