I MISTERI DEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’AURICOLA IV e ultima parte, di Giancarlo Pavat.

I MISTERI DEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’AURICOLA

IV e ultima parte

di Giancarlo Pavat.

 

L’ombra dell’Impero della Swastika.

 

(Immagine sopra: l’ingresso neogotico del Santuario dell’Auricola – foto G Pavat 2012)

La carrellata sugli affreschi e sui manufatti medievali presenti nel Santuario dell’Auricola potrebbe concludersi qui. Lasciandoci con il dubbio se, effettivamente ci sia davvero qualcosa di eterodosso o semplicemente siano soltanto un po’ inconsueti. Daremmo propensi per la seconda affermazione se non fosse per il fatto che la vicenda del Santuario mariano amasenese non si conclude affatto nel XIV secolo, e che nei secoli seguenti, soprattutto gli ultimi due, c’è stato qualcuno che, evidentemente, ha ritenuto che quell’angolo del Basso Lazio, fosse davvero un luogo molto, ma molto, particolare. E che forse celasse un segreto inenarrabile.

(Immagine sopra: Giancarlo Pavat dal sagrato del Santuario spiega i segreti dell’Auricola ai partecipanti all’Itinerario del Mistero – foto ViviCiociaria 2016)

Riprendiamo, quindi, il filo della storia (per quel poco che si conosce) dell’Auricola.

A partire dalla fine del XIV secolo, per il Santuario e l’annesso convento iniziò un lunghissimo periodo di decadenza.

Dagli atti delle Visite pastorali, eseguite a partire dal 1585, si ricava che l’antica abbazia dell’Auricola è ridotta a semplice beneficio di giuspatronato della Casa Colonna, affidato alle cure di un cappellano con l’obbligo di celebrarvi la Messa ogni domenica” (da “Le chiese di Amaseno” di P. Enrico Giannetta – Frosinone, 1987).

Sentiamo come prosegue la narrazione del religioso amasenese su quei secoli di “abbandono e peripezie varie, con saccheggi e manomissioni”. Tanto che del “Monastero dell’Auricola non restava in piedi neppure una traccia; solamente una parte della chiesa abbaziale era rimasta in piedi, ridotta però in pessime condizioni” (da “Le chiese di Amaseno” di P. Enrico Giannetta – Frosinone, 1987).

Poi alla fine del XIX la svolta, il colpo di scena. “Nel 1893 la chiesa dell’Auricola con un fondo circostante di circa sette ettari veniva rilevata dai Monsignori Diomede e Agapito Panici, i quali, volendo riportarla all’antico lustro, l’affidarono ai padri Francescani Recolletti di Sassonia, in Germania” (da “Le chiese di Amaseno” di P. Enrico Giannetta – Frosinone, 1987).

Furono questi religiosi, guidati da padre Bernard Joseph Doebbing (1855-1916), a ricostruire l’edifico. Dotandolo di una nuova facciata (quella che si vede attualmente) ed incorporando l’antica chiesa medievale in una costruzione più ampia. Addirittura realizzarono sopra la navata, una sala (forse per le riunioni del capitolo?) delle medesime dimensioni, che viene illuminata dal rosone neogotico volto al Tramonto.

(Immagine sopra: il rosone visto dall’interno del Salone superiore – foto G Pavat 2016)

È un altro dei giochi illusionistici dell’Auricola. Osservando l’artistica facciata, mai si immaginerebbe che l’elegante rosone non dia luce alla navata della chiesa. Ecco perché è corretto dire che lassù, all’Auricola, nulla è come sembra.

(Immagine sopra: la volta del Presbiterio – foto G Pavat 2016)

La facciata della nuova chiesa venne arricchita con bassorilievi e statue mentre l’interno si impreziosi’ di nuove vetrate istoriate ed affreschi. L’inaugurazione si tenne il 7 novembre 1897.

(Statue sulla facciata neogotica; sopra San Francesco d’Assisi. Sotto: San Lorenzo patrono di Amaseno – foto G Pavat 2015)

La ripresa della vita del Santuario era ben avviata e faceva meglio sperare, quando, appena dieci anni dopo, i padri Francescani lasciavano improvvisamente l’Auricola” (da “Le chiese di Amaseno” di P. Enrico Giannetta – Frosinone, 1987).

Padre Giannetta non specifica i motivi. Scrive in modo vago di “discordie sorte con i signori Panici”.

Durante le mie ricerche, parlando con gli anziani del paese, ho raccolto altre voci e dicerie, a loro volta apprese dai genitori e dai nonni. Non essendo in alcun modo riscontrabili, al momento preferisco non riportarle.

Rimane il fatto che di fronte all’ennesimo abbandono dell’Auricola, nel 1907 vennero chiamati i Cappuccini di Alatri. Ma pure loro, dopo appena un anno, diedero forfait. Ne seguì un altro lungo periodo di degrado (una trentina d’anni circa), finché venne ceduta ai Cistercensi di Casamari. Che però, per motivi ignoti, non vi si stabilirono mai. Dopo ulteriori dieci anni divenne proprietà della Curia di Ferentino, la quale non mostrò troppo interesse per il Santuario. Durante la guerra, il Santuario venne pesantemente bombardato e successivamente restaurato ad opera del Genio Civile.

(Immagine sopra: interno della navata deL Santuario della Madonna dell’Auricola. Sotto: i simboli che decorano  il Presbiterio -foto G Pavat 2016)

Tornando all’intervento ed insediamento dei “Padri Sassoni”, sono indiscutibilmente a loro attribuibili le decorazioni del catino absidale.

Si notano tralci vegetali e gigli (va ricordato che si è sempre all’interno di una Santuario dedicato alla Madonna). Inoltre, si nota il “Crismon”, o “Monogramma Cristico” e, alternate ai gigli, quelle che sembrano riproduzioni delle lettera greca “Omega”.

(Immagine sopra: il Crismon. Sotto la lettera Omega – foto G Pavat 2016)

Se si voleva ricordare le parole di Cristo citate nell’Apocalisse: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo, il principio e la fine” (Apocalisse di Giovanni 22, 13), mancherebbe la lettera “Alfa”.

Alcuni ricercatori vi hanno invece ravvisato il simbolo del “Ferro di cavallo”, universalmente considerato portafortuna. Ad essere precisi secondo alcune tradizioni, per portare fortuna, le estremità del “ferro di cavallo” dovrebbero essere volte verso l’alto.

L’origine di questa tradizione la troviamo nel racconto agiografico di San Dunstano, un fabbro che diventò arcivescovo di Canterbury nell’anno 959. Secondo la leggenda, Dunstano avrebbe inchiodato un ferro di cavallo allo zoccolo del demonio mentre gli era stato chiesto di ferrare il suo cavallo. Dunstano liberò il demonio soltanto dopo che ebbe promesso di non entrare mai più in un luogo protetto da un ferro di cavallo sulla porta.

(Immagini sopra e sotto: la prima cappella di dx della navata dell’Auricola decorata con volti di angioletti e Swastika bianche in campo azzurro – foto G Pavat 2016)

Ma tra le decorazioni realizzate dai padri Recolletti di Sassonia non sono certamente quelle dell’abside a turbare maggiormente chi le vede per la prima volta.

I bordi delle vele della volta della prima cappella a sinistra dell’ingresso, sono stati decorati con quadrifogli bianchi alternati a “Swastiche” del medesimo colore in campo azzurro.

Padre Giannetta non ne fa minimamente cenno “L’interno della cappelletta, adibita a custodia delle S. Reliquie è chiusa da una bella cancellata in ferro battuto con stemma vescovile sulla sommità, è stato completamente rinnovato con decorazione di fine ottocento”. Decorazioni di fine ottocento. Che siano state fatte in quell’epoca non c’è dubbio, ma definirle semplicemente “decorazioni”……. L’imbarazzo del buon parroco amasenese è evidente. Ma perché i Francescani tedeschi scelsero quella particolare forma di croce per l’Auricola?

Per l’erudito simbolista cristiano francese Louis Charbonneau Lassay (1871-1946) la Swastica “fu anticamente uno degli emblemi di Cristo, e restò in uso come tale fin verso la fine del Medio Evo” (da “Regnabit” del marzo 1926; citato in “Simboli della Scienza Sacra” di Renè Guenon, Adelphi; 1975).

La pensavano così anche i padri Recolletti di Sassonia? Dopotutto anche Charbonneau Lassay era stato un religioso, membro della Congregazione dei Fratelli di San Gabriele e tornato allo stato laicale dopo la soppressione delle congregazioni religiose voluta nel 1901 dal Governo Francese.

Oppure, in quel santuario dimenticato sulle montagne amasenesi riecheggiano ben altre suggestioni legate alle teorie e correnti di pensiero esoteriche, pseudofilosofiche in voga tra la fine dell’Ottocento a sin dopo la Prima Guerra Mondiale, alle quali (forse) non erano estranei i “padri sassoni”?

Si tratta di teorie che mescolavano dottrine eretiche paleocristiane o precristiane, studi alchemici, culti orientali e religioni dell’Asia Centrale. Ardite ipotesi scientifiche, o presunte tali, o di “storia alternativa”.

Basti pensare alla “Società Teosofica” di Madame Blawatsky (Elena Petrovna Hahn, 1831-1891, conosciuta con il cognome del marito, un generale zarista, Blawatsky. Filosofa, scrittrice e occultista russa, da molti reputata una ciarlatana, fondatrice della “Teosofia”. Viaggiò in tutto il Mondo, anche in Italia. Sembra abbia combattuto persino nella battaglia di Mentana, il 3 novembre del 1867, al fianco di Garibaldi contro i Francesi di Napoleone III ed i soldati Papalini di Pio IX, venendo anche ferita. Le sue opere più famose sono “Iside svelata” del 1877 e “La dottrina segreta” dell’anno successivo), ai libri di James Churchward (1851-1936, esploratore e scrittore inglese. Nel 1926 pubblicò il libro “Mu, il continente perduto“, dove narrava che nell’Oceano Pacifico, in un lontanissimo passato, era esistito un continente, abitato da una avanzatissima civiltà, cancellato da un cataclisma. Le prove di tutto ciò sarebbero contenute in antichissime “tavolette” da lui viste in India ed in alcuni “Codici” Maya. Nonostante l’effettiva presenza in molte isole dell’Oceania di strutture megalitiche e resti archeologici ancora avvolti nel mistero o, comunque, sui quali la Scienza non è riuscita a dare tutte le risposte, l’esistenza del continente descritto da Churchward non è stata mai stata provata), su “Lemuria” (con questo nome è conosciuto un altro continente misterioso, che si sarebbe trovato nell’Oceano Indiano, e di cui il Madagascar sarebbe l’ultimo lembo di terra emersa. La Scienza ne ha da tempo confutato l’esistenza. Secondo Madame Blawatsky, che ne parlò nei propri libri, sarebbe stato abitato da una stirpe di semidei ermafroditi di razza bianca, i cui discendenti, sopravvissuti al cataclisma, vivrebbero ancora oggi in profonde gallerie e gigantesche caverne sotto alcune aree del pianeta. Dal Tibet alle Ande, dal Sahara alle Montagne Rocciose, alla Mongolia), alle spedizioni in Asia Centrale ed in Tibet di Sven Hedin (1865-1952; grande esploratore svedese. Dopo gli studi in geologia, mineralogia e zoologia, fu il protagonista, tra il 1892 ed il 1935, di numerose spedizioni in Asia Centrale. Fu il primo a cartografare il Pamir, il Tibet e l’Himalaya. Tentò senza successo di entrare senza a Lhasa. L’antica capitale tibetana era stata raggiunta per la prima volta da un occidentale, il nostro fra’ Odorico da Pordenone, nel secondo decennio del XIV secolo. Ancora controversa è la simpatia mostrata da Sven Hedin per la Germania nazista. Certamente fu idolatrato dai Gerarchi del Reich, tanto che venne a lui intitolato l’“Istituto per le ricerche sull’Asia Interna”. Nome apparentemente innocuo, dietro il quale, però si celava l’Ahnenerbe. L’Istituto venne affidato ad un‘altra figura controversa; l’esploratore e zoologo tedesco Ernst Schafer, che nel 1938 aveva guidato la spedizione in Tibet voluta dalle SS. Per i rapporti tra Schafer ed Hedin e la reale natura della collaborazione dello svedese con istituzioni scientifiche della Germania Nazista si veda “Himmler‘s Crusade” dell’inglese Christoper Hale del 2003. Pubblicato in Italia da Garzanti nel 2006), al “Re del Mondo” di Ossendowsky (1876-1945; avventuriero ed esploratore di origine polacca. Nel 1924, pubblicò in Francia un libro dal titolo “Betes, Hommes et dieux”, in italiano: “Bestie, uomini e dei”, in cui narrava le sue peripezie ed esplorazioni tra il 1920 ed il 1921 nell’Asia Centrale. Tra Mongolia, Tibet, Cina, Asia Sovietica, negli anni della guerra civile antibolscevica. Il volume è ancora oggi molto controverso e discusso. In molti hanno accusato Ossendowsky di essersi inventato molto, se non tutto, di quello che descrive. O, nella migliore delle ipotesi, di aver plagiato altri autori, soprattutto Joseph Alexandre Saint Yves marchese d’Alveydre, esoterista cattolico francese, 1842-1909, autore di “Missione in India”, uscito postumo nel 1910. Nel suo libro, Ossendowsky parla del “Re del Mondo” e del misterioso mondo sotterraneo dell’“Agartha” o “Agarthi”. Celebre la scena in Mongolia, in cui i cammelli, i cavalli, i cani e le greggi si immobilizzano e la guida spiega che accade sempre così quando “il Re del Mondo nel suo Palazzo sotto terra prega e scruta i destini di tutti i popoli e di tutte le razze“), poi trattato da Renè Guenon nel suo celebre libro dal medesimo titolo stampato da Gallimard nel 1958. Guenon prese spunto proprio dall’opera di Ossendowsky, che tra l’altro ritenne sincero e nemmeno un plagiario. “Le Roi de Monde” è un testo basilare per lo studio e la conoscenza delle tradizioni e delle religioni dell’Asia Centrale, nelle quali, Guenon, vedeva il riverbero della “Tradizione primordiale”. In Italia il libro venne pubblicato a Milano da Adelphi nel 1977.

In pratica è un coacervo magmatico di culture, congetture, rivelazioni, speculazioni, in cui si mossero sia personaggi dall’indubbio valore scientifico, che volgari ciarlatani. Sia imbonitori da fiera che seri studiosi della “Tradizione”, sia sedicenti profeti, maghi e sensitivi che filosofi di livello mondiale. Un humus “culturale” teoricamente innocuo ma dal quale emersero personaggi e movimenti poi confluiti nel cosiddetto “Nazismo esoterico”. Il substrato pseudoculturale in cui pescarono a piene mani Hitler e, soprattutto Himmler, e che tanta parte avrà nelle responsabilità degli orrori del Terzo Reich e della Seconda Guerra Mondiale.

Tutto ciò che cosa ha a che fare con l’Auricola? Forse quella chiesa ha davvero tolto il sonno a qualcuno.

Ho raccolto personalmente da alcune anziane signore amasenesi, testimonianze relative al periodo della guerra. Si parla dei mesi immediatamente precedenti allo sfondamento da parte degli Alleati della “Linea Gustav”, il “Fronte di Montecassino”, ed allo scatenarsi su inermi popolazioni civili della furia barbarica e animalesca della truppe di colore coloniali dell’esecrato esercito Francese. All’epoca della guerra, le mie interlocutrici erano poco più che ragazzine, ma ricordano perfettamente la presenza ad Amaseno, in mezzo alle truppe tedesche (il paese era un importante punto logistico delle retrovie) di ufficiali che non sembravano esattamente dei militari. Costoro, molto spesso furono visti compiere escursioni sulle montagne che fanno da corona all’abitato e che chiudono l’Alta Valle. Siamo certi che fossero davvero militari e non studiosi, archeologi e ricercatori, magari della famigerata Ahnenerbe, una delle tante sinistre creazioni dell’Impero della “Croce Uncinata”?

L’Ahnenerbe (nome completo “Ahnenerbe Forschungs und Lehegemeinschaft“, ovvero “Società di ricerca ed insegnamento dell’eredità ancestrale”) venne fondata nel 1935 dal gerarca nazista Heinrich Himmler, ed incorporata nelle “SS”. Scopi principali erano compiere ricerche storiche volte a dimostrare la passata grandezza della “Razza Ariana” e rintracciarne gli eventuali eredi, anche allestendo spedizioni in ogni angolo del pianeta. Come poi effettivamente avvenne, dal Tibet alle Ande, dal Circolo Polare Artico, al Medio Oriente, dal “Midì” francese sulle tracce del “Tesoro dei Catari”, al fiume Busento in Calabria, alla ricerca della tomba di Alarico che custodirebbe il bottino predato a Roma, tra cui l’Arca dell’Alleanza. La “SS-Ahnenerbe” si occupò anche di discipline pseudoscientifiche o “alternative”. Proprio basandosi sul “credo” della corrente esoterica del Nazionalsocialismo, presieduta dallo stesso Himmler, che aveva come “centro occulto” il Castello di Wewelsburg. Dopo la guerra, soltanto una parte della documentazione afferente le ricerche del “SS-Ahnenerbe” venne recuperata dagli Alleati e dai Sovietici. Ad oggi si ignora quanto materiale sia ancora inedito. Sbaglia chi ritiene che tale società, sebbene parte integrante dell’apparato totalitario nazista, fosse un’accolita di visionari pseudoscienziati ma tutto sommato innocui. I membri del “SS-Ahnenerbe”, infatti, non solo cercarono in giro per il mondo antichi oggetti ritenuti “sacri” e “magici” da utilizzare come strumenti per la conquista del “Potere assoluto”, e parteciparono agli studi per la messa a punto di armi avveniristiche con cui vincere la guerra, ma furono responsabili di spaventosi esperimenti su esseri umani nei Campi di Sterminio e quindi complici dell’Olocausto.

Ma se davvero quegli “ufficiali” erano archeologi della Ahnenerbe, che cosa cercavano nelle forre, tra i fenomeni carsici, nei boschi e sulle cime degli Ausoni, dalla Civitella, al Calvo, al Monte delle Fate? Forse erano semplicemente venuti a conoscenza che una quarantina d’anni prima quel luogo, dotato di affreschi medievali quantomeno inconsueti, era stato abitato da religiosi tedeschi che avevano utilizzato simbologie tornate in auge con il nuovo Regime che si riproponeva di fondare un Reich tedesco millenario. Oppure c’era dell’altro sotto?

Convintisi che l’Auricola fosse un luogo particolare, ritenevano che celasse qualche segreto che sarebbe tornato utile al Reich?

Domande ed ipotesi. Nient’altro che ipotesi.

Tutto cio’ sembra effettivamente la trama di un romanzo o di un film di pseudostoria e fantarcheologia.

Ma l’Auricola non ha affatto svelato tutti i suoi segreti e misteri. E nulla esclude che la realtà sia ancora più affascinante e sbalorditiva della fantasia e che in un futuro, magari non tanto lontano,  altri veli possano cadere, presentando al Mondo scenari che non immaginiamo nemmeno.

Fine.

(Giancarlo Pavat)

Si ringraziano il parroco di Amaseno don Italo Cardarilli, il Sindaco di Amaseno Antonio Como e tutti i dirigenti e dipendenti comunali per la disponibilità mostrata al fine di consentire di visitare il Santuario della Madonna dell’Auricola.

 

 

 

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