Immagine di apertura; a sx la Cattedrale di Priverno (LT) ove è conservato come reliquia un cranio (a dx) che si voluto riconoscere come quello di San Tommaso d’Aquino.
IL MISTERO DEI DUE CRANI DI SAN TOMMASO D’AQUINO
di Giancarlo Pavat
Ovviamente l’interesse per i crani di personaggi importanti non è affatto confinato soltanto al mondo della Scienza (o pseudoscienza) ma pure in quello della Religione della Fede.
Non è questa la sede per affrontare il discorso sulla storicità e sul valore spirituale delle reliquie dei Santi cattolici (ma non solo) che ancora oggi tanto indignano i Cristiani appartenenti alle Chiese Protestanti.
“Secondo l’Enciclopedia Cattolica si possono definire reliquie “Il corpo o qualsiasi parte che rimanga di un Santo dopo la sua morte, così come pure gli oggetti che sono venuti effettivamente in contatto con il corpo dello stesso durante la sua vita. Le reliquie reali, o di prima classe, includono la pelle e le ossa, gli abiti gli oggetti usati per la penitenza, gli strumenti di prigionia, di martirio o di passione”. Con le reliquie si potevano effettuare guarigioni, prodigi, miracoli d’ogni genere. Per custodirle adeguatamente si innalzarono chiese e cattedrali, come sulle tombe degli Apostoli e su quelle dei primi martiri. Un monastero, oppure un signore laico, in possesso di qualche reliquia piuttosto famosa, acquisiva un enorme fama e potere, anche temporale”.
(da Giancarlo Pavat “Nel Segno di Valcento” – edizioni Belvedere 2010).
Tra le reliquie relative ai resti mortali dei Santi, quella più ambita era di certo il cranio o parti di esso. Come dimostra la vicenda (in qualche modo ricollegabile, senza voler mancare di rispetto al Santo, a quelle dei celebri musicisti citati dal professor Roberto Volterri) relativa all’ultima dimora e alla testa del “Dottore della Chiesa”, Tommaso dei Conti d’Aquino, elevato agli “onori degli altari” il 18 luglio 1323.
San Tommaso è un personaggio noto anche a chi ha poca dimestichezza con la Storia del Medio Evo, di cui è universalmente ritenuto uno dei più grandi filosofi. Visto che è autore di oltre un centinaio di opere e riscoprì, ovviamente elaborandolo in chiave cristiana, il pensiero del filosofo greco Aristotele (“vidi ‘l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia”, così lo descrive Dante nel IV Canto dell’Inferno).
Tommaso nacque da Landolfo, della blasonata famiglia comitale longobarda dei “d’Aquino”, e dalla nobile normanna Teodora, nel 1224, probabilmente nel castello avito di Roccasecca (all’epoca facente parte del Regno Svevo-Normanno di Sicilia).
2. Immagine sopra; portale a sesto acuto dell’ingresso della cosiddetta “Casa di San Tommaso” a Roccasecca (FR).
3. Immagine sopra; la Torre dei Conti d’Aquino ad Aquino (FR).
4. Immagine in basso; la cosiddetta “Casa di San Tommaso”, sempre ad Aquino (FR).
Continua ancora ai giorni nostri, sull’esatto luogo di nascita del futuro Santo, l’antica e accesa diatriba tra Aquino e Roccasecca (comuni oggi entrambi in provincia di Frosinone).
Presso la venerabile Abbazia di Montecassino è conservato un documento che recita;
“Non Aquini natus est Angelicus doctor sed in castro salubrioris aeris quod Roccasecca etiam nunc vocatur ad radices cairi montis”.
Quindi….non dovrebbero esserci dubbi. Ma si sa, il Medio Evo fu un epoca di grandi contraffazioni di documenti. Basti pensare alla famigerata “Donazione di Costantino” su cui si baso’ per quasi duemila anni il potere temporale della Chiesa di Roma. Fu un umanista italiano, Lorenzo Valla (1407-1457) a dimostrare nel 1440, mediante oggettive evidenze filologiche e storiche esposte nella “De falso credito et ementita Costantini donatione“, che la “Donazione” era una volgare contraffazione. Infatti, è stato oggi dimostrato che il documento, che attestava la cessione delll’Italia e di tutto l’impero Romano d’Occidente, alla Chiesa di Romace ai Pontefici, da parte dell‘imperatore Costantino, venne redatto non prima dell’VIII – IX secolo d.C. (da un falsario della Curia papale), e non di certo nel IV secolo d C..
Tornando al documento conservato a Montecassino, era convinto dell’autenticita’ anche l’erudito e viaggiatore prussiano Ferdinand Gregorovius (1821-1891).
Autore, tra l’altro, della monumentale “Die Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter“, ovvero “Storia di Roma nel Medio Evo” in cui attacca il papato schierandosi dalla parte del nostro Risorgimento.
6. Immagine sopra; Ritratto di Ferdinand Gregorovius 1821-1891. (Archivio ilpuntosulmistero)
Gregorovius, che ben conosceva le vicende storiche medievali del Basso Lazio (i suoi “Itinerari laziali 1854-1873” sono stati ristampati nel 2008 dalle Edizioni Belvedere di Latina con prefazione di Fulco Pratesi), scrisse testualmente
“…non in Aquino ma lassù nel pittoresco borgo di Rocca Secca nacque Tommaso nell’anno 1224“.
Tutto chiaro quindi? Tutto risolto? Non proprio. Perché tra i due litiganti si è inserita una terza località che afferma con devota sicurezza di aver dato i natali al grande Santo e filosofo.
Più o meno all’inizio di questo sciagurato XXI secolo, sulla vexata quaestio, intervenne il noto e stimato studioso ed agiografo calabrese, don Bruno Sodaro (1920-2017).
Don Sodaro annunciò di aver scoperto, nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, un documento autografo del “Doctor Angelicus” (ricordiamo che questo era il soprannome dato dai contemporanei all’Aquinate), nel quale lo stesso si firma come “Tommaso di Belcastro”.
7. Immagine sopra; il castello dei Conti d’Aquino e la “Casa natale” di San Tommaso d’Aquino a Belcastro in Calabria.
Belcastro è un paese della Sila Piccola, a poca distanza dal Mar Ionio, oggi in provincia di Vibo Valentia in Calabria. Di origini altomedievali, fu a lungo un feudo proprio dei Conti d’Aquino, dei quali è sopravvissuto il corrusco castello.
8. Immagine sopra; la statua del “Doctor Angelicus” a Belcastro in Calabria.
Non a caso, il padre di Tommaso, Landolfo era spesso indicato come Conte di Loreto (Loreto Aprutino, oggi in provincia di Pescara) e, appunto, di Belcastro.
Oggi, ai visitatori di Belcastro, i cordiali abitanti fanno vedere anche la “Casa natale di San Tommaso”, ovvero un edificio medievale che sorge non lontano dalla rocca degli Aquinati.
La tesi relativa ai natali calabresi di Tommaso non è di certo nuova. A sostenerla per primo fu lo storico e religioso originario di Francica in Calabria, padre Gabriele Barrio (1506-1577) nell’opera “De antiquitate et situ Calabriae“.
Venne poi ripresa nel secolo successivo dall’erudito, anch’esso calabrese, fra’ Giovanni Fiore da Cropani.
Ho avuto modo di leggere personalmente presso la Biblioteca Nazionale di Roma, il testo del Barrio e, francamente, debbo ammettere che gli elementi da lui presentati, a sostegno dell’ipotesi “calabrese” sono davvero interessanti e piuttosto circostanziati. Tanto che il dubbio su dove sia nato davvero l’Aquinate si insinua in profondità; nel Basso Lazio o in Calabria?
Ma se non c’è chiarezza e unanimità sul luogo di nascita, il mistero aleggia anche su quello dell’ultima dimora e sui resti mortali del Santo.
9. Immagine sopra; miniatura medievale con Gregorio X che riceve i fratelli Polo (Archivio ilpuntosulmistero)
Il 1° aprile 1272, il nuovo papa Gregorio X (Tebaldo Visconti di Piacenza, 184° romano pontefice. Eletto papa il 1° settembre 1271 mentre era Legato pontificio in Terrasanta, a San Giovanni d’Acri e per questo motivo venne incoronato in San Pietro appena il 27 marzo 1272. Morì ad Arezzo il 10 gennaio 1276) convocò il “Concilio di Lione Secondo” (il “Primo”, svoltosi nel 1245, e presieduto da papa Innocenzo IV, è passato alla Storia in quanto vi venne dichiarato eretico e comunicato l’Imperatore Federico II. Condanna che scatenò lo scontro finale tra Papato ed Impero).
10. Immagine sopra; la testina coronata scolpita in un capitello dell’Abbazia cistercense di Casamari (FR), in cui si è voluto riconoscere l’Imperatore Federico II di Svevia, “Stupor Mundi”.
Il Concilio si sarebbe svolto dal 7 maggio al 17 luglio 1274 e il Papa, ovviamente, volle presenti accanto a se le più grandi menti della Cristianità. Nella città della Borgogna convennero, quindi, circa 220 vescovi ed 800 altre personalità ecclesiastiche, tra cui il francescano Bonaventura da Bagnoregio e Pietro dal Morrone (il futuro papa Celestino V).
È stata avanzata l’ipotesi (non suffragata, però, da oggettive prove storiche) che Pietro dal Morrone (o Pietro Angelerio, questo il suo vero nome) durante i lavori del Concilio, abbia incontrato i Cavalieri Templari, in particolar modo il Gran Maestro Guillaume de Beaujeu. Costoro avrebbero affidato all’eremita morronese, con il consenso di Gregorio X, la missione di erigere a L’Aquila una grandiosa basilica: Santa Maria di Collemaggio.
12. Immagine sopra; Facciata della Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila in Abruzzo.
Al Concilio non poteva certamente mancare Tommaso d’Aquino, che su invito del Pontefice si mise in cammino partendo da Napoli dove insegnava nella locale Università.
Ma il domenicano non giunse mai sulle rive del Rodano. Mentre percorreva la l’Alta valle del fiume Amaseno, cominciò a sentirsi male. Decise allora di fermarsi presso il Castello di Maenza (LT), ospite della nipote Francesca degli Annibaldi, moglie di Annibaldo della stirpe dei Conti de’ Ceccano, che nel 1268 aveva combattuto a Tagliacozzo al fianco di Corradino di Svevia.
13. Immagine sopra; una suggestiva veduta notturna del Castello comitale di Maenza (LT).
Secondo l’agiografia, proprio nel Castello di Maenza si sarebbe verificato il cosiddetto “Miracolo delle Aringhe”.
Questo ed altri episodi della vita di San Tommaso sono stati mirabilmente affrescati nella Chiesa di Santa Maria al Piano a Loreto Aprutino (PE) in Abruzzo.
“Il termine “piano” non deriva dalla collocazione geografica ma dal fatto di essere stata costruita sopra un tempio pagano dedicato al dio Giano (Deus Janus). La struttura attuale risale al XIII secolo, anche se ha subito numerosi rifacimenti attraverso i secoli. Al suo interno esistono due cicli di affreschi. Uno di questi, unico nel suo genere e sicuramente commissionato dalla Famiglia d’Aquino, che fu feudataria di Loreto Aprutino, rappresenta episodi della vita di San Tommaso. Realizzati da un ignoto artista della fine del XIV secolo, sono ispirati alla “Historia Beati Thomas De Aquino”, biografia scritta a Napoli, nel 1319, da Fra’ Guglielmo da Tocco”
(da Giancarlo Pavat “Nel Segno di Valcento” – edizioni Belvedere 2010).
Ma nel Castello di Maenza, Tommaso continuò a stare male. Anzi la sua salute peggiorò e sentendo ormai prossima la fine, decise di recarsi presso la vicina e venerabile Abbazia di Fossanova (LT).
E qui si spense il 7 marzo 1274.
Aveva 49 anni. Ad assisterlo c’erano il fido fra’ Reginaldo da Piperno e dall’abate cistercense Tebaldo (con tutta probabilità appartenente anche lui alla Famiglia comitale dei “de Ceccano”).
Nell’Abbazia di Fossanova, nel cosiddetto “Braccio di San Tommaso”, è visitabile una cella che viene indicata come quella in cui il Santo alloggiò nei suoi ultimi giorni di vita.
Sul suo decesso, forse dovuto ad un male all’epoca misterioso e incurabile, hanno tanto favoleggiato i suoi contemporanei.
Secondo una tradizione iniziata a circolare subito dopo la sua morte, Tommaso sarebbe stato avvelenato mediante l’arsenico, su ordine del Re di Napoli, il truce usurpatore Carlo I° d’Angiò (1226-1285), con il quale era in contrasto.
15. Immagine sopra; Riproduzione del celebre riratto di Dante Alighieri del Botticelli (Archivio ilpuntosulmistero)
Questa diceria (visto che non vi è alcuna prova storica in tal senso e, come vedremo tra poco, anche volendo, non sarebbe proprio possibile fare una autopsia sui resti del Santo!) venne ripresa da Giovanni Villani (1280-1348), nella sua “Nova Cronica” (IX, 218), dall'”Anonimo Fiorentino” e, soprattutto, da Dante Alighieri.
Infatti, nella Divina Commedia, incontrando nel suo viaggio ultraterreno, Ugo Capeto, capostipite dei Re di Francia e degli Angioini, gli fa affermare (mentre elenca i crimini dei suo discendenti e successori);
“Carlo (Carlo d’Angiò) venne in Italia e, per ammenda
vittima fè di Curradino (33) e pi
ripinse al ciel Tommaso per ammenda.
(vv. 67-69, Canto XX, Purgatorio)
Anche l’ignoto artefice degli affreschi di Loreto Aprutino probabilmente credette a questa diceria. O ci credevano i suoi committenti che erano membri della Famiglia Comitale.
16. Immagine sopra; affresco raffigurante la sepoltura di San Tommaso d’Aquino. Chiesa di Santa Maria al Piano a Loreto Aprutino (PE) in Abruzzo. Da notare il colore verde del volto e delle mani dell’Aquinate. Oltre al fatto che era stato avvelenato, potrebbe più semplicemente indicare che quello che veniva calato nella tomba era un cadavere.
17. Immagine in basso; l’ascesa al Cielo dell’Aquinate, raffigurato come un bambino a simboleggiare la sua purezza e verginità. In basso a dx, due confratelli osservano la scena. Quello di dimensioni maggiori potrebbe essere fra Reginaldo da Piperno. Chiesa di Santa Maria al Piano a Loreto Aprutino (PE) in Abruzzo.
Non a caso, dipingendo la scena della sepoltura del grande Aquinate, l’ha dipinto di colore verde. A voler simboleggiare che il “Doctor Angelicus” era morto per avvelenamento. Ma, visto che nel Medio Evo il verde era considerato il colore della Morte, forse, si è voluto più semplicemente indicare che Tommaso era, appunto, deceduto.
L’Aquinate venne sepolto presso l’altare maggiore della chiesa abbaziale di Fossanova, ma i suoi resti mortali non conobbero pace.
Infatti dopo qualche tempo venne traslato nel chiostro. Si disse perché in questo modo era più al sicuro. Poi, non si sa per quale motivo, forse per permetterne la venerazione da parte dei fedeli, l’abate Pietro di Monte San Giovanni fece riportare nuovamente il corpo nella sepoltura originaria dentro la chiesa abbaziale.
Nel 1281, il sepolcro fu aperto e la salma venne trovata incredibilmente incorrotta. Ovviamente, come sempre succedeva in questi casi si gridò al miracolo.
Il filosofo illuminista Voltaire avrebbe sottolineato, con un pizzico d’ironia, che se la scena si fosse svolta nell’Europa Balcanica, si sarebbe piantato un paletto di legno (meglio se di frassino) nel cuore e poi bruciato tutto. Ma in Occidente la si vide come ennesima prova della Santità del grande filosofo.
Nel 1288, la sorella Teodora, chiese ed ottenne la mano destra, per conservarla con devozione come reliquia nella cappella del suo Castello di San Severino. Sembra che oggi si trovi nella chiesa di San Domenico a Salerno.
Negli anni successivi, purtroppo, in molti seguirono l’esempio di Teodora, per avere reliquie dell’Aquinate, che sebbene non ancora ufficialmente “Santo” (come già accennato, lo sarà soltanto dal 18 luglio 1323), tale era considerato da tutti.
Il potente conte Onorato Caietani di Fondi arrivo’ a far trafugare per ben due volte il corpo per farne tante reliquie.