Un ricordo di Giovanni Feo; I misteri degli Etruschi, intervista di Osvaldo Carigi.

 

(Immagine sopra: Altipiani di Arcinazzo. Osvaldo Carigi intervista Giovanni FEO al PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO il 5 dicembre 2015).

 

GLI EREDI DI ARZAWA

Osvaldo Carigi intervista Giovanni FEO

Da sempre una cortina di mistero, talmente consolidatasi nel tempo da diventare uno stereotipo, sembra ammantare la storia della civiltà etrusca spesso prigioniera di tesi e di sintesi stanche, meccanicamente ripetute. Con Giovanni Feo, scrittore e ricercatore nonché valente etruscologo ‘fuori dal coro’, autore di importanti saggi ‘alternativi’ sull’argomento, cercheremo, quindi, di far conoscere alcuni aspetti della ‘misteriosa’ realtà di questo meraviglioso popolo, in un viaggio attraverso il loro raffinato mondo dove sacralità e scienza si fusero mirabilmente,  un  mondo lontano che seppe convivere con la natura circostante e studiare il cosmo sovrastante in una sorte di magica e rispettosa simbiosi con le eterne universali leggi che regolano la vita degli esseri umani.  Un viaggio privo di quei didascalici preconcetti, che vogliono gli etruschi barbari superstiziosi e licenziosi, un viaggio che, dalle nebbie della storia, ha inizio in un’antica regione dell’Asia Minore…..

Narra Erodoto che

Al tempo di Atis, figlio di Mane, una tremenda carestia si sarebbe abbattuta su tutta la Lidia……Il malanno, invece di attenuarsi, si andava aggravando sempre più, il loro re, divisi tutti i Lidi in due parti, fece estrarre a sorte quale dovesse rimanere e quale, invece, andarsene via dal paese…

Osvaldo Carigi: “Giovanni, i Lidi menzionati da Erotodo erano gli stessi che noi conosciamo come Etruschi? Nell’edizione che io ho de ‘Le Storie’ ho trovato questa nota riguardo appunto il predetto popolo proveniente dalla Lidia.

Sembrerebbero cioè gli Etruschi; ma tale racconto di Erodoto lascia molto perplessi sull’argomento”

Giovanni Feo: ”Erodoto era nativo della Caria, regione dell’Asia Minore confinante con la Lidia, e visse nel V sec. A.C. Il paese che ai suoi tempi era chiamato Lidia, secoli prima era stato occupato da un popolo della Meonia e come scrive il ‘Padre della storia’: “I Lidi erano un tempo chiamati Meoni, ma cambiarono nome in quello attuale da Lydos, figlio di Atys”. Sappiamo che a causa di una carestia il re Atys decise di dividere il proprio regno: suo figlio Tirreno partì per mare verso occidente, l’altro figlio, Lydos, restò a governare nella propria terra.”

O.C.: “La Lidia era situata nell’odierna Anatolia in Turchia. L’origine anatolica degli Etruschi acclarata da Erodoto è stata suffragata dagli studi del Prof. Piazza e dei suoi colleghi dell’Università di Torino che hanno portato alla luce una somiglianza genetica tra soggetti provenienti da Murlo, Volterra e dalla Valle del Casentino, in Toscana, con gente di origine turca e dell’isola di Lemnos.

Eppure una delle ipotesi ancora oggi più acclarate circa le origini degli Etruschi li vuole autoctoni e lo storico greco Dionigi di Alicarnasso sembra essere il padre di questa corrente di pensiero, laddove nella sua ‘Antichità Romane’ (I sec. A.c.) si legge: “Perciò sono probabilmente più vicini al vero coloro che affermano che la nazione etrusca non proviene da nessun luogo, ma che è invece originaria del paese (l’Italia)”. Come spieghi questo persistere dell’idea autoctona?”

G.F.:”Le tante incertezze che ancora oggi sussistono intorno alle origini degli Etruschi, dipendono dal fatto che il loro ceppo non nacque nel centro-Italia nell’VIII secolo a.C., ma risaliva ad un’epoca molto più remota.

I Tirreno-Etruschi che giunsero ad occupare il Centro-Italia tra i secoli XIII e XII a.C. erano gli eredi di una cultura direttamente collegata all’antico regno di Arzawa, fiorente nel secondo millennio in una vasta area dell’Anatolia centro-occidentale. Dal nome Arzawa, gli Etruschi di età storica derivarono quello di Rasna, con il quale indicavano se stessi, con il senso di “popolo, comunità”. Dionigi di Alicarnasso, cittadino romano, quando scriveva le sue “Antichità Romane” era sicuramente condizionato dal dover ridimensionare, agli occhi dell’Urbe, l’importanza della componente etrusca nelle origini di Roma che, dopo un’estenuante guerra durata quasi due secoli, era riuscita a soggiogare la dodecapoli etrusca.

Nel I sec. A.C. questa realtà era ancora scomoda e rimossa. L’epoca di Dionigi coincideva con il nascere dell’ideologia imperiale romana e l’antico ‘nemico’ etrusco non poteva placidamente venir menzionato quale ‘fondatore’ dell’Urbe. Lo stesso problema lo ebbe Virgilio nello scrivere la sua Eneide.

La tesi dell’autoctonia degli Etruschi ha trovato consensi solo in Italia dove, durante il ventennio fascista, il nazionalismo dilagante incasellava acriticamente ogni antichità come ‘romana’ o, quantomeno, come ‘italica’. Oggi, all’estero, nessuno più crede a queste favole. Quanto alle scoperte del Prof. Piazza confermano senz’altro quanto scritto da Erodoto.”

(Immagine sopra: Giovanni FEO grande protagonista al PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO 2015)

O.C.:”E’ ipotizzabile che l’antico regno anatolico di Arzawa, da te menzionato come luogo di origine delle genti da noi conosciute come Etruschi, gravitasse nell’orbita culturale Ittita. Se così fosse, troviamo tracce della sua cultura nella storia ‘italiana’ dei suoi discendenti?

G.F.:”L’impero ittita, durante i secoli dell’età del bronzo, ebbe un notevole influsso su tutta l’antica Asia Minore e sugli stati confinanti, come Arzawa, Lukka (Licia), Wilusa (Ilio, Troade) situati nell’Anatolia occidentale. Nella società etrusca di età storica si erano conservate rimarchevoli tracce delle origini anatoliche. Il nome della città di Tarquinia e del suo fondatore, Tarchun, ha diretta relazione con un importante dio anatolico del tuono e del fulmine, Tarkhun, a sua volta derivato da un antico dio-toro, già compagno della Grande Madre anatolica. E sappiamo della celebre Tomba dei Tori a Tarquinia, secondo alcuni appartenuta proprio ai Tarquini, nonché delle Terme Taurine, poco distanti dalla stessa cittadina. Nell’antica Asia Minore (Turchia) ritroviamo tutti quei caratteristici elementi che furono poi espressi dalla civiltà etrusca: il primato metallurgico, il culto di una grande dea della terra, l’importanza della donna in ambito sociale e religioso, una longeva tradizione di arte e architettura rupestre sviluppatasi nella regione anatolica, vulcanica e tufacea, geologicamente simile a quella tosco-laziale. A livello linguistico si è oggi accumulato un vasto repertorio di parole che dimostrano connessioni non superficiali tra antiche lingue anatoliche e lingua etrusca. A livello religioso le corrispondenze sono molte: la lettura del fegato di ovini (aruspicina), l’interpretazione dei fenomeni celesti (arte fulgurale) e il responso oracolare tratto dal volo degli uccelli (ornitomanzia) sono tradizioni documentate, in forme del tutto Simili, sia in area ittita che mesopotamica.

O.C.:. Possiamo affermare, senza tema di smentita, che la rotta marittima verso l’Italia utilizzata dai Tirreni era da questi sicuramente già conosciuta?

G.F.:”Non credo proprio che i Tirreni arrivati in Italia verso il XIII-XII secolo a.C. abbiano improvvisato il viaggio da Smirne fino a noi. Erano un popolo di esperti navigatori, famosi già nell’età del bronzo per le loro capacità marinare, conoscevano la “rotta dei metalli” ed erano in contatto con altri popoli del mare con i quali si alleavano e promuovevano scambi. Probabilmente, prima di insediarsi nella nostra penisola, già avevano avviato alleanze con i nativi, fondando empori e approdi sicuri.

(Immagine sopra: Giancarlo Pavat consegna a Giovanni Feo il PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO 2015)

O.C.: Dove avvenne il primo approdo dei Tirreni sulle coste italiane? A questa domanda sembra dare una risposta ancora Erotodo quando afferma che: “…oltrepassati molti popoli giunsero al paese degli Umbri, ove costruirono città e abitano tuttora”. In Italia gli Umbri si erano diffusi in un’area che comprendeva anche l’odierna Toscana, quindi sarebbe plausibile identificare, come da tradizione, il luogo dello sbarco proprio sulle coste di questa regione. Ma vi è un’altra ipotesi suffragata da corposi indizi….”

G.F.: Ultimamente è andata crescendo negli studiosi l’opinione che la prima tappa dove i Tirreni sostarono, prima di occupare il centro Italia, sia stata la Sardegna. Sono molti gli indizi a sostegno di tale tesi. Non solo, ma già in età antica era diffusa la notizia che sia i Sardi che gli Etruschi erano ambedue di ceppo “tirrenico”. Il nome TIRRENI è in relazione alla dea TURAN (la Grande Madre etrusca) e alle parole ‘Torre’ e ‘Tiranno’ (‘il signore della Torre’). Ciò è in rapporto alle acropoli etrusche costruite su alture (anatolico ‘THURA’); Tirreni furono anche i Sardi, costruttori delle ‘torri’ nuragiche. Esiodo (VIII a.C.) ha scritto che i Tirreni regnavano sulla Sardegna prima dell’età micenea. Strabone (V,2,7) conferma la presenza di Tirreni nell’isola. Un fatto certo è che in Sardegna la civiltà si sviluppò molto prima che sulle coste peninsulari. Servio (X, 172) racconta che un popolo proveniente dalla Corsica venne in Italia e fondò Populonia. Silio Italico (Punica, VIII, 472) chiama Populonia “gloria degli antichi Meoni” e sappiamo che la regione anatolica della Meonia fu poi la Lidia di età storica. Bronzi sardi sono stati rinvenuti numerosi nelle tombe di Populonia, Vetulonia, Vulci, Tarquinia, Cerveteri. “Navicelle” votive sarde del IX sec. a.C. furono ritrovate in Etruria e nel Lazio. Un fatto ancora poco noto è il ritrovamento di importanti necropoli etrusche lungo il fiume Tirso, che attraversa il centro-nord della Sardegna e sfocia nel golfo di Oristano, vicino all’importante porto di Tharros. Tirso ha la medesima etimologia di Tirreni, nome dato dai Greci agli Etruschi. I Tirreno-Etruschi sarebbero in un primo tempo sbarcati in Sardegna e, in un secondo tempo, avrebbero occupato l’isola mineraria dell’Elba, per poi sbarcare sulle coste della futura Populonia. Essendo i Tirreni esperti metallurgi è plausibile che si siano diretti ai ricchi giacimenti sardi, corsi, elbani, fino ad insediarsi nella ricca area metallifera di Populonia. Una singolare “coincidenza”: l’isola d’Elba fu anticamente chiamata Aithalia, la “fumosa”, esattamente lo stesso nome dato all’isola “Tirrenica” di Lemno, anch’essa ricca di metalli e ricordata per il fumo delle fonderie.

O.C.: Colgo al volo l’occasione datami da questo tuo ultimo inciso, per chiederti se il nome ITALIA derivi proprio dal termine ‘AITHALIA’.

G.F.: Lo ritengo poco probabile, anche se a rigor di logica associare il nome dell’Italia all’epiteto “fumosa” può essere coerente perché nel continente europeo i vulcani attivi si trovano solo in Italia (e Islanda), né sono pochi.

O.C.: Tornando al regno di Arzawa, la sua affinità con i popoli stanziati nell’Anatolia occidentale, potrebbe averlo coinvolto, come alleato di Troia, nella guerra cantata da Omero?

G.F.: La guerra di Troia è solitamente situata nel XIII sec. a.C., data assai prossima a quella della “migrazione” tirrenica tramandata da Erotodo. In ambito etrusco è documentato un antichissimo culto del troiano Enea, lo dimostrano i numerosi reperti (75 vasi dipinti e altri oggetti) rinvenuti in Etruria e raffiguranti l’eroe troiano. Non lontano da Cartagine venne scoperto un insediamento etrusco del III sec. A.C. dove si rinvenne un cippo con un’iscrizione etrusca. La stele, di epoca tarda (I sec. a.C.) reca la dedica “agli dei Dardani”, cioè agli dei troiani, in quanto Troia era stata fondata da Dardano, re e primo istitutore dei Misteri della dea Cibele. Gli etruschi insediatesi in terra cartaginese che avevano inciso la stele, nonostante fossero passati più di mille anni dal tempo di Enea e di Troia, ancora celebravano il ricordo di quei loro progenitori “troiano-etruschi”.

O.C.: E a proposito di Enea, nel tuo libro ‘Prima degli Etruschi’ si legge che l’eroe troiano, sbarcato nel Lazio intorno al XII sec. a.C., venne appunto accolto come un fratello dagli etruschi che riconobbero in lui la medesima stirpe orientale (anatolica). Questo fatto, riscontrabile anche nell’Eneide di Virgilio, non trova d’accordo molti storici moderni che mettono in evidenza una sostanziale incongruenza di natura temporale affermando, in sintesi, che la presenza etrusca nel centro Italia risalente al IX sec. non può assolutamente conciliarsi con la predetta epoca in cui avvenne l’approdo di Enea sulle coste laziali e il successivo incontro con i ‘fratelli’ etruschi. Ma come giustamente hai avuto modo di evidenziare in una precedente risposta, i Tirreno-Etruschi erano già presenti nel Centro-Italia, pionieri di un processo migratorio, avvenuto in epoche diverse, culminato con l’arrivo della casta sacerdotale detentrice di quegli elementi essenziali della civiltà etrusca (architettura sacra e lingua scritta) che furono la base di una successiva grandiosa fase storica.

G.F.: L’incongruenza temporale tra l’arrivo di Enea in Italia nel XII secolo e la presenza degli Etruschi in Italia, nello stesso secolo, può essere spiegata attraverso vari modi: gli Etruschi, o proto- villanoviani, erano effettivamente già presenti in quell’epoca in Italia, anche se la confederazione dei 12 popoli trovò sviluppi e compimento a partire dal X-IX secolo a.C., in seguito a un secondo arrivo di Tirreno-Etruschi da Oriente. Questo secondo sbarco potrebbe coincidere con l’arrivo di un secondo ceppo tirrenico, di origini egeo-anatolico, mentre il primo, i proto-villanoviani, può aver avuto origini più marcatamente egeo-balcaniche. Comunque sia, come già rimarcato da vari studiosi dell’Eneide, sembra verosimile che Virgilio abbia volutamente adombrato le vere origini storiche di Roma, prediligendo l’epopea mitica, calata in un’atmosfera atemporale e favolosa, a scapito della cruda successione degli eventi storici. Virgilio apparteneva al collegio dei “maru” (in latino “Marone”), saggi e anziani il cui parere e la cui autorità erano preminenti nella società etrusca. Nativo dell’etrusca Mantua (Mantova), Virgilio si prodigò per non mettere chiaramente in primo piano l’apporto etrusco nella nascita di Roma, anteponendovi quello troiano, più accomodante per il nazionalismo di Augusto e dell’Urbe.

O.C.: La fondazione di Roma è sicuramente tutt’ora una delle più controverse vicende legate alla storia etrusca. Due scuole di pensiero si contrappongono circa l’origine della Città Eterna: la prima, ‘tradizionalista’, sostiene che furono i Latini a fondare Roma, la seconda, ‘modernista’ afferma che più popoli, tra cui anche i Latini, concorsero alla nascita della futura Caput Mundi, evidenziando, nel contempo, un maggiore influsso culturale etrusco. Il tuo pensiero, in proposito, lo si potrebbe anticipare con questa frase tratta dal già citato ‘Prima degli Etruschi’:

“La verità è che ambedue queste scuole si rifanno a presupposti validi, sempre che non si estremizzi in un senso o nell’altro”.

G.F.: La nascita di Roma fu il frutto di alleanze dinastiche tra diverse etnie. Questo fu l’influsso creativo e vitale insito nella civiltà romana: la capacità di unificare e rendere universali i particolarismi e le differenze etniche e culturali. La prima fase di Roma antica è tradizionalmente associata a un “popolo del mare”, gli Arcadi pelasgici del re Evandro e della dea (moglie o madre) Carmenta. Grazie all’Eneide di Virgilio, all’elenco dei re di Albalonga e alle cronache tradizionali sappiamo che la prima confederazione dei popoli che abitavano l’antico Lazio, risultò da alleanze tra Etruschi, Troiani, Latini, Sabini e probabilmente da genti villanoviane e pelasgiche. L’etnia che emerse in tempi storici (VIII a.C.), l’etrusca, è quella che dette nome alla città e che officiò il tradizionale rituale di fondazione, che comprendeva il responso tratto dall’osservazione del volo degli uccelli e il tracciato del solco primigenio, con due bovini bianchi aggiogati.

O.C.: Da dove proviene il nome “Roma”?

G.F. Il nome “Roma” è presente in arcaiche iscrizioni etrusche e sembra sia in relazione al culto di una “dea-lupa”. Nella religione romana la dea Rumina potrebbe essere stata quella “lupa” venerata sul Palatino, a cui competeva la cura e il nutrimento degli infanti. È evidente il nesso con la leggenda della Lupa e dei Gemelli. La casta di sacerdoti-lupo (Luperci, Hirpi Sorani) svolse un ruolo di primo piano nella storia religiosa e politica dell’antica Roma. Il culto degli dei-lupo ha origini antichissime, lo si trova in tutta Europa. Nel Lazio era condiviso da Etruschi, Sabini e Latini.

O.C. “Nell’isola di Lemnos, già citata precedentemente, vennero portate alla luce le vestigia di una civiltà molto affine a quella etrusca ma queste scoperte non ebbero il giusto clamore mediatico che sicuramente meritavano e meritano tutt’ora. Già lo storico greco Strabone nel suo ‘Geografia’ scrisse che “Anticleide (1) dice che questi (i Tirreni) furono i primi a stabilirsi nelle regioni intorno a Lemno ed Imbro (2)”. (V, 4)

(1) Storico e antiquario greco vissuto nel III secolo a.C.

(2) Imbro (Gökçeada in turco e Imbros in greco) è un’isola della Turchia. Situata nel Mar Egeo nei pressi dell’imbocco dello Stretto dei Dardanelli si trova nelle vicinanze delle isole greche di Lemno e Samotracia.

G.F.:”Le importanti scoperte archeologiche effettuate nell’isola di Lemno dal prof. Luigi Beschi (Università di Firenze) riguardano migliaia di nuove iscrizioni in una scrittura definita proto-etrusca. Monumenti architettonici, mura e templi in stile “tirrenico” sono stati portati alla luce in tutta l’isola. Questa è forse la prova più concreta che effettivamente alla fine dell’età del bronzo si verificò quella che antichi cronisti chiamarono “la grande migrazione tirrenica”. Parte di quei Tirreni giunsero nel mar Tirreno, altri si insediarono a Lemno, nelle isole dell’Egeo e sulla costa anatolica.

O.C. L’evidente somiglianza della scrittura lemnia con l’etrusco è uno degli ‘indizi’ più incontestabili circa la natura ‘tirrenica’ della civiltà fiorita su quest’isola.

La lingua delle iscrizioni lemnie si differenzia dall’estrusco per pochi dettagli; per esempio nel lemnio c’era la vocale ‘O’, mancante nell’etrusco. Ma, a parte questi particolari, la scrittura lemnia è di facile lettura per chiunque sappia leggere l’etrusco. Di iscrizioni ne sono state ritrovate oltre duemila, anche se spesso frammentarie, e gli scavi non sono ancora terminati. Ha dell’incredibile la storia di come in Italia le scoperte di Lemno siano state “rimosse” a livello accademico. Nel Museo Nazionale di Atene i reperti ritrovati a Lemno sono etichettati come “tirrenici”, lo stesso si può constatare nel Museo Archeologico di Lemno, a Myrina, ed è chiaramente spiegato nei pannelli che i Tirreni furono anticamente conosciuti come Etruschi.

O.C.:”A conclusione del nostro incontro, spostiamoci in Francia , precisamente a Glozel dove, nel 1924, un contadino del posto, certo Emile Fradin, scoprì casualmente numerosi antichi reperti su cui erano incisi segni di una sconosciuta scrittura. L’inevitabile susseguente diatriba circa l’autenticità o meno della scoperta, ancora attuale, coinvolse lo stesso Fradin accusato inizialmente di essere un falsario ma, in seguito, prosciolto da tale accusa. Tale assoluzione gli permise di aprire un piccolo museo locale dove potè esporre i reperti da lui rinvenuti. Tra i sostenitori dell’originalità dei ritrovamenti in questione, spicca lo studioso svizzero Hans Rudolf Hitz il quale recentemente ha acclarato l’appartenenza delle iscrizioni di Glozel ad un alfabeto di tipo etrusco, arrivando ad individuare, in una delle tavolette di terracotta, le parole “Nemu Chlausei” la cui traduzione è “nel bosco sacro di Glozel”. ‘Chlausei’ è simile all’etrusca ‘Cleusin’, ovvero Chiusi, e tale somiglianza etimologica non sembra davvero casuale…..”

G.F.:”Credo che il dr. Hitz abbia risolto, almeno in buona parte, il “mistero”delle iscrizioni di Glozel, definendole di tipo celtico-etrusche e traducendole in modo comprensibile e chiaro. Il suo lavoro merita attenzione. Resta da dire che esiste un numero di iscrizioni ancora non tradotte, anomale, diverse da quelle studiate da Hitz. E’ possibile che Chlausei-Glozel fosse un importante centro sacro per un lungo periodo di tempo, questo spiegherebbe il ritrovamento di iscrizioni di diverse epoche e provenienze. Il nome etrusco di Chiusi, Cleusin, è etimologicamente omologo a quello celtico di Glozel, Chlausei. Ma c’è un’altra corrispondenza: Chiusi fu un prestigioso centro religioso e culturale, in specie per l’arte fulgurale e la scrittura, e da lì venne portato l’alfabeto etrusco a Felsina (Bologna) e nel nord-Italia, appunto in area celtica. Anche Glozel fu un importante centro sacro, sede di un “nemeton” gallo-celtico, un bosco sacro nei cui templi vennero recati e deposti oggetti votivi con le celebri iscrizioni tanto discusse. E’ possibile che la scrittura etrusca sia giunta a Glozel portatavi in seguito a scambi tra sacerdoti etruschi e sacerdoti gallo-celtici; credo invece inverosimile, come qualcuno ha affermato, che la scrittura etrusca sia giunta a Glozel tramite “mercanti e scambi commerciali…..”.

IN MEMORIA DI GIOVANNI FEO.

“Il Tirreno” di lunedi  17 giugno 2019

 

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