TRA GLI ANTENATI DEI CONTI DE’ CECCANO C’È FORSE UN PAPA ERETICO? di Giancarlo Pavat.

 

LA VERA STORIA DELLA CONTEA DI CECCANO.

TRA GLI ANTENATI DEI

CONTI DE’ CECCANO

C’È FORSE UN PAPA ERETICO?

 

di Giancarlo Pavat 
La storia della stirpe dei Conti de’ Ceccano (signori, durante il Medio Evo, di un ampio territorio del Lazio meridionale, i cui confini andavano, grossomodo, dai Monti Ernici al Mar Tirreno) è avvolta in una sorta di nebbia autunnale, squarciata qua e là, da lampi di luce che lasciano suggerire come ci sia ben altro di ciò che è possibile reperire sui pochi testi che hanno affrontato le loro vicende.

 

2. Immagine sopra; una suggestiva veduta del Castello comitale di Ceccano (Archivio ilpuntosulmistero).
Il primo dei tanti enigmi è quello legato alle origini dei “Comites”. Le quali, ancora oggi sono oggetto di accesi dibattiti.

3. Immagine sopra; il blasone dei de’ Ceccano affrescato nel Palazzo del cardinale Annibaldo IV de’ Ceccano, ad Avignone in Francia (foto della professoressa Eleonora Massa).
I Conti de” Ceccano erano, molto probabilmente, longobardi e legati al re longobardo Astolfo, che nel 735 d.C., con il suo nucleo familiare, i suoi cavalieri e le sue bestie da pascolo, aveva occupato definitivamente l’estremo lembo meridionale del cosiddetto “Ducatus Romanus”.
Va rammentato che con questo termine si intende una ripartizione amministrativa dell’Esarcato d’Italia (con capitale Ravenna) possedimento dell’Impero Romano d’Oriente ovvero dei Bizantini.
L’Esarcato d’Italia era formato da sette ducati, governati da un dux o magister militum. Ovvero funzionari militari nominati direttamente dall’Imperatore.
Il “Ducatus Romanus”, sorse verso la fine del VI secolo dopo l’invasione longobarda e la divisione (durata sino al XIX secolo) del nostro Paese, e si estendeva, grossomodo, da Narni e Viterbo (Alto Lazio) a Gaeta e ai confini della Terra di Lavoro, e comprendeva la città di Roma.

4. Immagine sopra; ingresso esterno al Castello dei Conti de’ Ceccano (foto Giancarlo Pavat)

 

Nel 1852 giunse in Italia, e in particolar modo a Roma e nel Lazio, il grande storico ed erudito prussiano Ferdinand Gregorovius (nato nel 1821 a Neidenburg nella Prussia Orientale e morto a Monaco di Baviera nel 1891).
Gregorovius amava il nostro Paese e la sua Storia e, da bravo Luterano, si schierò con il nostro Risorgimento contro il Potere temporale della Chiesa di Roma, e affinché l’Urbs Aeterna diventasse Capitale del neonato Regno d’Italia.
Nel 1876, la città di Roma, finalmente diventata Capitale d’Italia, oltre a dedicargli una piazza e una via, lo nominò “Cittadino onorario”.

5. Immagine sopra; targa che ricorda la presenza di Ferdinand Gregorovius in un palazzo di via di pietra a Roma (Fonte Wikipedia)
Gregorovius fu autore, tra l’altro, della monumentale “Die Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter” (edizione italiana “Storia della città di Roma nel Medio Evo”, edizioni Bersani 1912), la cui stesura era iniziata il 12 novembre 1856 e terminata alla fine del 1871. I resoconti dei suoi viaggi in lungo e in largo della nostra Penisola vennero raccolti nei cinque volumi di “Wanderjahre in Italien” (“Pellegrinaggi in Italia”), pubblicati tra il 1856 e il 1877.
Le descrizioni di paesi, paesaggi, persone, tradizioni del Lazio meridionale (e in particolare della Ciociaria) è possibile leggerle negli “Itinerari laziali 1854-1873”, pubblicato nel 2008 dalle Edizioni Belvedere di Latina, con la prefazione di Fulco Pratesi.

6. Immagine sopra; Ferdinand Gregorovius (1821-1891)
Lo storico tedesco si interessò alla Storia dei Conti de’ Ceccano e li ritenne di stirpe teutonica e, più precisamente, Sassoni, giunti nel Lazio meridionale al seguito dei Sacri Romani Imperatori della Casa di Sassonia, come Ottone I, Ottone II e Ottone III.
A riprova delle radici tedesche, Ferdinand Gregorovius sottolineava la persistenza in seno alla stirpe comitale di nomi di indubbia derivazione germanica; come Guido, Landolfo, Goffredo e Rainaldo. Inoltre nella sua già citata “Storia della città di Roma nel Medio Evo” afferma che il primo Conte di Ceccano era stato un tale Gregorio, morto attorno al 1104.
Ma l’erudito ceccanese Michelangelo Sindici non concordava affatto con queste ipotesi. Nella sua opera “Ceccano l’antica Fabrateria” (1893), cito’ l’esistenza di un certo Petronius Ceccanus, consolare e Conte di Campagna, vissuto nel VII secolo, che sarebbe stato l’eponimo dell’attuale città.
Questo Petronius Ceccanus, secondo diversi storici, tra cui lo scrittore e patriota italiano Francesco Costantino Marmocchi (autore del “Dizionario geografico universale” del 1862) e Tommaso Terrinoni (“I sommi Pontefici della Campagna Romana con notizie storiche intorno alle città e luoghi più importanti della medesima provincia” – 2 Vol., del 1888), sarebbe il padre di papa Onorio I.  Nativo di Ceprano (FR), fu pontefice dal 27 ottobre 625 sino alla sua morte, il 12 ottobre 638.

7. Immagine sopra; papa Onorio I, raffigurato in un mosaico nella chiesa di Sant’Agnese fuori le mura a Roma (Fonte Wikipedia)
Nativo della Campania (…) consacrato papa tre giorni dopo la morte di Bonifacio V, il 27 ottobre del 625” (da Claudio Rendina “I Papi. Storia e segreti”, Newton Compton, 1983).
Se questa ricostruzione fosse corretta, allora i de’ Ceccano annovererebbero anche un pontefice nel proprio albero genealogico. Anche se si tratterebbe di un…. papa eretico!
Eh già, perché Onorio I è noto per il clamoroso “scivolone” (forse dovuto a scarsa conoscenza dottrinale) in una diatriba di natura teologica, che lo ha consegnato alla Storia, appunto, come “papa eretico”.
Il figlio di Petronius Ceccanus, infatti, allo scopo di giungere ad una riconciliazione (come auspicato pure dall’Imperatore Eraclio) tra Cristiani Ortodossi e Cristiani Monofisiti (questi ultimi condannati come eretici dal IV Concilio ecumenico di Calcedonia del 451 d.C.), si schierò dalla parte del patriarca di Costantinopoli Sergio (l’eroe della resistenza contro gli Slavi che assediavano Costantinopoli nel 626 d.C.) e della sua “Dottrina Monotelita”.

8-9. Immagini sopra e sotto; il celeberrimo “Colosso di Barletta”, che oggi svetta con i suoi 4,50 metri di altezza, presso la chiesa del Santo Sepolcro nella città pugliese. Secondo una inventerata tradizione, rappresenterebbe proprio l’Imperatore Eraclio (610-641 d.C.). Tanto che a Barletta è  chiamato in dialetto affettuosamente “Arè”. Attualmente  gli storici ritengono che raffiguri invece l’imperatore Teodosio II (408-450 d.C.) e che si trovasse a Ravenna. Rinvenuta nel XIII secolo, sarebbe stata fatta  portare a Barletta dall’imperatore, nonché Re di Sicilia, Federico II di Svevia (Foto G. Pavat).

10. Immagine in basso; Busto di Federico II conservato nel Castello Svevo di Barletta.

Il Patriarca Sergio, che voleva, appunto appianare i contrasti sulle “due nature di Cristo” (per i Monofisiti, Cristo aveva soltanto una natura divina) che laceravano l’Impero Romano e la Cristianità, sostenne “che nel Verbo, una volta incarnato, si registra una sola «operazione», ovvero opera una sola «volontà» detta «ipostatica»: essa è divina in rapporto alla natura e volontà divina del Cristo, ma nello stesso tempo umana in rapporto alla natura e volontà umana di Gesù. In pratica volontà ed azione erano considerati come attributi non della persona ma della natura, con un evidente contrasto con il dogma della duplice natura di Cristo”.
(da Claudio Rendina “I Papi. Storia e segreti”, Newton Compton, 1983).
Il “Monoteletismo” (o “Eresia di Sergio”), quindi, affermava che non esistevano due volontà in Cristo, umana e divina. Altrimenti, secondo i Monotelisti, la volontà “umana” di Cristo avrebbe potuto ribellarsi a quella “Divina”, andando ad inficiare la Sua venuta salvifica.
Un monaco di nome Sofronio, poi diventato Patriarca di Gerusalemme, scatenò una violenta offensiva dogmatica contro Sergio,precisando che si dovevano ammettere «due operazioni» nella volontà di Cristo”.
A questo punto, Sergio, messo alle strette, chiese aiuto direttamente al papa Onorio I.
Il figlio di Petronius Ceccanus, certamente in buona fede e non rendendosi conto della complessità e della gravità dello scontro, si schierò dalla parte di Sergio contro Sofronio. Redasse una ”Lettera apostolica” nella quale, con tutta la sua autorità papale, giunse ad affermare:
Noi confessiamo una volontà unica del Nostro Signore Gesù Cristo, perché in lui non era volontà alcuna della carne, né ripugnante al volere divino. Inoltre, se si debba difendere un’unica o doppia operazione, è cosa da lasciar decidere ai grammatici; piuttosto bisogna abbandonare le innovazioni nelle parole che possono dare scandalo, e specialmente non parlare di “una o due operazioni“. Onorio Imostrava un comportamento alla Pilato, e inoltre sembrava che si rivolgesse a dei bambini che giocavano con le parole”.
(da Claudio Rendina “I Papi. Storia e segreti”, Newton Compton, 1983).
Sofronio non si arrese e denunciò sia l’ingerenza imperiale nella diatriba, che l’esistenza di una doppia volontà di Cristo, ma morì poco dopo. Sergio, invece, convinse l’imperatore Eraclio a emanare addirittura un editto imperiale contenente una “professione di fede” sulla volontà unica del Cristo, detta “Ectesi”.
Onorio I che aveva cercato di riconciliare i Cristiani ottenne invece il risultato contrario. Generando ulteriori lacerazioni. Con il suo comportamento ambiguo attirò i fulmini dell’anatema e venne dichiarato eretico dal III Concilio di Costantinopoli (7 novembre 680-16 settembre 681) voluto dall’imperatore Costantino IV (652-685).
11. Immagine sopra: il cardinale Cesare Baronio (nato a Sora il 30 agosto 1538 – morto a Roma il 30 giugno 1607) – (Fonte Wikipedia)
 
Quasi mille anni dopo, il cardinale sorano Cesare Baronio (1538–1607) ha dimostrato che papa Leone II (682–683), nel suo breve pontificato confermò la condanna di Onorio I proprio come “eretico monotelista”.
Ma non è tutto.
Alcuni studiosi hanno attribuito ad Onorio I addirittura la compilazione del famigerato “Grimoire di Papa Onorio”.
Altri, invece (e sono la maggioranza), lo ritengono opera di un altro pontefice dal nome Onorio, Terzo in ordine cronologico. Al secolo Cencio Savelli (nato ad Albano nel 1150, eletto pontefice 18 luglio 1216, deceduto a Roma il 18 marzo 1227), detto “Cencius Camerarius” per aver ricoperto, appunto, la carica di “Camerario” nella Curia pontificia.
12. Immagine sopra: una delle diverse edizioni del famigerato “Grimoire di Papa Onorio” (Immagine fornita dal professor Roberto Volterri).
Il “Grimoire” (termine forse derivante dal lemma antico francese  “gramaire”, a sua volta debitore del latino “grammatica”), “Grimoiro” in italiano, è un codice che nel Medio Evo conteneva le istruzioni per realizzare amuleti, formule per incantesimi e quelle per l’evocazione di demoni e altre poco rassicuranti “Creature dell’Altrove”.
Il “Grimoiro di papa Onorio”, scritto ovviamente in Latino, contiene sinistre ed agghiaccianti formule di Magia nera e Necromanzia, atte ad evocare spiriti ed entità demoniache, al fine di soggiogarli e utilizzarli per ottenere vantaggi materiali.
Si riteneva infatti che taluni demoni fossero a conoscenza dell’ubicazione di antichi (e maledetti) tesori nascosti. Ad esempio, come spiega il professor Roberto Volterri, poteva essere evocato il “demone Bifrons, specializzato di soffiare sulle candele magiche per indicare così, a seconda della direzione della fiamma, il luogo ove scavare per rintracciare le favolose ricchezze nascoste chissà da chi, chissà quando”.
In realtà, l’attribuzione del “Grimoiro” ad un pontefice di nome Onorio è un falso storico. Il ““Grimoiro di papa Onorio” venne pubblicato per la prima volta a stampa nel 1629 a Roma. Gli studiosi hanno ormai accertato che venne compilato, probabilmente da un presunto mago o necromante, di area romana, o comunque laziale, nella seconda metà del XVI secolo.
Quindi molti secoli dopo la vita terrena sia di Cencio Savelli che del nostro sfortubato Onorio I, figlio di Petronius Ceccanus.
Onorio I, in fin dei conti, commise errori e venne condannato come eretico, non perché lo fosse davvero.  Ma perché era uno sprovveduto anche se in buona fede e con le migliori intenzioni (anche se…le vie dell’Inferno sono lastricate di buone intenzioni!). Ma, soprattutto, non fu certamente un necromante, praticante la Magia nera e altri riti innominabili.
(Giancarlo Pavat)

 

Immagine in basso; il cortile interno del Castello comitale di Ceccano (FR) (Archivio ilpuntosulmistero).

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