I FIORI DELL’ANIMA. Miti e misteri dei “Fiori di Bach”; di Roberto Volterri, con Susanna Volterri.

 

Immagine di apertura: A sinistra un fiore di Mimulus guttusus e destra i fiori di Impatiens

 

I Fiori dell’Anima

Miti e misteri dei “Fiori di Bach”

 

di Roberto Volterri

 

 

“Da bambino volevo guarire i ciliegi quando rossi di frutti li credevo feriti, la salute per me li aveva lasciati coi fiori di neve che avevan perduti.
Un sogno, fu un sogno ma non durò poco per questo giurai che avrei fatto il dottore e non per un dio ma nemmeno per gioco: perché i ciliegi tornassero in fiore, perché i ciliegi tornassero in fiore…”

 

 

Così inizia una stupenda ma triste canzone di Fabrizio De Andrè, intitolata ‘Un medico’ e tratta da un vecchio suo album, ‘Non al denaro, non all’Amore né al Cielo’, ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Alcuni versi della canzone ci accompagneranno lungo queste pagine…

 

 

  

2-3; immagini sopra e sotto: ‘Non al denaro, non all’Amore né al Cielo’ e il libro ‘Antologia di Spoon River’ di Edgar Lee Masters.

Significativi versi che sembrano bene adattarsi alla vita, agli obiettivi alle amarezze, alle delusioni di Edward Bach, il ‘padre’ della Floriterapia…

 

 

  1. Immagine sopra: Il dottor Edward Bach, fondatore di una terapia alternativa, basata sull’uso di sostanze floreali, che da lui prende il nome.

 

Nato il 24 settembre del 1886 a Moseley, un villaggio immerso nella verde campagna del Galles, in Inghilterra, Edward dottore lo divenne veramente, laureandosi in medicina presso l’Università di Birmingham nel 1912, affinché sul serio “…i ciliegi tornassero in fiore…”.
Curioso e riflessivo fin dalla più tenera età, egli aveva sempre amato ‘rintanarsi’ nel silenzio e nell’osservazione della natura che circondava la ‘sua’ campagna. La decisione di occuparsi delle sofferenze degli esseri umani, di fare il medico, fu molto precoce e i suoi primi anni di lavoro furono contraddistinti da infinito entusiasmo e dal desiderio, che non l’abbandonò mai, di fare di più, di andare oltre, di percorrere innovative strade, di avventurarsi in ancor sconosciuti territori di ricerca.
Il bambino curioso e riflessivo che voleva “… guarire i ciliegi…” era adesso diventato un adulto che continuava a osservare il mondo e a porsi infinite domande, senza perdersi d’animo anche quando non trovava le risposte. Esse sarebbero venute più tardi…
Il giovane medico pensava che la medicina tradizionale avesse una visione eccessivamente ‘meccanicistica’ di quella complessa ‘entità biologica’ che chiamiamo Uomo. La medicina gli appariva come una scienza incapace di prendere in considerazione l’essere umano nella sua interezza e di rispettarne la specificità. L’uomo non è soltanto una ‘macchina elettrica’, l’uomo è un’entità ‘dinamica’, un vero e proprio Microcosmo in cui la mente e il corpo non possono venire separati, in cui, ogni singolo organo è in diretto collegamento con tutti gli altri, forse con il Macrocosmo intero.

 

 

Ciliegi malati in ogni stagione…

 

Ogni uomo ha una propria storia, un proprio vissuto, proprie emozioni, sensazioni, sogni e bisogni che non possono essere ignorati. Eppure l’attenzione dei suo colleghi medici e del mondo accademico nel quale era inserito era sempre e soltanto rivolta alla malattia.

 

 

“… E quando dottore lo fui finalmente non volli tradire il bambino per l’uomo e vennero in tanti e si chiamavano “gente” ciliegi malati in ogni stagione…”

 

 

 

Per Bach non c’era alcun dubbio: quello che andava curato era l’essere umano nella sua complessità poiché non era sufficiente accontentarsi di rimuovere i sintomi delle singole patologie. Dopo un anno di pratica nel reparto di chirurgia dell’ospedale dell’University College di Londra, il giovane medico decise di dedicarsi all’immunologia.
I suoi studi lo portarono quindi a scoprire, nello stomaco di alcuni ammalati cronici, un particolare ceppo di batteri quasi assenti nello stomaco delle persone sane. Alla fine di questa ricerca riuscì a produrre un vaccino che ebbe degli ottimi risultati.
Però, totalmente assorto nelle sue ricerche, Bach si curava ben poco della propria salute. Tutto ciò potrebbe apparire un controsenso ma non è affatto raro, studiando la vita di grandi personaggi, scoprire in loro quegli errori, quell’anomalo modus vivendi che poi avrebbero riconosciuto e corretto. Soprattutto negli altri. Forse è proprio questa capacità di sbagliare e apprendere dai propri errori quello che li rende veramente ‘grandi’.

 

“… E i colleghi d’accordo i colleghi contenti nel leggermi in cuore tanta voglia d’amare mi spedirono il meglio dei loro clienti con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale: ammalato di fame incapace a pagare…”

 

 

 

 

Nel luglio del 1917, dopo molti anni di intenso lavoro reso ancora più faticoso da quella immane tragedia che fu la Grande Guerra, Edward Bach venne operato d’urgenza. La diagnosi fu terribile: secondo i suoi illustri colleghi medici, gli davano solo tre mesi di vita a causa di un tumore che presentava innumerevoli metastasi. Bach non si disperò e, invece, cominciò a porsi una domanda che per l’epoca in cui viveva poteva apparire non solo rivoluzionaria, ma quasi ‘blasfema’: e se fosse stata l’indole, lo stato d’animo del paziente a generare la malattia? Questa domanda poneva le basi per le sue successive ricerche, quelle che avrebbero portato all’identificazione dei suoi straordinari rimedi floreali.
Decise quindi di abbandonare il suo studio medico di Londra per dedicarsi completamente alle indagini su un nuovo metodo di cura, totalmente incentrato sullo studio dell’animo umano.

 

“… E allora capii fui costretto a capire che fare il dottore è soltanto un mestiere che la scienza non puoi regalarla alla gente se non vuoi ammalarti dell’identico male, se non vuoi che il sistema ti pigli per fame…”

 

Nel 1929 tornò in Galles, nella sua amata, verde campagna. I suoi vaccini, da lui stesso definiti ‘nosodi’, dovevano venire perfezionati poiché funzionavano, ma non con tutti i pazienti, e talvolta le malattie, dopo un periodo di regressione, si ripresentavano. I ‘nosodi’ altro sono in realtà costituiti da materiale patologico, utilizzato per curare o prevenire le malattie, secondo metodi molto antichi risalenti addirittura all’antica Cina di 5000 anni fa.
Ma già lo stesso Ippocrate sosteneva che “… vomitus vomitu curantur…”, ovvero, generalizzando, ogni malattia possiede in sé anche la possibilità di guarire.
E da qui il passo verso la tanto bistrattata Omeopatia o anche verso la Omotossicologia, utilizzata in Europa da cinquant’anni, fondata dal dottor H. Reckeweg nel 1952 proprio per tracciare un ponte tra Omeopatia ed Allopatia, il passo sarebbe molto breve…

 

5-6. Immagini sopra e sotto: Il dottor Hans Heinrich Reckeweg (1905 – 1985) in età giovanile e in età matura.

Ma torniamo a Edward Bach e ai suoi ‘fiori dell’anima’.
Durante le sue lunghe passeggiate immerso nella natura Bach arrivò a raccogliere e identificare i primi due rimedi: il Mimulus e l’Impatiens. Con questi fiori preparò, dei nuovi ‘nosodi’. Per la scelta dei pazienti adatti a ricevere questo metodo di cura si lasciò guidare dall’intuito, cercando le somiglianze tra pianta e profilo psicologico del paziente.
 

 

Quei fiori di neve…

 

Il Mimulus guttatus, un fiore che appare fragile, fu somministrato a pazienti che mostravano timidezza, piccole paure, insicurezza. La pianta, alta circa trenta centimetri, è originaria dell’America settentrionale, e si trova in Europa nelle regioni settentrionali umide e fredde. Fiorisce presso i corsi d’acqua ed i ruscelli, con i suoi grandi fiori gialli singoli con delle macchioline rosse, che sbocciano da giugno a settembre. Di solito si adagia su altre piante o contro i muri, come cercando protezione. Al tramonto i fiori si chiudono e si riaprono al mattino col Sole.
Quando sta per piovere i fiori si chiudono e se c’è molto vento le foglie si chiudono per proteggerle.
L’Impatiens, il fiore ‘impulsivo’, che proietta lontano da sé i propri semi, fu somministrato ai pazienti più nervosi ed eccitabili. Originaria dall’Himalaya, della regione montuosa del Kashmir, in India, l’Impatiens giandulifera è una pianta carnosa alta sino a circa due metri e cresce presso i fiumi, le sponde dei canali e su altri terreni umidi e infossati. Presenta un fusto robusto, amante dell’umidità e mostra, tra luglio e settembre, fiori grandi con colori che vanno dal bianco-rosato al rosso-lilla e che si aprono rapidamente.
Il suo nome particolare deriva dal frutto (anche non maturo) che appena viene toccato si mostra… ‘impaziente’ e proietta con forza i semi in tutte le direzioni, scaraventandoli anche a notevole distanza dalla pianta. I risultati furono subito soddisfacenti. La strada era ormai tracciata…
 

“…E il sistema sicuro è pigliarti per fame nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza, perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve, l’etichetta diceva: elisir di giovinezza…” 

 

Il periodo successivo, fino al 1932, lo vide passare intere giornate nell’osservazione delle piante e nel tentativo di ‘capire’ la vera, intima essenza dei fiori, studiandone tutti gli aspetti e le caratteristiche. Arrivò così all’identificazione dei primi dodici ‘guaritori’, legati a dodici stati d’animo negativi che era necessario riequilibrare per raggiungere una condizione di salute reale, complessiva, che tenesse conto non solo degli ‘squilibri’ del corpo ma anche di quelli dell’anima. Il metodo funzionava, ma ancora una volta non con tutti…
Edward Bach decise quindi di approfondire le sue conoscenze dell’animo umano, cercando le mille sfumature possibili che rendono ogni uomo un essere diverso da chiunque altro. Le emozioni negative fondamentali erano state in gran parte identificate: la paura, il terrore e il panico; l’atteggiamento mentale che porta a torturarsi, a dipendere dagli altri, l’indecisione, l’indifferenza o la noia che spingono a non amare più la vita; lo scoramento, l’invadenza, la debolezza e la scarsa stima di sé e delle proprie capacità; l’impazienza, la solitudine; l’entusiasmo privo di regole e di limiti, e così via…
Tuttavia ognuno di questi sentimenti doveva essere ulteriormente analizzato.
La paura, per esempio, poteva incentrarsi su qualcosa di preciso, come la morte o la malattia, ma anche essere vaga e indeterminata. Bach riprese la sua ricerca che si concluse nel 1935, con l’identificazione dei trentotto rimedi che ancora oggi sono la struttura principale del suo metodo di cura.
 

 

  1. Immagine sopra: Sono in vendita poster come questo in cui vengono riassunte le caratteristiche essenziali dei trentotto “fiori di Bach” identificati dal medico.

 

 

“… E un giudice, un giudice con la faccia da uomo mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione inutile al mondo ed alle mie dita bollato per sempre truffatore, imbroglione dottor, professor, truffatore, imbroglione.”

 

 

No, fortunatamente non si concluse affatto così il lungo, laborioso percorso umano e scientifico di Edward Bach. No non è stato di certo “un giudice con la faccia da uomo” a ‘storcere il naso’ davanti alle innovative teorie scientifiche del ‘nostro’ medico.
Fu soltanto quando tentò di insegnare ai suoi ‘indaffaratissimi’ colleghi ciò che aveva scoperto sorsero i primi insuperabili problemi che da sempre hanno costellato la vita e le avventure intellettuali di quanti si siano resi colpevoli dell’imperdonabile ‘reato’ di ‘eresia scientifica’. A partire dal ‘povero’ Galileo Galilei…
Fu forse per questo che Edward Bach chiese lui stesso di essere ‘depennato’ dall’Ordine dei Medici, dichiarando di voler essere considerato solo e soltanto… un erborista.
In pace con la propria coscienza, ma forse molto amareggiato per come la classe medica aveva accolto il suo innovativo, efficace metodo terapeutico, morì nel sonno, nella sua casa di Mount Vernon, nel Sussex, ora sede del Bach Centre. Era il lontano 27 novembre del 1936 ed erano trascorsi ben diciannove anni da quella diagnosi, della medicina ufficiale, che gli aveva dato soltanto tre mesi di vita…

(Roberto Volterri)

 

8-9-10 immagini sopra e sotto: Alcuni libri sui “Fiori di Bach”

 

L’Unità del Tutto: “Come in alto, così in basso”

 

L’Uomo pensa, ama, soffre, ammira e prega, nello stesso tempo con il cervello e con tutti i suoi organi”,

                                                                     (Alexis Carrel, Premio Nobel per la medicina nel 1912)

 

Come psicologa e psicoterapeuta ritengo che prendersi cura della psiche sia molto importante poiché essa ‘governa’ sotto molteplici punti di vista il nostro corpo. Ne sanno qualcosa gli studiosi della cosiddetta medicina psicosomatica…
Non a caso il vecchio concetto di malattia intesa come effetto di una causa, è stato sostituito con una visione multifattoriale, secondo la quale ogni evento è conseguente all’intrecciarsi di molti fattori, tra i quali sta assumendo sempre maggior importanza il fattore psicologico. Si ipotizza inoltre che quest’ultimo, a seconda della sua natura, possa agire sia favorendo l’insorgere di una malattia sia, al contrario, favorendone la guarigione.

 

11. Immagine  sopra: Alexis Carrel, Premio Nobel per la Medicina nel 1912, considerava l’esser umano come un complesso organismo in cui ogni singolo organo interagirebbe con il resto del ‘Microcosmo’ di cui esso stesso fa parte e, insieme, con l’infinito Macrocosmo in cui è immerso.

12. Immagine in basso: la dottoressa Susanna Volterri, Psicologa e Ph.D in Psicologia applicata alla Medicina dello sport, coautrice di queste brevi note e interessata anche alle Medicine alternative.

E uno dei modi per fronteggiare il malessere psichico con tutte le sue ripercussioni sul ‘soma’ può essere proprio la Floriterapia ideata da Bach. I fiori, soprattutto selvatici, vengono raccolti in zone incontaminate e nel momento di massima fioritura, quando il loro potenziale energetico raggiunge il culmine. Le essenze vengono ottenute mediante due diversi procedimenti, entrambi del tutto naturali.
Il metodo base consiste nel porre i fiori in un contenitore di vetro pieno d’acqua preferibilmente di sorgente, in ogni caso ‘pura’. Il contenitore viene poi lasciato al sole quattro ore, quindi si eliminano i fiori, si filtra l’acqua e si aggiunge una pari quantità di brandy come conservante. Ma esiste anche il procedimento della ebollizione che ricorre sempre ad acqua purissima e brandy come conservante. Bach sosteneva inoltre che l’unico modo per guarire davvero è quello di scoprire l’errore esistenziale che alberga dentro di noi. Per fare ciò consigliava di fermarsi in raccoglimento su se stessi per almeno qualche minuto ogni giorno, per fare chiarezza sul proprio stato emotivo, sui propri desideri sulle proprie frustrazioni, insomma per capire quello che davvero non va nella nostra vita. Questa è la componente psicologica che più mi sta a cuore, ma – da un punto di vista prettamente farmacologico, chimico – come è possibile che una semplice essenza possa avere degli effetti tanto profondi?
Una delle ipotesi sostenute da chi studia e utilizza i rimedi di Bach è che l’acqua in cui sono diluite le essenze metta in risonanza la “vibrazione energetica” del fiore con il “campo energetico” del paziente, riequilibrando le disarmonie di quest’ultimo. Un’altra ipotesi riconduce alle scoperte di Hahnemann, il padre dell’Omeopatia: un rimedio è in grado di curare una malattia provocando sintomi uguali a quelli della malattia stessa in base al detto sapienziale ‘Similia similibus curantur’.

 

13-14: immagini sopra e sotto: Christian Friedrich Samuel Hahnemann (1755  1843) medico tedesco, fondatore della Omeopatia e Dietmar Kramer, ideatore di un diverso approccio alla teoria dei “Fiori di Bach”.

Bach, come abbiamo visto, scelse i suoi rimedi utilizzando fiori che avessero le stesse caratteristiche dei sintomi da curare…
Lo studioso Dietmar Kramer propone un modello diverso: egli divide i fiori in due gruppi, i fiori esteriori, cioè quelli che curano stati negativi derivanti da eventi esterni all’individuo, e fiori interiori. Questi ultimi sono a loro volta divisi in fiori di comunicazione, di compensazione e di decompensazione, proponendo così un modello tripartito dello sviluppo della personalità.
Anche l’italiano Stefano Boschi nel suo interessante libro ‘Il sentiero dell’anima’ propone un modello simile, fondato sulla suddivisione in rimedi di tratto, cioè che si riferiscono a modalità globali di funzionamento della personalità, e rimedi di stato, riferiti a problematiche più focalizzate. Ma qui il discorso, dal punto di vista della Psicologia, si allargherebbe a macchia d’olio ed è meglio parlarne… in un’altra occasione.

 

(D.ssa Susanna Volterri, Psicologa e Ph.D in Psicologia applicata alla Medicina dello sport.)

 

 

Libro, di prossima uscita, dedicato all’attività sperimentale che potrà consentire al lettore di “partecipare” attivamente a molti degli strani “Lampi di Genio” descritti…

 AMAZON Edizioni

 

 

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