I segreti degli etimi sardi: ACCODI, il nome parlante di Zoltan Ludwig Kruse.

Immagine di apertura: “…la “Ziggurat” di Monte d’Accoddi si trova nell’omonimo “Complesso prenuragico” e, a tutt’oggi si presenta come un “unicum” non solo in Italia ma in tutta Europa e nell’intero bacino del Mediterraneo.Come spesso accade nei confronti di monumenti di cui non si riesce a comprendere appieno l’uso, anche su questa “ziggurat” è stato scritto di tutto e il contrario di tutto. Qualche certezza ci arriva dagli scavi archeologici che hanno riportato alla luce una serie di imponenti costruzioni, costituite dai resti di due strutture templari sovrapposte pertinenti a fasi culturali tardo neolitiche ed eneolitiche. La più antica frequentazione umana del pianoro di Monte d’Accoddi risale al Neolitico Recente. In una successiva fase, pertinente alla cosiddetta “Cultura di Ozieri” del Neolitico Finale (3.500-2.900 a.C. circa), il sito ospitò numerosi insediamenti umani. L’abitato faceva evidentemente capo ad un centro cerimoniale di notevole importanza con diverse pietrefitte, lastre sacrificali e misteriose sfere litiche. Forse “Onphalos”. In quella che si può considerare la fase matura della “Cultura di Ozieri” gli abitanti costruirono un grande santuario di forma tronco-piramidale, preceduto da una grandiosa rampa sulla cui cima si apriva un vano rettangolare. Tutte le superfici di questa straordinaria e, per certi versi, ancora misteriosa, struttura sono intonacate e dipinte, principalmente di rosso ocra (per questo motivo è stato chiamato il “Tempio rosso”) seppure non manchino tracce di colori come il giallo e il nero. Il “Tempio Rosso” andò in rovina probabilmente al 2800 a.C. e venne eretta quella sorta di “incamiciatura” di blocchi megalitici calcarei che ancora oggi caratterizza esternamente il monumento” (da Giancarlo Pavat “Guida curiosa ai Labirinti d’Italia”  – Newton Compton 2019). 

 

SECONDA PARTE DELLA TRILOGIA SUI SEGRETI DEGLI ETIMI SARDI

ACCODDI, IL NOME PARLANTE

DI ZOLTAN LUDWIG KRUSE

 

FOTO DELLA ZIGGURAT DI MONTE ACCODDI DI PIERPAOLO SIMONELLI

 

Il toponimo Monte d’Accoddi (o Accodi) designa il sito archeologico sardo in cui si trova il monumento prenuragico della torre templare a gradoni a metà strada tra Sassari e Porto Torres, nella regione nord-occidentale della Sardegna chiamata Nurra. Come unica struttura di questo genere in tutta l’Europa occidentale viene spesso chiamata la ziqqurratu sarda.  È un fatto piuttosto noto che i toponimi tendenzialmente si mantengono nel corso dei millenni e nel corso degli avvenimenti storici segnati dal susseguirsi di varie popolazioni. Ciò vale anche per Accodi/Akkodi, un vero e proprio “nome parlante” ossia attronimo. In questo studio intendo indagare in modo approfondito e a svelare i messaggi archetipici che il nome parlante Accodi contiene.

 

Sentiamo per primo alcune interpretazioni di linguisti italiani e sardi riguardo il suo significato:

«Sul monumento vi sono tuttora solo delle ipotesi sia sul nome che sulla tipologia del monumento stesso. Il nome Akkodi sembra derivare dal sardo arcaico Kodi che significava: monte e da cui deriverebbe l’altro nome sardo Kodina o Kudina che sta ad indicare “pietra”. Ma quella riportata sopra è una delle tante ipotesi sull’origine del nome, tuttavia ne esistono diverse ma abbastanza confuse.»

Ercole Contu nel suo “Sardegna Archeologica – L’Altare preistorico di Monte d’Accoddi” scrive:

«Come l’origine della collinetta, persino il nome, “Monte d’Accoddi”, risultava piuttosto misterioso. E di esso si avevano anche altre versioni, come Monti d’Agodi (nel recente catasto) o Monti d’ Agoddi o Monte d’ Acode o Monte La Corra (sulle carte dell’I.G.M.). Intanto nessuno si meravigliava della denominazione di “monte”, che in Sardegna, che di monti veri ne ha pochi, viene data anche alle colline (anzi in Gallura sta a significare persino solo “una pietra”). Più problematica appariva la seconda parte del nome, che venne fatta derivare da un’erba (kòdoro, cioè terebinto) o da “luogo di raccolta” (accoddi) o da corno (la corra) o, addirittura, dall’espressione che in sardo si usa per dire “facciamo l’amore?”! Solo di recente il Prof. Virgilio Tetti ha potuto accertare che il nome più antico documentato nelle carte catastali è “Monte de Code”, che significava Monte-collina delle pietre (coda/e significa pietra/e).» (Wikipedia: “Monte d’Accodi”)

(Immagine sopra: la “Piramide” o “Ziggurat” di Monte d’Accodi ).

Massimo Pittau ne “Toponimia della Sardegna Settentrionale – Significato e Origine” scrive: «Aggoddi, para d’ (Sorso), Monte d’Accoddi (Sassari): potrebbe derivare dal lat. collis “colle” oppure dal gentilizio lat. Collius (RNG) (al vocativo) di un proprietario romano di Turris Libisonis. Cfr. cognome Goddi

Orbene, uscendo dalla sfera linguistica sardiana-protosarda-sarda-latina e adottando una percezione linguistica più ampia si può constatare facilmente che la base e quindi la premessa indispensabile per i vocaboli allargati: lat. cos, cotis, it. cóte, gemma, sard. code, Kodi, Coda/e, Giara, ghiara/ ghiaia, come anche per i toponimi Codina/Kodina/Kudina “la roccia” sia costituita dalle parole-seme arcaiche KI (Labat, Deimel, s. no. 461) “terra, posto, luogo, determinativo dopo i nomi di paesi” (per es.: KUR URI KI il paese di “Akkad”, E KI “Babilonia”, URU ŠIR.BUR.LA KI la città di “Lagaš” ecc.) e KU (L., D. s. no. 536) “gettare, fondare” del lessico kingir/šumero, con cui coincidono: in mag. kő/kű/kü “pietra, sasso; suffisso locativo in molti toponimi magyari” (ad es.: Holló-kő, Dobogó-kő, Vörös-kő ecc., viene utilizzato parimenti anche in posizione iniziale: Kővágóörs, Kővárgara, Köveskál ecc.); in gr. e lat. , Gèo, Gea “Terra, suolo, paese”, gemma; in ted. Gau/Gäu “paesaggio, regione”, Gemme “pietra preziosa” ecc.. (v. “Origine e Significato della parola-seme KI/Qi/Chi”, www.acam.it / Semantica).

Pertanto il risultato dell’indagine etimologica sul nome Accodi eseguita da me non può che confermare il significato di fondo “pietra”. Tuttavia, questo non è l’unico. Oltre a  KI/kő/ko “pietra/posto” il nome Akkodi veicola anche altri significati, non meno importanti del primo, anzi, come potremo constatare, piuttosto decisivi, che sono: KÁD/köt/kod “collegare, connettere” e UTU/UD – ITI/ITU “Sole, giorno” – “mese, luna nuova”. Cosicché il nome Accodi/Akkodi sta a trasmettere veramente l’insieme di messaggi: “pietra/posto” – “collegare/connettere/connessione” – “sole – giorno – mese – tempo” che spiegherò in dettaglio più avanti. Si tratta, ovviamente, di un messaggio complessivo universale, archetipale, di importanza fondamentale per l’umanità.

“Pietra”

Visto che la base e con ciò la premessa del toponimo Accodi/Akkodi è costituita dalla parola-seme arcaica ko/ significante “pietra”, a kő “la pietra”, vogliamo dedicare a questo fondamentale essere minerale, onnipresente nell’universo, l’attenzione che merita.

Il vocabolo “pietra” è un nome collettivo per tutti i componenti duri della crosta terrestre. La voce “pietra” viene differenziata in roccia, concio, pietra focaia, minerale (feldspato, quarzo, mica), cristallo, gemma/pietra preziosa, minerale metallico. Da rocce minerali venivano e vengono estratti tuttora i metalli per via metallurgica, cioè in forni di fonderia a temperature elevate. Alcuni metalli preziosi come oro, argento o rame si trovano anche nello stato puro. Rocce come la pietra calcarea, il granito, il basalto, il gneis ecc. determinano la forma delle montagne. La bellezza della natura, l’aspetto dei paesaggi di montagna, è influenzato fondamentalmente dalla presenza delle rocce. Da pietre venivano costruiti in tempi passati cerchi di pietra, santuari megalitici, città, palazzi, templi, piramidi, anfiteatri, viadotti, acquedotti e vengono costruiti ancora città e strade ed edifici. I minerali (da lat. mina “pozzo”) che vengono estratti attraverso pozzi da miniera dall’interno della terra sono una parte integrante delle rocce della crosta terrestre/litosfera. Il silicio (Si) da lat. silicea “terra silicea”, silex “silice”, è, relato alla quota di massa, dopo ossigeno il secondo elemento più frequente nel involucro terrestre. A latino silicium corrisponde silicon in inglese da cui deriva il nome Silicon Valley “Valle del Silicio”; il toponimo designa il complesso industriale e di ricerca con più di mille imprese nella tecnica di semiconduttori e computer in Santa Clara Valley/ County nei pressi di San Francisco, uno dei siti mondiali più importanti della tecnica informatica e dell’industria della tecnologia di punta. Com’è noto, l’utilizzo del silicio è indispensabile nella metallurgia, nel fotovoltaico e nella microelettronica. Nel corso della storia dell’umanità il silicio e rocce contenenti silicati sono stati utilizzati sempre come materiale edilizio. In base ai loro spigoli taglienti l’ossidiana e la selce venivano utilizzati già nel paleolitico per la produzione di utensili.

 

Il vecchio e il nuovo mondo senza i metalli ricavati dalle rocce minerarie sarebbero inimmaginabili. Che le fasi di evoluzione ovvero delle epoche storiche della storia dell’umanità vengano denominate secondo i materiali utilizzati: età della pietra, età dell’oro/argento/rame, età del bronzo, età del ferro conferma questa realtà. Pietre e rocce sono memoria di informazioni. La “pietra” è la memoria dell’universo. La “pietra” ha una importanza incommensurabile per l’umanità. Niente funziona senza pietra, senza silicio, senza quarzo, senza rocce minerarie; nemmeno Silicon Valley. Lo sviluppo culturale tecnologico dell’umanità può essere chiamato con buona ragione “il percorso della pietra”.

Questa combinazione in lingua magyar/ungherese risulta a kő-út, che è assonante ad Akkod. Come rivela la sua forma concisa e l’appropriatezza dei suoi due sigilli fonemici k e t, che determinano e riflettono il senso, essa rappresenta una formulazione originale. Gli stessi sigilli fonemici sono efficaci ugualmente nelle espressioni corrispondenti: finn. kivi-tie, estn. kivi-tee, chin. shí/keu-dào/ tào, giap. ishi-do; nei due ultimi esempi essi ricorrono, tuttavia, lievemente variati: k  > sh, t > d.

Il “percorso della pietra” del genere homo è un percorso lunghissimo. È iniziato nei tempi remoti del paleolitico con la produzione della bifacciale: un utensile di pietra lavorato su due lati che per questo motivo viene denominato, appunto, bifacciale, fr. biface, ingl. biface / hand axe. Per la produzione venivano utilizzate prevalentemente pietre con alto contenuto di quarzo come la quarzite, la vulcanite, come anche la selce e l’ossidiana (v. Il museo dell’Ossidiana di Pau, unico nel suo genere in Europa). La bifacciale o amigdala lavorata a forma di pera costituisce l’utensile più arcaico del genere homo, quindi già del homo habilis, homo rudolfensis, homo ergaster, homo erectus, homo heidelbergensis, homo neandertalensis e alla fine anche del homo sapiens sapiens. Come utensile la bifacciale veniva utilizzata per spaccare, tagliare, raschiare, scarnare, grattare, tritare e colpire/battere. Pensando ora con mente sana, possiamo presumere che l’umo del paleolitico, capace di produrre bifacciali talmente perfetti come si conoscono, sia stato capace pure di imitare il suono duro ki/kő/kű delle due pietre cozzate che egli udiva di continuo durante la scheggiatura e con cui intendeva esprimere ovviamente “pietra”. E il suono delle due pietre cozzate oggi non è diverso da quello del paleolitico; è tuttora uguale.

Il lungo “percorso” út evolutivo della specie homo inizia, quindi, con la pietra; la “pietra” che “connette” köt. Tale coerente sviluppo è constatabile nella stessa correlazione delle parole-seme arcaiche: köt – út. Penso che la straordinaria importanza della parola-seme arcaica KI/significante “pietra, roccia, rocca, sasso”, contenuta anche nel toponimo Accodi/Akkodi, non venga compresa e apprezzata veramente. Ciò è condizionato prevalentemente dal fatto che nelle lingue romanze, ma anche in quelle anglosassone e slave, essa non costituisca più il vocabolo di utilizzo primario con cui viene espresso il concetto di “pietra, roccia”, ma sono altre parole, che conosciamo bene; così per esempio: lat. lapis, lapidis, it. pietra, sasso, roccia, fr. pierre, rum. piatră, ted. Stein, ingl. stone ecc.. Mentre le voci derivate chiaramente da KI/kő sono diventate di utilizzo secondario: cóte (da lat. cos, cotis, cutis, cautis “pietra da affilare”), coccio, concio, ciotto, ciottolo, ghiara/ghiaia, gemma, tosc. còtano (“grosso ciottolo”), sard. code, top. Codina “la roccia”, rum. ciob “coccio”, ted. Kies, Kiesel “ciottolo”, mated., ated. kol, ted. Kohle, ol. kool, ingl. coal, sved. kol “carbone” ecc.. Nonostante questo allontanamento dalla parola-seme originaria KI/ si tratta comunque di una delle più vecchie parole onomatopeiche che da parte dell’essere homo viene articolata e utilizzata presumibilmente sin dal paleolitico. In pratica dal momento in cui egli ha iniziato a lavorare la “pietra” modellando la bifacciale/amigdala, primo utensile scheggiato tagliente e/o appuntito da presa nella storia dell’umanità. Con la sua concisa, secca sonorità articolata KI, con le ricorrenti variazioni: mag. , , chin. kia, keu, est. kivi, finn. kivi, käv, kev, , ku, mordv. kev,  kurd. kuç, alb. gur, armen. k’ar ecc. manifesta la “durezza” propria alla “pietra”, la parte più dura dell’agglomeramento roccioso e ricco di acqua che è il globo “Terra” gr. lat. Gê/Gèo/Gea. Nella mitologia greca Gea è la ben nota dea della “Terra” e della crescita; i Giganti sono i suoi stragrandi e selvaggi figli che cercarono di assaltare l’Olimpo, furono però respinti da Zeus e gli Olimpici con l’aiuto di Heracles. Da KI/ derivano anche alcune voci del vocabolario ebraico tra le quali: chatsav “scalpellino”, chatsuv “scolpito dalla roccia”, chitsuv “cavare la roccia”, chatsas “ghiaia, pietrisco (ted. Kies)”, chaluké-avanim “coccio” (ted. Kiesel), cheres “terraglia” (ted. Stein-gut), chalamish “pietra focaia”, choma “muro”, chazak “forte, duro” ecc.. I parlanti (h)ungherese nel dire semplicemente: kő-kor, kő-kör e kő-kor-i kő-kör-ök, che sono espressioni auto-evidenti e coesivi, di questa realtà verbale arcaica vengono ricordati di continuo. I parlanti italiano, tedesco, rumeno o inglese per i stessi significati diranno: “Età della pietra” / “Stein-Zeit” / “Epoca de Piatră / “Stone Age” , “Cerchio di pietra” / “Stein-Kreis” / “Cerc de Piatră” / “Stone Circle” e “Cerchi di pietra dell’età della pietra” / “Steinzeitliche Steinkreise” / “Cercuri de Piatră de la Epoca de Piatră” / “Stone circles of the Stone Age”, espressioni in cui della parola-seme originaria KI/, ormai, non c’è la più minima traccia. 

Voce e Memoria della “Pietra”

Le “dure pietre”, mag. kemény kövek, sembrano prive di vita; eppure oscillano, sono viventi. Esse vibrano in maniera intonata essendo dei veri e propri trasmettitori di frequenza. Le pietre che vengono cozzate o strofinate manifestano le loro varie qualità sonore: dura, cupa, campanaria, cristallina o liquida. Lo scultore sardo Pinuccio Sciola, scomparso nel 2015, tramite le sue meravigliose «Pietre sonore» ci ha fatto sentire gli eterni messaggi che le voci delle pietre trasmettono. «Le pietre sonore sono sculture simili a grandi menhir (principalmente calcari o basalti) che risuonano una volta lucidate con le mani o con piccole rocce. Le proprietà sonore delle sculture sono realizzate applicando le incisioni parallele sulla roccia. Queste sculture sono capaci di generare dei suoni molto strutturati, con differenti qualità secondo la densità della pietra e l’incisione, suoni che ricordano il vetro o il metallo, strumenti di legno e perfino voce umana» (Wikipedia).

Le “dure pietre”, queste esistenze minerali che sono la parte rocciosa, ovvero le “ossa” del pianeta “Terra”, hanno delle qualità sonore e sono caratterizzate di “memoria/ricordo” (mag. emlék , ass. a emlők “mammelle”; cfr. Köremlék “circolare ricordo/memoria/monumento” – Köremlők “circolari mammelle” – Cromlech); di una “memoria connettiva” kötő emlék che è nutrimento essenziale. La “memoria connettiva” delle pietre è manifesta negli aggregati sferici che sono ora i pianeti rocciosi del sistema solare, quindi anche il globo “Terra”. L’aggregato che è ora la Terra è determinato dalla

“memoria delle pietre”. La “pietra” KI/, gr. e lat. , Gèo, Gea, lat. cos, sard. code ecc., compare come suono materializzato, solidificato che immagazzina le memorie cosmiche. L’elemento legante nel cosmo è, quindi, la “memoria”. Il quarzo e il silicio mantengono meglio di tutte le pietre la “memoria” in essi contenuta, distribuita. Il silicio è in ogni cellula del corpo umano, anche quelle del cervello. Il legante equivalente alla “memoria delle pietre” negli esseri umani è l’amore. La “memoria” inconscia presente in noi come impronta della specie è il DNA cellulare. Gli impulsi cellulari sono vibratori e i cristalli, essendo sensibili alle vibrazioni, rispondono.

KÁD – KUD

 

Come dicevo in apertura, il nome Akkodi/Accodi, come peraltro molti altri nomi antichi, di cui alcuni sono già stati presentati da me sul sito www.acam.it (ad es. Cromlech, Menhir, Dolmen), è un attronimo ovvero un “nome parlante”. Esso è caratterizzato da auto-evidenza. Tuttavia, affinché la ricezione dei messaggi contenuti nel nome parlante Akkodi possa avvenire, è necessaria, anzi indispensabile, la sintonizzazione alla frequenza d’onda corrispondente alla fonte di trasmissione costituita da parole-seme arcaiche. 

 

I linguisti, ma anche altre persone interessate all’etimologia, lo sanno bene che le parole-seme ovvero -monosillabo sono il materiale lessicale più arcaico delle lingue parlate. Esse abbondano soprattutto nelle lingue di tipologia agglutinante, meno in quelle di tipologia flessiva. E, beninteso, non si tratta di parole-seme singole, bensì di veri e propri sistemi di  parole-seme, come quello del lessico magyar/ungherese derivante da šum. KÁD “collegare, connettere”: köt – két – kéz/kete – köz – kész – kút – híd – gát – csat ecc. che corrisponde ai significati “collega” – “due” – “mano” – “spazio intermedio” – “pronto” – “pozzo” – “via/ percorso” – “ponte” – “diga, terrapieno” – “fibbia” ecc.; o quello derivante da šum. UD “giorno”: út – öt – át – üt – itt – ott – ide – oda – idő ecc. corrispondente ai significati “via/viaggio/percorso” – “cinque” – “attraverso” – “batte(re), pulsa(re)” – “qui” – “lì” – “qua” – “là” – “tempo”.  

 

Ed ecco adesso in dettaglio il risultato della indagine etimologica sul nome Accodi/Akkodi  eseguita da me. Le prime fonti d’origine documentate a nostra disposizione sono quella kingir/šumera ed egizia. Nel lessico kingir/šumero ricorrono, oltre a KI e KU, già menzionate precedentemente, le parole-seme arcaiche: KÁD, KÀD (Labat, Deimel, s. no. 63) “legare, collegare, annodare”, “allacciare”, “attraccare”, lú KAD (L., D. s. no. 90) “portiere” (cfr. mag. köt “collega, connette”, kötő “collegante, connettore”) e KUD “tagliare”, “taglio”, “tagliato” (L., D., s. no. 12) (cfr. mag. két “due”, gát “diga”, kút “pozzo”; ingl. cut “tagliare, taglio”, it. cute – separa e connette nel contempo), espressione appropriata del concetto archetipale di “due-collegamento-divisione”, da distinguere da MEN/mag. mén espressione del concetto archetipico di “due-andamento/ svolgimento” di cui ho riferito nello studio «Dolmen e Menhir: Etimologia dei termini». Dai valori semantici relativi alle parole-seme arcaiche KÁD – KÀD – KAD – KUD emerge che i concetti di “legare, annodare” e di “tagliare, dividere” sono correlati, interdipendenti. Parallela e convergente a questa fonte è il geroglifico egizio Akhet che rappresenta il disco solare nascente tra “due monti/colline”, cioè in una sella di montagna. Il significato di Akhet è “orizzonte”, cioè la linea di “confine” o “divisione” tra “Cielo” e “Terra”, che nella cosmologia kingir/šumera vengono espressi con AN e KI. Da questo complesso semantico derivano, tra l’altro, anche i termini affini antichi: akk. kudurru, mag. határ “frontiera, confine” (da hat “influisce, ha/fa effetto; sei”, hatás “influenza, effetto”, ható “influente, agente”, hatalom “potere, sovranità, competenza” e ár “corrente, flusso”, cioè “flusso/sfera di competenza”), ebr. gadér “limite, recinto” – e moderni: ted. Gatter “recinto, steccato”, rum. hotar “confine”, ingl. gate “porta, accesso, passo, valico, varco” ecc. .

 

Il vocabolario della lingua italiana, come del resto anche quelli delle altre lingue europee, è proprio pervaso da voci derivate dalle parole-seme arcaiche KÁD e KUD. Dalla parola-seme arcaica KÁD “collegare, connettere” con cui coincide mag. köt, in italiano derivano, tra l’altro, le voci: coda, codazzo, accodare, accodato, catena, incatenare, incatenamento, incatenato, concatenare, concatenato, concatenamento, concatenazione ecc. Dalla correlata parola-seme arcaica KUD “tagliare, dividere” ecc., di cui l’equivalente mag. è két “due”, invece, derivano le voci: cadere, caduta, cadente, cadenza, cadenzare, cadavere, caducità, caduco, catastrofe, cataclisma, cataratta, cedere, cesso (t  > s), cessione, cesoia, cesura, successione ecc.. Mentre vocaboli come: cute, cuticola, cotica, cotenna ecc., sono bivalenti, poiché riflettono sia “collegare” che “dividere”. 

 

Per comprendere bene la vastità e la portata del complesso di significati relativo al duplice concetto “collegare/connettere” – “tagliare/dividere” derivanti dalle parole-seme kingir/šumere KÁD e KUD, sarà utile accogliere la costellazione di parole-seme affini del lessico magyar/ungherese che riflette i suoi vari aspetti: köt “(col)lega(re), connette(re), congiunge(re)”, “annoda(re)”, “intreccia(re), “lavora(re) a maglia”, “incatena(re), concatena(re)”, “unire, mette(re) insieme / in circuito”, “attacca(re), associa(re)”, “tesse(re)”, “allacia(re)”, “inserire”, “innesta(re)”, svi. kötő “legante, collegante, connettore, legatore/-trice, magliaia/o” ecc., kötött “connesso, collegato, concatenato, lavorato a maglia”, kötés “connessione, concatenamento, maglieria”, kötény “grembiule; connessura” (cfr. gr. chiton, it. chitone), két/kettő “due”, kéz/kete (t > z) “mano” (rappresentata già ca. 40.000 anni fa sui muri della grotta di El Castillo / Cueva del Castillo in Cantabria/Spagna), svi. kétely “dubbio”, kész (két – kéz – kész) “compiuto, pronto, finito”, svi. készít “confeziona(re), fabbrica(re), esegue”,  köz (két – kéz – köz – köt) “intervallo (tra le “due mani” két kéz/kete), spazio di mezzo/intermedio (protetto), lasso, distanza, passaggio; comunità”, ház “casa”, hoz “porta(re)”, húz “trascina(re)”, híz “ingrassa(re)”, köd “nebbia” (ostacolante), kés [ke:ʃ] “coltello” (cfr. ingl. cut “tagliare, taglio”, fr. couteau, rum. cuțit, it. cesoia), csat [tʃɒt] “fibbia”, svi. csatol [tʃɒtol] “affibbia(re), allacia(re)”, csatolás “allacciamento, accoppiamento”, kút “pozzo”, híd “ponte”, hit “credenza, fede”, kegy [kɜdj] “favore, benevolenza”, svi. kegyelem “misericordia, clemenza, grazia”, kegyelet “pietà”,  gát “diga, terrapieno”,  svi. gátol “ostacola(re)”, gátló “ostacolante”, gátlás “ostacolamento”, kátyú “melma”, had [hɒd] “esercito” (da combattimento), csőd [tʃø:d] “bancarotta, fallimento” ecc.. Ed ecco qui un breve esempio che tramite la sonorità unitaria delle parole-seme híd – két – köt  rivela la coesione tra i corrispondenti significati “ponte” – “due” – “connettere”: A kő-híd két partot köt össze lett. «Il pietra-ponte due sponde connette insieme», riordinato «Il ponte di pietra connette due sponde/rive».

 

In relazione alla funzione di “connettore” kötő delle torri templari a gradoni ziqqurratu in genere e a quella di Monte d’Akkodi in particolare sono rivelatrici le voci derivate dalla parola-seme köz (A köz köt “Lo spazio intermedio connette”); eccole a seguire:  közel “vicino a”, közelít “si avvicina a qc.”, közelítés “ravvicinamento”, közép “medio, mediano, centrale” (A köz ép “Lo spazio di mezzo è salvo/integro”), közlemény “annuncio, comunicato”, közlés “pubblicazione, avviso”, közeledés “avvicinamento”, közöl “notifica, rende noto, pubblica, riferisce, informa”, közös “comune, collettivo”, közösül “si accomuna/unisce/ accoppia”, közösülés “accomunamento, amplesso” (cfr. «espressione che in sardo si usa per dire “facciamo l’amore?”!»), közösség “comunità”, között “tra, fra”, közvetít “comunica(re)”, közvetítés “comunicazione, trasmissione”, közvetítő “trasmettente, trasmettitore/ -trice” ecc.. Akkodi: egy kő és ég közötti híd «Accodi: un ponte tra pietra e cielo».

 

Immagine sopra: un monolite scolpito a bassorilievo presso la “Piramide” di Accodi.

Penso che il miglior modo di onorare la antica destinazione di “connettore di pietra” del tempio di Monte d’Akkodi / A kő-kötő sia sacrificare cioè offrire dei doni sonori. Il suono è vibrazione lucente. Essendo il suono nato dal vuoto il soffio creatore, la prima forza creatrice nell’universo, il puro suono dei canti e degli inni è il nutrimento primigenio preferito delle Entità divine celesti. Il canto di inni è stato da sempre l’anima dei riti celebrati nei santuari templari. Gli inni di lode che si alzavano in antichità e i canti dei Tenores che di recente si alzano nuovamente verso il cielo attuano lo scambio di energie tra “Terra/pietra” KI e “Cielo/Dio” AN. È l’aria es(h)alata che sfiorando le corde vocali vibranti si trasforma miracolosamente nei suoni dell’Aria che da (h)armonia si diffonde nell’aria. Il sovrano della vivente e vivificante dimensione «aria-vento» nel pantheon kingir/šumero è la divinità EN.LIIL (cfr. mag. Én lehel “Io/Coscienza (h)alita”).

Quanto al “ponte” híd, esso è noto in architettura come la costruzione rialzata in legno, in pietra e in tempi moderni sempre più in ferro e in cemento armato, che “connette” köt cioè mette in “comunicazione” due parti separate da un ostacolo come per esempio: gola, ruscello, fiume ecc. In senso traslato può essere il “collegamento” tra Cielo e Terra; quindi “connessione” e “unione” dell’uomo con la divinità. La simbologia del “ponte” include ovviamente l’uomo come mediatore, in posizione centrale o assiale. Nell’arcobaleno ammiriamo, invece, il sublime “ponte” di luce cromatica tra questo e l’altro mondo. Nei riti di iniziazione e transizione il “ponte” híd costituisce il passaggio da una sfera all’altra – a quella della realtà, della verità. Ed è anche il “ponte” che, attraversato alla morte, porta nell’aldilà; è il passaggio dalla morte all’immortalità.

Ovviamente qui si tratta del vecchissimo messaggio universale: kötkét/kettő – kötő di cui la corrispondente traduzione italiana, molto simile a quella latina, è: “pietra” – “collega(re)” – “due”  – “collegante, connettore, tessitore/-trice, magliaia/o”; quella tedesca: “Stein” – “verbindet” – “Zwei” – “bindend, Bindende/-r/Konnektor, Binder/in, Stricker/in”; quella inglese: “stone” – “ties, couples, connects” – “two” – “combined/linked, connector, (book)binder, knitter”. Com’è evincibile, queste e altre traduzioni simili purtroppo non riescono più a rendere la qualità sonora di verbale unitarietà che comprova l’auto-evidente coesione presente nell’arcaico messaggio, ma ormai solamente i significati. Il significato “connettore, ecc.” di kötő, che sta a indicare l’elemento collegante due (o più) parti tra loro, nel caso del toponimo Accodi/Akkodi esprime la funzione svolta dal sacrario della torre a gradoni ivi presente, che realizza(va) una connessione tra “Terra/posto” KI (mag. “pietra/posto”) e “Cielo” AN (mag. fenn/fény/menny “in alto/luce/cielo”). La coesione dei significati két – kötkút – út “due” – “collegamento” – “pozzo” – “via/tratto” è una conferma ovvia circa la destinazione del tempio come luogo di incontro tra Cielo e Terra. Oltre alla forma semplice A kötő “Il connettore”, Akkodi si lascia leggere pure come: A kő adó “Il trasmittente/emittente di pietra”, A kő-kötő adó “Il connettore trasmittente/emittente/ricetrasmittente di pietra” rispettivamente A kő-kötő úti-idő adó «Il connettore di pietra ricetrasmittente del tempo di percorso/viaggio».

Immagine sopra: le due grosse pietre sferiche che si trovano sul lato destro della rampa di accesso alla “Piramide” di Accodi.

LE DUE PIETRE “SFERICHE”.

Sul lato destro della rampa che conduce sulla piattaforma della piramide a gradoni di Accodi/ Akkodi si trovano due grosse pietre sferiche; una più grande, l’altra più piccola. Questo “duo” di “pietre sferiche” o “sfere di pietra” – forse una allusione al “seme/ovulo” femminile e al “seme” maschile – costituisce un elemento importantissimo in quanto espressione litica del toponimo arcaico Accodi/Akkodi.

Ecco a seguire i messaggi essenziali offerti dalla lettura in chiave magyar/ungherese delle “due pietre sferiche”. La “sfericità” universale è quella del “seme”, astrale, planetaria, meteorica, vegetale, animale. Pertanto la lettura è: nagy mag [nɒdj mɒg] “grande seme/nocciolo/chicco/grano/ ovulo/nucleo/discendente”; in combinazione con “pietra” è: nagy mag-kő “grande pietra-seme”, in ordine inverso nagy kő-mag  “grande seme di pietra”, mentre il plurale risulta nagy mag-kövek “grandi semi di pietra”, alternativamente két nagy mag-kő “due grandi pietre seme” / két nagy kő-mag “due grandi semi di pietra”. Questo messaggio originario rivela in modo evidente la centralità e la sacralità del “seme” nella vita umana in epoca neolitica. Assieme a “seme” leggiamo anche “rotondità”. La “rotondità” sferica che caratterizza “seme” e “globo” in magyar si realizza semplicemente con la forma speculare o inversa di mag che è gam: mag | gam/gom, identica a šum. GAM “curvato, piegato” (Delitsch s. no. 83). Da gom deriva gömb “globo, biglia, sfera” (voci affini: gamós bot “bastone Pastorale”, kampó “uncino”, gomb “bottone”, gomba “fungo”, gumó “bulbo, tubero”, gümő “tubercolo”). Gömb risulta  forma nasalizzata di göb (gṏb). Göb/gob insieme alla forma speculare bog (göb/gob | bog) significano “nodo”; cosa di rilievo è che Bog in russo indichi “Dio” essendo in ovvia risonanza con la forma allargata Bhagwan in sanscr. che significa “il divino” (cfr. mag. Bog van “nodo esiste”).  Il “globo” gömb “Terra” KI/, Gê/Gèo/Gea è quel roccioso agglomeramento planetario, o volendo gomitolo cosmico ricco di acqua, che nella cultura dell’antico Egitto fu denominato, ovviamente non per caso bensì in sintonia, Geb. La parola-seme göb/gob, risalente a šum. GAB (Lab., D., s. no. 167) “mammella”, delicata collina del corpo femminile provvista di centrale “nodo”-capezzolo, costituisce anche la base del ormai famoso toponimo Göbekli Tepe (cfr. tur. göbek “ombelico” cioè “nodo” centrale sulla pancia; svi. göbekli “panciuto”) di cui parlerò ancora più avanti. Orbene, l’indispensabile fonte d’origine del compatto e tondeggiante “nodo” göb/gob, che è un “centro”, come anche del “cubo” köb – in arabo ka’b, di cui il nome del santuario Ka’ba di Mekka (cfr. mag. mag-kő “pietra-seme”) – è sempre la parola-seme arcaica KI, KU, “pietra”: köb, göb “pietra → nodo/nodulo, cubo/dado” (cfr. lat gibber, gibbus, gumbus, it. gobbo/a). 

Andando avanti con la lettura delle “due pietre sferiche” leggiamo:

A kettő “Il/le due”; A két kő “Le due pietre”, A két kötő kő “Le due pietre colleganti”; A két göb kő “Le due pietre nodo”; A két gömb kő “Le due pietre sferiche”. A két kő közötti köz köt “Lo spazio intermedio / di mezzo fra le due pietre connette”; A két tő “Le due radici/attaccature”; A kő kettes “Il duo di pietra”; A két kő tő “Le due pietre (sono) radice/attaccatura”. A két kő kötő tő “Le due pietre (sono) attaccatura connettiva / di connessione”.

Ora, la circostanza che le “due  sfere di pietra” si trovano “qui” e “là” itt – ott comporta l’esistenza dello “spazio intermedio di connessione” kötő köz ovvero del “tragitto  connettivo” kötő út fra di esse. Il percorrere di qualunque “tragitto”, anche se minimo come in questo caso, viene sperimentato come un movimento temporale, appunto: ide-oda-idő-út “qua-e-là-tempo-percorso / tempo di percorso qua-e-là”. Quindi il messaggio della distanza inter-megalitica lo leggiamo: A két kő közötti köz: út “Lo spazio di mezzo fra le due pietre (è): via/percorso/tratto/strada/tragitto”. A két kő közötti út: idő; idő-ütem  “La via / il tratto fra le due pietre (è): tempo; tempo-ritmo”.

 

I due protagonisti consonantici del toponimo Accodi/Akkodi sono la gutturale-velare sorda c/k e la dentale sonora d, le cui gemelle sono la sonora g e la sorda t. Si tratta di due sigilli fonemici che l’umanità utilizza da tempi paleolitici incessantemente in una moltitudine di vocaboli per esprimere “durezza” (p. e.: šum KI, mag. , lat. cos, cotis, it. cóte, ciottolo, concio, gemma, sard. code, Kodi, Coda/e, Giara, ghiara/ghiaia, gr.-lat. , Gèo, Gea “Terra, suolo, paese”, ted. Gau/-Gäu “paesaggio, regione”, Gemme “pietra preziosa” ecc.) rispettivamente “tocco” (šum. DAM val. fon. ta, ṭa4 “sposo, sposa, sposalizio”, mag. “attaccatura, ceppo, radice, inizio”, “ago”, üt “batte, pulsa”, dob “tamburo”, pers. dap/daf, tur. davul, tef “tamburino”, mag. töm “imbottire”, tett “atto”, ted. Tat “atto”, tätig “attivo”, Tätigkeit “attività”, Tag “giorno”, Takt “tempo”, lat. tactus, tangere, tingere, it. tatto, tattile, dito, toccare, timpano, toccata, attacco, attaccatura, tacchettio ecc..).

Ora, a prescindere dal fatto se la posizione delle “due grandi pietre sferiche” két nagy mag kő sia quella originale o meno, esse possono essere considerate comunque con buona ragione vera e propria sigla megalitica corrispondente al toponimo arcaico Accodi/Akkodi.

  

Immagine sopra: la “Piramide” di Accodi e una pietrafitta.

KUT – Köt “POZZO – CONNETTE” 

Nel caso dei pozzi sacri, invece, in cui “Il tragitto di pozzo congiunge” A kút-út köt (lett. “Il pozzo-via congiunge”) la lettura varia in: A kút-út kötő “Il tratto di pozzo (è) connettore” (lett. il pozzo-tragitto connettore”). Tra la moltitudine di pozzi sacri della Sardegna quello più conosciuto è certamente quello di Santa Cristina di Paulilatino. Il “pozzo” d’acqua, simbolo di vita e di verginità, rappresenta il principio femminile per eccellenza. Ne da prova l’affinità semantica constatabile tra la voce pozzo e la sfera di vocaboli assonanti: šum. PEŠ4 (Lab., s. no. 390) “essere incinta”, “donna incinta”, “partorire”,  PEŠ (Lab., s. no. 346), val. fon. biš, piš, piša (il segno arcaico mostra un pesce/Fisch/fish pieno di uova) “figlio”, PÈŠ (Lab., s. no. 342) “fico”, “albero di fico”, akk. biṣṣuru “vulva, utero”, ebr. pot “vagina”; lat. puteus, ingl. pit, dan. pyt, ol. put, alb. pus “pozzo, fossa”, it. foce/sbocco, ted. v. Fotze “fica” ass. a Pfütze “pozzanghera”, mag. v. picsa [piʧɒ] “fica”, víz “acqua” (finn., est. vesi, ted. Wasser, ingl. water, russ., cec. voda “acqua”), vese [vɛʃɛ] “rene”, pisi “piscia”, sanscr. bīja [biʤa] “origine, fossa, buco/a, serbatoio”,  bhasad “parti del corpo nascoste/ custodite: lat. pudendum muliebre, glans penis” (bha “nome del pianeta Venere; luce, splendore”), picchala [piʧala] “viscido/a, scivoloso/a”, pacya “diventare maturo, maturare”, rum. v. pizdă “fica”, russ. v. potka “fica”, alb. v. piçka, pihdi “fica” ecc.. Questi nomi dell’organo genitale femminile considerate da molti parlanti volgari (da lat. vulgaris “comune, ordinario, abituale; da vulgus “la gente comune”) e per questo motivo di solito evitati, non hanno nulla di osceno poiché essendo derivati dalla voce arcaica onomatopeica pis/víz “acqua”, sono quelli più adatti. Il pozzo è quindi l’umidità vitale del sacro grembo della grande Madre Terra. “Madre-Terra” peraltro è la traduzione di mag. Föld-anya (lett. “Terra-Madre”) che si rivela coincidente con etr. Velt-una. Come “tragitto di congiunzione” kötő út che concede accesso all’altro mondo, quello profondo, infero, “il pozzo” a kút contiene una acqua miracolosa di qualità purificatrice e guaritrice.

Immagine sopra: lo straordinario e antichissimo sito archeologico di Göbekli Tepe, vicino ad Urfa in Anatolia – fonte Wikipedia. 

 

Il messaggio di “collegamento” trasmesso dai segni || sui pilastri a T di Göbekli Tepe

Il fatto di ritrovare la catena di concetti fondamentali auto-evidenti e coesivi: kő – köt – kötő – két/kettő – kéz/keteközhídhitcsatkút – út – idő significanti “pietra” –  “collegamento” – “connettore” – “due” – “mano” – “spazio di mezzo” – “ponte” – “fede” – “fibbia” – “pozzo” – “via” – “tempo”, contenuti potenzialmente nel toponimo Akkodi, già nel sito archeologico neolitico di Göbekli Tepe nei pressi della città di Șanlı-Urfa nella Turchia sudorientale in cui si trova il primo complesso di santuari megalitici dell’umanità, è in fondo una circostanza piuttosto naturale. 

Il messaggio generico dei segni a forma di «H» visibili sui pilastri a T dell’impianto D del santuario neolitico di Göbekli Tepe, a mio parere, è auto-evidente: “collegamento/rapporto/relazione”. Quello girato di 90°, cioè in posizione orizzontale, visibile sul pilastro a T spezzato no. 30 in posizione alta, esprime con chiara semplicità la relazione kő | ég “pietra/roccia – cielo”, ovvero “sotto – sopra”. Essa rappresenta una immagine precursore del concetto che i Kingir/Šumeri, millenni più tardi, hanno formulato nella celebre massima KI.TA DIM AN.TA significante a lettera “terra/roccia-in come cielo-in”, nella sua forma riordinata “In Terra come in Cielo”. Più tardi questa trina espressione essenziale sulla Tavola di smeraldo attribuita a Ermete Trismegisto appare nella forma elaborata: «Quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius / Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli di una sola cosa».

Nel segno in consueta posizione verticale «H», invece, visibile sul pilastro a T no. 18 di tipo antropomorfo, che consiste nella rappresentazione delle due braccia curvate sulle superfici laterali terminanti nelle “due mani” a cinque dita ognuna davanti all’ombelico, viene espressa pittografica-mente la coesiva serie di significati: köt –  köz – két – kéz/kete – csat – híd – hit significante “pietra/e” – “lega, connette, collega” – “intervallo; comunità” – “due” – “mano” – “fibbia” – “ponte” – “fede, credenza”. Questa serie di significati realizzati attraverso la variazione fonemica della stessa parola-seme arcaica köt “collega”, originante dalla parola-seme “pietra”, contraddistingue la circostanza dei due pilastri a T centrali, parte essenziale che lo stesso direttore degli scavi Klaus Schmidt considerava il “cuore” dei santuari circolari di Göbekli Tepe. Come menzionato già in precedenza, la parola-seme mag. köt col ventaglio di significati “lega, collega, connette, concatena, allaccia, annoda, cinge, vincola, conclude, lavora a maglia” (base di vocaboli come ad es.: catena, incatenare, cattura, catturare, cattività, cute, ebr. akàd “legare”, ted. Kette “catena”, ketten “legare, incatenare”, ingl. get “ricevere”, chat “chiacchierata”, gate “porta, valico, passo, varco” ecc.) di cui gli sviluppi kötés “connessione”, kötény “connessura; grembiule”, risale alla parola-seme arcaica KÁD, KÀD (L., D. s. no. 63) “connettere, allacciare, attaccare, legare insieme” del lessico kingir/šumero. Quindi la continuità d’utilizzo della voce KÁD/KÀD/köt comprova una costanza verbale plurimillenaria. Pensando ora con mente sana comprendiamo che l’utilizzo e quindi la validità della parola-seme arcaica KÁD/KÀD/köt deve essere in fondo molto più antica della sua prima documentazione scritta. Verosimilmente si tratta di una parola-seme utilizzata da parte dell’essere homo già nel paleolitico durante la produzione della bifacciale o amigdala, tagliente utensile di pietra scheggiata a presa, in cui erano coinvolti sia le “due mani”, sia le “due pietre”: mentre una mano (di solito la sinistra) reggeva la pietra in opera, l’altra mano (di solito la destra) la colpiva e scheggiava con l’altra pietra. Come si evince dal vocabolario di R. Labat (Manuel d’Épigraphie Akkadienne), la forma arcaica del šumerogramma KÁD/KÀD (s. no. 63) mostra proprio la mano / le mani / con le cinque dita nel gesto della presa. La circostanza che i segni a forma di «H» sui pilastri a T di Göbekli Tepe siano rappresentati quasi sempre in combinazione con dei serpenti sottolinea l’aspetto dinamico del “collegamento-scambio” in atto tra destra e sinistra rispettivamente tra sopra e sotto (pilastri a T no. 30 e 33 dell’impianto D).

Immagine sopra: uno dei pilastri a T di Göbekli Tepe – Fonte Wikipedia

Coincidenti alla voce mag. kéz/kete “mano” di centrale importanza sono, tra l’altro, i lemmi: tat. kezi, kesi, ked, kát, pers. gez, ostj. ket, kot, tscher. kit, finn. käsi, est. kässi, lapp. kät, käta, gietta. La forma hat, hāta presente in alcune lingue come ad esempio in beng., assam., mar., nep. costituisce la variante aspirata di kát (kát > hat). Mentre la forma Hand/hand ricorrente nelle lingue anglosassone ted., afrik., dan., fer., oll., isl., sved., ingl., norw. rappresenta la forma nasalizzata di hathat/had > hãd/hand. La sostanziale conformità esistente tra mag. kéz/kete e ags. Hand/hand è quindi, nonostante la lieve variazione fonemica kéz/kete > hat/had > hãd, ancora ben riconoscibile. 

 

Immagine sopra: un’altro dei pilastri a T di Göbekli Tepe – Fonte Wikipedia

 

Kötő Köz “Collegante Spazio di Mezzo / Intermedio”

Nella coesiva catena di parole-seme summenzionate köz adempie una funzione chiave in quanto espressione del concetto di “spazio di mezzo; comunità”. La sua rappresentazione semplice, schematica è il segno «H» trattato prima. In fondo si tratta di niente di meno che dello “spazio di mezzo” universale da cui proviene la prima in(h)alazione di tutti gli esseri animali/umani. Nella catena di respiri di un arco di vita la fonte d’origine dello “spazio di mezzo” è onnipresente. Segue a ogni esalazione e anticipa ogni inalazione; è, appunto, quell’intervallo di rilassamento, quello “spazio di mezzo, di transito” köz che “collega” köt ogni “ex-halazione” e “in-halazione”. Ed è lo “spazio di transito” in cui rientra poi anche l’ultima “exhalazione”. È köz-élet “vita di mezzo”, “vita di comunità” (cfr. ebr.: kehilija “comunità”, kehila “comunità di fedeli”, kahal “pubblico”, kihél “riunire”, katur “collegato, connesso”, Kohelet/Qohelet nome del libro “Ecclesiastes”) o örök élet “vita eterna” cioè kerek élet “vita circolare/ciclica”. Lo “spazio di mezzo” tra i megaliti centrali di Göbekli Tepe fu con tutta probabilità il “campo di tensione” (ted. Spannungsfeld)  magico in cui venivano celebrati con canti e pulsanti battiti e ritmi di “tamburo” (šum. DUB / mag. dob) i rituali di “connessione” ai spiriti, alla/e divinità, e, quindi, vissuti i viaggi di transito estatici in stati di coscienza alterati.

Immagine sopra: la rampa di accesso alla “Piramide” di Accodi in Sardegna.

AKKODI – AKKADI 

Un tassello interessante in questa indagine etimologica costituisce l’evidente assonanza tra i nomi Akkodi e Akkadi. Essi sono pressoché identici. Gli Akkadi erano gli abitanti del paese di Akkad/ Akkadû, l’equivalente di šum. KUR URI KI. (Lab. s. no. 359). Osservando nel «Manuel» di R. Labat il relativo segno arcaico kingir/šumero e le sue successive forme di sviluppo che hanno portato al segno cuneiforme finale si rinviene una netta prevalenza di “due” (mag. két/kettő) sporgenze rivolte verso il basso e connesse da un avvallamento, praticamente una versione capovolta del geroglifico Akhet; in questa peculiarità marcata riconosciamo con facilità il Leitmotiv della nostra indagine. Un particolare notevole a questo proposito costituisce la circostanza che mentre le grandi città kingir/šumere Ur, Uruk, Eridu, Lagaš, Nippur, Borsippa, Kutha, Larsa, Sippar ecc. sono state rinvenute tutte quante, le rovine di Aggade, capitale del paese di Akkad/Akkadû abitata dagli Akkadi, nonostante i grandi sforzi fatti dagli archeologi, fin oggi non sono state ritrovate. Come risulta dalle opere di vari autori autorevoli, šumerologi e storici dell’arte, la dinastia di Akkad nella storia di KI.EN.GI/Šumer ha costituito un vero “impatto” e fu quella che per un lasso di tempo di circa 165 anni (2450 – 2285 a. C.) ha “ostacolato” seriamente la cultura dei Kingir/Šumeri. In modo alquanto particolare, nel quadro del lessico magyar/(h)ungherese questa circostanza trova la sua adeguata riflessione nella voce akad [ɒkɒd], identica ad Akkad, che esprime proprio tale effetto di impatto: “si blocca, arresta, rimane bloccato”; da akad derivano, tra l’altro, gli  sviluppi: akadozó “ristagnante”, akadály “ostacolo”, akadályoz “ostacola(re), impedisce”, akadályozás “impedimento” ecc.. Si può dire allora che nella “catena”, ovvero nella successione di avvenimenti storici gli Akkadi abbiano svolto una funzione duplice. Sono stati una maglia sia “ostacolante” – KUD (cfr. ebr. kata “recidere”, keta “segmento, dettaglio”, ‘ugda “divisione”) che “collegante” – KÁD (cfr. ebr.: ‘agad “collegare”, ‘eged “unione, unità”, ‘aguda “unione, società”). 

 

 

Kő – Köt – Öt  “Pietra” – “Connette” – “Cinque”

Notiamo che in köt “connette(re)” sono congiunte “pietra” e öt “cinque”. Ora il termine latino quincunx, forma italianizzata quinconce, designa la figura sul quinto lato di un dado/cubo, cioè l’insieme di “cinque” öt punti o sfere di cui quattro sono disposti sui vertici di un quadrato mentre il quinto si trova al “centro” .

È la base schematica di cui si sviluppa il segno arcaico di svastika, 卍  e 卐, rappresentazione simbolica di fuoco-centro vorticante in avanzamento nello spazio, onnipresente nel mondo antico.

La svastika è quindi contemporaneamente igneo centro-“cinque” öt e “percorso” út; è la stessa realtà del nostro Sole e di tutti i soli nell’universo. Com’è noto il “cinque” öt, la pentade, che peraltro è un cosiddetto numero circolare in quanto nella “catena” delle sue potenze si ricrea sempre sull’ultimo posto (25, 125, 625, 3125, 15625 ecc.), per i Pitagorici rappresentava vita e potere. Ebbene il Sole, gran “viaggiatore” stellare sulla volta del cielo, nel lessico kingir/šumero è denominato UTU, val. fon. ud, ut, , par, pir, akk. dio Šamaš. UTU è visibile di “giorno” UD (Lab., D., s. no. 381).

Oltre a öt “cinque” e út “via, percorso, viaggio” (cfr. chin. dao/tao “via”, giapp. do “via, sentiero”) di cui i der. úti “di viaggio”, utas “viaggiatore”, UTU Sole ottiene sostegno dal seguente sistema di parole-seme affini del vocabolario magyar/ungherese: át “attraverso”, di cui átló “diagonale”, itt “qui”, ott “là”, ide “quà”, oda “lì”, idő “tempo”, di cui idős “attempato”, ad “da(re)”, di cui adó “datore; emittente”, üt “batte(re), pulsa(re)”, di cui ütem “ritmo”. Le combinazioni Öt-ura, Út-ura, Idő-ura e Ütem-ura significanti “Signore del cinque”, “Signore del percorso”, “Signore del tempo” e “Signore del ritmo” sono a riguardo di rilievo. La parola-seme arcaica ITI, ITU (Lab., D., s. no. 52; ), affine a UTU, viene a completare il quadro con i significati temporali  “mese” e “luna nuova”. Gli esempi: úti idő “tempo di percorso/viaggio”, ütő idő “tempo pulsante”, idő ütem “ritmo di tempo/temporale”, úti idő ütem “ritmo del tempo di percorso” ecc. confermano in maniera evidente questa circostanza di “ritmo temporale”.

Immagine sopra: Tempio di Pura Taman Saraswat a Ubud sull’isola di Bali in Indonesia- fonte Wikipedia

Accodi – Cucuteni – Chedi

Il nome parlante Kodi/Accodi/Akkodi esprime in modo alquanto chiaro la destinazione di “connettore” che millenni prima l’uomo aveva assegnato all’eminente santuario. Insomma, Akkodi si auto-rivela come arcaico luogo sacro destinato alla “connessione”, al “contatto” e quindi allo “scambio/interscambio” con le forze/energie divine celesti. Questo significato viene confermato perfettamente dalla lettura in chiave magyar/ungherese: A kötő “il connettore”, “il collegante, allacciante”, più precisamente ancora A kő-kötő “Il connettore di pietra/litico”, A kő-kötény “la congiunzione di pietra”, anche A kő adó “la emittente/ trasmittente di pietra”, o volendo pure A kő-kötő adó “la emittente/ trasmittente connettrice di pietra”. Per giunta la variante Kő-kötény [kø:køteŋ] può spiegare anche il significato del toponimo importante Cucuteni  in Romania: “Congiunzione di pietra/e”. Kodi/kötő trova riscontri ugualmente in una serie di toponimi rinomati tra i quali: Çatal Höyük in Anatolia;  Khutha in Mesopotamia a Nord di Nippur, principale città di culto del dio degli Inferi NergalQuito capitale dell’Ecuador il cui stemma mostra un “valico” tra “due monti” assai similare al geroglifico Akhet “orizzonte”; Calcutta/Kolkat in Bengala; Catania/Katane in Sicilia, la città “connessa” al grandioso vulcano Etna ecc.. La stessa funzione e destinazione di “connettore” si manifesta anche nel termine architettonico asiatico Chedi che designa il sacrario torreggiante del sito templare buddhista siamese Wat equivalente allo Stupa nell’architettura sacrale di altri paesi buddhisti (v. Phra Sri Rattana Chedi del tempio Wat Phra Kaeo o il Chedi Phu Khao Thong, Ayutthaya in Thailandia). Come rivela la sua slanciata forma architettonica che si erge verso il cielo, l’edificio sacrale Chedi – di cui le variazioni Chaitya in Nepal, Chedey in Cambogia, Candi in Indonesia (cfr. sanscr. ci “ammassare/ ammucchiare/ accumulare in un certo ordine” e cit “fissare/collegare mentalmente”) – compie la funzione di “litico connettore” con il cielo.

Immagine sopra: la Ziggurat di Ur in Mesopotamia, attuale Iraq – fonte Wikipedia.

La fonte d’origine di tutti questi nomi è, come abbiamo già menzionato, la coppia di parole-seme arcaiche: KÁD, KÀD (L., D. s. no. 63) “legare, collegare, annodare”, “allacciare”, “attraccare”, lúKAD L., d. s. no. 90, “portiere” (cfr. mag. köt “collega, connette”, “lavora(re) a maglia) – KUD “tagliare”, “taglio”, “tagliato” (L., D. s. no. 12) del lessico kingir/šumero (cfr. mag. két “due”, gát “diga”, kút “pozzo”; ingl. cut “tagliare, taglio”, lat. cutis, it. cute , ted. Haut – separa e connette nel contempo), espressione appropriata del concetto archetipale di “due” (da distinguere da MEN espressione dell’archetipo di “due-andamento/svolgimento”) di cui la ben nota variante egizia è Akhet “orizzonte”, cioè la linea di “confine” tra cielo e terra. Da questa fonte d’origine derivano, come già menzionato: akk. kudurru “frontiera”, mag. határ “confine”, ebr. gadér “limite, recinto”, ted. Gatter “recinto, steccato”, Gitter “inferriata, cancellata ”, rum. hotar, ingl. gate “porta, accesso, passo, valico, varco” ecc.

Come abbiamo constatato, la torre templare a gradoni di Monte d’Accodi è un edificio tronco piramidale con una rampa sul lato meridionale. La torre ha una struttura simile a quella di una ziqqurratu e costituisce il più antico esempio non solo nel Mediterraneo, ma anche in Europa, di questa costruzione sacrale tipica del paese di KI.EN.GI/ Šumer. Il nome originale kingir/šumero di akk. ziqqurratu è (É-)U6-NIR / EŠ-GAL “tempio grande”.  Il tempio di Monte d’Akkodi testimonia una evidente presenza di conoscenze religiose, cosmogoniche, astronomiche, mitologiche di origine kingir/šumera; tra queste anche il culto del dio Nirgal/Nergal, dio protettore dei guerrieri combattenti e degli “eroi” (NIR, Lab. s. no. 325) morti per la patria. Il culto di Nergal si sarà diffuso nell’area mediterranea nello stesso modo di diffusione del culto di altre divinità antiche come, per esempio, Iside, Cybele, Dioniso o Mitra ecc.

 

La  mesopotamica “Torre di Babele” nel dipinto di Pieter Bruegel  il Vecchio – fonte Wikipedia

Il monumento di Monte d’Akkodi manifesta la concezione religiosa dei Kingir/Šumeri dell’unione del “Cielo” AN con la “Terra/pietra/roccia” KI per mezzo di un “Monte” KUR (L., D. s. no. 366).

E qui conviene chiamare in mente anche gli altri valori semantici, già menzionati precedentemente, che la parola-seme KUR esprime: “paese”, “inferi/mondo sotterraneo” e “brillare, apparire”, “fiammeggiamento, levata di un astro”. Il “mondo sotterraneo” è quello nel quale UTU, akk. Šamaš, “Sole”, il grande “celeste viaggiatore” mag. égi utas, tramonta e discende ogni notte a occidente per poi, dopo averlo attraversato, risorgere, inalzarsi (mag. Kel a nap “Sorge il Sole”) la “mattina” (mag. reggel / Rá-kel) seguente e “brillare” a “oriente” (mag. kelet) per ascendere poi sul suo “percorso celeste” mag. égi út. La relazione di connessione “Terra-Cielo” è stata espressa dai Kingir/Šumeri nella celebre massima: KI.TA DIM AN.TA “In Terra come in Cielo”.

E siccome la Mesopotamia era una piatta pianura, come peraltro anche la Nurra, si rendeva necessaria la costruzione di “monti” artificiali, appunto degli (É-)U6-NIR, akk. ziqqurratu. (cfr. šum. É “dimora, casa” con mag. ély “sacrario”, éj “notte”, hely “posto, luogo”, “soffitto”). È su queste torri templari a gradoni che la divinità scendeva tra gli uomini e che all’equinozio di primavera nel “tempio alto” (ted. Hochtempel) venivano celebrate le sacre nozze. Per analogia anche l’altare ovvero la arcaica struttura templare sulla piattaforma della torre a gradoni d’Accodi chiamata “Tempio rosso” fungeva da punto di incontro tra umano e divino. Nei rituali ivi celebrati non mancava di certo la musica cantata e suonata su litofoni, aerofoni, membranofoni ovvero tamburi, che veniva offerta come nutrimento sonoro alle divinità. Si suppone che anche là venissero celebrate le sacre nozze e si pensa che molti bovini venissero sacrificati per propiziare la rigenerazione della vita e della vegetazione.

 

Naturalmente insieme all’ EŠ-GAL “tempio grande” U6-NIR, akk. ziqqurratu, fu accolta e assimilata anche la visione del mondo dei Kingir/Šumeri, cioè tutta la loro cultura, cosmologia, mitologia e simbologia comprese. La torre templare a gradoni rappresenta la materializzazione essenziale di tutte queste conoscenze. Si può dire, allora, che tramite la costruzione della torre templare a gradoni di Monte d’Accodi l’Europa occidentale fu pervasa e fecondata dalla complessa cultura kingir/šumera. In quel periodo arcaico furono accolte quindi anche la simbologia del monte sacro, della montagna cosmica connessa alla simbologia dell’ascesa-discesa, simbolo di centro, come tempio e trono, onnipresente nella cosmologia e nell’architettura kingir/šumera.

Come è noto, in lingua kingir/šumera gli elementi di una combinazione di parole-seme potevano essere invertite; ad es.: AB.ZU in ZU.AB o EN.ZU in ZU.EN/SIN. La sequenza invertita di U6-NIR è NIR-U6; a questa la variante nura è ovviamente vicinissima. La componente U6 di U6-NIR è equivalente a IGI.É che trasmette i significati “occhio/testimone – dimora/casa”, cioè “dimora dell’occhio/testimone”. Mentre NIR significa, come abbiamo già menzionato, “fiero, orgoglioso”, “eroe”, “principe”, “aiuto”; quindi U6-NIR esprime il concetto di “occhio/testimone – dimora – fiero/a” ovvero “dimora dell’occhio/testimone fiero” ovviamente riferito all’ “occhio” celeste UTU, akk. Šamaš dio “Sole” che vede tutto. Il concetto di “tempio” veniva espresso con la combinazione É-KUR (-RA), lett. “dimora della montagna” (L. s. no. 324), in akk. ekurru. Dato che la componente KUR (Lab. s. no. 366) rende i diversi significati “montagna”, “paese” e “inferi”, É-KUR  ha coerentemente anche la valenza di “inferi”, lett. “dimora degli inferi”, in akk. ekur. Quindi É-KUR è un termine bivalente che significa sia “tempio” / “dimora della montagna”  sia “inferi” / “dimora degli inferi”. KUR ricorre, peraltro, anche in ebraico nella variante Har/Hor, ad es. in Har-Megiddo (di cui Armageddon) e Horeb; e ugualmente in magyar nell’oronimo Har-gita, che designa una “catena” montuosa appartenente ai Carpazi orientali in Transilvania.

Immagine sopra: il sito archeologico di Megiddo in Israele. Dal 2005 inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell UNESCO. Secondo alcune interpretazioni si tratterebbe della località di Armageddon (che deriva probabilmente dal nome in antico ebraico: הר מגידו, Har Məgiddô ovvero “Monte di Magiddo”) in cui si combatterà la  battaglia finale tra le Forze del Bene e quelle del Male. Al termine dello scontro ci sarà la Seconda Venuta di Cristo e il Giudizio Universale come profetizzato nell’Apocalisse giovannea – Fonte Wikipedia

 

ACCODI- COCCODE’

Una espressione familiare  proveniente dal mondo animale che ricorda il toponimo Accodi e che perciò merita di essere menzionato è coccodé (Ac-codi – Ca-codi > coccodé). Riconosciamo in essa subito il canto della gallina. Ogni volta che sentiamo il canto-segnale coccodé della gallina  che ha deposto un uovo veniamo ricordati alla incessante rigenerazione della vita. Quando in circostanze naturali la gallina ha accumulato un certo numero di uova, si mette a covarle diventando così una “chioccia”. Poi, se la cova va bene, dalle uova covate un bel giorno nascono tanti pulcini. Ora, ovviamente la gallina non ha la facoltà di parlare e quindi di formulare dei messaggi articolati come gli esseri umani. La sua espressione sonora è una reazione  istintiva. Tuttavia noi che la udiamo, percepiamo il suo canto-segnale  in maniera consapevole, corrispondente alla nostra dimensione umana, come una formula ben articolata, appunto: coccodé. E se la ascoltiamo con attenzione essa inizia a risvegliare in noi certe associazioni. Già la stessa continua ripetizione della formula di insistente carattere affermativo suscita in noi l’associazione con la recitazione di litanie o di mantra: una catena ripetitiva. Poi segue immediatamente l’associazione alla coppia di parole-seme arcaiche KÁD – KUD, Leitmotiv di questo studio ed espressione intonata del concetto archetipico di “due” –  “connessione – divisione”. Dopo la ripetizione della parte iniziale kot-/co- il canto-segnale della gallina si conclude in modo trionfale con –kodá/-codé.  Una circostanza alquanto interessante è che da kot- iniziale in magyar vengono derivati due vocaboli che contraddistinguono la gallina nella sua funzione di “chioccia”. L’una è költ / dial. kőt significante “cova” e quindi evocante l’atto di “covare”, essendo affine alla coppia két – köt “due” – “collega” e rivelando così il miracolo della “moltiplicazione” generazionale nella catena di pulcini. L’altra è invece kotló che significa propriamente “chioccia”. Verosimilmente, la ragione per cui la “chioccia” – che cova le uova dalle quali nascono i pulcini, veri e propri “doppioni” della gallina-madre – in mag. si chiama kotló è costituita proprio da questa semplice e costante realtà. Che la variata forma retrograda di kot, che è tyúk, significhi poi “gallina” (kot | tok > tyúk), di cui tyúk-tojás sin. arc. tik-mony “uovo di gallina”, non è certo un fatto puramente casuale. Il canto-segnale della gallina co-co-co-co-coccodè / kot-kot-kot-kot-kotkodá viene poi completato dal fiero canto-segnale del gallo che preannuncia il sorgere del Sole: cucurigu (it.), kikereki (mag.), associabile ai significati ki-kerek-ül / dial. kikerekű “si arrotonda” (il disco Sole sorgente) e kő-karika “circolo di pietra”.                                                            

Akkoddi – Kutha – Nergal

Il nome Akkodi è ben accostabile al nome della città kingir/šumera di Kutha, una di quelle che furono costruite dal “grande Cacciatore davanti al Signore” chiamato Nimrod/Nimrud. La ragione di questo accostamento è semplicemente il fatto che: «La principale città di culto del dio Nergal fu la città di Kutha a nordest di Babylon, nella quale egli, come anche Erra, veniva venerato [Era, Lab., D. s. no. 50 dÌR-RA, l’eroico, selvaggio e feroce dio  è noto come “il più coraggioso” degli dei del Pantheon kingir/šumero; ovvia la coincidenza con mag. erő “forza”, erős “forte, potente”]. Nergal ebbe dei templi anche a Larsa, Isin e Aššur come anche a Udannu. Nergal fu il patrono della porta settentrionale di Aššur.» (tratto dal Wikipedia tedesco) [cfr. lúKAD (L., D. s. no. 90), “portiere”].

Ma questa assonanza tra i toponimi Akkodi e Kutha, già di un certo rilievo, non è tutto. Essa continua in una maniera sorprendente, poiché Nergal è accompagnato dal suo fedele “cane”, dal suo amato animale di culto che lo protegge. Il “cane” è considerato il primo animale che l’uomo addomesticò circa quarantamila anni fa. Conosciuto e apprezzato da sempre per le sue qualità di fedeltà, attaccamento, affetto, vigilanza, nobiltà, in antichità fu considerato il guardiano ai confini di questo con l’altro mondo; quindi guardiano del “passaggio” all’aldilà e del mondo infero in cui funge da  psychopompos, cioè da “accompagnatore di anime”.

Immagine sopra: Il celebre “Stendardo di Ur”,  rinvenuto presso il Cimitero Reale della città sumera e datato al  2600 a.C. circa. – fonte Wikipedia

Ora la sorpresa consta nel fatto che il buon “cane”, che sa accudire il suo padrone e il gregge, in magyar/ungherese viene chiamato kutya, proprio come Kutha, il nome della principale città di culto del dio Nergal. Poi, per giunta, un particolare interessante della voce kutya “cane” è che tramite il gioco di inversione della sequenza dei fonemi componenti le sue due sillabe formanti ku e tya si ottiene uk-aty > ug-at, voce onomatopeica significante “abbaia(re)”. Pertanto il significato corrispondente a it. “Il cane abbaia”, ted. “Der Hund bellt”, rum. “Câinele latră”, ingl. “The dog is barking/baying” può esser espresso con la frase: A kutya ugat che è un piccolo gioiello verbale. Quindi in un modo alquanto sorprendente, ma poi neanche troppo, i nomi assonanti Kutha/Cutha/ Kodi/Accodi costituiscono l’elemento chiave connettivo al termine  nuraghe che a sua volta si rivela esser nient’altro che una variazione del nome Nergal, l’“ardito” sovrano del mondo infero e sposo della “potente” dea Ereškigal “Signora della grande Terra” (tratterò l’argomento prossimamente). In un rilievo parthiano rinvenuto nella città di Hatra (in Irak, a sud di Mossul), il dio Nergal, in accompagnamento di sua consorte Ereškigal, è rappresentato in compagnia del suo devoto “cane” custode con cui è “connesso” tramite un guinzaglio che è espressamente una treccia/fune “duplice”. A kutyát kettős kötél köti Nergal-hoz «È  una duplice fune che lega il cane a Nergal».

 

Nei paesi dell’area del Mediterraneo orientale come anche in area mediorientale e mesopotamica il culto del “cane” kutya era piuttosto diffuso. Così, ad esempio a Chition (ass. a mag. Kutyahon “paese del cane”) sull’isola di Cipro e anche nell’antica città dei Philistei Askhelon. Difatti, durante dei scavi archeologici ad Ashkelon è stato rinvenuto un grande cimitero di cani. Dalle sepolture emerge che i cani venivano sepolti in una maniera molto attente; nel modo di deporre e sistemare i cani si può notare del vero affetto (v. su Youtube).

Un’altra qualità importante del “cane”, oltre alla fedeltà e la vigilanza, è la cerca; la “cerca” della giusta strada/pista/traccia/impressione di odore. Ecco a seguire alcuni esempi di applicazione in cui l’espressione verbale unitaria convalida la coesiva connessione semantica:

A kutya kutat “Il cane cerca”. A kutya utat és kutat kutat “Il cane cerca strada/pista e pozzo”. A kutató kutyájával az utat meg a kutat kutatja “Il (ri)cercatore con (il) suo cane la strada e il pozzo (sta) cerca(ndo)”. A kutya kötést kutat; szag-kötést “Il cane sta cercando connessione; connessione di odore”. A szag-kötés kutatása a kutya kötelme, kötöttsége és kötelessége “La (ri)cerca della connessione di odore e obbligo, legame e dovere del cane”.

La voce mag. kutya echeggia pure in italiano nelle voci cuccio/-lo/-la, cuccia, e in tedesco in Köter “cagnaccio, botolo”, che sono in pratica delle forme di variazione di kutya [kutjɒ]. Interessante la corrispondente voce ingl. dog “cane” che costituisce la variata forma speculare di kutya: kut | tuk > dog. Il passaggio da mag. kutya a ted. Hund è similare a quello già constatato nel caso di mag. kéz/kete > ted. Hand/Hãd, cioè la gutturale sorda k varia all’aspirata h (k > h) mentre la dentale sorda palatalizzata di –uty varia alla dentale sonora nasalizzata di –ũd/-und (-uty > –ũd/-und).

Immagine in alto: il famoso”Cave canem” di Pompei – foto G Pavat 1985

La circostanza che il “cane” sia collegato simbolicamente al mondo infero e che esso “cerchi” ciò che è nascosto, intimo, viene rivelato dal suo stesso nome kutya contenente sia kút “pozzo” che út  “via/tragitto”, e quindi kút-út “tragitto di pozzo” affine a kutat “cerca/(re)/ricerca(re)”. A kutya kutat kutat “Il cane pozzo cerca”, A kutya kút utat kutat “Il cane tragitto (di) pozzo cerca”.

La coppia mitologica Nergal – Kutha/kutya “cane” corrisponde alla coppia astrale Orione ovvero Nimrud “Costruttore di città e gran cacciatore davanti al Signore” –  Sirio “Stella del Cane”, la stella più luminosa di tutto il firmamento nella costellazione di Canis Majoris. È  il brillante “cane” che segue fedelmente il “gran Cacciatore” Nimrud/Orione. Com’è noto, la costellazione Orione nella mitologia egizia rappresenta la “porta”, il passaggio “connettore” (mag. kötő, ingl. gate) all’ “aldilà” chiamato Duat, termine questo con cui mag. oda-át (“là-attraverso/oltre”) è quasi identico. Detto in parentesi, át è uno dei prefissi di orientamento dell’azione espressa nel verbo importantissimo, che nel linguaggio corrente viene utilizzato spessissime volte; per esempio in: át-mén “attraverso va” (cfr. sanscr. Ātman “anima”, ted. Atmen, Atem “respiro, respirare”, gr. atmo-), át-menő “attraverso-andante”, át-menet “transito/attraversamento”, át-kutat “fruga(re), rovista(re)”; ecco una frase di applicazione: Át-mentem a kötő hídon “Ho attraversato il collegante ponte”.

 

In antichità il sorgere all’alba della “Stella del Cane” Sirio, prima del Sole, segnava la parte più calda, rovente dell’estate; erano i famigerati giorni “canicolari”. A tal riguardo la descrizione fornita da Manilio è significativa: «Abbaiando lancia fiamme e raddoppia il caldo ardente del Sole».

È chiaro che si tratta dell’aspetto di caldo ardente del Sole estivo che è sfera di competenza dell’ardito e selvaggio dio degli inferi Nergal (v. l’Ardia sarda). Il fatto che il caldo dardeggiante provochi “aridità” e “siccità” viene confermato appropriatamente dallo stesso nome Sirius/Sirio con cui la “Stella del Cane” in antichità fu chiamata.

Convalidante sostegno semantico offrono, tra l’altro, le assonanti voci: gr. seiros “che fa appassire / che inaridisce”, xirasía “aridità”, xerós “secco, arido”; mag. száraz [sarɒz] “secco, asciutto, arido”, szárít [sari:t] “secca(re), inaridisce”, szárító “seccante, asciugante, asciugatore/-trice”, szárazság [sarɒzʃag] “siccità, asciuttezza, aridità”; ingl. sear “arso, bruciato, arido; inaridire, seccare” ecc.. Di consueto il significato del termine “deserto” viene spiegato con “terra rossa”. Tuttavia, prendendo in considerazione le denominazioni di formulazione similare aeg. Ta-Meri “Egitto”, Ta-Shemau “Alto-Egitto”, Ta-Mehu “Basso-Egitto” il vero significato della combinazione De/(Ta)-Sheret, risulta “terra arida/secca/asciutta” – di cui “terra rossa” peraltro è un sinonimo – e che viene pienamente convalidato da mag. ta/táj/talaj – száraz/ száradt, száraz/száradt ta/táj/talaj “terra/paesaggio/terreno arida/o, seccato/asciutto”. Importante sostegno semantico offrono ancora le fonti: SAR (S. Langdon, s. no. 236, A Sumerian Grammar and Chrestomathy) “shine, splendour, radiance” / “luce, splendore, raggiare”; akk. sarru “en parlant de Mars / parlando di Marte” (Labat, s. no. 355). Com’è noto l’“arido” pianeta “rosso” è connesso al dio della guerra romano Marte, l’equivalente del dio Ares greco; essi risalgono (sono connessi), ovviamente, al dio Nergal del pantheon kingir/šumero.

Accodi/Akkodi – Nuraghe                                                                                                      

È da molto tempo ormai che la gente si è abituata a chiamare la torre templare a gradoni di epoca prenuragica situata nella Nurra col termine akkadico ziqqurratu. Tuttavia, dietro a questo, come già menzionato, c’è il nome originale kingir/šumero U6-NIR / Ù-NIR senza il quale la voce akkadica ziqqurratu significante “torre a piani/gradoni” non esisterebbe. Quindi ogni volta mentre si dice ziqquarratu in fondo si evoca l’U6-NIR, di cui la sequenza inversa assai interessante è: NIR-U6; interessante perché molto simile a Nurra e quindi a nuraghe. A una indagine attenta si rinviene che sia i significati di NIR, NIR-GÁL (Lab. s. no. 325) “fiero, eroe”, “principe”, “aiuto” sia i significati di NÈ “forza” e NÈ.IRI11-GAL  (Lab. s. no. 444) “il dio Nergal” ovvero l’“Autorità della Grande Città / dell’Inferno”, sono relativi alla “città di Uruk” UNU(G)-KI col suo “grande tempio” UNU(G)-GAL (Labat, s. no. 195). Si tratta della più grande e popolosa città, al suo tempo, protetta da una “doppia” cinta di mura fortissima, che fu costruita durante il regno del suo “eroico” re Gilgameš. E con tutto ciò l’U6-NIR | NIR-U6 di Accodi/Akkodi, testimonianza architettonica di una arcaica religiosità “ardente”, è intimamente connessa o, utilizzando l’espressione appropriata, concatenata. Si può dire, allora, che la “torre a gradoni” U6-NIR | NIR-U6  /  ziqqurratu di Accodi/ Akkodi in certo qual modo preannuncia e costituisce quella base essenziale dalla quale si è potuto sviluppare poi in seguito il Nuraghe, “fiero” edificio emblema della Sardegna che ha contraddistinto tutto il suo periodo nuragico. 

(© Zoltán Ludwig Kruse)

  • Se non altrimenti specificato, le immagini sono di Pierpaolo Simonelli.

 

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