Visoki Decani: Ufo ante litteram tra i capolavori della Cultura Serbo-ortodossa da proteggere in Kosovo?

(Immagine di apertura: il Monastero Serbo-ortodosso di Visoki Decani in Kosovo –  Fonte Wikipedia)

Visoki Decani: Ufo “ante litteram” tra i capolavori della Cultura Serbo-ortodossa da proteggere in Kosovo?

di Giancarlo Pavat

Su questo sito, già in altre occasioni, ci siamo occupati  di opere d’arte, in particolare affreschi, in cui compaiono particolari enigmatici ed inquietanti, che secondo diversi ricercatori sarebbero identificabili addirittura con degli UFO ante litteram.  

 

Ovviamente esistono opere d’arte “misteriose” che non rientrano necessariamente nella cosiddetta tematica “Ufo”. Ecco qualche esempio che è stato oggetto di ricerche “sul campo” fatte dallo scrivente.

 

A Sonnino, in provincia di Latina, la lunetta sopra l’ingresso principale della chiesa di San Michele Arcangelo è decorata da un bassorilievo con un solenne personaggio intento a benedire coloro che entrano nell’edificio sacro o che sostano sul sagrato. Ha il capo aureolato e una barba fluente. L’aspetto complessivo è quello di un venerabile vegliardo e, giocoforza, viene subito da pensare che raffiguri l’Onnipotente. Invece non è così. Nell’aureola è inscritta una croce. Chiunque mastichi un po’ di iconografia sacra medievale e rinascimentale sa che l’aureola con la croce identifica senza alcun dubbio il personaggio con Gesù Cristo. Nel caso di Sonnino (ma non si tratta di un unicum, ne abbiamo trovati altri) l’aspetto “anziano” della figura maschile può effettivamente trarre in inganno ma ai principi codificati della Storia dell’Arte non si deroga. E quindi la spiegazione è che nella lunetta della chiesa di San Michele Arcangelo è stato raffigurato non il Padre ma il Figlio.

(Immagine in altoe in basso: Il Gesù Cristo scolpito nella lunetta della chiesa di San Michele Arcangelo a Sonnino – LT – foto G. Pavat 2016)

 

Un altro esempio di come la conoscenza dell’iconografia sacra possa spiegare presunti misteri, lo si è avuto nel caso del “Santo con le corna” affrescato nella chiesa della Madonna dell’Auricola ad Amaseno (FR). Per scoprire e risolvere questo curioso e (per alcuni) inquietante enigma si invita a leggere l’articolo relativo pubblicato su questo sito (QUI).

 

 

Si potrebbe continuare a lungo ad ennesima riprova che spesso si grida “al lupo al lupo” semplicemente perché non si conosce la materia, l’argomento, ovvero non si hanno a disposizione gli strumenti idonei per fare chiarezza. Purtroppo viviamo in un’epoca in cui pochi seguono il celebre aforisma del filosofo viennese Ludwig Wittgenstein (1889-1951); “Sulle cose di cui non si sa, si deve tacere”.

Per onestà intellettuale mi preme rammentare che esistono davvero opere d’arte che contengono elementi, particolari e cifre narrative, difficilmente spiegabili (ovviamente non si sta parlando soltanto di tematica “Ufo”) anche alla luce della Storia dell’Arte e delle conoscenze iconografiche o simboliche. Ma non sono certamente i casi di cui si è trattato nel corso del tempo su questo sito. Come il cosiddetto “Satellite di Montalcino” in provincia di Siena, di cui mi sono occupato nel lontano marzo del 2012, poco dopo la nascita di questo sito (QUI).

 

Oppure il ”disco volante” dell’affresco di Sermoneta (LT) (QUI).

 

 

(Immagine in alto: l’affresco di Sermoneta in cui qualcuno ha voluto riconoscervi addirittura un disco volante – LT – foto G. Pavat 2012)

 

 

Né, tanto meno, di quello che mi accingo ad illustrare.

Protagonista è un grandioso affresco (probabilmente il più grande affresco in stile bizantino giunto sino a noi) visibile all’interno della cupola del Catholikon del monastero di Visoki Decani situato nell’attuale autoproclamata Repubblica del Kosovo (si può dire anche Kossovo).

Lo spunto per scrivere questo articolo viene da una immagine dell’affresco inviataci da un nostro lettore che ha chiesto delucidazioni in merito.

Prima di andare ad analizzare i particolari “extraterrestri” secondo alcuni presenti nel dipinto, ritengo necessario fare un po’ di storia di quella tormenta terra che è, appunto, il Kosovo. Soprattutto per i più giovani, per quelli nati negli anni 90 o subito dopo.

La regione del Kosovo Metohija (in serbo Косово и Метохија, traslato in Kosovo i Metohija) sin dall’antichità era abitata da feroci ma fiere popolazioni di stirpe Illirica. Entrata a far parte prima dell’impero macedone e poi di quello Romano, nel IV secolo, dopo la divisione in due tronconi, si ritroverà compresa nella Pars Orientis, ovvero nell’Impero Romano d’Oriente o Impero Bizantino (con capitale Costantinopoli/Bisanzio). Nell’VIII secolo, come tutta la penisola balcanica, anche il Kosovo fu oggetto delle invasioni di popolazioni slave, che ben presto abbracciarono il Cristianesimo Orientale (o Cristianesimo Ortodosso) che, successivamente, con lo Scisma de 1054, si separò da quello cattolico della Chiesa di Roma. Alcuni storici ritengono che in questo periodo turbolento, nel Kosovo si sarebbero insediate anche tribù di popolazioni definite come “Proto-albanesi”. Per altri, tali popolazioni si trovavano già da tempo in quell’area.

In ogni caso, Il Kosovo, forte della Fede Cristiana-orientale, divenne la culla della nazione serba. Nel Medio Evo il Regno di Serbia (aldilà delle diverse denominazioni che ebbe nel corso del tempo) fece da muraglia al dilagare dell’Islam in Europa, arginando l’avanzata dei Turchi Ottomani. Tra il 1346 e il 1371, grazie al sovrano Stefan Uros Dusan (Stefano Uroš IV Dušan Nemanjić, in serbo Стефан Урош IV Душан Немањић, 1308-1355) figlio di Stefano Decanski (che incontreremo tra poco a proposito di Visoki Decani), la Serbia divenne un vasto impero che andava dal Danubio alla Grecia continentale, dal Mar Egeo all’Adriatico.

Anche dopo la disgregazione dell’Impero e la nascita del Regno della Serbia Moravica e di altri staterelli come il Regno di Bosnia, i Serbi (assieme ad altri popoli balcanici) furono i fieri oppositori dei Turchi. Al momento della fine dell’Impero Serbo, il Kosovo si ritrovò compreso nel vasto territorio (di fatto uno stato indipendente) controllato dal principe serbo Vuk Brankovic (Vuk Grgurević, in serbo Вук Гргуревић), genero del re serbo Lazar Hrebelianovic (Stefan Lazar Hrebeljanović, in serbo Стефан Лазар Хребељановић).

 

(Immagine sopra: la Battaglia della Piana dei Merli in un olio su tela di Adam Stefanovic del 1870 – Fonte Wikipedia)

 

E proprio in Kosovo, nella “Piana dei Merli” (letteralmente Kosovo Polje, in serbo Косово Поље; in albanese Fushë Kosovë), il 15 giugno (28 secondo l’attuale Calendario Gregoriano) del 1389 si combatté una tremenda battaglia che si rivelò purtroppo decisiva per le sorti della Serbia e di tutta l’Europa balcanica.

Nel “Giorno di San Vito”, nella vasta pianura si trovarono contrapposti gli eserciti Serbo-bosniaci guidati da Lazar Hrebelianovic in persona e quello Turco del sultano Murad I° . Il Re della Serbia era schierato al centro, l’ala sinistra era tenuta dei serbi di Vuk Brankovic mentre quella destra era occupata dai bosniaci del duca Vlatko Vukovic. Le armate cristiane serbo-bosniache vennero travolte dal vantaggio numerico degli Ottomani. La cui vittoria portò alla conquista dei Balcani. In battaglia, oltre ai capi cristiani (compreso Lazar poi canonizzato dalla Chiesa Serbo-ortodossa), cadde anche lo stesso Murad I, ucciso dal nobile serbo Milos Obilic.

Da allora la disfatta è entrata a far parte delle tradizioni, della cultura, dell’epica popolare delle varie popolazioni e nazioni slave meridionali, come simbolo della lotta per la libertà e l’indipendenza. In particolare la Battaglia di Kosovo Polje è diventata uno dei pilastri dell’identità stessa della Nazione serba.

Fu durante i secoli del dominio Ottomano che il Kosovo vide, lentamente, mutare la componente etnica e religiosa. L’elemento Albanese cominciò a diventare preponderante, tanto che gli Albanesi del Kosovo si unirono a Giorgio Castriota, meglio noto come “Scanderbeg” (1405-1468), l’eroe cristiano della lotta dell’Albania contro i Turchi. Morto Scanderbeg e cessata ogni resistenza, gli Albanesi del Kosovo come quelli dell’Albania si convertirono quasi totalmente all’Islam. Ma i Serbi non scomparvero mai da quella terra. Tennero duro, e nonostante fossero sottoposti a persecuzioni da parte dell’autorità turca non rinnegarono mai la propria Fede Cristiana. Nel XIX quando la Serbia divenne il faro delle lotte per la libertà e l’indipendenza di tutti i popoli balcanici, anche per i Serbi del Kosovo sembrò realizzarsi il sogno di riunirsi al nuovo Stato serbo guidato dalla dinastia dei Karageorgevic (Karađorđević, in alfabeto cirillico serbo Карађорђевић. Il problema era che pure gli Albanesi-kosovari stavano lottando contro l’Impero Ottomano per l’indipendenza e la riunificazione con l’Albania. Ma nel 1913, dopo le “Guerre Balcaniche (1912-1913), al momento della proclamazione dell’Indipendenza dell’Albania, il Kosovo non si ritrovò a far parte del nuovo stato affacciato all’Adriatico, ma del Regno Serbo. Invece, dopo la Prima Guerra Mondiale e la nascita prima il “Regno dei Serbi, Croati e Sloveni” (1918-1929) e poi, dal 1929 fino al 1939, “Regno di Yugoslavia” (letteralmente “Stato degli Slavi del Sud”), guidato sempre dai Karagiorgevic, il Kosovo venne incluso in questo nuovo stato balcanico. Ma se i Serbi del Kosovo ritenevano di aver finalmente raggiunto l’antico obiettivo di ricongiungersi con i “fratelli” di Belgrado, per la maggioranza degli Albanesi del Kosovo iniziò un periodo di angherie se non vere e proprie discriminazioni e persecuzioni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo la fine del Regno di Yugoslavia (“Operazione Marita”, aprile 1941) e la successiva spartizione (e conseguenti orrori dell’occupazione nazifascista ) le Potenze dell’Asse e i nuovi stati satelliti balcanici (“Stato Indipendente di Croazia” in primis), gran parte dell’attuale territorio del Kosovo venne annesso al Regno d’Albania occupato dagli Italiani.

 

(Immagine sopra: il Gazimestan, in cirillico serbo Газиместан, il monumento realizzato nel 1953, che commemora la storica Battaglia della “Piana dei Merli” – immagine di pubblico dominio)

Con la fine del Conflitto e la nascita della nuova Yugoslavia comunista guidata dal Maresciallo Tito (l’infoibatore degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia ma pure persecutore di tantissimi Sloveni, Croati, Serbi, Bosniaci ecc, solo perché non Comunisti), il Kosovo si ritrovò di nuovo all’interno di uno stato yugoslavo. Nell’ambito della Repubblica Socialista Federativa (questa la nuova denominazione della Yugoslavia di Tito), il Kosovo si ritrovò dotato di una certa autonomia come, appunto, “provincia socialista autonoma” all’interno della Repubblica Socialista di Serbia (una delle sei repubbliche, le altre erano Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia, che formavano la Yugoslavia).

Nel giugno del 1991, con le dichiarazioni d’Indipendenza della Slovenia e della Croazia, la Yugoslavia sopravvissuta per 11 alla morte di Tito, iniziò a disgregarsi e iniziò la lunga e sanguinosa serie di guerre nei Balcani che durarono per tutti gli anni ’90. Non è questa la sede per affrontare le complesse vicende di quei conflitti che hanno insanguinarono l’Europa per quasi 10 anni. Sebbene, soprattutto i media occidentali, abbiano fatto passare il messaggio che la colpa è stata tutta dei Serbi non è ovviamente così. Atrocità sono state commesse da tutte le parti in causa. Ma molte responsabilità sono da cercare pure in sciagurate scelte politiche di diverse nazioni dell’Europa occidentale.

Comunque, tornando al Kosovo, la rivalità tra la maggioranza albanese-mussulmana e la minoranza serba-cristiana, covata sotto la cenere per lungi anni esplose proprio negli anni ’90, raggiungendo il parossismo dopo la fine della guerra nella vicina Bosnia-Erzegovina (1992-1995).

Rientrati in Kosovo molti veterani che avevano combattuto nelle fila mussulmane, questi iniziarono a creare un esercito clandestino (i separatisti dell’UCK) per difendere gli albanesi dalla politica del presidente serbo Slobodan Milosevic. Alla fine del 1998, nonostante i tentativi del leader albanese kosovaro moderato Ibrahim Rugova (1944-2006), la situazione precipitò in aperto scontro armato. Fu allora che, nei primi mesi del 1999, pur senza mandato dell’ONU (come ebbe modo di affermare l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri italiano Massimo D’Alema), le nazioni della NATO iniziarono la cosiddetta “Guerra del Kosovo” bombardando installazioni militari, vie di comunicazione ma pure città inermi e non solo della provincia autonoma del Kosovo ma pure della Serbia e della Vojvodina (altra provincia autonoma dell’ex Yugoslavia)

Ho già espresso nell’ultimo capitolo del mio libro “Nel Segno di Valcento” (edizioni Belvedere 2010) il mio pensiero in merito a quella guerra che vide l’intervento anche degli aerei dell’Aeronautica Militare italiana. Scrissi anche considerazioni decisamente personali, suscitate dalle notizie dei bombardamenti di 10 anni prima. Ma erano comunque parole di condanna della Guerra e di una politica che vedeva i Serbi come i “cattivi” tout court e tutti gli altri i “buoni”. Un’affermazione manichea senza se e senza ma. Ma la Storia non è mai andata come la raccontano i vincitori. 

Venne colpita anche Novi Sad, l’antica Petervaradino, capoluogo dell’ex provincia autonoma della Vojvodina, sino al 1918 facente parte del Regno d’Ungheria, la cui corona veniva portata dagli Asburgo. Nella città bagnata dal Danubio vivevano due ragazze gemelle che avevo conosciuto un’estate di oltre vent’anni fa, in vacanza in un campeggio in Istria. Una delle tante storie estive da ragazzi. Da allora non le avevo più riviste. Aveva ragione Sàndor Màrai quando ne “Le Braci” scriveva che a volte possono trascorrere interi decenni, ci si dimentica di volti e persone, poi ad un tratto, qualcosa, ci fa riascoltare immagini e parole antiche. Come se queste avessero in qualche modo “dato espressione al significato della vita”.

Mentre i nostri aerei, assieme a quelli delle altre nazioni della “Nato”, sganciavano il loro carico di morte su ciò che rimaneva della Yugoslavia, mi tornarono alla mente quelle due ragazze. E pensai, pur non sapendo nemmeno se abitassero ancora in quella città, ormai donne e certamente con una famiglia, a quello che stavano provando in quei giorni, sotto le bombe occidentali.

So cos’è la Guerra. L’ho vista da vicino. Conosco gli orrori che genera. Eppure, sono profondamente convinto che esistano delle guerre che, purtroppo, vanno combattute. Quelle per difendere la libertà e la democrazia.

Ma il pensiero di quelle due ragazze, che il nome della loro città, le immagini del loro ponte sul Danubio distrutto, trasmesse dai telegiornali, avevano riportato in superficie dai profondi abissi della memoria, contribuì a farmi comprendere l’inutilità e stupidità di quel feroce conflitto denominato “Guerra del Kossovo”.

In realtà si trattò né più né meno di uno scientifico, devastante bombardamento finalizzato a strappare ad un popolo, quello Serbo, la propria Patria ancestrale. Il Kossovo, appunto. La “Piana dei merli” della battaglia del 28 giugno 1389, in cui il principe Lazar guidò l’ultima carica contro le preponderanti forze della Mezzaluna Turca in difesa della propria Terra e dell’Europa Cristiana.

Un atto di violenza, quello del 1999, di cui avremmo pagato lo scotto nel secolo successivo. Basti pensare a tutti quei ragazzi, militari occidentali e civili serbi, ammalatisi e morti a causa dell’”uranio impoverito” contenuto nelle bombe sganciate. Oppure alla girandola, sinistra e sconvolgente, di guerre, secessioni, instabilità politica, terrorismo e persecuzioni e fughe di masse di profughi, aventi come teatro piccole repubbliche, regioni, staterelli, dai Balcani al Caucaso, all’Asia Centrale. […] Questo non significa assolutamente che abbia mai pensato, neppure per un solo istante, che i Kosovari di etnia albanese e di religione islamica andassero cacciati dalle proprie case, vittime della “pulizia etnica” del “Boia dei Balcani” di turno. Mio padre è istriano. Costretto dagli “Infoibatori” del dittatore Tito, all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale, a fuggire giovanissimo assieme alla propria famiglia, solo perché Italiani, dalla natia cittadina di Cittanova d’Istria. L’antica “Civitas Nova” dei Romani, l’Emona (o Emonia) dei Bizantini. Quindi ho nel “DNA” il dramma del profugo, la disperazione e la struggente nostalgia dell’esule.

Decisamente non assolvo Tito per quello che hanno fatto in Istria, in Dalmazia e nella Venezia Giulia. Ma proprio alla luce di quelle tragedie di oltre sessant’anni fa, ritengo che la crisi del Kosovo andasse risolta in altra maniera. Senza l’indipendenza, ma con un’ampia autonomia della Regione all’interno di una Serbia, libera, democratica e facente parte a pieno titolo dell’Europa e dell’Occidente” (da “Nel Segno di Valcento” – Edizioni Belvedere 2010).

Dopo la fine della Guerra del 1999, il Kosovo divenne una provincia con ampia autonomia sotto il controllo dell’ONU (UNMIK) per poi, il 17 febbraio 2008, autoproclamarsi repubblica indipendente. Non tutti i paesi dell’Onu e della UE hanno riconosciuto questo nuovo Stato europeo e in quell’angolo del Vecchio Continente la situazione è ancora decisamente “calda”. Ora infatti è la maggioranza albanese-mussulmana a mettere in atto intimidazioni e persecuzioni nei confronti dei Serbi. Da fonti ONU si apprende che dei circa 250.000 serbi fuggiti dal Kosovo durante i Bombardamenti NATO del 1999, soltanto poche migliaia sono rientrati nelle proprie case. E oggi, nella autoproclamata repubblica, vivono in tutto poco più di 130.000 Serbi. Nel febbraio del 2018 (quindi 10 anni dopo la proclamazione dell’Indipendenza) il patriarca Serbo-ortodosso Ireneo, a nome del Sinodo della Chiesa Serba-ortodossa, ha conferito all’Esercito Italiano, nella persona del Generale CA Danilo Errico (all’epoca Capo di Stato Maggiore dell’Esercito), un’alta onorificenza, in segno di riconoscimento, come spiega Marco Roncalli in un articolo intitolato “La Chiesa ortodossa serba ringrazia l’Esercito italiano per la protezione dei monasteri”, pubblicato dal quotidiano “La Stampa” per l’impegno profuso dai nostri militari in quella sventurata regione.

“”Per l’amore dimostrato alla Chiesa Ortodossa Serba e al popolo serbo con particolare riguardo per l’enorme contributo offerto attraverso la protezione e ricostruzione del monastero dei Santi medici Cosma e Damiano a Zociste, del Monastero di Visoki Decani e altri luoghi sacri nella diocesi di Raska e Prizren nonché la franca testimonianza sulla sofferenza del nostro popolo Kosovo e Metohija”. Reca scritte queste parole il messaggio firmato “per grazia di Dio il Patriarca Serbo Ireneo” che ha accompagnato mercoledì scorso il conferimento – da parte del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Serba – di un’alta onorificenza al generale di corpo d’armata Danilo Errico, capo di stato maggiore uscente dell’Esercito italiano. La cerimonia, svoltasi mercoledì scorso al «Villaggio Italia», la base a Belo Polje del contingente italiano in Kosovo – non lontana dal celebre monastero di Decani dove ai pendii delle montagne di Prokletije vivono venti monaci – ha visto tra le autorità religiose la presenza dell’ordinario militare per l’Italia monsignor Santo Marcianò, dell’abate del monastero di Decani, padre Sava Janjic, e del vescovo ortodosso di Raska-Prizren, Teodosije Sibalic.

L’incontro – ancora una volta – ha rinnovato la gratitudine delle comunità monastiche per la protezione garantita dal personale militare italiano impegnato nella missione «Joint Enterprise» sin dal 1999 relativa ai monasteri di gran parte del Kosovo, ultimo dei quali quello di Decane, tutelato direttamente dalla missione della Nato Kfor (Kosovo force), attualmente guidata dal generale di divisione Salvatore Cuoci, che oltre a vigilare sull’antico monastero simbolo della cultura serba e incluso nella lista del patrimonio mondiale Unesco, garantisce la libertà di movimento nel settore occidentale del Paese promuovendo progetti di cooperazione civile e militare, nel rispetto del multiculturalismo e delle diverse confessioni religiose” (Fonte quotidiano “La Stampa” del 17 febbraio 1918).

(Immagine in alto e in basso: particolari delle decorazioni delle colonne della navata della chiesa di Visoki decani – immagine www.srpskoblago.org)

(Immagine in alto: particolari delle decorazioni della chiesa di Visoki decani – immagine www.srpskoblago.org)

 

In pratica, i nostri militari stanno da anni proteggendo alcuni edifici, palazzi, monumenti, siti sacri cristiani dei Serbi del Kosovo per impedire che vengano fatti oggetto di attentati e distruzioni ad opera di nazionalisti albanesi ed integralisti mussulmani.

(Immagine in alto: il Cristo Pantocrator a cui è dedicata la chiesa di Visoki decani – immagine www.srpskoblago.org)

Ed uno di questi straordinari monumenti e luoghi di Fede difesi dai Militari Italiani è proprio (come esplicitato dal Patriarca Ireneo) il Monastero di Visoki Decani. 

Il grande complesso monastico sorge a poco più di 12 chilometri a nord della città di Pec. Il suo Catholikos è la più grande chiesa monastica di tutta la penisola balcanica.

Il monastero di Visoki Decani (dal 2004, come accennato da Roncalli, inserito nell’elenco dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO) venne fondato nel 1327 dal re serbo Stefano Decanski (da cui, appunto, l’etimo “Decani”). Quel periodo fu l’epoca d’oro del Kosovo come centro della Cultura e Religiosità serba, basrti pensare che l’Arcivescovo Serbo-ortodosso aveva sede nella città di Pec.

Quando morì, nel 1331, lo stesso Stefano Decanski vi venne sepolto. E la tomba esiste ancora oggi.

Nel 1335 l’intero complesso venne terminato dal figlio Stefan Uros Dusan, primo Imperatore Serbo. Gli straordinari cicli decorativi interni vennero completati nel 1350. La struttura del Monastero di Visoki Decani pur essendo una splendida realizzazione cultura serbo-bizantina si ispira allo stile romanico. Ed è questa la temperie culturale, a metà strada tra Oriente ed Occidente, di cui si deve tener conto per spiegare la presenza di presunte raffigurazioni di Ufo ante litteram.

(Immagine in alto: il monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

(Immagine in alto e in basso: la Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

Come già accennato in precedenza, l’opera d’arte incriminata (si fa per dire) è il grande affresco che decora il terzo livello della cupola della chiesa, rappresentante la CROCIFISSIONE. La scena si volge fuori dalla cinta merlata di una città (ovviamente Gerusalemme).

Cristo in Croce divide il registro iconografico in due parti. A sx (per chi osserva l’affresco) si notano i soldati romani che si contendono le vesti del Messia, il gruppo delle Pie Donne e San Giovanni. A dx ci sono, invece, altri personaggi sia con l’aureola che senza e si riconosce il centurione Longino. Sopra tutto e tutti volteggiano alcuni angeli immortalati in atteggiamenti curiosi che sono stati anch’essi usati come prova dell’effettiva raffigurazione di oggetti volanti nell’affresco. Ma li analizzeremo tra poco.

(Immagine in alto e in basso: particolari della Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

 

Quanto ai presunti Ufo, questi sarebbero due strani oggetti posti nel cielo sopra le mura merlate della città, ai lati della Croce.

(Immagine in alto e in basso: i presunti Ufo della Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

Chi, come lo scrivente, ha già passato il mezzo secolo di vita e sin da bambino era appassionato di misteri, consocerà già questa opera d’arte. Visto che se ne parla ormai dalla fine degli anni ’60, quando Visoki Decani faceva ancora parte della Yugoslavia. Ma ai più giovani apparirà, quasi certamente, come una novità assoluta. Gioverà quindi ricordare che se ne venne a conoscenza per la prima volta nel 1966. Quando i particolari enigmatici dell’affresco “vennero fotografati con un teleobiettivo, dato che le immagini sono situate a circa 15 metri da terra” spiega Mauro Paoletti nel suo articolo “Il fenomeno Ufologico nell’arte”, reperibile sul web “L’autore delle foto Aleksander Painovich, analizzandole, scorse due oggetti aerei. Nel primo un uomo sembra pilotare l’oggetto mentre rivolto all’indietro controlla la traiettoria del “velivolo” che segue”. La “scoperta” di Paunovich venne pubblicata nello stesso 1966 dalla rivista yugoslava “Lumiere” e ripresa, tre anni dopo, da un articolo di Viatecheslaw Zaitsev pubblicato sulla rivista francese di cultura russa (o comunque slava) denominata (casualità?!) “Spoutnik”. Zaitsev era un convinto assertore della presenza di raffigurazioni di Ufo in antiche opere d’arte. Per lui persino la Bibbia era infarcita di fenomeni Ufo e persino Gesù Cristo non era altro che un extraterrestre giunto sulla terra per aiutare gli uomini. Come si vede, certe ipotesi proposte in tempi recenti da scrittori e conferenzieri di successo hanno precedenti d’annata. NIHIL SUB SOLE NOVUM. Nulla di nuovo sotto il Sole.

(Immagine in alto e in basso: i presunti Ufo della Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

 

L’articolo in lingua francese di Zaitsev servì a far conoscere l’affresco di Visoki Decani in Occidente ed è stato citato innumerevoli volte in libri e altre pubblicazioni dedicate all’Ufologia (ne ha parlato anche il nostro amico professor Roberto Volterri nel suo bellissimo libro “IFO. Oggetti Volanti Identificati”. Eremon edizioni).

(Immagine sopra: la copertina del libro di Roberto Volterri. Sotto: Un vecchio libro in cui si fa cenno, senza scendere troppo nei dettagli, all’affresco di Visoki Decani – foto A. Middei)

 

Persino oggi è ancora alla base delle ipotesi della presenza di Ufo nella CROCIFISSIONE del monastero kosovaro.  

In realtà, applicando il metodo di analisi oggettive secondo i criteri e le codificazioni della Storia dell’arte (utilizzati anche per altri affreschi “misteriosi”, a cui si faceva cenno all’inizio di questo lavoro), la lettura e la spiegazione dei due oggetti volanti scoperti da Paunovich e descritti da Paoletti, è di tutt’altro genere.

Si è già sottolineato come, sia dal punto di vista architettonico che iconografico, il monastero è una sorta di summa d’altissimo livello artistico della Cultura Serbo-bizantina, seppur con influssi occidentali, palesi nella presenza di stilemi romanici. Ad esempio negli splendidi bassorilievi dei capitelli e dei basamenti delle colonne della navata. Ed infatti i due “Ufo” sono perfettamente spiegabili razionalmente proprio alla luce dell’arte cristiana medievale sia occidentale che orientale. Non sono altro che il risultato di un topos iconografico molto diffuso durante il Medio Evo europeo che affonda le radici addirittura nella Classicità Greco-romana di cui l’Impero Bizantino fu erede diretto. Un modello, in sintesi, secondo il quale i due “oggetti volanti” non sono altro che raffigurazioni del Sole e della Luna. I due corpi celesti venivano raffigurati con sembianze antropomorfe o comunque con la presenza di personaggi umani all’interno. Esempi che ci aiutano a comprendere gli elementi dell’affresco di Visoki Decani ce ne sono a centinaia. Anche nell’arte romanica di casa nostra. Ad esempio la “Deposizione” scolpita da Benedetto Antelami per il Duomo di Parma.

(Immagine sopra: Il bassorilievo marmoreo con la “Deposizione” di Benedetto Antelami, datata al 1178 e conservata nel transetto destro della cattedrale di Parma – Fonte Wikipedia).

Ma soprattutto, e non poteva essere altrimenti, nell’arte del Cristianesimo orientale. Diego Cuoghi in un suo articolo anch’esso reperibile sul web (in cui smonta tutte le ipotizzate presenze ufo nell’arte medievale e rinascimentale) cita diversi di questi esempi. Miniature di evangelari, affreschi, bassorilievi. Certo, ci sono differenze stilistiche dovute alla mano o alla preparazione culturale dell’artefice ma gli elementi principali sono sempre quelli.

Dischi raggiati o meno, con all’interno figure maschili o femminili, a mezzo busto o intere. (Il Sole generalmente è una figura maschile con corona raggiata, la Luna è invece una figura muliebre con il crescente montante tipico di Iside-Demetra-Diana). A volte il Sole è reso con un uomo che guida una quadriga trainata da focosi cavalli all’interno di una circonferenza. Inutile sottolineare il lascito da parte delle immagini di Febo Apollo e, addirittura, degli Imperatori Romani che guidano il carro del Sole. Altre volte le figure antropomorfe sono dotate di ali per indicare che si tratta di corpi celesti che si muovono nel firmamento.

(Immagine in alto: la Crocifissione del monastero di Visoki Decani, con evidenziati i due presunti “Ufo” – immagine di Roberto Volterri)

 

Inpltre, la presenza del Sole e della Luna in un affresco che raffigura la CROCIFISSIONE (o altri episodi della vita di Cristo) trova addentellati e giustificazione proprio nelle Sacre Scritture e precisamente nel Nuovo Testamento. Laddove i Vangeli Sinottici narrano che al momento della morte di Cristo sulla Croce, sebbene fosse Mezzogiorno, scesero le Tenebre su tutta la Terra. Aldilà delle spiegazioni proposte a questo fenomeno (Una eclisse solare?), tutto ciò potrebbe avere soltanto un valore simbolico. Ovvero le tenebre sembrano vincere ma il successivo ritorno della Luce sulla Terra (secondo i Vangeli alle 15.00 del pomeriggio) simbolicamente preannuncia la Resurrezione di Cristo e la vittoria sulla Morte e sul Male. Ma non solo.

Il padre della Chiesa, Sant’Agostino d’Ippona, spiegava che l’episodio del buio e della Luce andava letto come la contrapposizione tra la Luna (l’astro notturno) e il Sole (il Sol Invictus che si festeggiava in prossimità del Solstizio d’Inverno). La Luna era l’Antico Testamento, quindi il Passato, il Sole invece era il Nuovo Testamento, il nuovo Messaggio salvifico portato da Cristo e concretizzatosi con la sua Morte e Resurrezione. Non a caso il Sole era sempre posto alla destra di Cristo crocifisso, mentre al Luna si trovava alla sua sinistra. E nell’affresco di Visoki Decani anche questo particolare simbolico collima perfettamente.

(Immagine in alto e in basso: particolari della Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

 

Nonostante tutto, qualcuno potrebbe obiettare che, sebbene l’aspetto iconografico appaia come quello tradizionale, l’ignoto artefice vi avrebbe inserito elementi e situazioni che magari aveva avuto modo di vedere con i propri occhi. E la prova di questa asserzione sarebbe costituita dalla gestualità degli angioletti in volo attorno al Crocifisso. Osserviamoli con attenzione. Vediamo che alcuni si portano le mani al volto e si coprono occhi e orecchie.

Gli assertori dell’ipotesi ufologica si sono scatenati affermando che si stavano coprendo gli occhi per difenderli dal bagliore prodotto dalle navicelle e le orecchie per proteggerle dal fragoroso boato prodotto dalle stesse in volo. Detto così potrebbe anche sembrare plausibile. L’artefice avrebbe assistito ad un inseguimento in cielo di due navicelle spaziali e al comportamento avuto da testimoni terrorizzati dai bagliori e dal frastuono assordante. E avrebbe riportato tutto nell’affresco.

(Immagine in alto e in basso: particolari degli angioletti della Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

 

Sorridiamo. I due oggetti volanti” sembrano inseguirsi (con tanto di figura antropomorfa che si volta indietro) perché il Sole (la Luce di Cristo vincitore) sta scacciando al Luna (le tenebre del Male, della Morte).

 

 

(Immagine in alto: un’altro degli angioletti della Crocifissione del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

 

Quanto al comportamento degli angioletti, la spiegazione è ancora più semplice. Si stanno disperando per la Morte di Cristo e non proteggendosi da bagliori o da fragori di motori stellari. Anche in questo caso i modelli iconografici si sprecano. Ne voglio citare uno soltanto, anche perché è famosissimo. È visibile a Padova, nella Cappella, degli Scrovegni e l’autore è nientemeno che Giotto. Trattasi sempre di un affresco raffigurante la CROCIFISSIONE. Anche Giotto ha dipinto degli angioletti in volo sulla Croce. Alcuni raccolgono in calici il Sangue di Cristo

(Ne abbiamo già parlato in questo articolo QUI)

altri hanno il volto deformato per il pianto e per la disperazione si stanno strappando le vesti.

 

(Immagine in alto: la Crocifissione di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova– Immagine di pubblico dominio)

 

In conclusione nell’affresco della CROCIFISSIONE del monastero di Visoki Decani non vi è nulla che non possa essere spiegato alla luce della Storia dell’Arte, dell’iconografia medievale e della simbologia sacra.

A questo punto, visto che si è parlato a lungo di questo straordinario luogo d’arte e di Fede Cristiana (difeso dai nostri Militari), non si può non invitare i nostri lettori a consultare il sito www.srpskoblago.org; (che ringraziamo per la disponibilità a utilizzare alcune foto), dove è possibile (il sito è sia in lingua serba che in inglese), grazie a tantissime splendide immagini, scoprire l’immenso patrimonio architettonico, artistico e iconografico della Cultura della Nazione Serba ed ella Chiesa Ortodossa. A coloro che si riempiono la bocca con termini come Unione Europea, desidero ricordare che anche quella è Europa. Certamente più genuina delle grigie e burocratiche istituzioni con sede a Bruxelles.

(Giancarlo Pavat)

(Immagine sopra: Palermo. Albergo delle Povere, settembre 2017, Mostra “PACE E SICUREZZA. Uomini, mezzi e valori dal Secondo Dopoguerra ad oggi”, dedicata alle Missioni Internazionali di pace a cui ha partecipato l’Italia. L’immagine ritrae uno scorcio della Sala dedicata alle missioni internazionali di pace della Guardia di Finanza curata e allestita dal Museo Storico della Guardia di Finanza- foto G Pavat 2017)

 

IL SITO WWW.ILPUNTOSULMISTERO.IT DESIDERA FORMULARE I PIÙ CALOROSI AUGURI DI BUON NATALE E SERENO ANNUO NUOVO A TUTTE LE DONNE E AGLI UOMINI DELLE FORZE ARMATE E FORZE DI POLIZIA ITALIANE IMPEGNATE AL MANTENIMENTO E ALLA DIFESA DELLA PACE NEL MONDO.

(Immagine in alto e in basso: Natività e l’Adorazione dei Magi del monastero di Visoki Decani – immagine www.srpskoblago.org)

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