I misteri del Santuario del Crocifisso a Bassiano (LT) – II parte – “l’Esadattilia cristica.

(Immagine di apertura: con “Cristo benedicente in trono con quattro Santi ” affrescati all’interno della grotta del Santuario del Crocifisso a Bassiano – foto G Pavat 2018)

I MISTERI DEL SANTUARIO DEL CROCIFISSO DI BASSIANO PROTAGONISTI DI UN PROGRAMMA TELEVISIVO

II^ parte

“L’ESADATTILIA CRISTICA”

di Giancarlo Pavat

 Ci saranno misteri per tutti nel nuovo programma della “ENDECA produzioni televisive” che andrà in onda nel prossimo autunno-inverno su SKY. Come già anticipato, una delle puntata sarà dedicata ai misteri di Bassiano. In particolare quelli relativi agli enigmatici affreschi del rupestre Santuario del Crocifisso.

Abbiamo già iniziato ad analizzarli assieme nella I parte di questo articolo.  

In merito allo stranissimo affresco con l’Uomo che sta candendo da una scala colpito da una freccia e che viene soccorso da un angelo (Immagine a lato – foto G Pavat 2018), l’amico ricercatore Fabio Consolandi ha scritto “La scala che compare nel sogno profetico di Giacobbe, posta tra terra e cielo, e sulla quale gli angeli continuano a salire e a scendere, è anch’essa un’interessantissima presenza simbolica che può fornire numerosi spunti di riflessione. Essa compare, in innumerevoli versioni, nel simbolismo delle immagini nei dipinti ed anche in forma di graffito. Nel “Sogno di Giacobbe” viene rappresentato il principio dell’unione tra energie terrestri ed energie celesti: un elemento verticale posto tra Terra e Cielo sul quale salgono e scendono gli angeli… Infatti, Giacobbe al suo risveglio capisce, e consacra la pietra, che prima giaceva in posizione orizzontale (l’aveva usata come cuscino), innalzandola a mo’ di stele verso il cielo, in posizione verticale. Si tratta del passo biblico (Genesi, 28, 17), in cui Giacobbe pronuncia la celebre frase “Terribilis est locus iste! Haec domus dei est et porta coeli“. Simbolicamente, Giacobbe ha trasceso il livello materiale (elemento orizzontale) raggiungendo l’elevazione spirituale (elemento verticale). La scala è l’elemento o il mezzo per raggiungere questa elevazione: è la metafora del cammino spirituale, dove ciascun gradino rappresenta un diverso livello di iniziazione. Nei dipinti e negli affreschi a livello più elevato di sapienza, questa scala è rappresentata con sette gradini, e spesso l’ultimo è appena accennato, o è semi nascosto: si intuisce che c’è ma non è mostrato al profano. Questo simbolo è stato osservato spesso in contesti che hanno a che fare con i Cavalieri Templari. Nell’affresco presente in Bassiano, su questa scala a sette pioli, staziona un personaggio che ha un fianco trafitto da una freccia, e che vacilla rischiando di cadere se non fosse per un angelo che sopraggiunge alla sua sinistra per sorreggerlo. Troviamo scale a sette pioli anche tra gli affreschi della sacrestia della Chiesa di Santa Maria di Sovereto, a Terlizzi (BA), che fu una domus templare ed è legata ad una Madonna Nera, e, all’estero, tra i graffiti delle celle di prigionia nel Castello di Newark, nel Nottinghamshire, nel Regno Unito, ove alcuni Templari furono rinchiusi prima del processo, accanto ad altri graffiti come la “Triplice Cinta” ed il “Centro Sacro”, rigorosamente in verticale (simboli presenti anche fra le vie dei borghi medievali dei Monti Lepini e della Ciociaria)“.

E è stato proprio Consolandi, diversi anni fa, a segnalare uno “strano” particolare di un affresco del Santuario bassianese. Un particolare che, se non interpretato correttamente, potrebbe davvero inquietare e dare la stura a supposizioni e ipotesi di sicuro impatto mediatico ma francamente prive di qualsiasi elemento concreto.

L’affresco è quello con Cristo benedicente in trono con quattro Santi che l visitatore si torva davanti, maestoso, non appena accede alla caverna picta. Abbiamo, appunto, “Cristo in trono”; affiancato, a sinistra da “San Leonardo” e “San Giacomo Maggiore” e, a destra, da “San Francesco” e un pontefice anche se qualcuno vi ha riconosciuto “San Nicola”.

Il particolare “strano” riguarda il piede destro di Gesù. Se si presta attenzione si noterà senza ombra di dubbio che ha sei dita (immagine sopra. Foto G Pavat 2018). Si tratta di un caso di Esadattilia.

Ho parlato spesso dell’Esadattilia nei miei libri, in altri articoli, durante convegni e gli “Itinerari del Mistero”, in quanto è riscontrabile in diverse opere d’arte medievali e rinascimentali, anche di artisti famosissimi. Ovviamente la presenza di sei dita alle mani o ai piedi dei personaggi è certamente voluta. E ha sicuramente un riferimento alla numerologia ed ai suoi valori esoterici.

Sei è il numero perfetto di per sé “scrive Sant’Agostino nella sua opera “De civitate Dei. “Ma non perché Dio ha creato il mondo in 6 giorni; piuttosto è vero il contrario. Dio ha creato il mondo in 6 giorni perché questo è il numero perfetto, e rimarrebbe perfetto anche se l’opera dei 6 giorni non fosse esistita” In pratica, tramite il numero 6 viene indicata esotericamente la perfezione del Creato. In quanto il numero 6 è il primo ad essere formato e completato dalle proprie parti. Ovvero “del suo sesto, del suo terzo e della sua metà, che sono l’uno, il due e il tre, che sommati assieme formano, appunto il 6”.

Se si esamina l’Esadattilia nell’Arte, non si può fare a meno di ricordare che un artista eccelso che ha lasciato numerose “tracce” di esadattilia nei suoi capolavori è Raffaello Sanzio (1483-1520). Ad esempio un “San Giovannino” con sei dita è riscontrabile nella “Bella giardiniera” (1507/1508 oggi conservata al Louvre di Parigi) (Immagine a sx).

Qualche dubbio lo insinua anche la mano destra di papa Sisto II della famosissima pala nota come “Madonna Sistina” (dipinta tra il 1512 e il 1514 1512/1514 ed esposta alla Gemäldegalerie di Dresda). La prospettiva non permette di esserne sicuri, ma sembrano esserci proprio sei dita.

L’ingegnere Franco Manfredi, autore di un libro dedicato proprio all’Esadattilia, “Lo strano caso delle sei dita” (Ebs print 2017) ha segnalato che a Urbino, nella casa natale di Raffaello, ora Museo Casa Santi dal nome del padre dell’artista, è visibile un affresco del 1498 con una Madonna con il Bambino addormentato in braccio. Ebbene le dita del piede destro di Gesù Bambino sono indubbiamente sei.

A Trevi nel Lazio (FR), nella parrocchiale di Santa Maria Assunta, è presente un altare barocco con colonne con capitelli corinzi ed un timpano ad arco acuto spezzato che racchiude una grandiosa tela (2,30×3,80 metri) raffigurante (non a caso, vista l’intitolazione della chiesa) la “Vergine assunta in Cielo”. Ebbene, l’ignoto artefice ha letteralmente copiato alcune scene e personaggi (soprattutto nella parte inferiore del quadro) da una celeberrima opera di Raffaello. L’opera in questione è la “Trasfigurazione”, realizzata poco prima della sua morte prematura ed oggi esposta alla Pinacoteca Vaticana. Si tratta di un capolavoro assoluto del Genio di Urbino, che ho avuto modo di vedere durante le diverse visite ai Musei Vaticani.

(A sx: la Pala d’altare di Trevi nel Lazio e, a dx, il particolare con l’ipotizzata esadattilia al piede destro del personaggio n primo piano- foto G. Pavat 2017)

 

 

 

La “Trasfigurazione” è una tempera su tavola (410×279 cm), databile al 1518-1520 ed è l’ultima opera di Raffaello, che non riuscì a portarla a termine. La parte inferiore (proprio quella che maggiormente ci interessa in relazione a Trevi) fu completata da Giulio Romano (1499-1546).

Nell parte inferiore del pala di Trevi nel Lazio, sulla sinistra (per chi l’osserva) si nota un personaggio (presente in maniera identica anche nella “Trasfigurazione” di Raffaello) che regge un libro aperto. Difficile identificarlo in mancanza di attributi iconografici. Potrebbe essere un profeta dell’Antico Testamento o un Evangelista. Di chiunque si tratti, sembra (ma non tutti sono concordi) che al piede destro abbia sei dita.

Ho controllato la “Trasfigurazione“ di Raffaello ed anche in quel caso il misterioso personaggio barbuto in primo piano pare vantare la medesima particolarità.

Nello “Sposalizio della Vergine”, opera sempre del genio di Urbino conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano e che Raffaello realizzò nel 1504, è San Giuseppe ad aver sei dita, ma al piede sinistro.

Anche l’omonima opera del Perugino (immagine a sx), databile al 1503-1504 circa, esposta al Musée des Beaux-Arts di Caen in Francia, presenta un caso di Esadattilia. È ancora San Giuseppe ad avere sei dita ma al piede destro. Mentre un’anonima donna che affianca Maria, ne ha altrettante ma al piede sinistro.

Ma torniamo per un momento a Milano. Alla Pinacoteca di Brera, vi è esposta un’altra opera in cui è presente un caso di Esadattilia. Si tratta di “La Vergine con i santi Giovanni Battista e Sebastiano“ realizzata nel 1515 da Timoteo Viti. In questo caso è il Battista ad avere sei dita al piede destro.

Decisamente molto più impressionanti sono i due casi di esadattilia (nella mano destra di San Marco e nel piede sinistro di San Luca) scoperti dal ricercatore Roberto D’Amico in alcuni dipinti (forse del XVII secolo) presenti nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Pontechianale (CN).

In Trentino Alto Adige, presso la chiesa di Burgusio, a 1.262 metri di quota slm, non lontano da Malles Venosta (Mals in tedesco), in provincia di Bolzano, ho visto personalmente una curiosa scultura raffigurante una strana creatura, forse un folletto o altro essere dei boschi, dal cipiglio non certamente benigno, che ha sei dita su entrambe le mani finemente cesellate nella pietra.

Io stesso ho avuto modo di scoprire scoperto un caso di Esadattilia in provincia di Frosinone e precisamente ad Acuto (FR), nella chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco. Nel registro inferiore dell’affresco absidale si vedono i due santi a cui è intitolata. Nella parte sinistra si trova San Sebastiano legato alla colonna. Il suo piede destro reca sei dita!

(Immagine a sx: Il S. Sebastiano con sei dita al piede destro affrescato nella chiesa dei SS Sebastiano e Rocco di Acuto (FR) – foto G Pavat 2013)

In questo sito ci si è già occupati dei due casi presenti a Ceccano, sempre in provincia di Frosinone. Nel Castello dei Conti di Ceccano, in una delle sale aperte al pubblico (che fungeva da cappella durante il lungo periodo in cui il maniero ha svolto le funzioni di carcere) si può vedere un affresco (realizzato dai detenuti nel secolo scorso, non si sa se sopra dipinti più antichi) raffigurante Cristo Crocifisso, la cui mano sinistra presenta sei dita!

L’altro caso è segnalato dalla professoressa Marisa d’Annibale. Si trova nella chiesetta di San Sebastiano, risalente ai primi anni del XV secolo ma visibile oggi con l’aspetto e le forme ricevute a seguito dei numerosi rifacimenti e modifiche che si sono susseguite nel corso del Tempo. L’altare addossato alla parete destra dell’unica navata (anticamente dedicato al “Sacro Cuore”) ospita una tela del XVII secolo (rinvenuta durante l’ultimo restauro) raffigurante la “Natività”. Secondo alcuni studiosi sarebbe da attribuire addirittura al celebre artista noto come “Cavalier D’Arpino” (al secolo Giuseppe Cesari, nato ad Arpino nel 1568 e morto a Roma il 3 luglio 1640). Ed è proprio in questo dipinto che si trova il secondo caso di Esadattilia a Ceccano. La mano destra di San Giuseppe presente inequivocabilmente sei dita!

La scrittrice e ricercatrice Claudia Cinquemani, nell’articolo “Il mistero del quadro di Arcidosso: simboli nascosti“, pubblicato su questo sito, ci ha parlato del caso di esadattilia presente nel Santuario della Madonna delle Grazie (detto anche “dell’Incoronata”) ad Arcidosso nel grossetano.

Ma non solo in Italia è possibile riscontrare casi di Esadattilia. In Catalogna, a Barcellona, e precisamente nella “Sagrada Familia”, capolavoro incompiuto dell’architetto Antoni Gaudí (1852-1926), Lorenzo Matamala ha scolpito un bassorilievo avente come soggetto la tragica “Strage degli Innocenti” voluta da Erode. L’artista ha realizzato un legionario romano, armato di tutto punto, che mostra chiari segni di esadattilismo nei piedi. Si dice che Matamala si sia ispirato all’anomalia presente negli arti inferiori di un cameriere di sua conoscenza.

(Immagine a dx: particolare del piede destro del S. Sebastiano nella chiesa dei SS Sebastiano e Rocco di Acuto (FR) – foto G Pavat 2013)

A mero titolo di curiosità, vale la pena ricordare che in un monastero buddista tibetano è conservata quella che viene indicata come la mano mummificata di uno Yeti, il famigerato ma inesistente “Abominevole Uomo delle Nevi”. (come dimostrato dallo scalatore Reinhold Messner alla base della leggenda c’è una rarissima specie di plantigrado tibetano; probabilmente oggi estinta). Ovviamente la mano non è latro che un abile falso ma per accreditarne la natura misteriosa e preterumana, l’ignoto artefice l’ha realizzata con sei enormi dita!

Lungo il corso della Storia dell’Uomo, il fenomeno dell’Esadattilia ha fatto nascere numerose credenze, superstizioni e leggende. Chi aveva questa malformazione (o nelle mani o nei piedi) era visto come un alleato o un “messaggero” del Mondo Occulto. In pratica era ritenuto legato alle forze del Male. Tra il popolino e presso le autorità ecclesiastiche, soprattutto durante il Medio Evo ed in epoca Controriformista, questa malformazione era vista come prova tangibile di pratiche stregonesche o sataniche.

Con questa accezione l’Esadattilia è menzionata nella Bibbia, nell’Antico Testamento, in un passo del “II Libro di Samuele” (21,20): “… vi era un uomo di grande statura che aveva sei dita per ogni mano e sei dita per ogni piede, in tutto ventiquattro; anch’egli discendeva da Rafa. Oltraggiò Israele, ma Gionata, figlio di Simeià, fratello di Davide lo abbatté“.

Quindi, guai a quegli infelici che venivano scoperti essere portatori di questo “marchio”. Nella migliore delle ipotesi venivano semplicemente cacciati come reietti dalla comunità dei cosiddetti “normali”. Nei casi estremi venivano linciati dal popolo o arsi sui roghi allestiti nelle pubbliche piazze.

Alla luce di tutto ciò, ci si starà chiedendo come sia stato possibile affrescare madonne, santi o addirittura, come nel caso del Santuario del Crocifisso di Bassiano, Gesù Cristo, con sei dita.

Si deve tener presente che l’Esadattilia non sempre e non dappertutto è stata vista come qualcosa di intrinsecamente negativo ed oscuro. Anzi.

Presso diverse Culture, Civiltà e correnti sapienziali la presenza di sei dita o nelle mani o nei piedi, è stata interpretata come peculiare di esseri “segnati” da Dio, sovrumani, dotati di facoltà, capacità e poteri straordinari.

Ed è proprio in questa ottica che probabilmente va visto il caso di Esadattilia di Bassiano. Ciò potrebbe indicare e/o confermerebbe la presenza in mezzo ai Lepini di un centro legato a quella conoscenza e sapienzialità iniziatica ed esoterica. Ovviamente non necessariamente collegato ai Templari.

(Immagine sopra: l’affresco con “Cristo benedicente in trono e quattro Santi” della grotta affrescata del Santuario del Crocifisso a Bassiano, fotografato da F. Consolandi prima del restauro) 

Ma non è tutto.

Verso il termine del suo già citato libro, “Lo strano caso delle sei dita” (Ebs print 2017), Franco Manfredi giunge ad alcune conclusioni che ritengo meritevoli di essere analizzate.

Mi sto riferendo alla possibilità che le sei dita rimandino allegoricamente al Quinto e (soprattutto) al Sesto bicchiere del “Seder” ebraico.

Con questo termine, che in lingua italiana può essere tradotto con la parola “Ordine” ci si riferisce ai diversi momenti del rituale di alcune ricorrenze dell’ebraismo; come la Pesach, in cui si consumano cibi e vivande in un ordine ben preciso. Ebbene, secondo l’autore , durante quella che noi chiamiamo “Ultima Cena”, Gesù stava celebrando un Seder” completamente rivoluzionato.

(Immagine sopra: particolare del volto del “Cristo benedicente” dell’affresco della grotta  del Santuario del Crocifisso a Bassiano, fotografato da F. Consolandi prima del restauro) 

La ricercatrice e scrittrice Valeria Clelia Tranquilli, citatissima da Manfredi, spiega che nell’”Ultima Cena” “i protagonisti della verità sono i bicchieri del vino: quattro uguali e il quinto diverso o nella forma o nella misura o nel colore”. Due bicchieri (o calici) vengono bevuti prima che cominci il pasto rituale, due alla fine del pasto. “Il vino del quinto bicchiere, quello diverso, non si beve, perché testimonianza della venuta del Messia, portatore della nuova liberazione” spiega la Tranquilli “Gli Ebrei, essendo ancora oggi in attesa del messia, non possono bere il vino di questo bicchiere, che però deve essere presente per rispetto della i commensali non bevano colpevolmente quel vino che alla fine della cena si rimette nel contenitore”. Ma Gesù Cristo beve invece proprio da quel calice, compiendo un gesto rivoluzionario rispetto alla religione e tradizione ebraica e sconvolgendo i 12 presenti alla stessa mensa. La prova sta nel Vangelo di Luca, come sottolineato dalla Tranquilli “……preso un calice disse: prendetelo e distribuitelo fra voi” (Lc, 22,17 – 20). UN calice; uno dei cinque, quindi. Ma, ovviamente non uno dei quattro svuotati prima e dopo la conclusione del pasto rituale. Solo il quinto poteva essere ancora pieno di vino. In questo modo Gesù per l’ennesima (e definitiva) volta, si dichiara essere l’atteso Messia che porterà la liberazione. Ma una liberazione diversa da quella che aspettava il Popolo ebraico. Una liberazione Non politica e/o militare contro l’oppressore romano.

In pratica, bevendo il quinto calice, i 12 diventano anch’essi rivoluzionari, perché riconoscono che il Messia è arrivato (Gesù che beve il calice che nella tradizione viene lasciato intatto proprio per il Messia).

(Immagine a sx: “Ultima Cena del XVII secolo, esposta nella Bolstadkyrka, nella regione svedese del Dalsland – foto G Pavat 2011)

Ma non è finita, “quando il bicchiere viene posato sulla tavola. Gesù vi versa di nuovo il vino, con maggior spavento dei Discepoli, ma quel vino lo beve solo Gesù accettando di salire sulla croce per la Redenzione: duplice Agnello”. “Si dichiara Messia, tempio, Sommo Sacerdote e unico mediatore tra Dio e l’uomo e agnello di comunione…” Quindi Gesù va oltre la rivelazione messianica (rappresentata dal quinto calice).

Tutti sapevano che il messia avrebbe portato una liberazione, invece Gesù ne porta due” prosegue Valeria Clelia Tranquilli nel suo libro “La voce segreta dell’arte” (Colibrì Edizioni 2016) “ll rituale si compone di cinque bicchieri. Gesù dando due liberazioni aveva bisogno del sesto bicchiere, non avendolo concretamente, versa di nuovo lo stesso vino nel 5° bicchiere e con la simbolica duplicazione crea il 6° bicchiere”.

 

Con le due innovazioni” scrive Franco Manfredi “Gesù annulla il Seder ebraico e lo sostituisce con un nuovo Seder”. Con il gesto rivoluzionario, sconvolgente, di dichiararsi apertamente il Messia ed eliminando il Seder della tradizione, Gesù cancella in un solo colpo tutta l’impalcatura della religione ebraica mosaica. Quindi annulla anche la casta sacerdotale. E sarà questo che gli costerà la condanna a morte. Condanna che non sarebbe potuta avvenire senza il tradimento di Giuda. Senza addentrarci (non è lo scopo di questo articolo) nel dibattito sulla colpevolezza o meno del “traditore” per antonomasia. Anche alla luce anche del “Vangelo di Giuda”, testo gnostico del IV secolo d.C., di cui venne ritrovata una copia in Egitto negli anni ’70 del XX secolo e nel 2006 pubblicato a cura del National Geographic Society. Senza scomodare gli Apocrifi, già nei vangeli canonici è evidente che Gesù sappia benissimo cosa Giuda ha intenzione di fare e anzi quasi lo sprona a farlo; “Va a fare quello che devi e fallo presto” (Giovanni; 13,27). D’altronde, senza il “tradimento” dell’Iscariota, non potrebbe giungere a compimento il progetto salvifico di Dio. Ecco quindi che Giuda si reca dal Sommo sacerdote e racconta di avere la prova definitiva che Gesù si ritiene il Messia; durante il Seder ha bevuto il vino del Quinto calice. Andando poi oltre, con l’istituzione del Sesto calice e con il colpo di spugna su tutta la tradizione mosaica e quindi anche sulla casta sacerdotale.

Quindi Gesù andava eliminato, non perché si era proclamato Rex Judeorum, ma perché aveva istituito un ”nuovo Seder e, il nuovo ebraismo”.

Manfredi, prima di concludere, cita il teologo cattolico svizzero Herbert Haag (1915-2001), spesso rampognato ed ammonito dalle Gerarchie romane. Haag, nel suo controverso libro “Da Gesù al sacerdozio” (tradotto in italiano dall’ editore Claudiana), “sostiene, controcorrente, che Gesù non voleva attorno a sé sacerdoti. Pertanto, […] l’esistenza nella chiesa del clero non corrisponde a ciò che Cristo ha fatto e insegnato” (da “La Repubblica” del 26 agosto 2001).

E le sei dita rappresenterebbero esotericamente proprio i sei calici usati da Gesù nell’Ultima Cena.

Tornando al concetto contenuto nel  libro di Manfredi, basterà evidenziare che questo “Seder” rivoluzionato, stravolto, andrebbe inteso nel senso dell’abolizione dell’ordine sacerdotale. Pertanto, di conseguenza, Gesù non avrebbe avuto alcuna intenzione di dar vita ad una nuova istituzione fortemente gerarchizzata come, appunto la CHIESA DI ROMA. La quale, infatti, è una creazione essenzialmente paolina.

Ipotesi straordinaria, quella che collega il “sesto dito” con la nascita di un CRISTIANESIMO SENZA CHIESA. Che, dopotutto, fu il pensiero di diversi esegeti, santi e (ovviamente) eretici medievali e non solo medievali.

(Immagine sopra: Ferentino – FR- Eremo di Sant’Antonio Abate a Colle del Fico – Celestino V rinuncia al papato deponendo la tiara – foto G Pavat 2006

Nel novero possiamo porre lo stesso San Francesco oppure Pietro del Morrone ovvero  Celestino V (che, non a caso, ha che fare con il caso di Esadattilia del Santuario della Madonna delle Grazie ad Arcidosso.

Ebbene, l’idea di un CRISTIANESIMO SENZA CHIESA, nel senso di essere privo di UN ORDINE SACERDOTALE, emerge anche da un approfondita analisi del “messaggio” racchiuso e veicolato nell’affresco del Cristo nel Labirinto di Alatri (FR).

Ne ho fatto cenno nel libro “Fino all’ultimo Labirinto” del 2013:

Infine un ultimo appunto che mi preme sottolineare. Come ho spesso ribadito durante convegni, interviste televisive, articoli, sono profondamente convinto che l’affresco alatrense sia Cristiano e assolutamente ortodosso dal punto di vista dottrinale. Non vi è alcunché di eretico. Con buona pace di coloro i quali si sono fatti pubblicità sbandierando ai quattro venti, teorie (spacciandole per certezze acquisite) astruse e assurde. Comportamento che ha soltanto contribuito a danneggiare la ricerca seria e coscienziosa.

(Immagine sopra: l’affresco con il Cristo nel labirinto di Alatri, dopo il restauro del 2012)

Certo, l’opera d’arte del chiostro di San Francesco ci parla di un Cristianesimo peculiarmente medievale, basato su determinate simbologie; le quali vennero ritenute quantomeno scomode, non più opportune, in epoca controriformista. L’affresco e il Labirinto non furono distrutti probabilmente perché al centro c’era Cristo stesso, ma, comunque, vennero prudentemente coperti dall’intonaco e, per stare tranquilli, vi eressero un muro davanti.

Posso ipotizzare che un aspetto, in particolare, non poteva essere accettato dalla Chiesa uscita dal Concilio di Trento.

Il messaggio dell’affresco alatrense, del “Cristo nel Labirinto” è un messaggio di speranza che trascende il valore puramente artistico e i contenuti dottrinali cattolici dell’opera. L’affresco ci fa comprendere che per quanto lunga, tortuosa, difficile, sia la strada della Vita, alla fine troveremo sempre chi ci allungherà la mano per aiutarci, per indicarci il cammino, mostrarci la meta.

Ma all’interno del Labirinto, l’Uomo, il Penitente, il Pellegrino, l’Assetato che vuole abbeverarsi alla Fonte della Vita, è solo! Ognuno di noi è solo davanti a Lui; solo con il suo libero arbitrio al cospetto di Cristo. Solo. Senza alcun mediatore.

E’ questo che più’ affascina e che contemporaneamente da’ più fastidio. L’affresco, per quanto incredibile possa sembrare, è un compendio di un trattato di teologia. Una Teologia assolutamente canonica, ma che propone un approccio diverso a Cristo. Si è detto che non vi è alcun intermediario, alcuna Arianna, alcuna Beatrice. Qui non c’è alcun sacerdote, alcun prete, alcuna Chiesa che ci dice come comportarci, che gli insegna i suoi precetti, che si pone tra il fedele e Dio. Ma c’è solo l’Individuo e la sua Coscienza davanti a Cristo.

E questo, la Dottrina Cattolica postconciliare, non poteva assolutamente permetterlo.

Un messaggio di una modernità’ dottrinale e concettuale sconvolgente. […]

In quel labirinto, che è la nostra vita, non siede il dio della montagna incontrato da Mosè, “El-Saddai”. Il dio severo e vendicativo del Vecchio Testamento ma Gesù. Il Cristo che nei suoi 33 anni di vita terrena, ci ha preceduto lungo il percorso del Labirinto e che ora ci indica il percorso e ci attende alla meta. Sereno, compassionevole, pronto a perdonare. Il suo braccio, la sua mano, non sono quelli del Giudizio Universale michelangiolesco. Imperiosi, terribili, nell’atto di separare, punire, condannare per sempre. Ma ci stanno benedicendo e contemporaneamente mostrando il giusto sentiero.

Un Cristo umano perché fattosi uomo, ma trascendente perché Dio stesso. Una trascendenza resa attraverso la sapiente scelta di determinate allegorie e metafore di simboli. Che si sono già’ abbondantemente sviscerati.

Un messaggio, quindi profondo ed ecumenico. Che travalica fedi e confessioni.

Che ci costringe a fare i conti con noi stessi, con la nostra coscienza e con Lui. Senza alibi, senza scorciatoie. Non ve ne sono nel labirinto. O si prosegue sino in fondo, affrontando giorno dopo giorno le difficoltà’ della Vita o si torna indietro. Ma si è già detto che, così facendo, si rinuncia a raggiungere la meta, il centro del labirinto, si rinuncia a salvarsi”.

 È proprio questo, quindi, il VERO messaggio nascosto nell’Esadattilia nell’arte? L’Esadattilia rappresenterebbe, come già evdenziato, i 6 calici utilizzati da Gesù nell’Ultima Cena e quindi sarebbe un auspicio di un Cristianesimo senza la Chiesa di Roma, o meglio, senza il Papato? Nel caso di Bassiano, se pensiamo che a realizzare quegli affreschi potrebbero essere stati appunto i “Fraticelli” (o i loro epigoni) perseguitati proprio dai papi, tutto sembrerebbe collimare.

(Fine II parte – continua)

(Giancarlo Pavat)

(Immagine sopra: la famosissima pala nota come “Madonna Sistina”, dipinta tra il 1512 e il 1514 1512/1514 ed esposta alla Gemäldegalerie di Dresda).

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