I MISTERI DI LAURIE ISLAND – di Giancarlo Pavat

 

Lo Stretto di Drake, il Mare di Weddel e l’Oceano Atlantico meridionale con le Isole Orcadi australi – elaborazione G. Pavat.

ISOLE MISTERIOSE.

I MISTERI DI LAURIE ISLAND

Orcadi australi

di Giancarlo Pavat

Le isole Orcadi o Orkney (le “Orcades” dei Romani) si trovano a Nord della Scozia, nell’Atlantico settentrionale. Per secoli sono appartenute culturalmente e politicamente al mondo scandinavo, oggi fanno parte del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

le Isole Orcadi “originali” a nord della Scozia. Il faraglione denominato “The Old Man of Hoy” ovvero il “Vecchio uomo di Hoy” , una delle isole Orcadi o Orkney – Fonte Wikipedia

Ma agli antipodi, dall’altra parte del pianeta, esistono altre isole Orcadi, battezzate “australi” (o “meridionali” che poi significa la medesima cosa, South Orkneys in inglese) nel 1823 dal grande esploratore polare britannico James Weddell (1787-1834).

Un francobollo dedicato a J. Weddel.

In realtà erano già state scoperte almeno due anni prima. Sicuramente erano sttae raggiunte dall’esploratore e cacciatore di foche americano Nathaniel Brown Palmer (1799-1877).

Ma darle un nome per primo fu il britannico George Powell che chiamò l’isola maggiore “Coronation” perché era l’anno dell’incoronazione di Giorgio IV. L’intero l’arcipelago antartico venne denominato “isole di Powell”.

Oggi sono universalmente note, appunto, come Orcadi australi. Di fatto sono un gruppo di isole sub-antartiche situate alla latitudine da 60°50’S a 60°83′ S e longitudine da 44°25′ O a 46°25′ O nel Mare Antartico, a circa 500 km. dalla Terra di Graham.

L’Arcipelago delle Orcadi Australi con evidenziata Laurie Island – elaborazione G. Pavat

Queste sono le isole che ne fanno parte:

Coronation Island;

Larsen Islands;

Laurie Island

Inaccessible Islands;

Powell Island

Robertson Islands;

Signy Island.

Le isole più grandi sono quelle di Laurie e Coronation, circondate da un gran numero di isolotti e di scogli, che hanno complessivamente 1230 kmq. di superficie.

Le isole sono montuose: ad esempio Coronation s’innalza fino a 1645 m.slm.. Il clima è (manco a dirlo) rigidissimo (temperatura media annua − 4°,6), con piogge molto abbondanti; per quattro quinti dell’anno il cielo è completamente coperto; soffiano particolarmente violenti i venti di ovest e di nord-ovest.

Dove il suolo non è coperto dai ghiacci o dalla neve, vegetano i soliti muschi e licheni.

Panorama delle Orcadi Australi – Fonte Wikipedia.

Dopo la loro scoperta, sebbene fossero state raggiunte diverse volte dai cacciatori di balene e di foche, si dovette aspettare sino agli albori del XX secolo per avere una esplorazione completa su basi geografiche e scientifiche completa dell’arcipelago.

Nel 1903, lo scozzese William Speirs Bruce (1867-1921) a bordo dello “Scotia” guidò una spedizione che passò un intero inverno antartico sull’isola di Laurie.

Un francobollo dedicato a William Speirs Bruce.

William Speirs Bruce era già piuttosto noto per aver trascorso un inverno sull’isola di Northbrook nella Terra di Francesco Giuseppe (in russo: Zemlja Franca Iosifa”) scoperta nel 1873 dalla spedizione polare austroungarica (ma formata soprattutto da Triestini, Istriani e Dalmati) di Julies von Payer e Karl Weysprecht.

Copertina del libro del triestino Enrico Mazzoli dedicato a “Carl Weiprecht. Nel 175° anniversario della nascita” – Luglio editore 2013 – foto G Pavat 2019.

William Speirs Bruce faceva parte come zoologo della “Jackson-Harmsworth Expedition” (1894-1897) comandata dall’inglese Frederick George Jackson (1860-1938).

Bruce trascorse il terribile e buio inverno artico nell’accampamento a Elmwood su Northbrook, assieme ad altri sette membri della spedizione (tra cui Albert Armitage, che in seguito parteciperà alla spedizione “Discovery” di Robert Falcon Scott (lo sfortunato eroe della corsa al polo Sud Scott) e David Wilton, che come zoologo sarà imbarcato sulla “Scotia” nei Mari Antartici.

l’esploratore britannico Frederick George Jackson – Fonte Wikipedia.

E fu proprio durante la permanenza nella Terra di Francesco Giuseppe che Bruce, assieme a Jackson, vivranno, il 17 giugno 1896, lo storico ed incredibile incontro con gli esploratori artici norvegesi Fridtjof Nansen (1861-1930; eroe nazionale norvegese per essere stato il primo ad attraversare con gli sci la Groenlandia nel 1888-1889 e successivamente Premio Nobel per la Pace nel 1922) e dal suo compagno d’avventura Fredrik Hjalmar Johansen (1867-1913).

l’esploratore norvegese Fridtjof Nansen – Fonte Wikipedia.

Di Nansen e Johansen, che avevano inutilmente tentato di raggiungere il Polo Nord, non si sapeva più nulla da oltre tre anni. Tutto il mondo era convinto che fossero ormai morti nelle immensità allora ancora sconosciute dell’Artico. In realtà erano riusciti a sopravvivere sulla banchisa cacciando e vivendo come gli Inuit. Cercando di raggiungere Spitsbergen nelle Svalbard con dei kayak erano finiti sulle isole della Terra di Francesco Giuseppe in parte ancora ignota.

Fu Jackson, che se li trovò davanti in quella landa desolata, che li informò su dove si trovavano. E fu con l’aiuto della “Jackson-Harmsworth Expedition”, i due coraggiosi norvegesi riuscirono a tornare in Patria a bordo della “Windward” il 7 agosto del 1896.

Lo “Scotia” a Laurie Island. – Immagine di pubblico dominio.

Successivamente William Speirs Bruce fu invitato a partecipare alla “British National Antarctic Expedition” che doveva essere guidata da Robert Falcon Scott. Ma declinò l’offerta preferendo organizzare una spedizione nazionale scozzese.

La spedizione, denominata “Scottish National Antarctic Expedition” venne finanziata in gran parte dalla ricchissima famiglia Coats. Bruce si rivolse a Nansen, di cui era diventato amico, per farsi consigliare su quale nave utilizzare per il viaggio in Antartide. La scelta cadde su una baleniera norvegese: la “Hekla”, che prendeva il nome dal celebre vulcano islandese ritenuto nel Medio Evo l’ingresso agli Inferi.

Bruce la ribattezzò, non a caso, “Scotia”.

La “Scotia” sciolse gli ormeggi nel porto di Troon sulle rive del Firth of Clyde in Scozia, il 2 novembre del 1902. Poco più di due mesi dopo raggiunse Port Stanley capitale delle isole Falkland (Malvinas). Era il 6 gennaio del 1903. Il 26 gennaio, dopo aver imbarcato rifornimenti per una permanenza di almeno due anni in Antartide, salpò con la prua in direzione sud.

Scopo dichiarato della spedizione era di raggiungere la Penisola Antartica, sbarcare un gruppo di quattro scienziati e due membri dell’equipaggio, che avrebbero dovuto trascorrere l’inverno a terra, per condurre a primavera importanti spedizioni all’interno ancora sconosciuto.

William Speirs Bruce con i suoi uomini e la “Scotia” su Laurie Island. Le bandiere sono l’Union Jack britannico e quella con la “Croce di Sant’Andrea” della Scozia – Immagine di pubblico dominio.

La “Scotia” avrebbe dovuto svernare nella Georgia del Sud, e poi recarsi alle Falkland (Malvinas) per eventuali lavori di manutenzione. Giunta l’estate antartica, sarebbe stata impegnata nell’esplorazione della costa con rilevamenti cartografici, magnetici, meteorologici e biologici.

II 3 febbraio la “Scotia” raggiunse le isole Orcadi Australi. A Saddle Islande sbarcò alcuni membri dell’equipaggio.

Ripreso il largo toccò la latitudine più meridionale mai raggiunta di 71°21’S, ma il sopraggiungere della stagione invernale costrinse la spedizione a raggiungere latitudini più settentrionali, verso le Orcadi Australi.

La nave gettò l’ancora davanti all’isola di Laurie in una baia che venne chiamata, ovviamente, “Scotia Bay”. Bruce vi installò una stazione meteorologica ed esplorò tutte le isole, ribattezzò alcuni toponimi dati da Weddell. Assieme ai 33 membri della spedizione svernò sull’isola in una capanna chiamata “Omond house”. Con il ritorno della stagione più favorevole, il 2 dicembre 1903 (in Antartide a dicembre è estate!) la “Scotia”, finalmente libera dai ghiacci, poté rientrare a Port Stanley.

Dalle Falkland (Malvinas) la “Scotia” giunse a Buenos Aires, ma rimase incagliata per un paio di giorni in un banco di sabbia mal segnalato. Il 21 gennaio 1904 salpò con a bordo tre meteorologi argentini che sarebbero subentrati nella stazione meteo dell’isola di Laurie, visto che la Gran Bretagna non aveva mostrato interesse per la base. Giunsero in vista dell’isola il 13 febbraio. Da quel momento, per diverse settimane, la “Scotia” navigò con la prua a sud-est, ritrovandosi più volte incastrata tra i ghiacci. Venne avvistata un a nuova terra che fu chiamata “Coats Land”, in onore dei fratelli Coats, principali finanziatori della spedizione.

Durante il viaggio di ritorno furono fatti rilievi del fondale dell’Oceano Atlantico meridionale e del Mare di Weddell, misurandone la profondità e facendo rilievi delle vette sottomarine. Venne scoperta una dorsale a occidente della dorsale atlantica, alla quale venne in seguito dato il nome di “Scotia Ridge”. Venne inoltre esplorata “Gough Island”, situata nel mezzo dell’Oceano Atlantico; qui gli scienziati, dopo due anni passati in mezzo ai ghiacci, raccolsero numerosi campioni della flora e fauna.

Il 21 maggio 1904 la “Scotia” lasciò Città del Capo, il 30 maggio raggiunse l’isola di Sant’Elena, ed il 15 luglio la nave giunse infine a Kingstown (nei pressi di Dún Laoghaire) vicino a Dublino. La spedizione fu un successo da un punto di vista scientifico e a William Speirs Bruce venne conferita la medaglia d’oro della Royal Scottish Geographical Society.

Nel 1951 la stazione meteo, rimasta di proprietà dell’Argentina, venne battezzata con il nome di “Orcades”. ed è ancora oggi in funzione. Circostanza che le fa assumere il primato di più vecchia stazione di ricerca abitata senza interruzioni dell’Antartide.

Nel 1908, l’arcipelago delle Orcadi Australi, compresa l’isola di Laurie, entrò a far parte delle Isole Falklad (Malvinas ). Il Regno Unito e l’Argentina si contendono la sovranità sulle isole, ma poiché sono situate al di sotto del 60° S, l’arcipelago è sotto la tutela del Trattato antartico.

La “Omond house” in una foto all’epoca della “Scottish National Antarctic Expedition” – Immagine di dominio pubblico

Nonostante la presenza degli scienziati della base, Laurie Island rimane comunque una terra desolata che custodisce ancora oggi almeno due inquietanti misteri.

Il primo riguarda la scomparsa di Hartvig Bache Wiig. Campione di sci ed esperto dell’Artico e dell’Antartico, venne nominato capo dell’Osservatorio meteorologico che gli argentini avevano impiantato sull’isola sin dal 1904.

Il mattino del 30 aprile del 1915, approfittando della giornata di sole, Wiig decise, come faceva spesso di concedersi una passeggiata sugli sci attorno all’isola. Per un esperto come lui, già campione sportivo, non si trattava di certo di una impresa difficile. Una banale gita. Come fare una passeggiata in un parco cittadino, in pratica.

Durante il giorno il tempo cambiò e prese a nevicare. Ma alla base nessuno si preoccupò, conoscendo le capacità e l’esperienza di Wiig. Il discorso cambiò quando scese la sera. Si era nella stagione dell’autunno antartico e il buio arrivò rapidamente. Di Wiig nessuna traccia.

Subito venne organizzata una spedizione di ricerca e nonostante le condizioni meteo diventate proibitive, si cercò lo sfortunato scandinavo in ogni angolo di Laurie. Ma invano.

Stesso risultato ebbero le ricerche nei giorni successivi. Nessuno vide mai più Hartvig Bache Wiig.

Vennero fatte diverse congetture su che cosa fosse successo. Una caduta in crepaccio dell’isola? Difficile per un esperto come lui. Finito in mare da una scogliera. Stesso discorso.

Ad un secolo esatto dalla sua misteriosa scomparsa l’enigma rimane insoluto.

 

Il piccolo cimitero di Laurie Island – Fonte Wikipedia.

Lo svedese Anton Stuxberg, che aveva preso il suo posto come comandante della base e gli altri suoi compagni decisero di ricordarlo piantando una croce con il suo nome nel piccolo cimitero dell’isola di Laurie, in tutto sette sepolture (si dice che sia il camposanto più grande dell’Antartide)

Ma in realtà soltanto sotto sei croci ci sono dei corpi. La settima è, appunto, quella di Hartvig Bache Wiig. Il suo corpo non è lì, ma da qualche parte, probabilmente ancora intatto viste le temperature, nell’immensità dell’Antartide.

Ma non è finita con i misteri di Laurie.

Proprio nelle acque prospicenti Laurie, nel 1840 la baleniera inglese “Hope” al comando del capitano Brighton fece un inquietante incontro. Una nave fantasma!

Non quella del leggendario Olandese Volante e nemmeno una di quelle che si dicono scomparse nel famigerato (ma molto probabilmente inesistente) Triangolo delle Bermude. Ma qualcosa di ben piu’ tragicamente concreto.

Dopo essere sopravvissuta ad una violentissima tempesta, la “Hope”, avvistò tra alcuni iceberg un altro veliero. Era la “Jenni”, anch’essa britannica ed iscritta ai registri navali dell’isola di Wight.

Il capitano Brighton diede ordine di avvicinarsi alla nave ma subito i marinai si accorsero che c’era qualcosa che non andava.

L’imbarcazione appariva decisamente malridotta, decrepita, coperta di neve e ghiaccio e sul ponte non si vedeva nessuno. Come nessuno rispose ai richiami ed ai saluti lanciati dalla “Hope”.

Laurie Island – Fonte Wikipedia.

Venne messa una scialuppa in mare ed alcuni marinai, guidati da Brighton riuscirono a salire a bordo. Una volta sulla “Jenni” tutti gli uomini vennero presi da una strana sensazione. Sebben fossero rudi e coraggiosi balenieri, avvezzi ad affrontare qualsiasi pericolo in quei mari tempestosi, sentirono un brivido scorrere lungo la schiena. E non era di freddo.

Ripresero a chiamare e non avendo ricevuto risposta decisero di scendere sottocoperta ad investigare.

Non l’avessero mai fatto. L’incubo era in agguato.

Nella cabina di comando c’era un uomo seduto ad un tavolo intento a scrivere sul diario di bordo….

I marinai della “Hope” lo salutarono ma ancora una volta non ottennero risposta.

Diedero un’occhiata al diario e poi all’uomo seduto. E di colpo compresero la spaventosa realtà.

Quell’uomo era morto. Perfettamente conservato dal freddo polare. La morte l’aveva colto intento a scrivere le ultime disperate righe…..

Che permisero a Brighton ed ai suoi uomini di capire che cosa fosse successo sulla “Jenny”.

Il veliero era rimasto imprigionato tra i ghiacci e dopo innumerevoli e vani tentativi di liberarla, erano terminati i viveri e il combustibile.

Negli altri ambienti della nave trovarono i corpi del comandante, della giovane moglie e del resto dell’equipaggio. Erano tutti morti di freddo e di fame. E tutti erano perfettamente incorrotti.

Ma quello che sconvolse di più’ gli uomini dell'”Hope” fu la data presente nelle ultime righe sul diario di bordo.

Era il 1823. La “Jenny” era morta 17 anni prima e per diciassette anni aveva vagato senza meta con il suo carico di mummie.

Presi da un terrore superstizioso ed irrazionale, gli uomini della “Hope” abbandonarono in gran fretta la “Jenny”. Il capitano Brighton decise di portare con se solo il diario di bordo per consegnarlo agli armatori affinché avvisassero i famigliari dello sfortunato equipaggio.

La “Hope” si allontanò il più velocemente possibile.

Nessuno rivide mai più la “Jenni”.

Ancora oggi si ignora se sia poi affondata. Anzi…. c’è chi è convinto che stia ancora vagando per i mari antartici, intrappolata nei ghiacci…..con il suo equipaggio di fantasmi.

(Giancarlo Pavat)

Si ringrazia Wikipedia per l’utilizzo delle immagini.

Giancarlo Pavat con gli scienziati antartici italiani Della Rovere e Pellegrini nel 2006.

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