PISTERZO, IL PAESE DIMENTICATO – di Giancarlo Pavat e Orazio Vignola.

1 Scorcio di pisterzo

Scorcio di Pisterzo

PISTERZO, IL PAESE DIMENTICATO

di Giancarlo Pavat e Orazio Vignola

(con la collaborazione di Giulio Coluzzi)

Il centro abitato di Pisterzo (LT) sorge sul colle facente parte della catena degli Ausoni, posto di fronte a quello di Prossedi, del cui territorio comunale fa parte.

Posizione strategica e panoramica, domina l’alta valle del fiume Amaseno e i paesi di Prossedi (LT), Amaseno, Giuliano di Roma e Villa S. Stefano (FR).

Pisterzo, sarebbe stato fondato dai superstiti dell’abitato di Tertium, posto a fondo valle (non lontano dal Castrum Sancti Laurenti, oggi Amaseno in provincia di Frosinone, più o meno dove è ancora visibile una diruta torre di avvistamento dei Conti di Ceccano, nota anche come “Torre de Pineis”) e distrutto dalle soldataglie di Papa Onorio II nel XII secolo.

Torre di Pisterzo nella valle dell’Amaseno – foto G. Pavat

Torre di Pisterzo (o de Pineis) nella valle dell’Amaseno – foto G. Pavat


Nel punto più alto di Pisterzo sorge la Chiesa di San Michele Arcangelo,  Patrono di Pisterzo,  di antiche origini ma totalmente rifatta nel 1924.

Dotata di protiro, di tre navate divise da 12 colonne e con un piccolo campanile.

Non lontano dalla chiesa si incontrano due edifici che costituiscono la memoria storica del paesino. Una casa-torre nota come “Palazzo del capitano” e l’adiacente (e attualmente circondato da impalcature e ponteggi essendo in ristrutturazione) Palazzo Gabrielli.

Campanile della chiesa di San Michele Arcangelo a Pisterzo – foto G. Pavat

Campanile della chiesa di San Michele Arcangelo a Pisterzo – foto G. Pavat


Una caratteristica di Pisterzo sono alcune chiavi di volta che recano il Trigramma Cristico IHS e i tre Chiodi della Crocifissione. Spesso recano anche la data di realizzazione del portale (l’edificio in genere è precedente). Le più antiche risalgono al XVIII secolo.

Il Trigramma è diffusissimo in tutta la Cristianità.  Le tre lettere sono le iniziali del nome di Gesù in greco; “Jesus Hristòs Sotèr” ovvero “Gesù Cristo Salvatore”.  Spesso vengono tradotte in latino come: “Iesus Hominum Salvator”, “Gesù Salvatore degli Uomini”.

Da registrare che alcuni ricercatori vi hanno visto l’abbreviazione del famoso motto costantiniano  “In Hoc Signo (Vinces)”,  “Con questo Segno vincerai”,  che l’Imperatore Costantino avrebbe visto in cielo (o sognato durante la notte, a seconda delle versioni)  assieme alla Croce di Cristo, prima della battaglia di Ponte Milvio dl 312 d.C..

Chiesa di San Michele Arcangelo a Pisterzo (LT) – foto M. Tiberia

Chiesa di San Michele Arcangelo a Pisterzo (LT) – foto M. Tiberia

 

È doveroso precisare che la “Croce” vista (o sognata) sarebbe il simbolo noto come “Crismon” (noto, non a caso, anche come “Labaro di Costantino”), ovvero le due lettere grecheChi-Rho, le iniziali di Cristo in greco.

Tra l’altro “secondo recenti ricerche, sembrerebbe che la croce osservata nel cielo notturno prima della battaglia, non sarebbe una visione mistica o un sogno lucido, bensì la costellazione del Cigno (che effettivamente ha la forma di una croce) ben visibile nel cielo della località di Malborghetto, alle porte di Roma, dove era accampato l’esercito di Costantino, nella notte tra il 27 ed il 28 ottobre dell’anno 312” (da Gerardo Severino e Giancarlo Pavat “Il Raggio della Morte”. X-Publishing 2013).

Trigramma Cristico a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

Trigramma Cristico a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat


Aldilà di leggende e tradizioni, è stato accertato che il simbolo del Trigramma Cristico esisteva già almeno da prima del XIV secolo. E’ stato trovato persino nelle segrete del Castello di Chinon dove vennero rinchiusi i Cavalieri Templari.

La valenza del Trigramma (o Cristogramma NDA), è generalmente apotropaica” spiega il ricercatore Giulio Coluzzi  “ovvero serve ad invocare sulla casa benedizione e protezione dagli influssi o spiriti negativi”.

Esistono pure alcune varianti dell’acronimo. Infatti, spesso la lettera greca “iota” greca viene trascritta in alfabeto latino sia come “I”, sia come “J”, troviamo la variante JHS. Inoltre, poiché a volte la lettera greca “sigma” poteva essere tracciata nella forma “lunata”, cioè molto simile una mezzaluna, essa veniva trascritta con la lettera latina che più vi assomigliava, ovvero la “C”, dando origine alle varianti tardo-antiche IHC o JHC.

Talvolta, confondendo la Y con la I, sono state adottate le varianti YHS e YHC.

Valle dell’Amaseno e Monte Siserno visti da Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

Valle dell’Amaseno e Monte Siserno visti da Pisterzo (LT) – foto G. Pavat


La sigla cominciò a diffondersi come elemento decorativo in manoscritti, monete ed altri oggetti artistici; si pensi ad esempio ad alcune monete bizantine coniate sotto il regno di Giustiniano II, che riportano l’iscrizione “DN IHS XPS REX REGNANTIUM prosegue Coluzzi ovvero “Signore Gesù Cristo Re dei Re”. Agli ultimi anni del VII secolo risale invece l’iscrizione riportata sulla tomba di San Cutberto, che si può oggi ammirare all’interno della cattedrale di Durham, nel nord-est dell’Inghilterra.Solo successivamente la sigla cominciò ad essere interpretata anche come acronimo, che costituiscono comunque delle letture alternative, del concetto iniziale di abbreviazione del nome di Gesù”.

Il Trigramma Cristico cominciò a diffondersi attraverso il culto del Santissimo Nome di Gesù, il cui primo promotore fu San Bernardo di Chiaravalle; il celebre “sponsor” del Templari del XII secolo. Ecco perché è plausibile che il Trigramma Cristico sia stato anche dai “Cavalieri dai Bianchi mantelli”.

In seguito, l’acronimo venne poi fatto proprio sia dal beato Giovanni Colombini da Siena, fondatore, nel 1360 circa, della fraternità laica dei “Gesuati, i quali lo portavano cucito sul petto, che da San Vincenzo Ferrer.

Altro Trigramma Cristico a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

Altro Trigramma Cristico a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat


Ma la definitiva affermazione del Trigramma Cristico come simbolo di devozione popolare la si deve ad un “Uomo di Chiesa” di respiro davvero universale. San Bernardino da Siena. Con lui ogni elemento e colore del Trigramma assume un preciso significato allegorico e spirituale, che rimanda alla profonda devozione e l’amore per Cristo che predicò instancabilmente per quasi tutti i suoi sessantaquattro anni di esistenza terrena.

Durante le sue affollatissime prediche, San Bernardino era solito esibire il Trigramma dipinto su tavolette in legno che poi porgeva al bacio dei fedeli. Nel Medio Evo, baciare la Croce oppure una Sacra Icona era un rito legato allo scambiarsi un gesto di pace.

Attorno alle tre lettere “IHS”, Bernardino disegnò un grande sole d’oro in campo azzurro. Colori che alludono alla Fede (l’azzurro) ed all’Amore (l’oro). L’astro ha dodici raggi serpeggianti (o fiamme) che rappresentano i Dodici Apostoli ma anche il tempo dell’Uomo su questa terra. Ogni fiamma aveva un significato che veniva espresso in una litania(I° raggio: Rifugio dei peccatori; II: Vessillo dei combattenti; III: Medicina degli infermi; IV: Sollievo dei sofferenti; V: Onore dei credenti; VI: Splendore degli Evangelizzanti; VII: Mercede degli operanti; VIII: Soccorso dei deboli; IX: Sospiro di quelli che meditano; X: Aiuto dei supplicanti; XI: Debolezza di chi contempla; XII: Gloria dei trionfanti).Gli otto raggi diretti richiamano le “Beatitudini” e la “Croce ottagona” dei Giovanniti. Inoltre una delle due aste della lettera “H” venne allungata e trasformata in Croce (simili esemplari si possono vedere nella vicina Prossedi ). In alcuni casi, come a Villa Santo Stefano (FR), la Croce campeggia al centro del segmento mediano dell’ “H”. Tutto il simbolo era inscritto in una circonferenza con le parole in latino tratte dalla “Lettera di San Paolo ai Filippesi”. “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti che dei terrestri e degli inferi”” (da Giancarlo Pavat “Nel Segno di Valcento”. Edizioni Belvedere 2010).

L’aggiunta della Croce, come spiegato da Giulio Coluzzi, avvenne perché si trattava di una “iconografia già precedentemente creata dal predicatore Ubertino da Casale. In seguito alla cattiva nomea di quest’ultimo, e temendo che una devozione ed un’ostensione troppo vistosa del simbolo potesse generare una deviazione idolatrica, papa Martino V impose nel 1427 l’aggiunta di una croce alla sigla, che doveva essere tracciata sopra l’astina orizzontale dell’acca, se in caratteri maiuscoli, oppure deposta a taglio sull’astina verticale dell’acca, se scritta in forma minuscola, assumendo così la forma con la quale la conosciamo oggi”.

A volte, “Bernardino decorava con il Trigramma Cristico gli stendardi che lo precedevano quando entrava in una città per predicare.Persino Giovanna d’Arco lo ricamerà sul proprio vessillo. (da Giancarlo Pavat “Nel Segno di Valcento”. Edizioni Belvedere 2010).

Il futuro Santo utilizzerà spesso questo simbolo per riportare la pace tra città o fazioni o famiglie dello stesso centro abitato, in feroce lotta tra loro, sostituendolo ai blasoni. “Ma sarò proprio quel “Trigramma” ad attirargli l’accusa, da parte di Domenicani e degli Agostiniani, di idolatria ed eresia. Bernardino subirà ben tre processi, nel 1426, 1431 e 1438, in cui sarà difeso da Giovanni da Capestrano e dai quali, alla fine, uscirà assolto”. (da Giancarlo Pavat “Nel Segno di Valcento”. Edizioni Belvedere 2010).

Dopo la Controriforma, il “Trigramma Cristico” venne adottato dalla “Compagnia di Gesù”, i famosi (o famigerati, visto che gestiranno l’Inquisizione) “Gesuiti”, congregazione religiosa fondata nel 1534 da Ignazio de Loyola.

Oltre agli elementi già noti, ossia il trigramma, il sole raggiato e la croce, essi aggiunsero al disotto della sigla i tre chiodi della Passione, che completavano il quadro simbolico sottolineando così il legame particolare con la persona di Gesù”. Il simbolo venne apposto sul frontespizio della prima edizione degli “Esercizi Spirituali” del 1548.

Pertanto le versioni del Trigramma Cristico con i tre chiodi che si vedono sulle chiavi di volta di Pisterzo (e non solo nel piccolo borgo degli Ausoni) risalgono proprio alla variante voluta dai Gesuiti.

Per un approfondimento sul Trigramma, si rimanda allo studio fatto da Giulio Coluzzi e pubblicato sul suo sitiwww.angolohermes.it.

Ma Pisterzo offre al visitatore attento e curioso l’occasione per scoprire (o riscoprire) anche altre simbologie. Ad esempio i tre quadrati concentrici dello schema per il gioco del Filetto, noto però come il simbolo della Triplice Cinta.

In via del Mercatorio, al civico 7, si trova un esemplare di Triplice Cinta inciso su un blocco calcareo, murato verticalmente sul muro esterno di un edificio (attualmente in stato di abbandono) a circa 3 metri di altezza.

Per arrivare a questa breve via, si lascia l’autovettura all’ ingresso di Pisterzo, in piazza Canada.

Orazio Vignola e Mario Tiberia indicano la Triplice Cinta di Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

Orazio Vignola e Mario Tiberia indicano la Triplice Cinta di Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

 

Si imbocca la via principale detta “del Borgo” e si sale verso la chiesa di San Michele Arcangelo. Arrivati di fronte alla chiesa, nella piazzetta denominata, appunto, “della chiesa“, si sale il lieve pendio verso Palazzo Gabrielli e si prende la stradina lungo il fianco destro dell’edificio. Fatti pochi metri ecco l’angolo di via del Mercatario.

Appare evidente che il blocco di pietra sia stato riutilizzato per la costruzione dell’abitazione, quindi, quasi certamente, la Triplice Cinta si trovava un tempo in posizione orizzontale. Il suo utilizzo era solo per fini ludici? Probabilmente non lo sapremo mai.

La Triplice Cinta di Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

La Triplice Cinta di Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

 

L’esemplare (a dire il vero si dovrebbe parlare al plurale, in quanto ad uno degli scriventi erano state segnalate da parte di Francesco Boccia almeno due Triplici Cinte a Pisterzo) era nota quantomeno dal 2004.

È stata segnalata al Centro Studi sulla Triplice Cinta da Giorgio Pintus che ha comunicato che era stata scoperta assieme al prof. Luigi Zaccheo.

Continuando la passeggiata per le deserte stradine, ecco altre chiavi di volta con il Trigramma e persino lo stemma di papa Pio XI realizzato in cotto.

Si trova sulla facciata di un edificio vicino alla chiesa di San Michele Arcangelo.

Prima di parlare della sua personalità e delle sue opere durante il suo pontificato, cerchiamo di capire il significato del suo simbolo:

troncato: nel primo d’oro, all’aquila e volo abbassato di nero, membrata e imbeccata d’oro; nel secondo d’argento, a tre palle di rosso disposta due e una. Più semplicemente, uno scudo diviso in due da una linea orizzontale; nel primo quadrante compare un’aquila nera (non marrone), con ali abbassate e con le zampe, artigli e becco d’oro. Nel secondo quadrante compaiono 3 palle rosse in campo argentato.

Stemma di Pio XI a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

Stemma di Pio XI a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

 

Torniamo al pontefice:

Pio XI al secolo Achille Ratti fu eletto al soglio pontifico il 6 febbraio 1922. Il primo gesto dirompente fu l’impartizione della tradizionale benedizione “Urbi et Orbi” dalla loggia esterna di San Pietro, che era rimasta chiusa da quando nel 1870 il Regno d’Italia aveva liberato Roma. Il suo motto fu “Pax Christi in regno Cristi”. Pace fra gli uomini, pace fra tutte le realtà.

Pio XI fu un papa dal carattere forte e deciso, con le sue coraggiose encicliche sfidò il Fascismo, il Nazismo e il Comunismo ateo.

Appassionato di scienza e di sviluppo tecnologico, fondò la Radio Vaticana con la collaborazione di Guglielmo Marconi.

Attraverso la radio pronunciava i suoi discorsi in latino.

Modernizzò la Biblioteca Vaticana e ricostituì con la collaborazione di padre Agostino Gemelli nel 1936 la Pontificia Accademia delle scienze, ammettendovi anche personalità non cattoliche e pure non credenti.

L’11 febbraio 1929 il papa fu l’artefice della firma dei Patti Lateranensi tra il cardinale Pietro Gasparri e il governo fascista di Benito Mussolini. Con questi Patti, stipulati nel palazzo di San Giovanni in Laterano e costituiti da due atti distinti (Trattato e Concordato), veniva messa la parola fine alla freddezza e ostilità fra i due poteri, durate per cinquantanove anni. In pratica dalla “Breccia di Porta Pia” in poi.

Ammalatosi gravemente nel gennaio del 1939, il Papa Achille Ratti si è spento il successivo 10 febbraio, alla vigilia di compiere il diciassettesimo anno di pontificato.

La voce che prima di morire egli stesse redigendo un documento contro la discriminazione razziale e il regime fascista non ha trovato conferma.

Si pensa che egli avrebbe dovuto redigere un discorso sulla base di tali documenti proprio il giorno dopo la morte arrivata improvvisamente. Ma non ci sono elementi per supportare l’ipotesi di un eventuale assassinio.

Lasciamo la “Casa San Michele” con lo stemma papale e proseguiamo lungo le stradine del borgo sulla strada del ritorno a piazza Canada. Convinti, comunque, che Pisterzo celi ancora altre enigmatiche simbologie che attendono solo di essere riportate alla luce.

(Giancarlo Pavat e Orazio Vignola)

Giancarlo Pavat e Orazio Vignola sul sagrato della chiesa di S. Michele Arcangelo a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat

Giancarlo Pavat e Orazio Vignola sul sagrato della chiesa di S. Michele Arcangelo a Pisterzo (LT) – foto G. Pavat


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