VENEZIA; LA TEMPESTA DEL GIORGIONE. IL QUADRO PIU’ MISTERIOSO DELLA STORIA; di Guglielmo Viti.

Immagine di apertura: “La Tempesta” di Giorgio da Castelfranco. Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Venezia;

La Tempesta del Giorgione
Il quadro più misterioso della storia.

di Guglielmo Viti

Nel dipinto intitolato “la Tempesta”, conservato nelle Gallerie dell’Accademia,  ciò che mi ha sempre colpito è la contemporanea presenza di personaggi e natura che non hanno niente di “naturale” ma pur essendo rappresentati nella loro unità in modo semplice, chiaro, con le giuste proporzioni e facilmente identificabili : il giovane, la donna che allatta, le pianta, il fiume, il ponte, la città, il fulmine ecc…, messi insieme non si accordano in un racconto normale, quotidiano, ma si legano solo se insieme diventano simbolo di un messaggio, di una esperienza.

2. Immagine sopra: Autoritratto di Giorgione, o Giorgio da Castelfranco (Castelfranco Veneto 1478 – Venezia 1510).

La vita stessa del Giorgione è decisamente misteriosa, di lui si sa molto poco e quel poco marcia tra leggende e aneddoti curiosi dando vita ad un personaggio piuttosto unico tanto da farlo definire da Gabriele D’Annunzio “piuttosto come un mito che come un uomo”.

Nato nel 1477 a Castelfranco Veneto viene descritto come un giovane a cui piaceva vivere, godersi i piaceri della vita, amante del gentil sesso, del lusso ma nello stesso tempo attento e serio discepolo di artisti come Giovanni Bellini e lui stesso maestro di giganti della pittura come Tiziano e Sebastiano del Piombo.
Anche la sua morte diventa motivo di originalità infatti sembra che sia morto di peste avendo voluto baciare per l’ultima volta, la sua compagna, il suo grande amore, Cecilia, mentre la stessa stava morendo di peste :
la accoglie a braccia aperte e, pur rendendosi conto dei primi segni della malattia, non ci pensa un attimo; decide di continuare a baciarla, a stringerla a se in quell’amore che, sin dal primo giorno in cui l’ha vista, lo brucia più di qualunque male. Sceglie di contagiarsi per non lasciarla.
Quando i medici, dunque, sotto le loro maschere dal lungo naso adunco (un filtro), bussano alla sua porta, non risponde nessuno. Bussano ancora….Quando aprono la porta trovano i due amanti ancora abbracciati….” (R. Bonsignori).
Aveva 33 anni!
Esistono moltissime interpretazioni della “Tempesta”, credo che sia il dipinto che ne abbia di più in assoluto : si va dall’identificare i due personaggi come Adamo ed Eva o un soldato ed una zingara o a personaggi appartenenti a famiglie nobili dell’epoca ecc…
Io non entro in questo tipo di discussione e mi voglio limitare alla sola lettura del quadro cercando di capire i motivi che hanno spinto l’autore a scegliere un certo soggetto, una certa posizione, un certo paesaggio ecc…
Comincio subito con le figure umane, abbiamo da una parte un giovane in eleganti abiti cinquecenteschi che molti identificano con lo stesso Giorgione, ma questo poco importa, mentre è appoggiato ad una lunga asta.

3. Immagine sopra: il presunto “soldato” de “La Tempesta”.
Si è identificato spesso questo giovane come un soldato, in realtà niente lascia pensare ad un milite, infatti l’asta è un semplice bastone e il ragazzo non porta ne armature ne armi. Penso che l’asta sia la raffigurazione di quelle finte lance che venivano usate nei tornei “a plaisance” a differenza di quelli a “outrance” in cui si usavano armi vere.
Quindi abbiamo un giovane che si appresta o ha appena partecipato ad una giostra e questo non può che indicarci un fatto certo : è un giovane@
Questo ragazzo sta guardando verso una donna che seduta in modo non certo “naturale” sta allattando, nuda, un bimbo. Un lungo manto bianco le copre le spalle partendo dal terreno e girandole intorno.

4. Immagine sopra: la donna che allatta il bambino.

Proprio questo manto ci racconta che la figura è legata alla terra così come le gambe hanno la forma delle radici di un albero. Dietro la donna una rigogliosa vegetazione contrasta con quella, assai più misera del lato opposto. La donna guarda verso di noi ed alimenta la vita. Come non possiamo pensare a Madre Natura ?
Sul lato opposto l’Uomo, nel senso di Umanità, guarda questo miracolo. La conferma che il giovane null’altro rappresenta che l’Umanità ci viene dalla scoperta, recente, che prima, al suo posto, il Giorgione aveva dipinto una giovane donna nuda intenta a bagnarsi le gambe sostituendola poi col giovane elegante.
Fanno da sfondo al ragazzo due colonne spezzate che, come sappiamo da moltissimi esempi, rappresentano la morte.
Allora, ecco che queste figure apparentemente lontane ed inconciliabili tra loro raccontano invece una storia unica, eterna : la vita e la morte.
La natura, che è vita, accompagna l’uomo fin dalla gioventù verso la morte, che fa, anch’essa parte del ciclo vitale, in un alternarsi di presente e passato evidenziato dalle rovine dietro le colonne spezzate, che ricordano antichi monumenti romani diruti con tondi con bassorilievi mitologici.
Il presente lo stiamo vivendo negli occhi della donna che ci guarda con intensità da secoli, mentre le antiche mura ci raccontano del passato che appartiene all’uomo.
Questo costante gioco tra passato e presente, questa costante dimensione temporale che non prevede il futuro perché in questo contesto il dialogo avviene sempre con il presente avendo il ricordo del passato, ritorna in tutto il paesaggio che fa da sfondo ma anche da protagonista della storia.
Così, per esempio, il ponte, o per dire meglio, la passerella in legno, collega il mondo del passato, caratterizzato da ruderi antichi sia quelli in evidenza sia quelli nascosti dietro gli alberi, al mondo del presente con le case coeve dell’artista.
Ma ciò che ci colpisce con più forza è il fulmine ed è dal fulmine che si genera il racconto.
La tempesta è in corso, non sta finendo o iniziando come molti hanno pensato, ce lo dice il cielo, il lampo che brilla come un piccolo sole nel plumbeo cielo ed anche il palazzo in prima fila.
Sul tetto di un palazzo di architettura decisamente rinascimentale, di cui è rimasta solo la metà della struttura di copertura perché, con molta probabilità, è stata già colpita da un fulmine sta un uccello bianco.

5. Immagine sopra: il misterioso uccello….le case…il ponte e il fulmine che squarcia le nubi tempestose….

Anche su questo uccello si è molto scritto ma vediamo di cosa stiamo parlando: quale razza di uccello può essere quello che è bianco, di grandi dimensioni, dal becco lungo e che sta sul tetto se non una cicogna?
La cicogna è sempre stata il simbolo della rinascita ricordando il mitico uccello che gli antichi egizi identificavano con il dio Benu divenuta poi la mitica araba Fenice.
Allora leggiamo in modo semplice ma evidente come da un tetto ridotto ad un rudere certamente ne rinascerà un altro, dalla distruzione si rinascerà sempre, durante la tempesta della vita che mai si placherà; anche perchè il palazzo sembra abitato come si evince dalla tenda per proteggere il sole in una finestra o da una figura affacciata al balcone.
Il fulmine ha sempre rappresentato nell’immaginario umano una forza, un’energia eccezionale.
Ad Anagni (FR) abbiamo un esempio particolare del rapporto con i fulmini.
Infatti già Tito Livio ci racconta come ad Anagni accadevano fenomeni strani che vedevano, per esempio, animali o uomini colpiti dal fulmine rimanere intatti o porte o terreni della città colpite dai fulmini bruciare per giorni senza mai consumarsi ecc..
San Tommaso creerà poi nella metà del XIII sec. una croce, conservata nella Chiesa di San Giacomo, composta da un cruciverba di lettere, che è sempre stata considerata un potente talismano contro i fulmini.
Comunque basta vedere il cielo notturno sopra Anagni durante un forte temporale per capire il perché in questa terra questi fenomeni abbiano avuto un così forte impatto anche religioso.
Ma torniamo al Giorgione da cui, tutto sommato, non ci siamo molto allontanati parlando di Anagni, infatti anche nella “Tempesta” il fulmine ed il lampo rappresentano l’energia dell’universo, l’Anima Mundi degli alchimisti, lo Spirito Santo, il Soffio Vitale ecc..
Ecco perché la Tempesta è perenne e non finirà mai.
Questa energia fa parte, anzi è ragione stessa, della vita presente che può essere solo presente.
Completa il racconto la presenza, importante di una città ma, mentre il primo palazzo e quelli accanto come la torre che si intravede all’estrema destra o l’arco merlato posto alla fine del ponte, si caratterizzano per la struttura decisamente a torre e con tutti i caratteri di fabbricati cinquecenteschi, sugli altri edifici qualcosa da dire di diverso c’è.
6. Immagine sopra: altri particolari de “La Tempesta”….
Dopo la casa descritta appare un torrione composto di due unità merlate che si accostano l’una all’altra formando un’angolo.
Non ci sono finestre ma dietro le chiome degli alberi si intravede un grande arco di accesso apparentemente di dimensioni eccessive rispetto al resto.
Segue un’altro torrione rettangolare con una facciata esageratamente grande rispetto ai lati e con un grande portale di ingresso a cui si accede attraverso una scalinata monumentale. Sopra al grande portone si intravedono dei simboli che sono stati identificati come ruote di un carro, richiamo alla famiglia Da Carrara di Padova.
Seguono ancora alcune imponenti abitazioni , un’alta torre ed una cupola con antistante un corpo di fabbrica rettangolare che richiama la basilica di San Pietro a Roma o la cupola della Roccia di Gerusalemme.
Si è identificata questa città con Padova ma, ma anche qui, francamente, non trovo elementi a sostegno mentre, considerate le caratteristiche dei fabbricati fin qui descritte, il loro potenziale ed effettivo utilizzo, sarei più propenso a pensare ad una città ideale che sia come colore, predomina il bianco, sia come architettura, contrasta in modo forte con il gruppo di edifici posto in evidenza rispetto agli altri.
La torre, la casa, l’arco che si vedono subito dietro la donna che allatta hanno il colore giusto delle murature in mattoni e tutti gli elementi architettonici hanno una loro giusta collocazione e sono “abitabili”.
Anche la presenza del ponte, che poi altro non è che una semplice passerella in legno, che collega le due sponde del lago al primo gruppo di abitazioni sembra confermare la “naturalità”, la veridicità e la vivibilità di questo quartiere.
Nella rappresentazione, quindi, il Giorgione ha voluto, forse, rappresentare da una parte edifici realmente esistenti e dell’altra tutte le città illuminate dall’energia del fulmine, ovvero il creato.
Abbiamo letto quello che fu dipinto, abbiamo cercato di capire senza andare oltre quello che c’è, ma credo che attraverso “La tempesta” siamo andati aldilà del visibile ed abbiamo assaporato il vero valore del creato, del rispetto della natura e del nostro ruolo che dovrebbe essere di spettatori-partecipi e non di protagonisti-colpevoli.
(Guglielmo Viti – archeologo)

 

Tutte le immagini sono state tratte da Wikipedia, che si ringrazia per la disponibilità.

 

 

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