I MISTERI DEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’AURICOLA – I^ parte , di Giancarlo Pavat

“Ci sono voluti quasi vent’anni perchè potesse venir pubblicato questo dossier……”

I MISTERI DEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELL’AURICOLA – AMASENO (FR)

di Giancarlo Pavat

I° parte.

TEMPLARI ALL’AURICOLA? 

Nell’alta Valle del fiume Amaseno, citato da Virgilio nell’Eneide, proprio dove i Monti Ausoni (lungo i cui crinali correva l’antichissimo confine tra lo Stato della Chiesa e il “Regno del Sud”) la chiudono ad oriente, sorge, su un colle isolato il Santuario della Madonna dell’Auricola (detto anche Santa Maria dell’Auricola o del Perpetuo Soccorso). La chiesa e l’annesso convento (oggi scomparso) vennero eretti dai Benedettini e successivamente passò ai Cistercensi

Il colle controlla i valichi montani che dall’entroterra portano verso la costa del sudpontino. La posizione, quindi, è assolutamente strategica, e sin dalla più remota antichità. Come attestano le tracce, rinvenute in loco, di un insediamento cultuale, probabilmente risalente all’età preromana.

Che nel Medio Evo, l’Auricola fosse un centro notevole importanza viene confermato anche dalla vicenda della soppressione del Monastero di San Salvatore di Mileto posto sui Monti Ausoni nell’attuale territorio comunale di Roccasecca dei Volsci (LT).

(Immagine sopra;  i ruderi del monastero di San Salvatore di Mileto, oggi compresi nel territorio comunale di Roccasecca dei Volsci, in provincia di Latina – foto G Pavat 2010)

I ruderi del monastero, tra cui l’abside semicircolare, sono ancora visibili nell’omonima piana tra le montagne.

Il 21 febbraio del 1224, Papa Onorio III, in una permuta, confermò che i beni di San Salvatore di Mileto andassero all’Auricola in cambio della cessione di San Leonardo de Barchis al Vescovo di Terracina

4790 – Laterani 21 Februarii. Symeoni episcopo et capitulo Terracinensibus. Permutationem confirmat inter ipso set abbatem et frates de Auricola, qua ipse episcopus et capitolum concedunt monasterium sanctii Salvatoris de Mileto quondam monachorum Terracinensis diocesis positum in territorio Rocca Siccae, quod per multiplices eius lapsus a saecularibus clericis tenebatur abbas vero et fratres de Auricola cedunt ecclesiam sanctii Leonardi de Barcis, ut videlicet medietas proventuum ipsius ecclesiae ac sancti Silviniani de Pede Montis Ferroni territorii Terracinensis ad supplementum mensae dedtinetur”.

Laterani X. Kal Martii anno octavo. Reg. Vat. Lib. 8 epist.280. fol.161 – Sicut relatum est. In eudem modum scribat abbati et fratribus Auricola verbis competenter mutatis”.

(Pietro Pressati, “Regesta Honoris Papae III” vol. II, ex tip. Vaticana).

La Chiesa della Madonna dell’Auricola “nella sua forma attuale fu eretta in principio del secolo decimoterzo circa, e che subito, o poco tempo dopo la sua costruzione, ebbe la volta decorata di pitture e le pareti ornate da semplici bugne, appunto per imitare artificialmente la cortina di pietre squadrate. Assai in uso in quel tempo negli edifici sacri ed in particolare nelle chiese sontuose di Fossanova e Casamari, nelle quali apparisce spiccatissimo il tipo architettonico introdotto dai Cistercensi” scrive il Tomassetti, nel suo “Amaseno” del 1899.

È a questo storico romano che si deve la descrizione della Madonna dell’Auricola com’era prima degli ultimi rimaneggiamenti avvenuti alla fine del XIX secolo.

Infatti all’Auricola nulla è ciò che sembra!

L’attuale edificio, nonostante le forme gotiche, non è medievale bensì risale alla fine del XIX secolo. Ed ha inglobato la precedente struttura voluta dai Benedettini, lasciando però leggibili alcuni settori dell’interno e consentendo di ammirare ancora alcuni notevoli e particolari affreschi, risalenti al XIV secolo. E proprio in corrispondenza con il periodo di realizzazione di questi affreschi si ha, incredibilmente, uno dei più ampi “buchi temporali” della storia del Santuario. Una situazione che sa tanto di damnatio memoriae. Infatti, possediamo notizie e documenti che riguardano l’Auricola, fino alla prima metà del XIII secolo. Poi le informazioni incominciano a diradarsi, in particolar modo tra la fine del duecento ed i primi decenni del secolo successivo. È lo stile che ha permesso di datare gli affreschi al XIV secolo. Per il resto, sono avvolti nella nebbia più totale. Non si sa nulla sui possibili committenti e tantomeno sugli artefici. Eppure, proprio queste opere d’arte, incredibilmente giunte sino a noi nonostante i guasti del Tempio e l’incuria degli uomini, costituiscono gli enigmi più grandi ed affascinanti dell’Auricola.

Scopriamoli assieme.

Immagine sopra; l”acquasantiera in pietra a forma di coppa con la Croce Patente, il Fiore della Vita e due Gigli (foto G. Pavat 2017)

 

Entrati nella navata della chiesa, si nota, sulla destra dell’ingresso, attaccata alla parete, una acquasantiera in pietra a forma di coppa che presenta ancora tracce di colore ocra. Su questa è perfettamente visibile, una “Croce patente” con sotto un “Fiore della Vita”. Una simile, particolare iconografia appare decisamente interessante per cercare di fare un po’ di luce sui periodi “oscuri” della storia dell’Auricola. Infatti, esiste un bassorilievo con una raffigurazione praticamente identica (tranne che per il fatto che mancano i 2 “gigli”) è murato sulla facciata della Chiesa Templare del Santo Sepolcro a Pisa. (Immagine in basso).

 

L’acquasantiera potrebbe, quindi, essere la prova che in qualche momento della sua storia, l’Auricola ha visto anche la presenza dei Cavalieri Templari?

La cautela è d’obbligo. Il Santuario dell’Auricola ha subito diversi rifacimenti. E ciò non consente di escludere che l’acquasantiera provenga da altro sito. Comunque alla fine del XIX secolo si trovava già in situ, visto che ne fa cenno anche il già citato Tomassetti.

“…una acquasantiera a forma di pilo, nella quale è intagliata una croce con sopra una stella e due gigli dalle due parti”.

Dalla descrizione si evince che lo studioso mostra di non conoscere il simbolo del “Fiore della Vita”, visto che lo indica come una stella. Inoltre, descrive la croce sotto e non sopra il ”Fiore”.

Errore dell’autore oppure sta descrivendo un’altra acquasantiera?

Propendo per la prima ipotesi. Anche perché chi ha scolpito l’acquasantiera conosceva certamente il simbolo del “Fiore della Vita” e tutti suoi significati, ma, comunque, per quanto questi fossero in relazione con il Trascendente, non lo avrebbe mai collocato in posizione superiore alla Croce.

Tomassetti parla, inoltre, di un’altra acquasantiera, conservata nella Chiesa di Sant’Angelo, situata poco fuori dell’abitato di Amaseno di cui oggi rimangono pochi ruderi. “A destra della porta si trova la pila dell’acqua santa, simile a quella della chiesa dell’Auricola” (Tratto sempre da “Amaseno” di Tomasetti del 1899).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Immagine sopra: Fiore della Vita – disegno di Cesare Pigliacelli)

Ma che cosa intende per “simile”? Anche sul manufatto di Sant’Angelo, oggi scomparso, era forse inciso un “Fiore”, con la “Croce” ed i “Gigli”? O, viceversa, vuole indicare che avevano semplicemente la stessa forma? Superfluo sottolineare quali significati si celerebbero dietro l’effettiva esistenza di due acquasantiere con decorazioni identiche.

Comunque non deve stupire la presenza di simili Simboli sopra un oggetto destinato a contenere l’Acqua Benedetta. Allo sbocco della valle dell’Amaseno, e precisamente a Priverno (LT), è possibile visitare la Chiesa di Sant’Antonio Abate, costruita nel XII secolo dall’Ordine monastico-ospitaliero degli “Antoniani”. Al suo interno, oltre ad uno straordinario ciclo di affreschi trecenteschi ed altre raffigurazioni iconografiche, si ammira un’acquasantiera, di forma più o meno cubica, decorata con ben due “Fiori della Vita”, scolpiti nella pietra.

Tornando all’Auricola, sono, forse, i due “Gigli”, o “Fiordalisi”, l’indizio che ci può consentire di svelare l’appartenenza del manufatto?

Sgombriamo subito il campo da fantasiose illazioni e congetture. Il “Fior de Lys” non può essere l’emblema del famigerato e fantomatico “Priorato di Sion” in quanto questo non è mai esistito; se non altro non prima del XX secolo.

Il “Giglio” o “Fiordaliso”, era lo Stemma della Monarchia Francese. Sia dei Capetingi che degli Angiò. Poi passato pure ai vari rami di “Casa Borbone”.

Sulla Catena degli Ausoni si incontrano ancora oggi i vecchi cippi di demarcazione, posti a metà del XIX secolo, con incise, da un lato, le “Chiavi di San Pietro” e dall’altro, appunto, i “Gigli Borbonici”.

Nel caso dell’Auricola si potrebbe ipotizzare che l’autore, o meglio, il committente o destinatario dell’acquasantiera, venisse dalla Francia o fosse collegato alla Dinastia Angiò. Nel caso della seconda ipotesi, l’acquasantiera sarebbe posteriore alla Battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266. Quando la sconfitta di Re Manfredi spalancò le porte del Regno di Sicilia ai francesi e a Carlo I° d’Angiò.

Relativamente alla prima ipotesi, invece, potrebbe ricondurre al Tempio. Molti Cavalieri provenivano dalla Terra di Francia. Generalmente, però, in Occidente, l’Ordine preferiva stanziare in un determinato territorio, Fratres di quella “Lingua”. Questo però non significa che anche in Italia non vi siano stati Cavalieri d’Oltralpe. Vi soggiornarono molti Gran Maestri, compreso l’ultimo, Jacques de Molay, che sicuramente fu ad Anagni, presso Bonifacio VIII.

È più probabile, però, che i due “Gigli” dell’acquasantiera dell’Auricola, che tra l’altro assomigliano parecchio al simbolo dell’”Ank”, non siano blasoni. Ma siano stati realizzati per le loro valenze simbologiche ed allegoriche. In pratica, sottenderebbero valenze legate ai cicli della rinascita, alla Resurrezione. Quasi a rafforzare ulteriormente i significati della “Croce” e del “Fiore della Vita”.

Infine, non va dimenticato, che ci troviamo all’interno di un Santuario dedicato alla Madonna. Ed il Giglio è uno dei simboli più diffusi della Vergine.

Proseguiamo nell’analisi degli affreschi. Si deve tener presente che l’attuale ingresso, volto ad ovest, non corrisponde a quello medievale, che molto probabilmente era volto a settentrione e si trovava nell’attuale seconda cappella di sinistra.

Comunque noi seguiremo l’attuale senso di visita della chiesa. Quindi, sempre sulla dx dell’ingresso, ecco un pilastro decorato con un affresco (purtroppo rovinato) recante la figura di un Santo vescovo. Ai suoi piedi, a sinistra, si vede una piccola figura maschile inginocchiata, probabilmente il committente dell’affresco.

Il Santo vescovo stringe il Pastorale o una Croce astile con la mano sinistra che appare guantata. Sul dorso sembra esserci una croce o, più probabilmente il simbolo del “Nodi di Salomone”. (Immagini in basso – foto G Pavat 2010).

 

 

 

Sull’altro lato del pilastro è stata affrescata la figura di una Santa che regge un fiore, probabilmente un Giglio, simbolo di purezza e verginità. (Immagine in basso – foto G Pavat 2010).

 

Il volto, intatto, è decisamente delicato. I capelli sembrano biondi, raccolti da una sorta di treccia. E sul capo è posta una corona. Chi è questa figura che ancora oggi sembra emanare un certo fascino di femminile eleganza e regale austerità? Un Santa Regina. Ma l’elenco potrebbe essere lungo. Purtroppo qualsiasi identificazione è rimasta a livello di ipotesi.

Sul lato sx dell’ingresso, si ha una “Madonna della Rosa” perfettamente conservata. La Vergine regge con la mano destra una rosellina. Il Bambino, in piedi sulle ginocchia della Madonna, benedice con la manina destra mentre con la sinistra compie uno strano gesto. La infila nella scollatura della veste alla ricerca del seno materno. Dal punto di vista simbolico, tale gestualità equipara questa “Madonna della Rosa” alle “Madonne che allattano”. Le “Maria lactans”, di cui, come si vedrà tra poco, anche all’Auricola esiste più di un esemplare.

(Immagine sopra: Il volto della Santa – foto G Pavat 2010)

A sinistra della “Madonna della Rosa”, ecco il primo degli affreschi più misteriosi ed inquietanti dell’Auricola.

Talmente sconvolgenti nel loro contenuto da non venire mai citati dagli autori, a cominciare dal Tomassetti, che si sono occupati di quel Santuario. In questo caso, addirittura, la scena è raffigurata identica in ben due affreschi presenti nella chiesa.

(Immagine a dx: la Madonna della Rosa – foto G Pavat 2016)

 

 

 

 

Ma che cosa vi è rappresentato?

Si tratta di San Francesco (o altro santo francescano) con sullo sfondo un impiccato che penzola dalla forca.

Un tema indubbiamente “forte”. Che sembra fare a pugni con l’immagine che abbiamo del Santo d’Assisi. Viene spontaneo chiedersi che cosa abbia a che fare con una scena di supplizio e di morte. Per cercare di risolvere questo enigma, nel 2006, mentre ero intento a scrivere il mio primo libro (che sarebbe poi uscito nel novembre dell’anno successivo: “Valcento. Gli ordini monastico-cavallereschi nel Lazio meridionale” edizioni Belvedere Latina), riuscì a contattare uno dei più grandi storici dell’Arte Francescana all’epoca viventi; padre Servus Gieben, ofmcap.

Ho conservato gelosamente le sue email, davvero preziose per le note e le informazioni che mi fornì nonostante, lo ammise lui stesso, si trovasse davanti ad opere d’arte quanto meno inconsuete.

(Immagine sopra: il primo affresco con San Francesco e l’impiccato – foto G Pavat 2010. Sotto: il medesimo soggetto disegnato da Giancarlo Pavat nel 2010)

 

Ma lasciamo a lui la parola;

Conosco un solo miracolo in cui San Francesco, insieme con Sant’Antonio da Padova, libera una persona dalla forca. Forse per questo motivo, negli affreschi, la forca si trova due volte presso un personaggio francescano, una volta raffigurante San Francesco, l’altra Sant’Antonio. Il racconto si trova nelle “Croniche de gli Ordini istituiti dal padre San Francesco”, composte da Marco da Lisbona. Libro II, cap. 75. Nell’edizione che ho a mano (la seconda di Venezia del 1582) la storia è a pag. 333, 334.

(Immagine in basso: Il particolare dell’impiccato – foto G Pavat 2016)

Padre Servus proseguiva dicendo che, in base alle foto che gli avevo spedito tramite posta elettronica (nonostante la veneranda età sapeva usare benissimo il pc, la email e internet), non poteva che confermare la datazione trecentesca degli affreschi, sottolineava il fatto che, comunque, in vita sua non aveva mai visto una rappresentazione iconografica dell’episodio, e che ovviamente non conosceva il santuario di Santa Maria dell’Auricola.

Nella seconda ed ultima email, si (e mi) domandava il motivo per il quale era stato scelto un simile soggetto e mi invitava a soffermarmi sul fatto che entrambi gli impiccati erano vestiti di bianco.

E chi era che, indossando vesti bianche, venne perseguitato nei primi decenni del Trecento?

Io ne ho parlato in maniera più diffusa nel mio terzo libro “Nel Segno di Valcento” (edizioni Belvedere 2010), ma non risulta che prima dei miei lavori ci siano state pubblicazioni che abbiano trattano dei due affreschi con San Francesco e gli impiccati.

Nel libro “Le chiese di Amaseno” di padre Giannetta del 1987, si vede una fotografia in bianco e nero che ritrae la “Madonna della Rosa”. Ebbene, sulla sinistra si nota perfettamente uno dei due affreschi con San Francesco e l’impiccato. Ma ecco come viene descritto; “A sinistra entrando, nella parete accanto alla porta d’ingresso, è raffigurato frontalmente in posizione eretta S. Francesco d’Assisi, di belle fattezze e ben conservato”. Dell’inquietante figura dell’impiccato che era visibile allora come lo è oggi, nemmeno una riga.

È chiaro che come nel caso del Tomassetti, non sapendo come trattare immagini così strane, si preferì far finta di nulla.

Ma perché sarebbero così sconvolgenti? Ribadisco, è un immagine che stona con quella che abbiamo (complici anche film televisivi di successo ed una certa agiografia moderna) del ”Poverello”. Ma padre Servus Gieben aveva trovato una spiegazione logica e assolutamente canonica. E allora? Semplice ignoranza?

È chiaro che, soprattutto dopo l’uscita del mio libro del 2010, nei due personaggi impiccati con vesti bianche, si sono voluti vedere ad ogni costo dei Cavalieri Templari. E quindi i due affreschi sono stati presi come prova non solo della presenza dell’Ordine del Tempio nell’alta valle dell’Amaseno ma pure che in quel preciso luogo sarebbero avvenute torture ed esecuzioni nei confronti di alcuni suoi membri. E che inquisitori sarebbero stati proprio i francescani.

Detta così, poteva davvero dare fastidio a certi ambienti.

Ma forse c’era pure dell’altro. Forse chi aveva avuto modo di vedere il ciclo pittorico (magari in migliori condizioni di quelle attuali, ad esempio il Tomassetti) si era reso conto che c’erano pure altri affreschi relativamente ai quali le cose non sembravano troppo semplici e chiare. E che l’Auricola sembrava davvero una chiesa del Mistero.

Nel “corpus” iconografico del Santuario spiccano (sebbene in molti casi decisamente compromessi) soprattutto santi, sante e Madonne. Un Santo vescovo ed una Santa regina li abbiamo già incontrati sulla destra dell’ingresso. Sul pilastro della prima arcata a destra (la cui cappella, e le sue sconvolgenti decorazioni, essendo state realizzate alla fine del XIX secolo, verranno analizzate più avanti) ecco un Sant’Antonio Abate che impugna il bastone a forma di Tau.

Sul pilastro di fronte, sebbene decisamente rovinato, si vede ancora un giovane santo imberbe con la tonsura. Qualcuno vi ha ravvisato addirittura San Bernardo di Chiaravalle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(Immagini sopra; Sant’Antonio Abate che impugna il bastone a forma di Tau  – foto G Pavat 2010).

 

Sulla parete sopra le arcate delle due cappelle di sinistra, ecco una serie di affreschi che in realtà fanno parte di due cicli diversi e sovrapposti.

 

 

 

 

 

 

(Immagine sopra: Il Santo identificato con il “patron” dei Templari, San Bernardo di Chiaravalle – foto G. Pavat 2010)

Al ciclo presumibilmente più antico appartengono una serie di decorazioni geometriche cruciformi e fiorellini a 5 petali nonché, nella lunetta in alto, 2 uccelli trampolieri, forse gru, intente ad abbeverarsi ad una coppa. Iconografia che rimanda all’arte paleocristiana. Dove, in genere, sono due colombe, rappresentanti le anime, intente a bere ad una fonte o da un recipiente. Che allegoricamente rappresenta Gesù Cristo, fonte di Vita Eterna.

 

 

 

 

 

 

 

(Immagine sopra; i due uccelli trampolieri – foto G Pavat 2010)

Successiva è la sequela di santi. Da sx verso dx, il primo non è più identificabile a causa dello stato di conservazione dell’affresco. Il secondo è San Tommaso d’Aquino riconoscibile dalla veste dei domenicani e soprattutto dalla scritta riportante il suo nome in alto, sopra la figura del santo stesso. (Immagine in basso – foto G Pavat 2010).

Tommaso ha il capo aureolato. Il “Doctor Angelicus” morì nell’abbazia di Fossanova (LT) il 7 marzo 1274 e venne proclamato santo da papa Giovanni XXII il 18 luglio 1323. Quindi questi affreschi sono stati realizzati dopo il 1274 ma non necessariamente dopo la sua santificazione. Tommaso era morto in odore di santità e nulla esclude che sia stato ritratto con l’aureola ben prima della proclamazione ufficiale da parte della Chiesa di Roma.

 

 

 

 

 

 

 

(Immagine sopra: San Tommaso d’Aquino e Santo Stefano Protomartire – foto G Pavat 2010)

Il terzo santo della serie, quello posto tra l’Aquinate ed un gigantesco San Cristoforo (o più probabilmente Cristo, visto che sembra che nell’aureola ci sia una croce), ha tolto il sonno a più di qualche religioso. Ma, almeno in questo caso, senza motivo.

Chi si occupa di misteri deve avere anche l’onestà intellettuale di dire con chiarezza quando tali non sono. Ed è proprio il caso di questo santo imberbe e tonsurato che, a prima vista, sembra sfoggiare tre corna. Ecco che il ”santo con le corna”, come mi venne indicato la prima volta che visitai la chiesa dell’Auricola, turbava la tranquillità d’animo di chierici e fedeli.

In realtà basta conoscere le Sacre Scritture ed un po’ di Storia dell’Arte per svelare l’arcano. Il santo raffigurato indossa una “dalmatica” da diacono; e già questo è un primo importante indizio per identificarlo correttamente. Si tratta infatti del giovane Santo Stefano, il Protomartire, che era, appunto, un diacono, e che venne martirizzato dai Giudei mediante lapidazione. Ebbene le 3 protuberanze sulla testa, identificate come corna, non sono altro che tre pietre utilizzate per ucciderlo. La prova? Basta osservare il capolavoro di Giotto conservato al Museo Horne di Firenze, raffigurante un bellissimo Santo Stefano a mezzo busto e con due riconoscibilissimi sassi sulla testa. Oppure il Santo Stefano di Carlo Crivelli (1435-1495) con una pietra sul capo e due sulle spalle che sembrano addirittura enormi uova. O il “Protomartire” con una grossa pietra in testa, ritratto su tavola da Spinello Aretino agli inizi del 1400 ed oggi conservato agli Uffizi (Immagine in basso: Il Santo Stefano di Giotto- foto Wikipedia).

 

Risolto l’enigma del ”Santo con le corna”, sono ben altri gli affreschi misteriosi, come si è visto nel caso del Santo francescano e l’impiccato.

Entriamo nella cappella a destra. Sul secondo pilastro, sul lato di fronte alla Santa regina, sebbene piuttosto rovinato si riconosce un giovane santo con addosso una dalmatica, libro chiuso e nella mano destra dei legacci. Probabilmente si tratta di San Leonardo, patrono dei carcerati, i cui attributi iconografici sono generalmente i ceppi e le catene dei prigionieri (Immagine in basso  – foto G Pavat 2010).

La cappella di destra ha affrescate la parete sinistra e quella di fondo. Seguendo gli affreschi della prima parete, da sinistra verso destra, si incontra per primo un San Nicola da Bari (o da Myra) con in mano un libro che sulla copertina reca una Croce del Tau (Immagine sotto – foto G Pavat 2005).

Alla destra ecco una Madonna in trono con Bambino che regge un libro aperto. Ancora a destra, una Santa Caterina d’Alessandria riconoscibile (nonostante versi in cattivo stato di conservazione) dalla ruota con cui venne torturata e diventata suo attributo iconografico.

A destra ecco la seconda raffigurazione del Santo francescano (o San Francesco stesso) e l’impiccato. In questo caso la figura del Santo è più rovinata dell’altra, ma l’impiccato che pende dalla forca è riconoscibilissimo.

La teoria di santi e sante della parete sinistra della cappella si conclude con un’ultima figura maschile di un santo non identificabile.

 

(Immagine sopra; la teoria di santi, sante e diverse raffigurazioni della Vergine sulla parete sinsitra della cappella di destra – foto G Pavat 2005)

(Immagine in basso: la seconda raffigurazione con il santo francescano con l’impiccato e, alla sua sx, Santa Caterina d’Alessandria – foto G Pavat 2005)

La parete di fondo, quella che probabilmente ospitava l’altare della chiesa primitiva, è dotata di un apparato iconografico coniugato tutto al femminile. La prima è una Madonna con Bambino quasi illeggibile a causa del distacco dell’intonaco affrescato. La seconda figura femminile è una Santa ritratta in piedi con in mano una croce. Si è voluto riconoscervi Santa Margherita d’Antiochia che, in genere, viene raffigurata mentre con una Croce astile esorcizza il Demonio sotto le sembianze di un orrido rettile. Ma all’Auricola sembra che non vi sia traccia del mostro.

Fine I^ parte – continua.

(Giancarlo Pavat)

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