Tutte le immagini della mostra “GOTLAND. ALLE RADICI DEL LABIRINTO” di Fabio Consolandi, Luca Pascucci e Giancarlo Pavat.

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“GOTLAND. ALLE RADICI DEL LABIRINTO”. Mostra fotografica di Fabio Consolandi, Luca Pascucci e Giancarlo Pavat.
(Alatri – Chiostro di San francewsco. 15 dicembre 2012 – 10 febbraio 2013).

Nell’immaginario collettivo l’isola del labirinto è per antonomasia l’Isola di Creta. Anche alla luce del mito classico di Minosse, Dedalo, Teseo, Arianna ed il Minotauro.
Ma a Creta non è stato trovato nulla di nemmeno lontanamente simile ad una struttura possibilmente identificabile con il concetto di labirinto.
Non per nulla sono state proposte numerose spiegazioni per la nascita del mito (il labirinto sarebbe stato il Palazzo reale di Cnosso, oppure le vicine grotte di Gortina, o, addirittura, un danza rituale) ma nessuna è riuscita a sgombrare il campo da dubbi e perplessità.

Ma se non è Creta, qual è, sempre che esista, l’isola del labirinto?
Esiste davvero. E di labirinti ne possiede a decine.
Proprio come Creta si trova al centro di un mare chiuso tra le terre. Ma non si tratta di un mare caldo come il Mediterraneo ma molto più freddo e situato a latitudini decisamente più settentrionali; di tratta del Mar Baltico e l’isola è quella di Gotland.
L’isola si trova a 57° 30’ di latitudine Nord e 18° 33’ di longitudine Est, quasi nel centro perfetto del Baltico (Östersjön in svedese, letteralmente “Mare orientale”), a nord ovest dell’isola di Öland e ad ovest delle coste orientali della Svezia.
Con una superficie di 3.140 km quadrati, è l’isola più grande del Baltico e amministrativamente è una contea della Svezia, con capitale la deliziosa cittadina medievale (Patrimonio dell’Unesco) di Visby.
Del territorio di Gotland fanno parte pure l’isola di Fåro, a nord, l’arcipelago di Karlsö (Stora Karlsö e Lilla Karlsö) a ovest, le Inner Holmen e Ytter Holmen che chiudono la Gansviken (Baia di Gans) sulla costa sudorientale, alcune isolette a est del porto di Slite, e la remota e selvaggia isola e parco naturale di Gotska Sandön, situata a 40 chilometri a settentrione di Fåro.
L’isola è molto antica, nata circa 400 milioni di anni fa grazie al continuo depositarsi di strati di roccia sui fondali di un preistorico mare tropicale.
Quasi priva di rilievi, ospita superbe scogliere di calcare o di granito, ricche di fossili di organismi marini, ed i celeberrimi faraglioni, i “Raukar”. Grazie al suo clima particolarmente mite anche d’inverno, gode di un varietà di piante ed alberi da frutta sconosciuti nel resto della Scandinavia.
Varia la fauna, anche se mancano i grandi mammiferi della terraferma svedese, come alci, renne, orsi, ghiottoni e lupi.
A Gotland si possono incontrare daini e cervi, conigli selvatici, scoiattoli, volpi ed i piccoli e tipici cavallini che vivono allo stato brado. Caratteristiche sono pure le pecore nere con il vello di colore grigio e bianco, diventate anche simbolo dell’isola.
Abitata sin dalla fine dell’ultima glaciazione (12.000-10.00 anni fa), l’isola conserva straordinari siti archeologici e monumenti storici.
Nota ai Romani, come dimostrano la citazioni degli autori classici (ad esempio il Baltico era chiamato “Mare Suebicum” da Tacito) e, soprattutto, dalle evidenze archeologiche. Numerose monete romane rinvenute in diverse zone dell’isola sono esposte al Gotland Fornsal, l’interessantissimo Museo archeologico e storico di Visby. Allestito in una settecentesca distilleria reale, raccoglie le testimonianze della storia dell’isola. Dall’ “Uomo di Stenkyrka”, trovato in una sepoltura di 8000 anni, ai tesori vichinghi, alle opere d’arte e oggetti medievali, sino a quelli della vita quotidiana degli ultimi secoli.
L’Età del Bronzo (durata a Gotland e nel resto della Svezia, grossomodo, dal 1000 al 300 a.C.) è testimoniata in tutta l’isola da tumuli, menhir, sepolcri megalitici a forma di imbarcazione, resti di villaggi.
Davvero unico il patrimonio di stele runiche o pietre dipinte ed incise, che vanno dall’Età del bronzo all’epoca dei Vichinghi, al XI solco. Alcune si trovano ancora nei siti in cui sono state rinvenute, come chiese, cimiteri o in aperta campagna: La maggior parte è esposta in un apposita e suggestiva sala del Gotlands Fornsal.
Dopo la fine dell’Età Vichinga e l’arrivo del Cristianesimo, Gotland, ed in particolare la capitale Visby, divennero un centro nevralgico per i traffici in tutto il Nord Europa. La città entrò a far parte della Lega dell’Hansa. A questo periodo di ricchezza economica e sviluppo culturale si devono le numerose chiese, i palazzi e l’intatta cinta muraria con numerose porte urbiche perfettamente conservate. Occupata dai Danesi alla fine del Medio Evo, Gotland ritornò definitivamente alla Svezia nel XVI secolo.
Ma la caratteristica più interessante dell’isola è, appunto, la presenza di numerosi esemplari di labirinti, alcuni molto grandi, realizzati con pietre o massi e sparsi su prati, spiagge, all’interno di camposanti di chiese medievali, su isolette più piccole a poca distanza dalla costa di Gotland. Sono riconducibili ad un arco temporale che va dall’Età Moderna, al Medio Evo, all’Età del Bronzo, sino a, forse, epoche preistoriche di cui si è perso il ricordo.

I labirinti dell’isola di Gotland vengono definiti “baltici”, in quanto si trovano a migliaia sulle rive di questo mare, dalla Svezia, alla Finlandia, dalla Lapponia alla Germania settentrionale ai Paesi Baltici. Ma in realtà si rintracciano pure sulla costa svedese del Mare del Nord (come il famoso labirinto preistorico di Ulmekärr nella regione del Bohuslan a poca distanza dal mare), in Danimarca, in Norvegia, sulle isole Scilly in Gran Bretagna, nella lontana Islanda, persino nella penisola di Kola affacciata al Mare di Barents ed all’Oceano Artico, ed ancora, in Carelia e nell’Arcipelago russo della Solovetsky in mezzo al Mar Bianco.

Quelli “baltici” sono labirinti unicursali, vagamente spiraliformi, che gli studiosi chiamano “cretesi” o, più precisamente, “classici” (in inglese “classical”), proprio in riferimento agli esemplari rinvenuti incisi su monete dell’isola di Creta (a Cnosso, ma risalenti al V secolo a.C. , quando la civiltà Minoica era ormai scomparsa da secoli) o su pavimenti musivi romani.

I labirinti, infatti, a seconda della tipologia del percorso si dividono in “unicursali”, ovvero quelli con una sola entrata, un solo percorso ed una sola uscita, generalmente al centro; (proprio come quello con il Cristo visibile qui ad Alatri che, ricordiamolo, iconograficamente è unico al Mondo, non esistendo alcun altro esemplare di labirinto con la figura del Salvatore al centro), ed in “multicursali”, dotati invece di diversi percorsi piuttosto complessi ed arzigogolati.
In inglese la distinzione è ancora più chiara in quanto vengono indicati con due parole distinte: “Labyrinth”, ovvero il labirinto unicursale; e “Maze”, per il labirinto multicursale.

Secondo E.O. Gordon, “Prehistoric London, his Mounds and Circles” del 1925, il termine “Maze” deriverebbe dal cimrico “maes” che nella lingua dell’antica Cornovaglia indica un “prato”, oppure dall’identica parola celtica “maes” che significa “campo”. Tutto ciò testimonierebbe, quindi, l’antichità della realizzazione di figure labirintiche sul terreno, con l’erba o le pietre.

Stando alle raffigurazioni numismatiche o musive lasciateci dall’Antichità Classica, a cui si è precedentemente accennato, e persino a graffiti rinvenuti sotto al cenere del Vesuvio sulle pareti di edifici di Pompei, che ci mostrano una figura geometrica (circolare, quadrata o rettangolare) con un percorso decisamente unicursale, il labirinto di Creta non era ritenuto multicursale, cioè non era un “maze”.

Quindi sembrerebbe logico pensare che pure i labirinti baltici, che, come si è visto, sono dei labirinti riconducibili ai modelli “classici”, abbiano tratto ispirazione dalle raffigurazioni provenienti dal Mediterraneo. Se non fosse per il fatto che diversi esemplari dei labirinti baltici (in particolare alcuni svedesi e, soprattutto quelli della Carelia e del Mar Bianco, alcuni datati al II millennio a.C.) sono molto più antichi di quelli greci o romani. Constatazione che non può che far sorgere diverse e affascinanti ipotesi di ricerca sulla reale provenienza di questo simbolo.

Con questa piccola mostra fotografica si è voluto dare un modesto contributo alle ricerche ed agli studi sui labirinti; in particolare sulle radici del simbolo affrescato ad Alatri.
Ma, al contempo, si è cercato di trasmettere quelle emozioni da noi vissute durante il nostro viaggio e le ricerche sull’isola di Gotland. Abbiamo integrato le immagini dei labirinti con quelle di panorami mozzafiato della natura selvaggia ed intatta ma al contempo a misura d’uomo, con quelle di spiagge, pinete, prati, scogliere, orizzonti marini, e di altre testimonianze del passato che, come la risacca sulla battigia, i secoli hanno depositato a Gotland.
Quanto ai labirinti, abbiamo selezionato cinque baltici di pietre ed uno affrescato all’interno di una chiesa medievale.

“E’ probabile che i labirinti abbiano svolto un ruolo importante nel culto pagano delle comunità preistoriche. Essi sono stati utilizzati in primavera per i giochi o cerimonie religiose. In diversi paesi sono sopravvissute tradizioni secondo le quali, in queste occasioni, una ragazza interpretava il ruolo della dea madre e prendeva posto al centro del labirinto (= Mondo Infero). Uno o due uomini interpretavano il ruolo del dio del cielo che doveva liberare o rapire la dea madre dal suo castello prigione degli inferi. Una volta liberata o rapita dal labirinto, probabilmente si univa in matrimonio con il suo liberatore in primavera”.
(da John Kraft “The Goddes in the Labyrinth”, Åbo Akademi, Turku Suomi Finland, 1985).

“Probabilmente è lecito ritenere che i labirinti hanno avuto una lunga storia di utilizzo religioso pagano, e sono rimasti in uso fino agli inizi del Medioevo”.
(da John Kraft “Labyrinths in pagan Sweden” Caerdroia 21 – 1987).

I labirinti baltici, in tutta la Scandinavia ma pure nelle Isole Britanniche, sono chiamati (almeno a partire dal Medio Evo) anche “Trojaborg” (in inglese “Troy Town”), con riferimento alla città cantata da Omero e forse con il “lusus Troiae” latino. Un “gioco”, o meglio una sorta di danza cerimoniale funebre, generalmente a cavallo, citato da Virgilio, da Plinio, da Tacito e persino dal tardo poeta Claudiano (V secolo d.C.). Adombrato probabilmente anche nella decorazione sul vaso etrusco di Tagliatella (del VII secolo a.C., conservato ai Musei Capitolini a Roma), in cui compare un labirinto baltico con la parola “Truia” scritta nei meandri e dei cavalieri al galoppo.

Non va scordato, inoltre, che nel Medio Evo si perpetuò la memoria della città distrutta dagli Achei, mediante la compilazione di diverse opere letterarie e che si ritenevano i Britanni discendenti da Bruto, un altro figlio di Enea rifugiatosi sulle isole britanniche dopo la distruzione della sua città (“Historia Regum Britanniae” di Goffredo di Monmouth – XII secolo).

Per questo motivo, si è deciso, in riferimento ai labirinti di Gotland, di utilizzare nella mostra fotografica il termine in uso in Svezia) di “Trojaborg”.

– Trojaborg del Roma Kloister.
Nel 1164 i monaci Cistercensi provenienti dalla terraferma svedese costruirono, quasi nell’esatto centro geografico dell’isola, verosimilmente su un precedente sito pagano, un grande monastero in stile gotico, avente come modello l’Abbazia di Fontenay in Francia, che in breve divenne il più importante centro religioso e culturale di Gotland. Il monastero venne chiamato “Roma”.
Andato in rovina nel XVI secolo durante la Riforma Protestante, nel XVIII le sue pietre squadrate vennero utilizzate per erigere la “Roma Kungsgärd”, una dimora rinascimentale ancora oggi visitabile ed adibita a museo dell’abbazia cistercense. Il nome “Roma” dal monastero e dal palazzo è passato al vicino centro abitato e fa decisamente un certo effetto leggerlo sui normali cartelli stradali.
Del “Roma Kloister” sono rimaste in piedi notevoli rovine, come le arcate della chiesa abbaziale ed il perimetro dell’antico chiostro. Nella sue vicinanze, immerso in un verdeggiante parco, si trova il Trojaborg.

– Trojaborg della Fröjels kyrka (chiesa di Fröjel).
Questo labirinto si trova all’interno della recinzione in pietra del camposanto e della chiesa di Fröjel, posta in posizione dominante sopra un dolce rilievo a pochi passi dal mare, di fronte alle isolette di Stora Karlsö e Lilla Karlsö, paradiso dell’avifauna.
La Fröjels kyrka risale al XII secolo ed ospita numerosi affreschi ed altre pregevoli opere d’arte medievali, come il grande crocifisso ligneo policromo appeso alla volta della navata o il fonte battesimale in granito rosso tipico dell’isola, raffigurante draghi ed altri animali fantastici del ricchissimo folklore locale. Interessanti sono i simboli scolpiti o dipinti all’interno dell’edificio sacro. Rimarchevole la “Croce patente” rossa inscritta in una circonferenza, e definita “Croce Cosmogonia”, affrescata su una parete del presbiterio.
Il Trojaborg risale all’epoca preistorica ed indica come il sito sia stato considerato sacro e frequentato in epoche diverse. Gli archeologi svedesi hanno ipotizzato che fosse un luogo di culto della dea Madre e poi della dea Freya (da cui deriverebbe il nome Fröjel). Con l’arrivo del Cristianesimo sull’isola, poco dopo l’Anno Mille, con un abile operazione di sincretismo, il sito ha continuato a svolgere la propria funzione di sacralità come chiesa della nuova religione.
E’ formato da 11 circonferenze più il centro, ed sotto di esso scorre una vena d’acqua. Come dimostrato dalla caratteristica fontana ottocentesca in ferro, posta ai margini della circonferenza più esterna.
Ad ulteriore conferma di come tutta l’area circostante la Fröjels kyrka fosse considerata sacra dagli antichi abitanti di Gotland, a poche centinaia di metri nord del Trojaborg, sorge un incredibile sito megalitico; “Gannarve Skeppssattning” (tumulo della barca di pietra di Gannarve).
Si tratta di una serie di menhir poco più bassi di una persona di media statura, disposti a formare la sagoma di una imbarcazione lunga oltre 30 metri e larga 5, con la doppia prua, orientata parallelamente alla costa in direzione nord-sud, e risalente all’Età del Bronzo (1000-300 a.C.). Secondo alcuni ricercatori la “Gannarve Skeppssattning” sarebbe interessata da singolari particolarità legate all’energia elettromagnetica della Terra.

– Trojaborg di Visby.
E’ probabilmente il Trojaborg più famoso dell’isola; venne citato per la prima volta dagli studiosi nel XVIII secolo.
“Una favola locale di Visby narrava della figlia di un re, tenuta prigioniera in una caverna sotto il monte della forca: la fanciulla metteva ogni giorno in terra una pietra, finché proprio quando il suo “castello di Troia” fu finito, giunse il giorno della sua liberazione” (da Paolo Santarcangeli “Il libro dei labirinti” Sperling & Kupfer Milano, 1984).
Lo studioso svedese di labirinti John Kraft ha rintracciato diverse versioni di questa favola sul Trojaborg di Visby. In alcune la stessa ragazza tenuta prigioniera si chiama “Troja”. In altre il rapitore e guardiano della fanciulla è un Troll; uno degli esseri brutti e malvagi che popolano il folklore scandinavo. In altre la prigionia nel Trojaborg è la punizione per aver fatto un patto con il diavolo.
“Quali conclusioni possiamo trarre da queste leggende? Le molte differenze tra le versioni dimostrano l’inventiva dei cantastorie. I quali hanno aggiunto o escluso dettagli e stravolto l’idea generale della storia, ma è ancora possibile discernere ciò che tutte le versioni hanno in comune; vale a dire, quali potrebbero essere i resti di una vecchia storia di base o un mito sul labirinto. Il personaggio principale in tutte le versioni è una donna, di norma una fanciulla. Lei è spesso in difficoltà di qualche tipo, è stata rapita ed è prigioniera, o condannata ad una pena, ed è per questo che costruisce il labirinto. In qualche modo ciò l’aiuta a riacquistare la sua libertà, e di solito c’è un lieto fine, vale a dire. la fanciulla è finalmente libera” (da John Kraft “A Maiden Called Troja” – Caerdroia 41, 2012).
Ma Karft evidenzia pure come in “una delle versioni si afferma che “le pietre rappresentano delle case ed i percorsi tra loro erano strade”. Questa idea che il labirinto rappresenti una città o fortezza è abbastanza comune nella tradizione dei labirinti nei paesi nordici e ci sono anche molti esempi di mosaici romani ed in manoscritti medievali. Ma le differenze tra le versione dimostrano come sarebbe pericoloso fidarsi dei dettagli. Il Cantastorie non segue regole precise”. (da John Kraft “A Maiden Called Troja” – Caerdroia 41, 2012).
Ma la favola o leggenda della fanciulla prigioniera nel Trojaborg, a quanto pare, non è una esclusiva del sito di Visby. Kraft ha scovato una storia simile in un’altra località della Svezia.
“Secondo una cronaca del 1934 proveniente dalla parrocchia di Nordingrå, nel nord della Svezia (e abbastanza lontano da Visby), dove labirinti sono comunemente chiamati ringborgadestad (anello fortezza città), un vecchio dotto raccontò di aver sentito dire che labirinti erano le case dei troll (trollhem) e che i troll avevano preso una ragazza, e che l’avevano rinchiusa nel labirinto. Tutta la gente del villaggio si riunì e sapevano che c’era la tana di un troll in montagna. Camminarono su e giù sette volte (cioè questo era labirinto con otto pareti) prima che fosse possibile entrare e dentro vegliarono fino a quando il vecchio troll si addormentò. Dopo di chè salvarono la ragazza piangente. ((da John Kraft “A Maiden Called Troja” – Caerdroia 41, 2012).

Il Trojaborg di Visby si trova lungo la Göransgatan, a 900 metri a nord della Göransporten (porta urbica di S. Göran), in un prato di fronte al mare, ai piedi della Galgberget (collina della Forca che prende il nome da un trilite preistorico, oggi scomparso, che nel Medio Evo venne usato per le esecuzioni capitali). La presenza della S. Göran kyrka, oggi diruta, è significativa. Infatti in una delle versioni della leggenda, rintracciate da Kraft (quella riportata nel 1933 da Birgit Hamrin in “Vestmanlands Lans Tidnins”), la fanciulla riesce a sfuggire dal labirinto ed inseguita dal Troll si salva perché si rifugia nella vicina chiesa, in quanto il malvagio essere non può entrare in terra consacrata.
Per inciso ricordiamo che St Göran non è altro che il nome in svedese di San Giorgio l’uccisore del drago personificazione del Male e salvatore della fanciulla destinata ad essere sacrificata ad esso.
Il Trojaborg di Visby è uno dei labirinti baltici più grandi della Svezia, 19 x 18 metri circa, con 11 circonferenze formate da pietre irregolari grandi come una testa umana, con l’ingresso posizionato a Ovest – Nordovest, e risale all’Età del Bronzo (VI-V secolo a.C.). Secondo il ricercatore svedese Curt Roslund per la costruzione del Trojaborg venne utilizzata come unità di misura la cosiddetta “iarda megalitica”.
Al centro del Trojaborg gli artefici posizionarono un grosso masso tondeggiante, scelto con cura in modo che fosse della grandezza giusta per occupare tutto lo spazio disponibile, in modo che, una volta giunti al centro, non si potesse fare a meno di salirci sopra. In maniera tale che colui che avesse percorso tutte le circonvoluzioni del Trojaborg, potesse finalmente diventare un tutt’uno con un vero e proprio “ombelico del mondo”, un “onphalos”, il “centro sacro” di tutta la struttura megalitica, che univa il Cielo con la Terra e con i mondi inferi.

– Trojaborg della Bunge kyrka.
Il Trojaborg della Bunge kyrka si trova nella parte nordorientale dell’isola, presso il Bungemuseet, sorta di museo all’aria aperta, non lontano dal Fårosund che divide Gotland dall’isola di Fåro.
Il museo venne fondato nel 1917 da Theodor Erlandsson, ricordato in effige con un busto all’interno parco, per documentare e tramandare ai posteri le tradizioni e lo stile di vita locale e delle aree rurali della Svezia. Sono state ricostruite o restaurate abitazioni, mulini, stalle, attrezzi ed utensili e persino simboli e siti megalitici. Si va dall’Età Vichinga, al Medio Evo, dall’Età Moderna sino al XIX secolo. Inoltre nel parco sono conservate alcune bellissime stele scolpite e dipinte con immagini dei miti nordici risalenti al VIII secolo d.C..
L’attuale chiesa di Bunge risale al 1300, ma venne costruita in sostituzione di una precedente del XII secolo di cui è sopravvissuto il campanile, utilizzato anche come torre di avvistamento.
All’interno della chiesa si possono ammirare affreschi del 1400, tra cui, sulla parete settentrionale, una sanguinosa battaglia tra cavalieri ed una terribile strage. Molto si è scritto su questo affresco. Secondo la maggior parte degli storici dell’arte svedesi rappresenterebbe il martirio delle Legione Tebana, composta da soldati romani cristiani, al tempo dell’Imperatore Decio, come narrato dalla “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine. Secondo altri, che si sono rifatti ad una leggenda locale, vi sarebbe raffigurata, invece, una battaglia realmente avvenuta, proprio nei pressi della Bunge kyrka, che vide protagonisti i Cavalieri Teutonici, storicamente presenti sull’isola.
Infine, è stata avanzata l’ipotesi che si tratti invece di Cavalieri Templari e che le scene del massacro rappresentino la loro persecuzione e distruzione ad opera del Re di Francia Filippo il bello e della Chiesa di Roma.
E’ noto che i Templari erano insediati anche nel Baltico (isola di Bornholm, a sud della Svezia ma oggi appartenente alla Danimarca) e nella Scandinavia meridionale. Ma non ci sono prove della loro presenza anche a Gotland. L’attento studio degli affreschi della Bunge kyrka, ad esempio dell’abbigliamento e delle armi dei Cavalieri (che indossano vesti e reggono scudi con dipinte delle croci dalla tipologia assai varia; potenziate, patriarcali ecc, e dai diversi colori; rosso, bianco, nero) non è, purtroppo, riuscito a sciogliere l’enigma.
Accanto alla chiesa si trovano le rovine della canonica medievale (Bunge Prästgårdruin) in pietre squadrate, Si trattava di un edificio piuttosto imponente costruito agli inizi del 1300.
Aldilà della strada che porta al centro abitato di Fårosund, in mezzo ad un prato, si trova il Trojaborg. Venne realizzato circa 100 anni fa, dai fondatori del Bungemuseet, probabilmente, ci hanno spiegato degli esperti locali, sui resti di un labirinto precedente.

– Trojaborg di Holmudden – Fårofyr – Isola di Fåro.
L’isola di Fåro, a nord di Gotland, è un piccolo mondo a se stante, in cui natura incontaminata e siti preistorici si fondono evocando immagini ed emozioni ancestrali.
“…intorno a noi si spiega la vasta distesa di rade pinete basse e delle brughiere acquitrinose che ricoprono l’isola, rese caratteristiche dalla presenza di tante pecore che ne pettinano e radono ad arte le verdi distese. La plumbea pietra dei muretti a secco, posti in opera chissà quanto tempo fa per delimitare i pascoli, disegna una serie di linee che, viste dall’alto, traccerebbero chissà quali particolari geometrie”. (Fabio Consolandi)
Una particolarità di Fåro sono gli enormi faraglioni disposti come arcaiche sculture sulle spiagge e che certamente colpirono l’immaginazione degli antichi abitanti.
“…una sorta di messaggio subliminale…. Per prepararmi alla visione che di lì a poco avrebbe riempito i miei occhi di fascinosa grandezza…. Rimaniamo tutti ancora in silenzio…..poichè quella piccola stradina che correva sulla scogliera ci aveva silenziosamente ed umilmente condotti nelle braccia di quello che, metaforicamente, si potrebbe descrivere come l’ultimo rifugio della Creazione…. Un posto intriso di mistero e magia, dove era ancor chiaramente udibile la voce ancestrale della Grande Madre che in esso si manifestava ancora allo stato primordiale senza alcuna minima alterazione per mano dell’uomo…un luogo in cui non risarei meravigliato se avessi osservato la lotta fra i Titani generatori del mondo o l’apparire tra i flutti e venti in tempesta del mitico martello del dio scandinavo Thor scagliato contro chissà quale nemico…” (Fabio Consolandi)
Indubbiamente una Natura incontaminata, non violata dall’uomo assurge, come nei quadri e miti romantici, una valenza di sacralità trascendenza.
“Tutto il gruppo è rimasto in rispettoso silenzio ad osservare il sole in discesa sulle acque, scagliare con potenza i suoi raggi, nel trafiggere il cielo del Nord, realizzando davanti ai nostri attoniti sguardi una corona lucente…il suo irradiarsi ai quattro punti cardinali mi ha riportato alla mente la croce in pietra vista poco prima e che ora vedevo posta al centro dell’altare di questa cattedrale naturale nella quale eravamo entrati come appassionati e fedeli pellegrini”. (Fabio Consolandi)
Il Trojaborg si trova sulla punta più nordorientale della piccola isola di Fåro, ai margini di una pineta che digrada sulla spiaggia di sabbia bianca e ciottoli, a pochi metri dal faro (Fårofyr) costruito nel 1847.
E’ formato da 15 circonferenze, è molto antico e risale probabilmente all’Età del Bronzo (1000 – 300 a.C.)

– Labirinto affrescato della Hablingbo kyrka.
Il Presbiterio e navata della chiesa di Hablingbo risalgono al 1300, e vennero costruiti accanto ad una piccola torre campanaria romanica che, di fatto, è l’unica parte sopravvissuta di una chiesa molto più antica, probabilmente nel 1050. In questo caso si tratterebbe di una delle chiese più antiche (se non la prima in assoluto) dell’isola.
La chiesa è orientata, come moltissime cattedrali medievali, lungo l’asse ovest- est. Si entrava da dove tramonta il Sole, dalle Tenebre e si andava nella direzione in cui sorge, verso la Luce.
E proprio sulla parete occidentale che corrisponde a quella della torre campanaria, quindi del settore più antico della Hablingbo kyrka, è stato realizzato direttamente sull’intonaco un grande labirinto baltico formato da 17 circonferenze con una sagoma umana impegnata a percorrerne le spirali.
Sulla parete accanto (quindi quella volta a mezzogiorno, si trova una piccola croce di circa 69 centimetri di grandezza, incisa sull’intonaco. Non è altro che lo schema iniziale per tracciare un perfetto labirinto baltico. Fu una prova per quello po’ancora oggi visibile oppure l’ignoto artefice non fece in tempo a realizzarne un secondo? Accanto si notano altri graffiti, come una splendida imbarcazione a vela ed un “centro sacro”.
Due tra le massime autorità mondiali in fatto di labirinti, il già citato svedese John Kraft e l’inglese Jeff Saward, hanno studiato in maniera approfondita i labirinti presenti nelle chiese scandinave ed in particolare di quelle dell’isola di Gotland;
“Un altro gruppo di labirinti si trovano sull’isola di Gotland, di cui tre eseguiti in forma di graffiti. Solo uno dei labirinti chiesa sull’isola di Gotland è dipinto. Una caratteristica molto interessante di questo gruppo è che il labirinto dipinto e due di quelli graffiti si trovano ai piani terra bui delle torri campanarie delle chiese. Sembrerebbe che gli artisti abbiano scelto dei luoghi dove i labirinti non potevano essere facilmente scoperti e questo potrebbe suggerire che questi labirinti non fossero accettati come parte della decorazione originale delle chiese.
Forse c’era uno scopo magico o superstizioso dietro di essi. Le chiese di Hablingbo, Lye e Ganthem si trovano abbastanza vicine tra loro e anche vicino a Levide, dove sorgeva una notevole croce di pietra su cui era stato inciso sin dall’origine un labirinto, forse alcuni di questi esempi si devono al medesimo artefice”. (da John Kraft e Jeff Saward “Labyrinths in Nordic Churches” – www.labyrinthos.net).

I labirinti di cui parlano i due ricercatori, oltre a quello dipinto di Hablingobo kyrka, sono i due graffiti nelle chiese di Lye (questo però non è medievale ma risale al XVI secolo) e di Ganthem, entrambi piuttosto consunti e difficilmente visibili. Il labirinto di Levide, invece, era scolpito su una croce in pietra molto simile a quella con il simbolo del “Fiore della Vita” visibile in mezzo ad un prato, lungo la strada tra le località di Läbro e Bunge.
Un labirinto affrescato particolarmente simile e coevo a quello della Hablingbo kyrka si trova nella chiesa di Sibbo (in svedese) o Sipoo (in finlandese) nel sud della Finlandia.

“Il dipinto della chiesa Sibbo di un labirinto con una donna al centro è giustamente famoso. E ‘sicuramente una rappresentazione di un gioco di primavera, il “Jungfrudans” (danza della vergine), che era ancora giocato in diverse parti della Finlandia e Svezia alla fine del XIX secolo, e in alcuni rari casi, anche nel XX secolo. L’oggetto di questo gioco è che uno o due ragazzi devono cercare di correre o ballare lungo il tortuoso sentiero del labirinto e tirar fuori una ragazza dal suo centro. Questo dipinto di una danza della Vergine nel labirinto fu senza dubbio ispirato direttamente dalla vita reale in parrocchia e non da qualche studioso che l’aveva appreso in paesi stranieri.”.
(da John Kraft e Jeff Saward “Labyrinths in Nordic Churches” – www.labyrinthos.net).

Il labirinto della Hablingobo kyrka potrebbe essere (come gli altri affrescati o incisi in chiese della Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca) l’anello di congiunzione tra i labirinti unicursali baltici di pietre e quelli unicursali medievali come, appunto, quelli riconducibili al modello “Alatri – Chartres”.

“… riconoscevo nelle misteriose geometrie delle rocce le spire dei labirinti baltici che avevo percorso a piedi nudi nei giorni addietro… sentivo di nuovo l’energia da essi incanalata, fruire dai talloni fino alla testa…. Comprendevo finalmente il messaggio dei simboli e delle iscrizioni runiche dipinte scolpite su ancestrali pietre….Riconoscevo le loro vorticose forme nei turbini chiari e scuri che il vento scolpiva nelle nuvole … Respiravo all’unisono con il ritmo delle onde che si infrangevano sulle scogliere… questo espandersi degli elementi nell’infinito spazio circostante… Immaginavo la nave di pietra solcare le onde baltiche, mossa dai possenti remi degli antichi abitanti dell’isola, verso mete sconosciute.” (Fabio Consolandi)

(Testo di Giancarlo Pavat)

Le immagini di Luca Pascucci

Le immagini di Fabio Consolandi

Le immagini di Giancarlo Pavat

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5 commenti:

  1. Sono molto interessata ai labirinti e sto cercando il libro “Gotland, viaggio alle radici del labirinto”, finora senza successo. Potete indicarmi dove posso ordinarlo on line, o qualche libreria dove posso trovarlo?
    Grazie
    Anna Polo
    Milano

  2. Belle fotografie. Complimenti.
    Alberto.

  3. Complimenti a Pavat e al resto della Company pe rla mostra. Comnplimenti anche pe ril commento. Pavat è un ricercatore e serio e sa dare a Cesare quello che è di Cesare. Ovvero riconoscere i meriti degli altri e divulgare e valorizzare il loro lavoro. Generalmente tra i ricrecatori è tutta una gara a chi arriva prima e a rubarsi i meriti uno con l’altro. lancio un ipotesi a propositi del labirinto del Molise. E se l’avessero fatto i Normanni che hanno dominato a lungo nel sud d’Italia? Non erano vichinghi che venivano dalla Scandinavia? Questo spiegehrebbe la presenza del labirinto baltico in Molise.
    Davide.

  4. Giancarlo Pavat

    Buongiorno, ringrazio i lettori che mi hanno segnalato il sito e l’articolo di Franco Valente in cui si parla di un incredibile ed interessantissimo esemplare di labirinto “Baltico” incastonato nella facciata della chiesa di S. Leonardo a Colli a Volturno in Molise.
    Desidero ringraziare soprattutto Franco Valente per aver fatto conoscere questo esemplare (nell’articolo parla pure di un altro labirinto presente a Guardialfiera, ma è in realtà si tratta di una spirale. Ma il significato simbolico ed esoterico grosso modo è lo stesso) di cui ignoravo assolutamente l’esistenza. In riferimento alla sterile polemica a cui fa riferimento Valente, ricordo che lo “scopritore” è colui che divulga e condivide una scoperta, una novità. E non colui che la tiene per se. La Cultura è condivisione. E la condivisione della Conoscenza è un progresso per tutti.
    Tornando al manufatto molisano , è proprio vero che il Patrimonio culturale, tradizionale, storico e artistico dell’Italia non finisce mai di stupire.
    Desidero inoltre dare (ed ho inviato un commento anche al sito di Valente)un piccolo contributo alla maggiore comprensione del simbolo di Colli a Volturno.
    Il labirinto di Colli a Volturno è molto interessante e qui di seguito cercherò di spiegare in maniera succinta il perchè (scusatemi se vi sembrerò troppo lungo).
    Per prima cosa è un labirinto “unicursale”. Ovvero (al contrario dei labirinti “multicursali”) ha un solo ingresso, un solo percorso ed una sola uscita, sempre al centro.
    Dal punto di vista iconografico è classificabile come labirinto “classical” (o “cretese”) oppure “Baltico”. “Classico” o “cretese” in quanto è stato rinvenuto su monete o in mosaici greci e romani. “Baltico” perchè simili esemplari si trovano a centinaia sulle coste del Mar Baltico, in Germania, Russia, Paesi Baltici, Finlandia, Svezia, ma pure in Scozia ed in Norvegia. Tra l’altro gli esemplari più antichi finora accertati (risalgono alla preistoria) sono quelli presenti in Svezia, Finlandia e Russia 8in Russia sono studiati dagli archeologi soprattutto quelli della Carelia, della penisola di Kola, del Mar Bianco e dell’Arcipelago delle Solowetsky, datati a 3000 anni fa).
    Mentre i labirinti “classici” possono essere anche quadrati o rettangolari, quelli “Baltici” sono esclusivamente circolari ( o meglio spiraliformi).
    Inoltre, graficamente, il labirinto “baltico” viene tracciato partendo proprio da un croce (ricordo che quello della croce è un simbolo molto più antico del Cristianesimo) , che nel caso di Colli a Volturno è comunque molto più evidenziata di quanto lo sia normalmente.
    Trovare un esemplare di labirinto “Baltico” in Italia è davvero una cosa straordinaria (potrei sbagliarmi, ma credo che sia il primo caso documentato). Generalmente in labirinti italiani (ovviamente sto parlando dei labirinti antichi) o sono romani (musivi pavimentali o grafitti di forma rettangolare, quadrata, circolare ecc), oppure, quelli medievali sono riconducibili allo “Chartres type” (modello Chartres) come , appunto, quello di Alatri (FR), S. Maria in Aquiro e Santa Maria di Trastevere a Roma (entrambi oggi scomparsi) , Lucca, Pontemoli (MS), e Pavia. Quello di S. Vitale a Ravenna, pur essendo di ispirazione bizantina è stato realizzato nel Rinascimento.
    Concordo nell’ipotesi che il labirinto di Colli a Volturno abbia un significato allegorico del pellegrinaggio, dell’ “itinera gerosolimitana”. Sarebbe interessante poterlo datare con precisione (anche se, a naso, credo sia medievale) e scoprire il motivo per il quale l’ignoto artefice abbia scelto quella particolare forma di labirinto.
    Al mondo ci sono migliaia e migliaia di appassionati e studiosi di labirinti. Credo che si debba far conoscere l’esemplare di Colli a Volturno.
    Quindi grazie ancora a Franco Valente e a coloro che mi hanno segnalato il suo sito e l’articolo in questione.
    Cercherò di visitare Colli a Volturno e vedere il labirinto il prima possibile. Appena il tempo si stabilizza.
    Giancarlo Pavat

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