I VOLI NOTTURNI E LE ERBE DELLE STREGHE; di Alessandra Filiaci.

 

I VOLI NOTTURNI E LE ERBE DELLE STREGHE.
Superstizioni, unguenti soporiferi e stati alterati di coscienza.

di Alessandra Filiaci

 

Immagine di apertura: Una strega che nutre i suoi famigli. Stampa inglese del 1579.

(Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Strega)

Tra la metà del XV secolo e la metà del XVIII l’Europa fu teatro di una follia persecutoria senza precedenti: furono processate, torturate e mandate a morte per il crimine di stregoneria migliaia di persone, per la maggioranza donne, per lo più appartenenti alle classi sociali inferiori, solitamente vedove o nubili senza un protettore maschile.
Testimonianza di quella follia sono gli atti dei processi, le opere dei teologi, dei giuristi, degli inquisitori, degli eruditi che ci hanno lasciato in eredità l’immagine stereotipata della strega operatrice del male alleata del diavolo, cospiratrice contro l’ordine politico e sociale.
Fra i crimini attribuiti alle streghe figurano: lussuria, antropofagia, vampirismo, capacità, grazie ai loro malefici, di causare malattia e morte, siccità, epidemie, rovina dei raccolti, rottura di unioni amorose. Come se non bastasse, si voleva che esse fossero in grado di trasformarsi e trasformare altre persone in animali, di passare attraverso porte chiuse, di volare cavalcando demoni, animali, bastoni, scope, panche, sgabelli.

2. Immagine sopra: Albrecht Dürer (1471-1521), La strega. Kupferstichkabinett, Staatliche Museen, Berlino. (Fonte: https://storicamente.org/debenedictis_link1)

Il gesuita Friedrich Spee von Langelfeld (spesso citato come Friedrich von Spee; 1591 – 1635), autore della Cautio criminalis seu de processibus contra sagas (pubblicata anonima nel 1631), grazie alla sua attività di confessore delle condannate avviate al supplizio, ebbe modo di rendersi conto di quante innocenti fossero ingiustamente condannate al rogo (pur convinto della realtà della stregoneria), a causa dell’iniquità del sistema attraverso il quale gli inquisitori giungevano alla ‘verità’, che corrispondeva sempre ad un’ammissione di colpevolezza da parte delle imputate, le cui confessioni erano estorte con la tortura. Ottenuta la confessione, esse erano costrette ad indicare altre colpevoli, i cui nomi erano suggeriti dai giudici e dalle guardie, o che avevano sentito nominare in precedenza come donne in fama di stregoneria, o già denunciate, o arrestate una volta e poi rilasciate. Un sistema fondato sulla superstizione popolare, su maldicenze, dicerie, invidia ed anche interessi personali.

 

 

3. Immagine sopra: Ritratto di Friedrich Spee von Langelfeld. Dipinto ad olio del XVII secolo realizzato a Colonia.
(Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Friedrich_Spee#/media/File:Fridericus_Spee_SJ.jpg)

Ricordiamo il caso di una donna di Nave in Lombardia, Benvegnuda chiamata Pincinella, la quale aveva “fama di strega”.

Tale fama fu confermata da alcuni suoi conoscenti, i quali dopo essere stati ammoniti sulle conseguenze delle loro azioni, avere ricevuto i sacramenti e giurato, promisero di dichiarare solo la verità, rispondendo alle domande che venivano rivolte loro. Un uomo testimoniò di aver sentito dire che essa aveva gettato maledizioni su molte persone, fatto morire bambini, causato tempeste. Una donna sostenne che parecchie volte era andata da lei per farsi curare e che Benvegnuda era in grado di capire il tipo di malattia tenendo semplicemente una cordicella fra le mani. Un altro testimone affermò di averla vista molte volte fare incantesimi stringendo un pezzo di corda e invocando Dio, poi di averla sentita pronunciare frasi che egli non era riuscito a comprendere e di avere visto la corda tremare; inoltre, che l’imputata gli aveva insegnato un incantesimo per far sì che che un uomo s’innamorasse di una donna e viceversa. Un altro uomo, alla domanda se Benvegnuda avesse guarito e medicato delle persone rispose affermativamente. L’imputata, già una volta riconosciuta strega, incantatrice, eretica, e processata e rilasciata dopo avere scontato la sua pena, fu ritenuta colpevole di essere ricaduta nel peccato.

Ella confermò le accuse, prodigandosi in dettagli; raccontò dei suoi commerci coi demoni, delle riunioni di donne ed uomini, che, come lei, avevano rinnegato la fede cristiana, sul monte Tonale, dove essi ballavano, suonavano, cantavano e banchettavano. Benvegnuda, convocato un consiglio di dotti uomini esperti in teologia, diritto canonico e civile, trovata colpevole secondo i canoni ecclesiastici, <<recascada in essa eretica pravitate>>, benché trovata pentita e dispiaciuta, fu consegnata al <<brazo et judicio secular>>, pregato <<che circa la effusione del sangue et il pericolo de la morte voglino moderar la soa sententia>>. Correva l’anno 1518.

In una lettera del giurista Alessandro Pompeio datata 28 luglio di quello stesso anno, indirizzata <<a sier Zuan Zustignan>>, vengono descritte le eresie in Valcamonica, <<ne qual valle fin ad hora è stà brusati da zercha 60 femine et forsi 20 homeni tutti vivi>>.

Si legge che queste bestie heretiche <<hanno electo un monte, el qual se chiama Monte Tonale, nel qual se reduseno ad foter e balare; qui afirmano che non trovano al mondo nihil delectabilius, et che onzendo uno bastone, montano a cavallo et eficitur equitus sopra il quale vanno a dito monte, et ibi inveniunt el diavolo, quale adorano per suo Dio et signore, et lui ge dà una certa polvere, con la quale dicte femene et homeni fanno morir fantolini, tempestar, et secar arbori et biave in campagna, et altri mali, et butando dicta polvere sopra uno saxo, si speza>>.

4. Immagine sopra Streghe a cavallo di una scopa e di un bastone nella versione manoscritta dell’opera Le Champion des dames di Martin Le Franc (ca. 1410 – 1461). (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Strega)

Non era raro che le donne alle quali ci si rivolgeva per essere guariti fossero in seguito accusate di compiere malefìci.

Restando in Italia possiamo ricordare Bellezza Orsini.

Bellezza, nata a Colle Vecchio, in Sabina, probabilmente tra il 1475 e il 1480, figlia naturale di Pietro Angelo Orsini del ramo Mugnano-Foglia, fu al servizio degli Orsini di Monterotondo, dove, come si legge nei suoi interrogatori, iniziò la sua ‘attività’ di strega.

Bellezza fu arrestata in seguito alle accuse rivolte contro di lei da svariati testimoni per crimini diversi. La donna cercò strenuamente di difendersi, dichiarandosi capace di guarire, aggiustare ossa rotte, lenire dolori con un suo “olio fiorito”, ma affermando con decisione di non essere “strea”.

Ella chiese di essere inviata in un monastero e promise al giudice ricchezza e fortuna; interrogata di nuovo, fece intuire di possedere certi poteri e conoscenze delle quali, tuttavia, sostenne di avere fatto pochissimo uso e solamente per provocare malanni di poco conto in persone che l’avevano offesa.

Bellezza disse pure di essere in possesso di un libro contenente tutti i segreti del mondo, buoni e cattivi, che aveva prestato a gran maestri e signori e che si disse pronta a presentare ai giudici affinché anche loro potessero beneficiarne.

Fu la tortura alla quale ella era stata sottoposta (consistente nello slegamento dei polsi e delle spalle) a convincerla ad ammettere la sua colpevolezza.

Bellezza dichiarò anche di avere appreso le arti della magia da un’altra strega e di possedere una micidiale polvere ottenuta dal corpo di un bimbo morto senza battesimo.

L’antidoto, in realtà, come rivelò Bellezza quando il giudice le domandò come facesse, lei che usava quella polvere, a non riceverne alcun male, era dell’incenso benedetto in determinate occasioni.

Bellezza si dilungò anche nella descrizione del Sabba notturno con il diavolo attorno al noce di Benevento.

Tra le altre cose, la donna affermò che vi partecipava un numero immenso di fattucchiere, raccolte in squadre, ciascuna capitanata da una patrona e che tutte le patrone dipendevano dalla regina, Befania, alla quale si rivolgevano le patrone per comporre le discordie; per fare il male le streghe però non si rivolgevano a lei, ma al diavolo.

Ella, inoltre, precisò che si poteva parlare della strearia soltanto con gli iniziati, per preciso ordine del demonio, tuttavia tutto quello che aveva detto era la pura verità.

Terrorizzata all’idea della condanna al rogo, riportata in cella Bellezza si conficcò un chiodo in gola. Alla moribonda fu domandato perché avesse compiuto quel gesto. La sua risposta fu: tentazione del demonio.

Il processo alla Orsini, datato 1528, fu uno dei primi ad essere trascritto integralmente in volgare italiano; insieme al fascicolo del procedimento giudiziario i posteri hanno ereditato anche la sua confessione autografa, rarissimo documento manoscritto di una strega, scritta prima di uccidersi, come è facile immagine con un immane sforzo.

La sua scrittura, è stato rimarcato, porterebbe a pensare ad un’autografia legata a una sfida suprema, comportamento peraltro del tutto compatibile con la personalità emergente dal processo, lasciata come segno di sé prima di <<evadere de hoc mundo>>, come Bellezza dichiarò al momento della morte.

Riguardo al misterioso libro menzionato da Bellezza, è stato ipotizzato che possa trattarsi dell’Herbolario volgare edito a Venezia a partire dal 1522; tale libro, considerato che la donna lo definì <<livrone>>, è probabile che fosse stato integrato dalla donna con informazioni tratte da conoscenze orali.

È interessante notare un’osservazione della donna sulla stregoneria:

<<quante più cose cierchi de inparare tante più sonno quelle che trovi da ‘nparare, che prima nemanco te tenevi sentimento, e più vai inanti più vo’ ire e non te ne cuntenti, così è la strearia>>.

5. Immagine sopra;  Francisco Goya, El Aquelarre (1797-1798). Museo Lázaro Galdiano, Madrid.
(Fonte: https://fundaciongoyaenaragon.es/obra/el-aquelarre/526).

 

A lungo dibattuta è stata la questione se le streghe appartenessero o meno ad una religione strutturata ed organizzata, sopravvivenza di un antico culto della natura, nella quale, peraltro, la spaventosa figura del diavolo tratteggiata dagli eruditi cristiani era assente.

Secondo diversi studiosi si deve ritenere che furono senz’altro teologi e giuristi a dare corpo ad una immaginaria setta di streghe demonizzando pratiche e credenze popolari, residui del paganesimo, ancora vive nelle campagne europee.

Le donne incriminate per stregoneria erano sovente le levatrici, facilmente esposte, in tempi di alta mortalità per parto, all’accusa di provocare il decesso delle puerpere e dei neonati, e le herbariae, che curavano i piccoli malanni delle persone e degli animali all’interno delle loro comunità, categorie entrambe invise alla classe medica.

Come ha rilevato Mircea Eliade, vari studi hanno messo in evidenza non soltanto l’assurdità delle accuse principali mosse contro le donne imputate di stregoneria, ma anche che lo scenario mitico-rituale non fu semplicemente un’invenzione di teologi ed inquisitori.

Una parte delle vittime, incapaci di commettere i crimini di cui vennero accusate, riconobbe di avere praticato cerimonie magico-rituali di origine e struttura pagana, vietate da tempo dalla Chiesa, pur se in qualche caso superficialmente cristianizzate.

Si trattava di una eredità mitico-rituale che faceva parte della religione popolare europea.

La caccia alle streghe attuata per <<estirpare un culto satanico e criminale che, secondo i teologi, minacciava le fondamenta stesse della fede cristiana (…) si prefiggeva la liquidazione delle ultime sopravvivenze del paganesimo, cioè – in sostanza – dei culti della fertilità e degli scenari iniziatici: il risultato fu però l’impoverimento della religiosità popolare e, in talune regioni, la decadenza delle società rurali>>.

6. Immagine sopra : Torture in un’incisione del 1508.
(Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Caccia_alle_streghe)

 

Cristoph Daxelmüller ha osservato che le fonti permettono soltanto di cogliere il concetto elitario di magia e il punto di vista dei teorici cólti:

<<dobbiamo il nostro sapere su maghi, streghe e pratiche magiche fino a tutto il XVII secolo esclusivamente al punto di vista dell’élite intellettuale. Lo sguardo di coloro che redigevano i protocolli dei processi dunque, di teologi e avvocati a cui dobbiamo le note scritte, non era solo ben focalizzato, ma anche preimpostato; si sapeva su cosa fermare l’attenzione, che cosa bisognava annotare e come si dovevano fare le domande>>.

Altri studiosi hanno notato che la strega appare essere più che un’entità reale una figura creata ad usum da teologi e giuristi, plasmata ricercando nei testi, a cominciare dalle Sacre Scritture, gli elementi utili a darle forma.

Già Johann Wier (1515-1588), medico allievo di Agrippa, nel De lamiis, sminuendo in certo modo l’autorità del Malleus Maleficarum (1a ed. datata 1487), per oltre un secolo considerato il testo più autorevole in materia di stregoneria e di caccia alle streghe, rilevò come – al suo tempo – fosse consuetudine ogni volta che si cominciava a discutere sulle azioni delle streghe – in realtà povere vecchie in questo modo bollate dal volgo, chiamate streghe <<per la loro somiglianza con le strigi o upupe, che succhiano il sangue dei bambini nella culla>> – citare quei passi delle Sacre Scritture ove si potevano leggere le parole mago, incantatore, malefico, ingannatore, venefico, e riferirli immediatamente alle donne che in una forma quanto mai sommaria venivano indicate come streghe o fattucchiere, mentre, in realtà, si trattava per lo più di vecchiette ignoranti, illetterate, sciocche, sedotte dal diavolo che le ingannava con immaginazioni fallaci a tal punto che esse arrivavano a confessare sempre cose che in realtà mai avrebbero potuto fare, giacché la natura non lo permette.

7. Immagine sopra:  Frontespizio di un’edizione del 1669 del Malleus Maleficarum. (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Malleus_Maleficarum)

 

<<Nel mio libro Sugli inganni dei demoni, ho già dimostrato diffusamente come il demonio non abbia mai potuto fare dal nulla o trasformare alcunché, né tanto meno lo possono fare gli spiriti suoi seguaci. Queste son cose che avvengono solo per virtù ed opera di Dio, e prerogative di cui egli non ha mai fatto partecipe nessuno; e protestino e si infurino pure di quanto dico certi uomini che hanno sete di sangue>>.

Wier attribuì allo <<scaltro e antico ingannatore>> la maggior parte delle azioni che <<sempre sono state attribuite alla strega>>.

È il diavolo, rimarcò il Nostro, a fornire alle streghe, per danneggiarne la mente, preparati naturali soporiferi, che spalmati e frizionati sulla pelle, procurano a queste donne l’illusione di volare attraverso i camini, viaggiare per l’aria ovunque, subire amplessi ed altro ancora.

8. Immagine sopra; Johann Wier (1515 – 1588), allievo di Agrippa di Nettesheim.
(Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Wier)

Egli fece anche riferimento ad un passo del Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV, scritto da Giovan Battista della Porta (1535-1615), ove si legge:

<<Un così violento desiderio di compiere opere magiche, abusando dei doni che la natura ci offre, possiede la mente degli uomini che essi si danno a preparare gli unguenti propri delle streghe con sostanze di diverso tipo: e benché quelle vi aggiungano poi una gran quantità di pratiche superstiziose, a chi indaga veramente appare chiaro che tutto il loro effetto deriva da proprietà naturali>>.

L’autore quindi passa a riferire <<tutto ciò che ho udito da loro>>.

Riassumiamo la descrizione delle operazioni. Al grasso dei bambini bollito in un recipiente di bronzo vengono aggiunti svariati ingredienti, tra i quali vengono menzionati aconito, foglie di pioppo, sangue di pipistrello, <<erba morella soporifera>>, sedano, <<calamo aromatico comune>> ed olio.

L’unguento così ottenuto viene spalmato su tutto il corpo, <<avendo cura di sfregarsi ben bene prima in modo che la pelle si arrossi, si richiami ad essa il calore e si sciolga tutto ciò che il freddo ha indurito; e perché la pelle si rilassi ed i pori si schiudano bene aggiungono ancora del grasso o dell’olio rimasto, di modo che la virtù del preparato penetri all’interno e acquisti potere e vigore (né ho alcun dubbio che ciò avvenga)>>.

In tal modo, si produce in quelle donne credule un effetto tale che esse immaginano soltanto di essere portate in volo a convegni e banchetti e di unirsi a bei giovani.

<<A ciò è di aiuto il fatto che non si nutrono di altro cibo se non barbabietole, radici, castagne e legumi>> (cibi <<flatuosi>>, che fanno sognare di volare).

È interessante notare che secondo la superstizione popolare le castagne erano efficaci per arrestare la leucorrea e favorire l’amplesso rendendolo più piacevole; per lenire i dolori era indicato un unguento a base di pioppo; al sedano era attribuita la virtù di far innamorare, rendere passionali e guarire dalla frigidità; infine, il sangue di pipistrello trovava impiego come veleno ed il calamo aromatico come antidoto.

9. Immagine sopra;  Le streghe di North Berwick incontrano il diavolo (incisione del 1591).
(Fonte: https://www.wikiwand.com/it/Processo_alle_streghe_di_North_Berwick)

L’osservazione sugli alimenti delle streghe ed il riferimento all’utilizzo dell’aconito e dell’erba morella sono particolarmente interessanti. L’aconito (Aconitum; etimologia incerta) è un genere di piante erbacee appartenente alla famiglia delle Ranuncolaceae, molto comune nelle aree montane dell’Europa, dell’Asia e del Nord America.

Fin dall’antichità è documentata la sua elevata tossicità; tutte le specie del genere Aconitum sono velenose per gli alcaloidi che contengono: aconitina, napellina, pseudoaconitina.

I Greci usavano l’aconito come veleno giudiziario, al pari della cicuta; Cinesi ed Indiani avvelenavano con aconito le punte delle frecce.

Altrettanto documentato è il suo impiego a scopo curativo; la specie medicinale più importante è l’Aconitum napellus, ma attualmente il suo unico impiego è in ambito omeopatico. In passato la pianta veniva utilizzata per il trattamento di dolori nevralgici, muscolari, reumatici, infiammazioni cutanee. I tipici sintomi dell’avvelenamento da aconitina sono diversi, tra i quali senso d’angoscia, vertigini ed alterazione del ritmo cardiaco, fino al collasso cardiorespiratorio.

L’erba morella è una pianta erbacea della famiglia delle Solanaceae (nome scientifico Solanum nigrum; incerta l’etimologia del nome del genere; l’epiteto specifico indica il colore dei frutti).

La si trova nei campi, nei terreni incolti e nei ruderi. Il suo impiego in terapia ebbe vasta diffusione durante il Medioevo per le sue diverse proprietà curative; la medicina popolare in passato consigliava l’uso delle foglie schiacciate della pianta come rimedio per bruciature e foruncoli. A lungo considerata commestibile, oggi il suo uso alimentare è sconsigliato. I preparati di erba morella ingeriti in dosi elevate possono determinare sintomi di avvelenamento da solanina; l’intossicazione si manifesta con disturbi a carico dell’apparato gastrointestinale, disfonia, vertigini, allucinazioni visive, fino alla paralisi cardiaca e respiratoria con esiti fatali.

10. Immagine sopra: Jean Amable Amédée Pastelot, Les Sorcières (1863 – 1864). MAH Musée d’art et d’histoire, Ville de Genève.
(Fonte: https://collections.geneve.ch/mah/oeuvre/les-sorcieres/e-2015-0699-014)

Dobbiamo considerare verosimile, come sostengono alcuni autori, che le streghe facessero uso di certe piante per provocarsi volontariamente allucinazioni col proposito di sfuggire alla miseria nella quale vivevano? Oppure, dobbiamo ritenere che in molti casi esse assumessero, e facessero assumere, incautamente preparati contenenti piante facilmente reperibili quanto velenose se usate a sproposito? Pensiamo all’intossicazione alimentare da farine prodotte da cereali contaminati da Claviceps purpurea (fr. ergot, da cui: ergotismo), fungo ascomicete parassita delle graminacee. Il fungo si manifesta nella spiga con strutture chiamate sclerozi, contenenti alcaloidi, tossici per i mammiferi.

Tra i sintomi provocati dall’ingestione di questo fungo: disturbi circolatori agli arti, convulsioni, allucinazioni. È interessante notare che in passato gli sclerozi della segale cornuta (la segale infettata da questo fungo sviluppa degli sclerozi simili a piccole corna, da cui il nome: segale cornuta) venivano utilizzati nella medicina popolare come rimedio emostatico, emmenagogo ed abortivo, in caso di menorragia, metrorragia, atonia dell’utero ed anche emicrania.

 

 

 

11. Immagine sopra: Il ‘diabolico’ volo. Incisione inglese del XVII secolo.

Alcuni autori hanno rimarcato come sia impossibile stabilire con certezza se le piante ‘magiche’ fossero sempre utilizzate consapevolmente, con l’intento di ottenere determinate visioni a fine voluttuario, o se in molti casi se ne ignorassero le proprietà allucinogene.

Peraltro, è stato pure osservato, non si può negare l’importanza della suggestione, ed anzi è verosimile che certi effetti potessero prodursi spesso proprio grazie ad essa.

Si deve notare, d’altra parte, che l’impiego di sostanze allucinogene in rituali sociali e religiosi è ampiamente documentato in un gran numero di culture tradizionali.

A questo proposito l’antropologo Patrizio Warren ha osservato che, in un tentativo di generalizzazione, si può ipotizzare che se da un lato le esperienze indotte dagli allucinogeni mostrano affinità sostanziali al livello di certi eventi fisio-psichici elementari, in gran parte indipendenti dal contesto culturale, dall’altro assistiamo ad una vera e propria ‘appropriazione’ da parte di questo stesso contesto culturale di alcuni aspetti dell’esperienza, che si rivelano funzionali, una volta resi culturalmente significativi, ad una determinata rappresentazione del reale.

12. Immagine sopra; Due streghe intorno al calderone (xilografia del 1489). (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Strega)

 

Johannes Nider (1380-1438) nel suo Formicarius riportò la confessione di un imputato il quale riferì quanto segue:

<<Con la sostanza più liquida riempiamo una fiasca o un otre dal quale, chi beve, con l’aggiunta di alcuni rituali, viene reso cosciente e diviene maestro della nostra setta. (…) Infine dall’otre beve il liquido sopraddetto; fatto ciò sente nascere dentro di sé le immagini della nostra setta e la consapevolezza dei riti principali di questa>>.

Secondo l’etnopsicologo Gilberto Camilla, l’ipotesi che effetti psicoattivi siano stati alla base delle esperienze mistiche descritte dalle streghe è molto più che verosimile; negarlo sulla base di una presunta mancanza di competenze farmacologiche è altrettanto riduttivo quanto tentare un’interpretazione della strega esclusivamente in termini di psicopatologia (secondo altri autori la stregoneria altro non sarebbe che il prodotto della malattia mentale e dell’emarginazione), altrettanto quanto ridurre il complesso fenomeno come un mero ‘culto psichedelico’.

Probabilmente, ha rimarcato Camilla, il gruppo di piante più importante ad essere stato usato non soltanto nella stregoneria europea, ma forse dall’umanità intera, per mettersi in contatto con le forze soprannaturali, appartiene alla famiglia delle Solanacee.

I membri psicoattivi di questa famiglia sono diffusi sia nel Vecchio sia nel Nuovo Mondo, e includono un gran numero di dature, chiamate con una varietà di appellativi che suggeriscono le proprietà psicotrope della pianta: Seme del Diavolo, Tromba del Diavolo, Mela Pazza, Mela del Diavolo, Tromba di Gabriele, eccetera.

Le Solanacee contengono alcaloidi ad azione allucinatoria, come l’atropina, utilizzabili senza particolari e difficoltose manipolazioni. Una caratteristica importante dell’atropina, in particolare, è che essa viene assorbita anche attraverso la pelle, e questo ci porta alla composizione degli “unguenti delle streghe”, nei quali, secondo Camilla, dobbiamo ricercare l’elemento essenziale delle esperienze soggettive delle cosiddette streghe.

 

13-14  e 15. Immagini sopra;  Datura stramonium; Hyoscyamus niger; Atropa belladonna.

(Fonti rispettive: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Illustration_Datura_stramonium0.jpg;
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Hyoscyamus_niger_-_K%C3%B6hler%E2%80%93s_Medizinal-Pflanzen-073.jpg;
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Illustration_Atropa_bella-donna0.jpg.)

Tra le piante più velenose della famiglia delle Solanacee figurano Stramonio, Giusquiamo e Atropa Belladonna.

Lo Stramonio (lat. Datura stramonium; il nome del genere deriva dall’indiano dhatura: ‘mela spinosa’, con riferimento ai suoi frutti spinosi dalla forma simile a quella delle mele; l’epiteto specifico è di origine incerta) è una pianta erbacea originaria dell’America tropicale; in Italia fu introdotta dopo il 1500 come pianta ornamentale.

Essa cresce in terreni incolti, ruderi, arenili, lungo le strade, in pianura e in montagna. Contiene alcaloidi tropanici molto tossici, fra cui scopolamina e iosciamina. I sintomi dell’avvelenamento (eccitamento, delirio, vertigini, disturbi visivi, allucinazioni) hanno fatto meritare allo Stramonio gli appellativi significativi di erba del diavolo ed erba delle streghe.

Sotto stretto controllo medico la tintura di Stramonio è utilizzata come sintomatico nelle forme di tremore. I fiori si aprono di notte ed emanano un odore fetido che si credeva fosse particolarmente gradito agli esseri infernali e alle streghe.

Il Giusquiamo (genere Hyoscyamus; la specie più importante è Hyoscyamus niger, comune in Europa, Asia occidentale e Africa boreale), è una pianta erbacea che ha il suo habitat naturale nei terreni incolti aridi e presso i ruderi. Le foglie e i semi contengono gli alcaloidi atropina, iosciamina, scopolamina; l’avvelenamento si manifesta con rapido aumento del battito cardiaco, pupille dilatate, secchezza della bocca, nausea, allucinazioni, fino all’arresto respiratorio ed al coma.

Tradizione vuole che il maiale possa mangiarne senza subire conseguenze letali, da cui il nome greco hyoskýamos: “fava di porco”.

Gustav Shenk sperimentò su di sé il suo ‘potere’ inalando fumi di semi di Giusquiamo e descrisse, in The Book of Poisons (1955), la sua esperienza in un misto di esaltazione e paura, raccontando, tra l’altro, di sentire il suo corpo dissolversi e di librarsi in alto preda di allucinazioni.

L’Atropa Belladonna (genere Atropa) è una pianta erbacea che si trova facilmente nei boschi di montagna.

Il nome Atropa fu ispirato a Linneo da quello di una delle tre Moire della mitologia greca, Atropo, la più anziana, che recide, inflessibile, il filo della vita.

Il nome Belladonna deriva dall’uso cosmetico che ne facevano le dame del passato: secondo alcuni autori, dalle bacche veniva estratta una tinta utilizzata come belletto; secondo altri, l’acqua distillata della pianta era usata dalle veneziane per dilatare le pupille col fine di rendere lo sguardo più seducente.

Secondo una terza interpretazione, il nome deriverebbe dal francese belle-femme, termine che nel Medioevo designava le streghe che si servivano della pianta per preparare pozioni ed unguenti.

È interessante notare che la pianta era considerata anche un efficace scaccia-spiriti maligni: a tale scopo era sufficiente interrare due piante di Belladonna all’inizio del viale che conduceva alla casa e tenerne fiori e steli all’interno dell’abitazione.

Tutta la pianta, una tra le più utilizzate in farmacologia e fitoterapia per curare svariati disturbi, è estremamente velenosa se usata a sproposito, contenendo alcaloidi tropanici fortemente tossici (atropina, iosciamina, scopolamina). I sintomi dell’avvelenamento sono diversi, tra i quali: secchezza della bocca, raucedine, tremito, dilatazione delle pupille, cefalee, vertigini seguite da allucinazioni visive e auditive, delirio.

Come appropriatamente scriveva Paracelso: <<Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto>>.

(Alessandra Filiaci)

 

Riferimenti bibliografici.

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Rangoni, L. La magia con la natura. Xenia 2004 (prefazione di Gilberto Camilla).

Wier, J. Le streghe. Sellerio Editore 1991.

Brambilla, S e Toffolo A. (Introduzione e trascrizione a cura di ) Lo scontro sulla stregoneria in Valle Camonica tra la Repubblica di Venezia e il Papato nei documenti del 1518-1521.
<https://www.circologhislandi.net/wp-content/uploads/2010/09/diarii_del_sanudo.pdf>.

Le immagini sono state fornite dell’autrice.

 

 

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