Terracina, i segreti di Giuseppe Mastrilli e i suoi terribili briganti della campagna romana; di Roberto Volterri & Giulio Carlini

Da famiglia onorata e doviziosa

nacque Mastrilli in quel di Terracina.
Anima passionale ed orgogliosa,
per una giovinetta, sua vicina
d’amor fu preso e volea averla sposa.
Ma quest’amore fu la sua rovina,
ché la fanciulla già sentiva in cuore
pel figlio di un mercante un forte amore. 
 

 

Forse fu proprio la gelosia ad avviare  il Mastrilli sulla sinistra strada del delitto, delle rapine, del brigantaggio…

 

Forse così, per il non corrisposto amore di una giovane di Terracina, tale Elisa della Rocca, invaghitasi di un altro giovane, ebbe inizio la cruenta avventura del brigante Giuseppe Mastrilli.

“Al nà fat piò che Mastrell!”, “Fare de pì de Mastrilo!”, “El ghe nà fato più de Mastrili!” si mormora ancora in quel di Modena, a Chioggia e, in ultimo, anche a Venezia per descrivere fatti e misfatti di Giuseppe Mastrilli, il brigante che terrorizzò Terracina e i suoi dintorni verso la seconda metà del Settecento.

 

Uno dei vari libri pubblicati in passato, ma anche in tempi a noi vicini, sul feroce brigante Giusppe Mastrilli, terrore di Terracina e di buona parte della campagna romana.

 

“I delitti da lui commessi e labilità con cui sapeva sottrarsi alla giustizia ne fecero un uomo così pericoloso che non fu possibile liberarsene se non mettendo una taglia sulla sua testa; fu tradito e ucciso mentre era a caccia. Nel 1766 si vedeva la sua testa esposta sulla porta di Terracina che guarda verso Napoli.”

 

Parola di Stendhal, ovvero Marie-Henri Beyle (1783 – 1842) celeberrimo scrittore francese, appassionato viaggiatore nei più suggestivi posti del nostro Bel Paese!

Il “nostro” faceva parte di un nutrito gruppo di briganti che agivano nel Lazio meridionale, nei dintorni di Terracina poichè questa bella cittadina era posta sul tragitto del cosiddetto “Grand Tour”, non lontana dai paesi di Sonnino, Monte San Biagio e Vallecorsa, ovvero una sorta di triangolo in cui seminava terrore il Mastrilli insieme ai suoi ben poco raccomandabili accoliti.

Ancor oggi esistono a Terracina luoghi dove alla fine del XVIII secolo Mastrilli lasciò incancellabili ricordi, anche… la testa, poiché fini i suoi giorni decapitato, come vedremo alla fine dell’articolo.

Dove ora c’è Piazza Santa Domitilla una volta esisteva Porta Lavinia – poi denominata Porta Mastrilli – distrutta nel 1831 ma dove ancora sono sopravvissuti due simpatici leoni in pietra, datati al VI secolo d.C. “cavalcati” da interi generazioni di bambini terracinesi che li chiamavano ovviamente “cavajucci”, lucidandoli  durante le loro sfrenate e immaginarie corse verso chissà quale inesistente meta…

Giulio Carlini – il quale vive da sempre a Terracina – sembra guardare con nostalgia i due leoni del VI secolo situati nei pressi di quella che una volta era denominata Porta Mastrilli. Per molti decenni i due leoni fecero divertire i bambini di Terracina – Carlini compreso… – poiché le due sculture venivano usate come immaginari cavalli con cui percorrere chissà quali lontane contrade…

 

Poiché un brigante che si rispetti non lasciava di certo in giro il suo indirizzo di casa e cercava sempre di tenersi lontano dai gendarmi, la fantasia popolare dei buoni terracinesi pensò di identificare il rifugio del brigante Mastrilli nella casetta posta su una più che scoscesa parete del cosiddetto Pisco Montano, l’alto sperone di roccia frutto del taglio della montagna, effettuato sotto l’imperatore Traiano, nell’anno 109 d,C. per rendere ben più agevole il transito lungo la via Appia verso il sud d’Italia, verso lo scalo mercantile di Brindisi. In realtà era il posto di osservazione delle guardie pontificie!

La fantasia popolare dell’epoca suggeriva che il brigante Mastrilli si rifugiasse in una piccola costruzione, ancora esistente, situata sul fianco del Pisco Montano. In realtà si tratta del posto di avvistamento riservato alla guardie pontificie.

Acciuffare il brigante Mastrilli non doveva essere affatto facile!

Così, la Gendarmeria dell’epoca mette una taglia di trecento Scudi a favore di chi potesse fornire valide informazioni sulla cattura del brigante. Questi era appena fuggito nel Regno di Napoli poiché era ricercato per aver ucciso delle guardie dello Stato Pontificio e la cosa non sfugge ad un pescatore della vicina cittadina di Gaeta.

Far la spia rende un bel gruzzolo e il pescatore fa catturare il Mastrilli il quale passa un bel po’ dei suoi giorni a “vedere il sole a scacchi” – ovvero dalle sbarre della finestra! – nelle prigioni di Napoli.

“Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino!”.

Così, anche il brigante Mastrilli – come tanti altri suoi colleghi di sventure – venne arrestato e inviato nelle non molto accoglienti galere del Regno di Napoli

Poi la fortuna volge a suo favore poiché la regina consorte di Napoli e Sicilia dal 1738 fino al 1759, verosimilmente Maria Amalia di Sassonia, gli concede la grazia.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, afferma un conosciutissimo adagio, così Giuseppe Mastrilli rintraccia il pescatore di Gaeta e lo uccide senza alcuna rèmora, inviandolo forse al Nono Girone dantesco, quello dei Traditori!

Evidentemente le congiunzioni astrali in quel periodo sono particolarmente favorevoli al “nostro”, poiché sul suo cammino trova il Governatore delle partenopee galere e riesce ad estorcergli ben 3000 scudi in cambio della rinuncia ad inviarlo a far compagnia al gaetano traditore!

 

 

 

 Due vecchissimi libretti che illustravano al popolo vita, misfatti e morte del brigante Giuseppe Mastrilli, terrore dei terracinesi e anche di buona parte della campagna romana

Passano i mesi passano gli anni e nel 1748 il brigante Mastrilli fugge da qualche prigione che lo aveva ospitato fino a quel momento e torna a Terracina dove non dà tregua a “…tutti quei che potea idearsi complici di sua cattura”. Poi, per oltre due anni recluta altri brutti ceffi par suo e si costruisce una sorta di “fortino” nel Regno di Napoli, in mezzo a Lago di Fondi.

Ma lì lo attendeva qualcuno…

È la sera del Novembre 1750, il tenente delle Guardie, tale Martucci il quale da tempo cercava di assicurare il brigante alla giustizia, si apposta insieme ai suoi gendarmi sul greto di un fiumiciattolo. Poi la fortuna lo assiste perché una barchetta naviga verso la riva e a bordo c’è proprio Giuseppe Mastrilli armato di archibugio…

Presa la mira, Martucci spara e ferisce molto gravemente il brigante, il quale  sopravvive pochissimi giorni alla mortale ferita.

Mastrilli ha 63 anni e lascia vedova Maria Antonia Palazzi “… donna di singolare pietà e religione…” e madre di alcuni figli del brigante che aveva terrorizzato per lunghi anni le campagne del Frusinate.

Dopo un complicato accordo tra Beatrice Polli, madre di Maria Antonia, e Cesario Mastrilli, padre di Giuseppe, stipulato il 10 Novembre 1709 davanti al notaio terracinese Matteo Falasca, Maria Antonia si era sposata con Giuseppe Mastrilli nella Cattedrale di San Cesareo, a Terracina.

 

 

Un vecchio libro che descrive, in breve, vita, misfatti e morte di Giuseppe Mastrilli

 

Una singolare ballata popolare concluse così le tristi vicende della città di Terracina e dintorni…

Il giorno appresso, allo spuntar del giorno

Mormorando preghiere ed orazioni,

Beppe Mastrilli al cielo fa ritorno.

Il suo nipote ed i parenti buoni

Al suo letto di morte sono intorno

Pregando che il Signore gli perdoni

E mentre questo avvien , la Polizia

Lo cerca, per tradurlo in prigionia.

 

Il nipote si reca dal tenente

E gli dice: – Il cercar Mastrilli è vano

Che ora egli è tra la perduta gente

Mentre l’anima sua vaga lontano!

Un caporale, che tal cosa sente

Corre a casa del morto, armata mano

E con la daga, un colpo ben gli assesta

Staccandogli di netto collo e testa.

 

 

Ma non è finita qui…

A Terracina, nell’autunno del 1822 – dopo oltre settanta anni dall‘uccisione del brigante –si decide di demolire la “Porta Napoletana” al fine di migliorare la circolazione dell’aria nella bella cittadina.

Ma il Governatore si ricorda che sulla Porta campeggia qualcosa di macabro, poiché “Fin dall’Anno 1750 entro una Cabbia di ferro fù inalzata … la Testa [del] famoso Malfattore … Giuseppe Mastrilli, che ai tanti Omicidj commessi, riunì uno spirito così insubordinato alle Leggi...”. Vicino alla Porta era stata eretta anche una lapide che ricordava il nome del brigante e “L’anno della seguita giustizia

Dopo infinite vicende e variegati pareri alternatisi nel corso del tempo sulla opportunità di mantenere la gabbia di ferro e il macabro ricordo a perenne ricordo di un periodo storico caratterizzato da violenze, vessazioni e omicidi, tutto scompare per sempre…

(Roberto Volterri & Giulio Carlini)

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