AQUILEIA, SCOPERTO UN ANIMALE CHE NON DOVREBBE ESSERCI NEI MOSAICI PALEOCRISTIANI DELLA BASILICA? di Giancarlo Pavat

(Immagine di apertura:  Aquileia – La Basilica romanica del patriarca Popone – XI secolo – foto Pavat  2016).

SCOPERTO UN ANIMALE CHE NON DOVREBBE ESSERCI

NEI MOSAICI DI AQUILEIA?

di Giancarlo Pavat

I parte.

 Da quando ebbi modo di ammirarli per la prima volta, da ragazzino, durante le vacanze estive del 1979, mi sono occupato in diverse occasioni con articoli e citazioni nei miei libri, dei meravigliosi mosaici della Basilica di Aquileia, in Friuli – Venezia Giulia.

Ecco perché saltai letteralmente sulla sedia (anzi sulla poltroncina del treno), quando mi arrivò tramite whatsapp sul mio telefono cellulare, una foto ed un interessante commento da parte del giornalista, scrittore e (serio) ricercatore del Mistero Rino Di Stefano che onora della sua amicizia non solo lo scrivente ma tutto lo staff e i collaboratori di www.ilpuntosulmistero.it;.

(Immagine a sinistra: Giancarlo Pavat sulla base  a gradoni del campanile della Basilica di Aquileia – foto Sonia Palombo 1991)

In pratica, Di Stefano, aveva scovato una immagine, realizzata con tessere di mosaico, di un animale che a lui non ricordava alcuna creatura nota soprattutto all’epoca dell’Aquileia romana e paleocristiana. Già, perché, ormai l’avrete capito, l’animale era stato eternato proprio in uno dei mosaici pavimentali della basilica aquileiese.

Lo straordinario monumento sacro, dal 1998 sito “Patrimonio dell’Umanità” dell’Unesco, sorge quasi al centro del vastissimo sito archeologico della grande e florida città romana. Le origini di Aquileia ci vengono raccontate dal grande Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) nella sua immortale opera Ab Urbe Condita (Liber 40, cap 34, 2). Secondo lo storiografo latino, nel 186 a.C., alcune tribù galliche oltrepassarono i gioghi alpini e decisero di insediarsi nella fertile pianura in riva all’Adriatico, in un sito non distante da quello della cittadina attuale. I Romani, già in fase di vivace espansione verso le regioni Nord-orientali dell’Italia, che in Età Augustea andranno a costituire la X Regio Venetia et Histria, vi si opposero. Sconfissero i Galli, ricacciandoli da dove erano venuti e decisero di dedurre una Colonia latina al posto del villaggio distrutto. Strabone (V, 214) spiega che il sito si trovava a circa 10 chilometri dal mare, presso l’argine del fiume navigabile Natissa, in confluenza con il Natisone e il Torre.

(Immagine sotto: Roma – Statua dell’Imperatore Ottaviano Augusto in via dei Fori Imperiali a Roma. Sarà lui a creare la X Regio Venetia et Histria di cui Aquileia sarà splendido capoluogo – foto G Pavat 2018)

Nel 181 d.C., Aquileia veniva quindi fondata sotto la guida dei Triumviri Publio Cornelio Scipione Nasica, Claudio Flaminio e Lucio Manlio Acidino, a popolarla vennero chiamati veterani di origine italica e le loro famiglie.

Secondo la leggenda, riportata secoli dopo dall’erudito Imperatore Flavio Claudio Giuliano (331-363, che i Cristiani, diventati più intolleranti dei pagani, chiameranno “Giuliano l’Apostata”), il nome deriverebbe dal fatto che mentre erano intenti a tracciare la pianta e i confini della nuova città, i coloni videro in cielo una grande aquila. Episodio immortalato in un’ara votiva del III secolo d.C., (oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale) in cui si vede un’aquila in volo sopra una fanciulla dal capo turrito che rappresenta, appunto, Aquileia stessa. La quale omaggia un’altra figura femminile assisa in trono, la quale, naturalmente, raffigura l’Urbs Aeterna.

Per inciso, quell’aquila è diventata il simbolo della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia.

In tempi più recenti, linguisti e storici, hanno ravvisato nel nome una etimologia peculiare e non latina, forse legata al vicino fiume Aquilis.

(Immagini a destra in basso: Ara votiva del III secolo d.C. in cui si vede la personificazione di Aquileia con l’Aquila sopra il capo turrito che rende omaggio a Roma. In alto a destra, l’attuale stemma della Regione Friuli – Venezia Giulia).

In ogni caso la città era destinata ad un grande avvenire. Anno dopo anno, decennio dopo decennio, anche grazie ad una fitta rete stradale (come la via Postumia, l’Annia, la Gemina e l’Iulia Augusta) Aquileia crebbe di importanza economica e militare sino a diventare, nel IV secolo d.C., (anche per la sua posizione strategica, vicina al “Limes” danubiano) la quarta città dell’Italia romana, dopo l’Urbe stessa, Capua e Milano.

La “Buona Novella” arrivò ad Aquileia verso la prima metà del III secolo d.C.. La città contava all’epoca poco più di 600.000 abitanti. Una cifra enorme per quei tempi. Il primo vescovo cristiano fu Ermacora (poi martirizzato e proclamato santo).

Nel 313 d.C. la storia dell’Antichità Classica prese per sempre un’altra strada che l’avrebbe condotta al completo naufragio di una cultura e civiltà durata millenni. Tra il febbraio ed il giugno del 313, l’Imperatore Costantino, assieme al suo “collega” d’Oriente Licinio (Imperatore associato, nell’ambito della “Tetrarchia“, dal 308 al 324 e morto nel 325), promulgava il famosissimo “Editto di Milano”, con il quale veniva concessa la libertà di culto ai cristiani.

(immagine sotto: Aquileia – Il grande mausoleo con i due leoni funerari appartenuto ad una importante famiglia aquileiese del I secolo a.C.. – foto Pavat 1989)

Si è scritto molto su questo Editto e sulla figura di Costantino, nel Medio Evo considerato (erroneamente) il primo Imperatore cristiano. Soprattutto negli ultimi decenni, complici certi fortunati best-sellers, privi di obbiettività storica e rispetto per le fonti (modo elegante per dire che dal punto di vista della verità storiografica sono un coacervo di sciocchezze, fantasie e falsità), ne hanno data una visione completamente fuorviante. Tanto da arrivare ad affermare che il “vero” fondatore del Cristianesimo sarebbe stato proprio l’Imperatore, che avrebbe imposto la nuova Fede come “Religione di Stato” dell’Impero Romano.

Ne parlai già nel 2010 nel mio libro “Nel Segno di Valcento” (Edizioni Belvedere);

Effettivamente, dopo l’Editto di Tolleranza di Milano […] Costantino diede il via ad una serie di provvedimenti a favore dei Cristiani e dei loro ministri e luoghi di culto. Ma in realtà, proprio dopo il Concilio di Nicea (del 325 d.C., voluto per condannare l’eresia del Vescovo Ario), morto Osio e sostituito come consigliere da un vescovo ariano, Eusebio, l’Imperatore cercò di convincere il nuovo vescovo di Alessandria, Atanasio, affinché riammettesse lo scomunicato Ario, in seno alla Chiesa. È probabile che Costantino pensasse che la riconciliazione fosse necessaria non solo per l’unità della Chiesa, ma soprattutto per favorire la pace interna dell’Impero. Di fronte al rifiuto del Vescovo Atanasio, l’Isapostolo (ovvero: “pari agli Apostoli”, così si definiva l’Imperatore), nuovamente senza sentire il parere del papa, convocò, nel 335, un altro Concilio. Questa volta a Tiro, sulle coste dell’antica Fenicia, convocando soltanto vescovi ariani. Inutile specificare che l’assemblea depose Atanasio. Papa Silvestro I°, che sarebbe morto il 31 dicembre dello stesso anno, fu quindi costantemente umiliato da Costantino, e con lui l’intera Chiesa di Roma. Al contrario della leggenda medievale che lo vuole giganteggiare sopra l’Imperatore e ricevere addirittura la Corona dell’Impero d’Occidente. La celebre “Donazione di Costantino” o “Constitutum Costantini”, in realtà un falso storico dell’Ottavo secolo, come dimostrato dall’umanista italiano Lorenzo Valla. Documento poi utilizzato dal Papato medievale come fondamento del proprio potere temporale. Papa Innocenzo IV, nel 1248, in piena lotta contro Federico II di Svevia, farà decorare le pareti della Chiesa romana dei Santissimi Quattro Coronati, proprio con scene ispirate alla leggenda di Silvestro e Costantino.

(Immagine a sinistra: Roma – La colossale testa di Costantino in Campidoglio – foto G Pavat 2015)

Quindi ne corre da qui a dichiarare che Costantino sarebbe il vero creatore della Chiesa di Roma e che si sarebbe inventato addirittura i dogmi del Cattolicesimo. Anzi, l’Imperatore sarà battezzato soltanto in punto di morte e per di più da un vescovo ariano. Inoltre, non fu affatto Costantino a dichiarare il Cristianesimo “Religione di Stato”. Né a Nicea, né in nessun altro luogo. Bensì un altro imperatore, Teodosio I° il Grande (379-395), con l’Editto di Tessalonica del 380 d.C.. A cui seguirono altri due editti, nel 391 e 392 contro i culti pagani e quello del 394 con cui poneva fine ai Giochi di Olimpia. Molti studiosi vedono in questo atto, la fine ufficiale della religione pagana e della civiltà del Mondo Antico. Proponendo, addirittura, di fissare il 394 come data di inizio del Medio Evo”.

Anche ad Aquileia, dopo il 313, i cristiani uscirono dalla clandestinità e poterono officiare i propri riti alla luce del sole. È proprio in quell’anno che abbiamo la prima menzione del vescovo Teodoro che viene chiamato “Patriarca”.

Con il titolo di Patriarca vennero indicati nei secoli successivi i Vescovi di Aquileia, che nel Medio Evo, arrivarono a costituire uno stato ecclesiastico-temporale, spesso in contrasto con il Papato di Roma, esteso a tutto il Nord Est dell’Italia, con il nucleo storico nell’attuale provincia di Udine.

(Immagine a destra: Aquileia – Il campanile medievale della Basilica e la Lupa di Roma – foto Pavat 1989).

Teoricamente vassallo del Sacro Romano Imperatore, il “Patriarcato”, a volte indicato come “Patria del Friuli”, sopravvisse sino al 1420, quando venne invaso ed annesso dalle truppe della Serenissima Repubblica di Venezia.

Relativamente al Patriarca Teodoro, sappiamo che presenziò al “Sinodo di Arles” nel 314 (tenutosi contro i “Donatisti”, poi dichiarati eretici) e nel 318 diede il via alla costruzione della Cattedrale di Aquileia, edificio di cui oggi sopravvivono solo le fondamenta. A lui si deve il grande mosaico policromo di 760 m² (il più esteso e il più antico di tutta l’Europa Occidentale), riportato alla luce dagli scavi del 1909, che decora il pavimento della navata della Basilica romanica.

Che sia proprio il Patriarca Teodoro il committente dello stupefacente ciclo musivo pavimentale, lo sappiamo con assoluta certezza dall’iscrizione dedicatoria, sormontata dal “Crismon” (Monogramma cristico, formato dalle lettere greche “Chi” e “Rho”, che la tradizione attribuisce a Costantino), realizzata anch’essa a mosaico, situata al centro dell’area presbiteriale della Basilica.

Theodore felix, adiuvante Deo omnipotente et poemnio caelitus tibi traditum omnia baeate fecisti et gloriose dedicasti“.

Ovvero; “O Teodoro beato, con l’aiuto di Dio Onnipotente e del gregge a te affidato dal cielo, hai potuto felicemente ultimare tutte queste opere e solennemente dedicarle”.

Nei secoli successivi, dopo la distruzione di questa prima chiesa, sede vescovile, gli aquileiesi la ricostruirono per ben quattro volte, sovrapponendo le nuove costruzioni ai resti delle precedenti (fasi: teodoriana, prima metà del IV secolo; post-teodoriana nord, metà del IV secolo; post-teodoriana sud, fine del IV secolo o dopo la metà del V secolo; massenziana, IX secolo; popponiana, prima metà dell’XI secolo; intervento marquardiano alla ricostruzione della copertura, dagli archi ogivali al tetto, XIV-XV secolo)”. (da www.basilicadiaquileia.it😉

Come già accennato, il mosaico venne poi inglobato nella monumentale costruzione (quella precedente era andata distrutta durante le scorrerie degli Ungari) dedicata alla Vergine oltre che ai martiri SS. Ermacora e Fortunato, e voluta dal patriarca Popone (Wolfango dei Conti Ozi di Treffen di Carinzia. Nominato Patriarca di Aquileia nel 1019 dall’Imperatore Enrico II di Sassonia, e morto nel 1042), che la consacrò il 13 luglio 1031.

Personaggio dalla forte personalità e intelligenza, unite ad una notevole spregiudicatezza politica, tesa a rendere il Patriarcato autonomo ed indipendente da tutti i Poteri, laici o spirituali che fossero, Poppone è stato visto da diversi storici, come il vero fondato dello “Stato” del “Patriarcato”.

Anche se la “qualifica ufficiale”, di compagine temporale arriverà il 3 aprile del 1077, quando l’Imperatore Enrico IV di Sassonia concederà onori e poteri ducali al Patriarca Sigeardo dei Conti di Peilstein.

Il vasto mosaico pavimentale mi ha sempre affascinato non solo per le vivide raffigurazioni naturalistiche ma per la profonda e non sempre chiara cifra simbolica, legata (e non poteva essere altrimenti) al Cristianesimo delle Origini. 

 

(immagine a destra: Aquileia – Mosaici dell’Aula Nord  del vescovo  Teodoro. La lotta tra un Gallo ed una Tartaruga).

Il filo conduttore va ricercato nel richiamo ai benefici del Battesimo e alla speranza della Resurrezione, a cui si può giungere soltanto mediante la Fede in Cristo.

Una delle prime scene che si incontrano entrando nella Basilica è quella della lotta tra un Gallo ed una Tartaruga. Simboleggiano la vittoria del Cristianesimo (il Gallo, annunciatore della luce del nuovo giorno, quindi di Cristo Risorto, nuova “Luce del mondo”) sul paganesimo (la Tartaruga, vista come simbolo del Male a cagione del fatto che il suo nome in greco significa “Abitatore delle tenebre”)

Abbiamo poi un altro simbolo cristico; il “Buon Pastore” (che riprende l’iconografia dell’’Hermes Crioforo”, Κριοϕόρος, della statuaria greco-romana). Un Cristo giovanissimo ed imberbe (a raffigurare il suo “Essere senza Tempo”), porta la “pecorella smarrita” sulle spalle (quindi simboleggia il fatto che Gesù è Salvatore delle anime) e in mano regge la syrinx (la “siringa” o “Flauto di Pan”), lo strumento musicale dei pastori (che rappresenta la dolcezza con cui viene guidato il gregge).

(Immagine a sinistra: Aquileia – Mosaici di Teodoro. Gesù “Buon Pastore” con la syrinx, attorniato dagli animali del Creato).

Attorno, svariati tipi di animali (tutti realizzati con sorprendente e dettagliato realismo) del Creato, di cielo, di terra e di acqua. Allegoria dell’Umanità intera che fa parte del Suo “gregge”, senza alcuna distinzione di razza o provenienza culturale o geografica.

Nel mosaico troneggia anche una “Vittoria alata”, che non è più (ovviamente) quella “classica”, civile (e pagana) dell’Imperium Romanorum ma quella della Nuova Fede Cristiana.

(Immagine a destra: Aquileia – Mosaici di Teodoro. La Vittoria Alata).

Nei clipei sono stati realizzati i ritratti di quelli che sono stati identificati come i benefattori della Chiesa aquileiese. Forse lo stesso Costantino (che fu spesso ad Aquileia) con i suoi Famigliari. In altri tondi compaiono, invece, le immagini delle 4 Stagioni. Si sono salvate solo la Primavera e l’Estate; le altre due, purtroppo, sono andate distrutte per sempre a causa delle fondazioni delle colonne degli edifici successivi). È ancora ben visibile la rappresentazione del “Pesce”, che in greco si dice IXTHYS, “Ichtùs”, e che diventa l’acrostico della frase “Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr”, ovvero “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.

Nella grandiosa scena di pesca (che allude al passo evangelico; “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”; Mt. 4,19) in un mare traboccante di pesci, molluschi, crostacei, è inserita la vicenda biblica del profeta Giona (personaggio davvero esistito nell’Ottavo secolo a.C.). Vediamo i marinai dell’imbarcazione su cui si trova il Profeta, che dopo essersi resi conto di trovarsi in mezzo ad un fortunale per colpa sua (in quanto è perseguitato dal Dio dell’Antico Testamento), decidono di gettarlo in mare. In quell’istante, Giona viene inghiottito da quello la Bibbia descrive come un “grosso pesce”.

Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti” (A.T. Giona 2,1)

E poco più avanti “Il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona all’asciutto” (A.T. Giona 2,11).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le varie esegesi dell’episodio dell’Antico Testamento, c’è pure quella che seguendo l’interpretazione del Vangelo di Matteo (12, 40-41), lo vede come allegoria della Resurrezione di Cristo. Che come Giona rimase tre giorni nel Sepolcro.

La tradizione cristiana successiva ha descritto l’animale marino come una “balena” o addirittura come una creatura teratoforme. La “Pistrice”, mostro spaventoso, capace di inghiottire intere navi, di cui non si contano le sue rappresentazioni, soprattutto all’interno di chiese e cattedrali.

Ma nel mosaico teodoriano, l’ignoto mosaicista ha reso l’animale che inghiotte Giona, simile ad una sorta di drago acquatico. (Immagine a sinistra).

Se avete la curiosità di scoprire che cosa è emerso da una mia personale ricerca (citata anche dal National Geographic Magazine del febbraio 2006) su questo strano essere aquileiese, potete andarvi a leggere (o rileggere) il sunto pubblicato con il titolo “Il Leviatano di Aquileia”, sul numero di ottobre 2010 del mensile X-Times edito dalla “X-Publishing”.

Infine, non mancano simbologie che i lettori di questo nostro sito web già conosceranno; sempre ricollegabili al Trascendente, al Divino, come, ad esempio, i “Nodi di Salomone”, sia “cruciformi” che multipli, oppure le “spirali” e le ”stelle”. (Immagine a destra)

Tutto ciò per evidenziare quanto sia ricco di spunti di indagine ed analisi, l’apparato iconografico e simbolico del mosaico teodoriano. Campo di ricerca in cui mi sono già addentrato, e non solo per il “Leviatano di Giona”.

Quindi era pane per i miei denti la “cerca” proposta da Di Stefano. Ma vediamo più da vicino di che cosa si tratta.

L’animale in questione è una sorta di quadrupede, dotato di quelle che sembrano grandi orecchie, intento a scalpitare o scalciare. Caratteristica dell’animale sono le strane strisce sul corpo, che potrebbero farlo ritenere una zebra se non fosse che il colore predominante nel manto di quest’ultima è il bianco, mentre nel mosaico aquileiese sono le tinte scure, quasi nere. (Immagine in basso a sinistra).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Immagine a destra: Aquileia – La navata della Basilica di Popone con i mosaici teodoriani dell’Aula Sud).

Deciso a cercare di svelare l’arcano, condivisi l’immagine con gli altri amici e ricercatori del “Mistery Team”.

 

Ma il problema era pure un altro. Dove si trovava in realtà quell’animale raffigurato? O meglio; non ricordavo affatto di averlo notato nel grande mosaico della Basilica, sebbene, avendolo visto svariate volte, lo conosca quasi a memoria.

L’arcano si è risolto quando ho capito che lo strano animale notato in foto da Di Stefano non si trova nel mosaico della navata ma in un altro ciclo musivo, sempre riconducibile a Teodoro, presente nella cosiddetta “Cripta degli Scavi”.

La Cripta degli Scavi è una zona archeologica sotterranea (sotto il prato che circonda il Campanile) in cui sono visibili resti archeologici di quattro epoche diverse. […].. tratti di cocciopesto relativi al pavimento dell’Aula Trasversale teodoriana (inizi IV secolo); a livello inferiore sono i mosaici di una Domus (casa unifamiliare) dell’età di Augusto (fine I secolo a.C. – inizi I secolo d.C.); a livello superiore, tratti del mosaico e fondazioni di colonne della Basilica post-teodoriana nord (metà del IV secolo), distrutta da Attila nel 452. Invece, non sono immediatamente comprensibili i resti dei magazzini del III secolo C., successivi alla Domus, rimasti in funzione forse fino all’intervento di Teodoro. (da www.basilicadiaquileia.it😉

L’Aula Nord del Patriarca Teodoro è caratterizzata da splendidi mosaici che riproducono diversi animali, soprattutto volatili, tra cui, però, c’è pure il mitologico Ippogrifo. La composizione musiva tradisce un simbolismo di non facile decifrazione. La chiave va certamente cercata negli inconsueti e innaturali accostamenti delle varie figure. 

Ad esempio l’aragosta (o gambero) posta in cima ad un albero (Immagine a sinistra). Oppure il capro con il corno e il pastorale; una nidiata di pernici. E ancora, girando attorno alle fondamenta del campanile, ecco apparire un ariete con la scritta “Cyriace vibas”, traducibile con l’auspicio che “O Ciriaco, possa tu vivere (in Dio)”. (Immagine a destra).

E poi una lepre ed un’altra raffigurazione della lotta tra il Gallo e la Tartaruga.

Ed è proprio in questo contesto che si trova il quadrupede che tanto ha incuriosito Di Stefano. Le guide ed alcuni testi sulla basilica lo indicano come un asino scalciante che avrebbe o una valenza decisamente negativa oppure positiva. Nel primo caso vi si vede il paganesimo, considerato opera del Maligno, sconfitto dalla Nuova Fede. Nel secondo, rappresenterebbe il Cristiano che si libera dai lacci del Peccato.

Una sorta di dualismo, quindi, che ci introduce nel tentativo di capire quale messaggio ci vogliano comunicare queste figure animali, vegetali, simboliche e che forse ci potrebbe anche permettere di identificare l’animale sconosciuto.

Gli storici dell’arte riconoscono che il simbolismo di questi mosaici affonda le radici nel pensiero Gnostico. In particolare del testo “Pistis Sophia”.

Ad esempio, ecco come il professore aquileiese Renato Iacumin (scomparso nel 2012) che ha dedicato una vita intera a sciogliere gli enigmi legati ai mosaici della sua città, interpreta (intervistato da Antonio Devetag) alcune delle raffigurazioni musive della “cripta”;

Parliamo dei quattro alberi tra le cui fronde è raffigurato un animale: in origine dovevano essere cinque, poiché uno è andato distrutto. In Pistis Sophia i “cinque alberi” fanno parte, con altri simboli numerici, del cosiddetto Tesoro di luce. Gli alberi rappresentano ognuno mille anni di storia dell’umanità. Ogni albero rappresenta un millennio di storia passata dalla creazione: gli gnostici ritenevano infatti, attraverso la lettura della Bibbia, di vivere nel sesto millennio. Gli animali rappresentano costellazioni. Ogni millennio trascorso viene proiettato nel cielo delle stesse fisse: l’albero che con un’interpretazione banale viene detto dell’Aragosta rappresenta in realtà la costellazione del gambero, ovvero il Cancro, che comprende quel settore del cielo in cui al Solstizio d’estate il Sole sembra fermarsi, per tornare indietro, appunto come fa il gambero”.

Non a caso il pesce posto sopra il “gambero” è la “Torpedine ocellata” o “Torpedine comune” (“Torpedo torpedo(Immagine a sinistra; una “Torpedine comune” a confronto con la raffigurazione teodoriana) secondo la classificazione di Linnaeus del 1758), ovvero una creatura cartilaginea appartenente alla famiglia Torpedinidae, dotata di un organo che produce una scossa elettrica che serve a tramortire le prede ed è percepibile anche dall’uomo. Quindi si tratta di un “pesce che paralizza” e, pertanto, rimanda allegoricamente all’episodio veterotestamentario in cui Giosuè disse “fermati o Sole!”.

Lo Gnosticismo è una forma di Cristianesimo che, come dico spesso io durante i convegni, è stata sconfitta dalla Storia. Ha perso. Al contrario di quello “paolino” che ha conquistato dall’interno l’Impero Romano, autoproclamandosi unico e legittimo erede. Lo Gnosticismo venne perseguitato non solo dalle autorità imperiali ma persino dalla Chiesa di Roma.

Nel 1945, a Nag Hammadi nel deserto egiziano, venne scoperta una intera biblioteca di testi gnostici scritti in lingua copta e risalenti al III secolo d.C., sopravvissuti ai roghi della Chiesa di Roma.

(Immagine a destra: Aquileia – Mosaici dell’Aula Nord di Teodoro. Capretto con un cesto di uova o forse ostriche; un altro simbolo gnostico?).

Fanno parte di questi testi diversi Vangeli apocrifi. Tra cui il “Vangelo di Filippo”, celebre soprattutto perché contiene il passo in cui Gesù sembra baciare la Maddalena. Al paragrafo 55 de “I Vangeli Apocrifi”, curati da Marcello Craveri, ed ed

Le parentesi quadre del testo indicano che quelle frasi e parole erano lacunose o inesistenti nel testo papiraceo e sono state ricostruite dai ricercatori. Certo non mi sembra che il paragrafo sia così chiaro, anche se non si può affatto escludere che il testo presentasse proprio quelle parole. In ogni caso, se anche Gesù baciava davvero la Maddalena, questo non significa che fossero sposati o che avessero una relazione sentimentale o sessuale. Per la dottrina gnostica, baciarsi, ha il significato di accogliere nell’intimo gli insegnamenti spirituali impartiti. Ovvero si tratta di trasmissione della Conoscenza (“Gnosi” in greco significa proprio “conoscenza”) tra il Maestro e l’Adepto.

31 – [….] dalla bocca, se di lì è uscito il Logos, dovrà essere nutrito dalla bocca, e diventare perfetto. Perché il perfetto diventa fecondo per mezzo di un bacio e genera. Per questo motivo anche noi ci baciamo l’un l’altro e concepiamo l’uno dall’altro, per opera della grazia che è in noi”. Craveri nella nota al paragrafo spiega che “Gli uomini si nutrono attraverso la bocca e anche attraverso la bocca hanno nutrimento spirituale, quando da questa esca il Verbo di verità, che li convinca, la parola e il bacio d’amore che li conforti, stimolandoli al bene ed alla fratellanza che li fa diventare perfetti (l’ultimo grado della gerarchia gnostica)”.iti nel 2005 da Einaudi; leggiamo testualmente:

La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli. La consorte di [Cristo è Maria] Maddalena. [Il Signore amava Maria] più di tutti i suoi discepoli e la baciava spesso sulla [bocca]. Gli altri discepoli allora gli dissero: perché ami lei più di tutti noi? – Il Salvatore rispose e disse loro: perché non amo voi tutti come lei?

Inoltre a Nag Hammadi sono tornate alla luce alcune “Apocalissi” apocrife (tra cui l’“Apocalisse di Pietro”, che cito spesso a proposito di alcuni affreschi presenti nel Santuario della Madonna dell’Auricola sui Monti Ausoni nel Basso Lazio) e che possiamo leggere, tradotte in italiano, ne “Le Apocalissi gnostiche”, a cura di Luigi Moraldi ed edite da Adelphi nel 1987.

Ed infine proprio il testo noto come “Pistis Sophia”. Da queste opere emerge che secondo pensiero dello Gnosticismo (forse più filosofia che religione) non a tutti è data la possibilità di “salvarsi”. Ma soltanto a coloro che possiedono una “scintilla di divinità”. Il “vero Dio”, secondo gli Gnostici, sarebbe estraneo, lontano da questo Mondo, creato invece da una sorta di divinità minore, il “Demiurgo“. Per costoro tutto ciò che è afferente la materia è intrinsecamente malvagio. In pratica, tutto si basava sul concetto dualistico della contrapposizione tra Spirito e Materia. Lo Spirito era positivo la materia negativa a prescindere.

Questa contrapposizione tra Luce e Tenebra, tra Bene e Male, la troviamo in diverse opere d’arte o simbologie. Pensiamo al vessillo dei Templari, il “Baussant” (“Valcento” per i Cavalieri Italici), o alle due chiavi, una bianca ed una nera, che impugna con la mano sinistra il “Cristo Giudice”, inserito nella Mandorla Mistica, e dalla cui bocca esce una “Spada di Giustizia”, raffigurato nella mirabolante “Cripta degli Affreschi” della Cattedrale di Anagni (FR).

(Immagine a sinistra: Anagni (FR) – Cripta della Cattedrale. Cristo Giudice nella “Mandorla Mistica” con nella mano destra 7 stelle (simbolo delle 7 chiese dell’Asia a cui si rivolge l’autore dell’Apocalisse giovannea. Il numero 7 va inteso allegoricamente nel senso di completezza e totalità. Quindi le 7 stelle rappresentano tutta la chiesa), la “Spada di Giustizia” che esce dalla bocca (e trovandosi sopra le 7 stelle indica che  serve per proteggere la Chiesa e tutti i Cristiani) e infine le 2 chiavi, una bianca e l’altra scura, impugnate con la mano sinistra).

 E non a caso, l’animale che ci interessa, avendo le strisce, sembra essere proprio bicolore. E quindi, perfettamente e simbolicamente compatibile con il pensiero Gnostico e la dualità dello Spirito e Materia.

Rimane da capire di che animale si tratti e qui, desidero lasciare la parola a Dino Coppola.

(Fine I parte)

(Giancarlo Pavat)

(Immagine a destra: Sonia palombo ad Aquileia – foto G Pavat 1991)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Sopra: LA PIANTA DELLA CATTEDRALE DI POPONE AD AQUILEIA – elaborazione di G. Pavat 2018).

 

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